COMITATO PER L'AMBIENTE E IL
RISPARMIO ENERGETICO DI BRESCIA
Allarme Acqua. Raddoppia la sete del mondo. Si
apre il quarto forum mondiale sull'emergenza. Un miliardo di persone nel
mondo non ha da bere. E' sempre più preziosa: ma ne usiamo 30 litri per
produrne uno di birra e 100 mila per fare un chilo di alluminio.
I consumi dell'acqua fresca sono essenzialmente di tre
tipi:
70% irrigazione, 15% industria, 15% usi domestici.
Origine dellAcqua:
97% acqua salata, 3% acqua dolce.
Le riserve di acqua dolce per abitante si riducono di anno in anno, nel 1950
erano di 16.800 mCubi; nel 2000 erano di 7.300 mcubi; nel 2025 saranno di
4.800 mcubi.
Da ricordare che l'acqua sporca e i scarsi servizi sanitari provocano tutte
le malattie nei paesi in via di sviluppo.
In 50 anni
dimezzate le sorte idriche, ma si spreca sempre di più. Servono infatti 10
litri di acqua per produrre un litro di benzina, 30 litri di acqua per
produrre un litro di birra, 1500 litri di acqua per produrre 1 Kg di farina,
4500 litri di acqua per produrre 1Kg di riso e 100.000 litri per produrre 1
Kg di alluminio.
Il problema della scarsità acqua annega nei paradossi. L'Indiana Cherrapunji,
per dire, è la città più piovosa del mondo ma dai rubinetti escono solo
poche gocce. mancano le infrastrutture, ha denunciato nei giorni scorsi un
gruppo ambientalista. E mentre nel mondo un miliardo di persone non ha
accesso ad acqua potabile e 2,6 miliardi non sanno cosa siano servizi
sanitari negli ultimi 5 anni il consumo di acqua in bottiglia è cresciuto
del 57%. In questa classifica sprecona di chi beve più litri d'acqua per
persona il Messico, nella cui capitale si apre oggi il quarto forum mondiale
dell'acqua, è secondo solo all'Italia.
L'appuntamento, che ha lo scopo di raggruppare una sorta di superlobby dei
diritti idrici che comprenda politici, imprenditori e ong, si tiene ogni tre
anni ed è organizzato dal consiglio mondiale dell'acqua. E ogni volta, a
guardare i numeri, la situazione peggiora.
Checché ne dicessero una volta i professori di economia negli esempi delle
loro lezioni, l'acqua è una risorsa "finita". E come tale è preziosa. Eppure
la gente, nello spicchio ricco del mondo, si comporta come se non fosse così
e uno scarico di una toilette occidentale ne usa tanta quanta ne serve ad
una persona nei paesi poveri per le esigenze di un giorno intero.
Le contraddizioni sono ancora più radicali. In America latina e in Africa
equatoriale, dove l'acqua è naturalmente abbondante, da un quarto a metà
della popolazione ha difficoltà a berne di pulita. Le ragioni sono politiche
e finanziarie. Per uno stato - spiega su Le Monde Pierre Victoria, direttore
delle relazioni internazionali di Veoliaeau - è più semplice partecipare
alla distribuzione dell'energia o delle grandi infrastrutture. Ma bisogna
convincersi che è più importante investire sull'acqua che sui telefoni
cellulari. Non foss'altro perché la carenza di quest'ultimi non provoca 8
milioni di morti all'anno, addirittura più vittime di quelle della
malnustrizione. Le multinazionali l'hanno capito e riempiono i buchi
lasciati dalle amministrazioni. Alla loro maniera, però, sino a quando la
popolazione si arrabbia. Come è successo a Cochabamba, in Bolivia, dove la
privatizzazione da parte di una società controllata dalla californiana
Bechtel portò a rincari del 300% che i Campesinos non potevano permettersi.
All'inizio del 2000 ci furono scontri, 6 morti e centinaia di feriti e alla
fine la municipalità cancellò il contratto capestro. L'Onu si è data un
obiettivo: dimezzare entro il 2015 il numero di persone senza acqua potabile
o servizi sanitari (ovvero quelle che non dispongono di 20 litri al giorno a
una distanza inferiore a un chilometro. Per raggiungerlo servono i soldi di
chi il problema lo apprende da giornali e tv, magari sorseggiando una
Perrier, ovvero investimenti tra i 7,5 e 25 mliardi di euro all'anno contro
i 4 stanziati oggi. L'impegno terrà banco al forum. Dove qualcuno
cinicamente ricorderà che altri appetiti sono in gioco dal momento che
Fortune ha valutato in 403 miliardi di euro l'anno il valore dell'industria
dell'acuq (il miglior settore dove investire), pari al 40% di quella del
petrolio.
Riccardo Staglianò La Repubblica 16 Marzo 2006
"Il mare è stata la culla della vita, ma ancora
oggi è indispensabile per la sopravvivenza di tutti gli organismi che
abitano la terra" osserva Sylvia Earle, ex direttrice della Noaa, la'genzia
per l'oceoanografia statunitense e ora "Explorer in residence" della
National Geografic Society.
Il 70% della Terra è coperto dall'acqua ma, paradossalmente gli
scienziati conoscono meglio la superifice di Marte e della Luna che gli
ecosistemi marini. Eppure il cambiamento di pochi gradi nella temperatura
dell'oceano può stravolgere la circolazione delle correnti e di conseguenza
il clima, cambiando l'umidità dell'atmosfera fino a provocare la
desertificazione di una regione o innescare fenomeni come El Nino e
aumentare l'intensità di uragani e alluvioni. Il mare è per molti versi
ancora un mistero e ci rivela sempre nuove realtà, come i microrganismi in
grado di sopportare pressioni e temperature inconciliabili con la vita che
popolano le bocche dei vulcani sottomarini e che i farmacologi stanno
studiano per cercare di estrarre nuovi farmaci.
le promesse più importanti degli oceani riguardano però il settore
energetico e alimentare. Il fondo degli oceani non è solo ricco di
giacimenti petroliferi - spiega Bo Barker Jorgensen dell'Istituto Max Planck
di Breme, in Germania - ma funziona anche come un gigantesco reattore
anaerobico dove ogni giorno vengono sisntetizzate tonnellate di metano,
fissato sotto forma di idrati. Gli esperti stimano che ci siano alemno 1200
miliardi di tonnellate di questi cristalli di metano sui fondali oceanici e
sono già in corso studi su come sfruttare queste risorse rinnovabili di
idrocarburi. Dall'oceano arrivano anche miltissime scoperte che potrebbero
permettere di produrre energia pulita. Nel SarII, il più piccolo organismo
unicellulare che vive nell'acqua salata e sopravvive anche nelle condizioni
più estreme, Steve Giovannotti dell'Università dell'Oregon ha scoperto un
sistema per trasformare la luce solare in energia alternativa che non
utilizza la clorofilla, ma una proteina simile a quella utilizzata nei
recettori della retina umana per percepire le immagini. La scoperta è molto
promettente, perché, oltre a svolgere un ruolo indispensabile nella
trasformazione di anidride carbonica in nutrienti utilizzati dalle alghe, il
nuovo sistema di Sar Eleven potrebbe fornire la chiave per mettere a punto
una nuova genrazione di pannelli solari.
La produzione di energia è invece già una realtà in superficie, dove sono
entrati in funzione i primi sistemi per trasformare moto ondoso e correnti
in energia elettrica, ma soprattutto con l'installazione di generatori
eolici offshore. Senza rilievi geografici e contribuendo a spostare grandi
masse d'aria con il suo continuo scambio di calore con l'atmosfera, il mare
è l'ambiente ideale per ricavare dal vento energia pulita, sicura e a basso
costo. Un settore nel quale l'Europa, impegnata nella riduzione delle sue
emissioni di Co2 è all'avanguardia. La Danimarca copre oltre il 5% del suo
fabbisogno di energia e a chi arriva a Copenhagen in qereo o in nave non
possono sfuggire i più di venti generatori che campeggiano imponenti nelle
acque davanti alla capitale. La Gran Bretagna, che può vantare le coste più
ventose d'Europa, ha obiettivi ancora più ambiziosi. Blair ha investito 15
miliardi di euro nella costruzione di 13 centrali eoliche offshore che
dovrebbero permettere ai britannici di ottenere il 10% di tutta la loro
energia dall'eolico entro il 2010 e il 20% nel 2020. Le installazioni più
imponenti, già in costruzione al largo del Lancashire, di fronte
all'Irlanda, potranno contare su 240 generatori in grado di produrre 1,2
gigawatt al giorno, l'equivalente di una centrale nucleare di medie
dimensioni.
Il Sale invade il delta del Po'. Rovigo.
Il cuneo salino è stato rilevato ieri nei pressi di Mesola, a 25 Km dalla
foce. Interessa tutto il delta del fiume ovvero le province di Ferrara e
Rovigo. (Po principale o di Venezia, Po di Volano e Po di Goro).
Ieri nel Po di Goro e di Volano è stata trovata una percentuale di sale pari
al 15 per mille. Già una percentuale di sale dell'1,5-2 per mille è
pericolosa: se l'acqua viene utilizzata per l'irrigazione provoca ustioni
alle foglie delle piante.
Due sono i fattori che provocano la risalita del cuneo salino: l'eustatismo,
ovvero l'elevazione del livello del mare (causa risaldamento climatico) e la
subsidenza, ovvero l'abbassamento del terreno (causato negli anni 50-60 dai
prelievi massicci della falda freatica).
ROVIGO -E arrivato fin qui, il nemico che non si vede. II sale ha invaso il
delta del Po, conquistando la sponda rodigina e quella ferrarese. Si è
infilato nella sabbia del sottosuolo come in una trincea sotterranea. Ha
viaggiato nascosto nel fiume e poi, attraverso i tubi e le pompe che sparano
getti d'acqua alti come cattedrali, invece di portare refrigerio alle
campagne ha colpito a morte. «Ecco, guardi quel pesco. Ha i frutti maturi e
già cadono le foglie. E queste barbabietole? Secche e avvizzite come povere
vecchie». La lotta fra acqua dolce e acqua salata è antica come l'uomo, in
queste terre dove i confini sono un'illusione. Ma oggi il sale ha trovato un
alleato molto forte, la siccità, e attraverso il grande fiume
minaccia la pianura Padana. «La battaglia decisiva - dice Giancarlo
Chinaglia, assessore alla Provincia di Rovigo - si svolgerà nelle prossime
ore a Pontelagoscuro. Oggi nei Po passano 230 metri cubi d'acqua dolce al
secondo. Ne servono almeno 330, per respingere il cuneo salino che è à
risalito per 25 chilometri dalla foce. Se i bacini di montagna non
rilasceranno l'acqua, saremo sconfitti.Abbiamo già perso 1.000 ettari di
risaie, a Porto Tolle. Mancano pochi giorni al disastro». Sembrano tutte
uguali, le campagne che si avvicinano al mare.
Pochissimi alberi, barbabietole, pomodori, meloni, cocomeri. «I nostri
contadini- raccontano Franco Dalle Vacche e Daniele
Vecchiattini, dirigenti dei consorzi di bonifica ferraresi - sanno che il
vento salmastro rovina le piante. Per questo coltivano queste specie che non
si alzano da terra e hanno radici piccole. Ma il sale, oltre che con vento,
arriva dal
sottosuolo. Più di metà del terreno agricolo ferrarese è stato recuperato
dalle paludi. Le nostre terre
sono anche 4 metri sotto il livello del mare e l'acqua salata si infila per
decine di chilometri nella sabbia che è sotto lo strato di terreno.
Tanti hanno provato a piantare pioppi e pini marittimi per mettere all'ombra
le case della vacanze.
Ma le radici, quando sentono il sale; non affondano. E al primo colpo di
vento forte cadono come birilli».
L'attacco più veloce arriva comunque via fiume. «L'acqua salata è più
pesante di quella dolce, e resta sul fondo. Risale il Po spinta dalle maree.
Di solito si ferma a pochi chilometri dalla foce scontrandosi con l'acqua
scesa dalle Alpi e
dagli Appennini. Ma ora il fiume è allo stremo e il sale vince. Nel Po di
Goro e in quello di Volano abbiamo trovato 15 grammi di sale ogni litro
d'acqua. Abbiamo dovuto chiudere subito l'impianto». «Con l'irrigazione a
pioggia-dice l'ingegner Matteo Giari bastano da uno a due grammi di sale al
litro per ustionare le foglie di una pianta. L'anno scorso il cuneo salino è
arrivato a metà luglio, nel 2004 ad agosto. Quest'anno già a metà giugno. Se
non arriva la pioggia, sarà un'estate drammatica». Un gran pezzo di pianura
padana rischia di cambiare faccia. «Coltiveremo carciofi - dicono idirigenti
delle bonifiche - resistono al sale. Se non ci fosse il gelo invernale,
potremmo pensare agli ulivi».
Nella sede della bonifica un bronzo ricorda le opere che «ridestarono a
nuova rigogliosa vita» le valli della malaria e della miseria. «L'equilibrio
costruito con vanghe e carriole e con le prime turbine a vapore dai nostri
bisnonni rischia oggi di andare a pezzi. Il mare si alza per lo scioglimento
dei ghiacciai, la terra sprofonda per colpa della subsidenza. La bonifica
non serve solo a irrigare. Mandando acqua dolce sul terreno teniamo in
profondità l'acqua salata. Se riesce a conquistare la superficie, ci
vorranno decenni pereliminarla». Ci sono appena 90 centimetri di dislivello,
nel Po, fra Pontelagoscuro e la foce. Quasi un'autostrada dove il sale non
trova ostacoli. «Noi abbiamo costruito - dice Fabrizio Ferro, presidente del
consorzio bonifiche Delta Po e Adige, in riva rodigina - anche delle
barriere antisale, partono dal fondo e arrivano a circa 80 centimetri dal
pelo dell'acqua. In una situazione normale, il sale si ferma. Ma con la
siccità l'acqua dolce quasi non arriva e quella salata riesce a superare
l'ostacolo». Fa impressione, la risaia conquistata dal sale. «Il riso è
delicatissimo. Bastano uno o due grammi per litro per ucciderlo. Quest'anno
il sale ci harovinato perché da noi è arrivato già il 10 giugno, quando la
pianta del riso era piccola. La tocchi e senti che si spezza, senza vita.
Mille ettari sono partiti, speriamo di salvare gli altri mille. Il nostro è
un riso buonissimo, un Carnaroli quasi trasparente. Ora in fioritura c'è il
mais. Rischiamo di perderne almeno il 50%, con l'acqua che siamo costretti
ad usare, scarto dello scarto delle bonifiche che stanno a monte».
C'è rabbia, in questo pezzo di Val Padana. Ieri a Rovigo si sono riuniti i
rappresentanti di bonifiche, delle Regioni Veneto ed Emilia Romagna,
Autorità di bacino e ministero dell'Ambiente. Hanno chiesto che «da subito»
laghi e in
vasi idroelettrici lascino scendere i 100 metri cubi al secondo necessari
per mandare indietro il cuneo salino. «Sembra strano - dice Fabrizio Ferro -
ma da quando c'è l'uso privato dell'energia elettrica l'acqua in Po manca
anche quando, come quest'anno, in inverno nevica e in primavera piove. Forse
i bacini tengono l'acqua per vendere meglio l'energia per i condizionatori
di luglio e di agosto». La stessa domanda è nella testa di Enzo Catozzo, 82
anni, che da sempre ogni giorno misura il livello del Po a Ponte lagoscuro.
«Mai vista tanta acqua scendere dal cielo e mai vista così poca acqua in
Po». Raccoglie anche antichi proverbi, l'anziano innamorato del fiume. «Se
uno era sciocco, si diceva che è come "l'och che al jera in Po e l'è andà a
cà a bear", come l'oca che era in Po ed è andata a casa a bere». Con il
cuneo salino; chi sgriderebbe oggi le oche? Jenner Meletti La Repubblica
ARTICOLI E
DOSSIER SULLE NANOPOLVERI
IL CASO BRESCIA
PROVINCIA DI BRESCIA. EMERGENZA IDRICA. I
livelli del lago d'Iseo e d'Idro calano di giorno in giorno mentre il fiume
Mella è ormai secco. Siccità, la grande sete aumenta I consorzi
irrigui chiedono di attingere acqua dalle cave e dai bacini Enel
Peggiora di giorno in giorno la crisi idrica vissuta da migliaia di aziende
agricole della Bassa. La terra riarsa dal sole cocente di questi giorni non
ha trovato beneficio dalle poche gocce di pioggia cadute l'altro ieri.
Un'inezia. I livelli del lago d'Iseo e dell'Idro stanno scendendo a vista
d'occhio e gli oltre 8 mila ...
EMERGENZA SICCITA'
Agricoltura in crisi per la secca del Po
Le Regioni chiedono acqua
Gli assessori regionali all'agricoltura si incontrano per affrontare la
crisi: "Più acqua dai bacini idroelettrici". L'Enel offre collaborazione
Ferrara, 20 giugno 2006 - Gli assessori all'Agricoltura delle quattro
Regioni attraversate dal Po, Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna
chiedono ai gestori dei bacini idroelettrici immediate immissioni di acqua,
altrimenti, nel giro di due settimane, se non cambiano le condizioni
climatiche, sarà crisi agricola.
Per il 22 giugno, un incontro tra le Regioni, i gestori dei bacini
idroelettrici i consorzi di bonifica e di irrigazione e l'Autorità di bacino
del Po. Scarse precipitazioni, in particolare in Piemonte e Lombardia, nei
mesi passati e il mancato scioglimento delle nevi sono state le cause
principali del ridotto afflusso di acqua del fiume.
''Ma sappiamo benissimo - che i i bacini idroelettrici - ha detto Tiberio
Rabboni, assessore all'Agricoltura dell'Emilia Romagna - sono ricolmi di
acqua e sappiamo che c'è stato un generale accantonamento''.
''L'acqua non può essere gestita discrezionalmente - ha ricordato Luca Zaia,
assessore all'Agricoltura del Veneto - credo anche debbano essere riviste
anche le concessioni ai gestori, nel fiume Piave, per esempio, l'acqua c'è o
non c'è in base alle scelte dell'Enel''.
I gestori dei bacini idroelettrici si difendono affermando però che la
situazione non è positiva e che stanno registrando pesanti perdite. ''Stiamo
perdendo più di un milione e mezzo di kw/h al giorno - ha affermato Sergio
Adami, responsabile Impianti Idroelettrici Enel dell'area Nord - sulla
nostra centrale Isola Serafini sul Po e anche per la centrale termica della
Casella abbiamo dovuto costruire un 'pennello' per poter andare a pescare
l'acqua con le pompe''.
L'Enel si dice in ogni modo pronta a fornire a tutte le Regioni ''la massima
collaborazione''. Già con la Regione Lombardia è in atto una cooperazione
che prevede la fornitura dell'acqua affluente e un leggero svasamento dei
bacini. A rappresentare la maggiore riserva d'acqua, però, sono i grandi
laghi 'al punto che - ha dichiarato Adami - una giornata di prelievo dal
Lago di Como è equivalente alla quantità d'acqua immagazzinata in un bacino
idroelettrico''.
Secondo l'Anbi (associazione nazionale bonifiche e irrigazioni), il 2006 è
il terzo anno in cui si verificano in questo periodo le stesse condizioni di
scarsa affluenza, anzi nelle passate settimane, in alcuni comuni del
ferrarese si sono toccati i minimi storici. Secondo l'associazione, passata
l'emergenza, sarà necessaria una nuova politica degli invasi al Nord.
Po al minimo storico, l'allarme della Coldiretti Aumenta l'acqua di mare nel
fiume
EMERGENZE GAS SERRA E
STATO CLIMATICO DEL PIANETA
Programma di ricerca Previsione e mitigazione della siccità
Università di riferimento Università degli Studi di BRESCIA - INGEGNERIA
CIVILE - BRESCIA(BS) Responsabile dell'Unità di ricerca Roberto RANZI
Descrizione
Il contributo dell'Unità Operativa si distribuirà, in particolare sui
Workpackages n° 1, 2 e, parzialmente, 3. Nel Workpackge 4 l'applicazione
sarà riferita al caso del bacino dell'Oglio prelacuale, mentre il contributo
per le applicazioni al caso di studio principale del progetto sarà
soprattutto di tipo metodologico.
Dal punto di vista cronologico verranno prima definite linee guida per la
stima delle disponibilità idriche nei bacini montani, con particolare
attenzione ai problemi di stima degli afflussi meteorici, P, delle perdite
di evapotraspirazione, ET, e delle variazioni della riserva idrica nel manto
nevoso, che contribuisce in modo determinante al termine DS del bilancio
idrologico.
In seguito, a riguardo della previsione operativa della siccità si intende,
nel primo anno del progetto di ricerca, mettere a punto un sistema prototipo
di previsione di siccità primaverile-estiva nei bacini montani, anche ai
fini della messa in atto di misure di mitigazione. Il sistema verrà
collaudato in modo dimostrativo nel secondo anno di attività.
-L'unità operativa, mettendo a frutto i risultati di ricerche da essa svolte
nell'ultimo decennio, e ormai giunte ad un buon livello di maturazione per
una applicazione operativa, si concentrerà innanzitutto sul problema della
stima degli afflussi meteorici, P, in ambiente montano. A testimonianza del
fatto che il tema non è per nulla risolto basti considerare come per diversi
bacini alpini il volume totale degli afflussi meteorici pubblicati sugli
Annali Idrologici è, nel lungo periodo, minore, o molto prossimo, al volume
dei deflussi naturali misurati. Il motivo è da ascriversi, principalmente,
alla elevata variabilità altitutidale delle precipitazioni, agli errori
sistematici di misura, alla densità delle reti pluviometriche spesso
insufficiente alle quote elevate. Sul problema della stima degli afflussi
meteorici si intendono raccogliere, per un periodo di almeno due anni, i
dati pluviometrici di una fitta rete di pluviometri, con densità di almeno 1
pluviometro ogni 30 km² stesa a cura dell'U.O. nella fascia prealpina su di
un'area campione di 300-400 km². Ciò al fine di cogliere e sintetizzare i
caratteri fenomenologici e statistici del campo di precipitazione in una
prima regione caratterizzata da ampia variabilità spaziale delle
precipitazioni, quella costituita dalla zona pedemontana dove i venti
meridionali incontrano i primi contrafforti delle Alpi e le correnti calde
ed umide rilasciano l'instabilità condizionata e quella convettiva (o
potenziale), innescando precipitazioni intense. I risultati ottenuti da
queste indagini sperimentali verranno confrontati con quelli forniti dalle
reti operative in diverse regioni italiane in zone caratterizzate in modo
simile dal punto di vista geomorfologico e meteorologico. In una seconda
fase verrà studiata la variabilità altitudinale del campo di precipitazione
in una fascia altimetrica compresa tra i 1500 ed i 3000 metri di quota. E'
in questa fascia che, alle nostre latitudini, si colloca in genere il
cosiddetto ‘ottimo pluviometrico' cioè il valore massimo delle
precipitazioni al variare della quota. La precisione della identificazione
di questa quota ‘ottimale' dipende dalla densità della rete che alle quote
elevate è oggi forse ancora più lasca di quanto non lo fosse negli anni
‘50-'60 quando in diversi bacini venivano raccolti, anche a quote superiori
ai 2000 m, i dati con i pluviometri totalizzatori, oggi dismessi
praticamente ovunque e sostituiti da pluviometri riscaldati in modo
automatico la cui affidabilità è quanto meno dubbia. Il recupero, la
digitalizzazione e l'elaborazione dei dati dei pluviometri totalizzatori in
alcuni bacini delle Alpi Centrali ed il confronto tra le misure degli
odierni pluviometri e delle contemporanee altezze e densità della neve
fresca caduta consentiranno, da un lato, di meglio identificare la quota
dell'ottimo pluviometrico e dall'altro di definire, con maggiore
attendibilità, i fattori di correzione delle precipitazioni solide, oggi
affetti da ampie incertezze. Verranno confrontati i risultati forniti da
metodi di estrapolazione spaziale delle precipitazioni tradizionali, di tipo
geostatistico, e da altri, innovativi, che tengono conto di fattori
geomorfologici e climatologici come il metodo PRISM (Taylor et al. 1993,
Taylor e Daly, 2002).
-A riguardo della stima delle perdite per evapotraspirazione, ET, verranno
raccolti i dati di almeno tre stazioni meteorologiche complete di
tacogonioanemometro, radiometro, termoigrometro, installate e controllate
dall'U.O., rispettivamente, nella fascia di pianura, di media montagna
(attorno ai 1000 m) e di alta quota (a 3020 m s.l.m.) del bacino dell'Oglio.
Presso la stazione a quota intermedia verrà installato, per un periodo
prolungato, un sensore TDR con multiplexer per la misura del profilo di
umidità del terreno e, di conseguenza, delle perdite di evapotraspirazione
effettiva nei periodi asciutti, successivi al raggiungimento della capacità
di campo del terreno, quando lo scostamento tra evapotraspirazione
potenziale ed effettiva può diventare significativo . In base a questi dati
e mettendo a frutto, da un lato, i risultati ottenuti dalle altre U.O. del
progetto, dotate di torri micrometeorologiche con sensori di ‘eddy
covariance', e dall'altro l'esperienza di studi pregressi (Falappi et al.,
2000) sul confronto tra stime di evapotraspirazione potenziale con il metodo
di Penman-Monteith e misure da vasche evaporimetriche, verrà stimata l'evapotraspirazione
potenziale ETP e, con un bilancio idrologico del suolo semplificato, quella
effettiva, ET. L'estrapolazione alla scala di bacino verrà effettuata in
base a criteri geomorfologici.
-Per la stima della variazione dei volumi idrici invasati nei serbatoi
superficiali naturali all'inizio ed alla fine del periodo di riferimento, DV,
il contributo dell'U.O. al Workpackage 1 si concentrerà sulla previsione
statistica della principale riserva idrica superficiale nei bacini montani,
quella nivale. Verranno raccolti per un periodo di almeno un ventennio e con
riferimento al bacino dell'Oglio, i dati delle misure puntuali di altezza e
densità del manto nevoso che contribuiscono alla definizione del cosiddetto
‘indice neve' utilizzato da ENEL dall'inizio degli anni sessanta (Tacchi e
Rossi, 1974). Essi verranno integrati da quelli rilevati in stazioni
nivometriche localizzate in aree limitrofe gestite dai servizi regionali.
L'area di copertura nivale dalla fine della stagione di accumulo alla fine
di quella di fusione (tipicamente da aprile a giugno) verrà stimata
elaborando immagini del sensore NOAA-AVHRR o del sensore MODIS dal 2005 in
poi. Il periodo considerato coprirà, approssimativamente, un ventennio, in
modo da raggiungere una sufficiente rappresentatività statistica del
campione di immagini raccolto. Allo scopo verrà integrata la base dati di
quindici anni già disponibile presso l'U.O..
Raccolti i dati dei deflussi alla sezione di chiusura del bacino, Q, e delle
variazioni di invaso nei serbatoi artificiali verrà calcolato il bilancio
idrologico nel bacino dell'Oglio prelacuale su base ventennale. Sarà allora
possibile verificare, almeno alla scala annuale, ma anche a scale temporali
inferiori, l'attendibilità dei metodi di stima degli afflussi meteorici,
delle perdite di evapotraspirazione e delle variazioni dell'accumulo nivale
messi a punto nelle fasi precedenti.
-Sul Workpackage 2, relativo alla previsione della risorsa idrica
disponibile, il contributo sarà costituito dalla messa a punto ed il
collaudo in modalità dimostrativa di un sistema di previsione dei deflussi e
delle possibili situazioni di siccità estiva nei bacini montani, con
applicazione principale al caso del bacino dell'Oglio, ma estrapolabile
anche al caso di studio principale del progetto di ricerca. Nel primo anno
verrà messo a punto un sistema in grado di fornire previsioni, all'inizio
della stagione di fusione (tipicamente aprile) il contributo del manto
nevoso ai deflussi di morbida tardo-primaverile ed estiva (giugno-agosto).
Ciò sarà possibile in base alle stime delle riserve idriche nivali con il
metodo basato sull'uso combinato di misure puntuali e areali, da satellite.
Condizionatamente ai possibili scenari di precipitazione e temperatura nei
mesi successivi ed al modello di bilancio idrologico precedentemente
verificato, il metodo sarà in grado di prevedere i deflussi, e la loro
incertezza, confrontandoli con il fabbisogno irriguo, idroelettrico e
turistico, del quali saranno stati raccolti dati. Nel secondo anno il metodo
messo a punto verrà collaudato coinvolgendo, a titolo dimostrativo, i
soggetti interessati (il Consorzio dell'Oglio, regolatore del lago d'Iseo ed
i produttori idroelettrici), per ottenerne una valutazione sull'efficacia ed
utilità del metodo proposto. Risulteranno a quel punto evidenti possibili
situazioni di criticità sia nel bacino prelacuale che a valle dell'opera di
regolazione del lago e il sistema potrà risultare utile per la previsione di
possibili situazioni di crisi, come quella che si verificò, in tempi
recenti, nell'estate del 2003.
-A questo punto sarà possibile contribuire al Workpackage 3 per studiare
misure non strutturali di mitigazione consistenti, essenzialmente, nel
controllo degli invasi nei bacini idroelettrici a monte del Lago d'Iseo e
dello stesso Lago d'Iseo per supplire ad eventuali condizioni di scarsità
idrica. In effetti si operò in tal senso durante la crisi per la siccità
dell'estate del 2003, ma compromettendo gravemente il livello delle riserve
idriche disponibili negli invasi idroelettrici nel successivo inverno (v.
Figura 1). Solo le nevicate tardive della primavera 2004 limitarono il grave
deficit accumulato.
Mettendo a frutto i risultati del progetto appariranno evidenti già
all'inizio della stagione primaverile le condizioni di potenziale crisi,
fornendo un quadro più chiaro per le scelte gestionali finalizzate alla
mitigazione degli effetti delle siccità.
I bacini artificiali del Lago d'Avio e Benedetto (in alto), Venerocolo (a
sinistra) e del Pantano d'Avio come appaiono dalle immagini TERRA/ASTER del
20.6.2003 (a sinistra) e 23.8.2003 (a destra). Si noti la marcata
diminuzione della riserva idrica, evidente soprattutto per il Lago
Venerocolo, a seguito dei rilasci imposti per mitigare la siccità nel bacino
dell'Oglio e del Po.
Bsf:
"Giù le mani dall'acqua". Il Forum Bresciano ha appena istituito un Comitato
che si occuperà della questione.
L'acqua è indispensabile per la sopravvivenza delle persone e
dell'ecosistema. E' un bene comune dell'umanità, un bene irrinunciabile che
appartiene a tutti: non può essere di proprietà di nessuno, ma deve essere
condiviso equamente". Parte da questa convinzione la nuova iniziativa del
Brescia Social Forum, che ha creato un Comitato contro la privatizzazione
dell'acqua. Sotto accusa le politiche amministrative mirate a trasformare
l'acqua da risorsa in merce e fonte di profitto per gli azionisti delle
imprese che la gestiscono. "I risultati della privatizzazione - dicono dal
Bsf - sono sotto gli occhi di tutti: aumento vertiginoso delle tariffe,
scarsa qualità del servizio, peggioramento della qualità dell'acqua erogata,
diminuzione occupazionale e peggioramento delle condizioni lavorative e
salariali delle imprese gestrici".
Anche a Brescia la privatizzazione avanza: l'assemblea dell'Ato provinciale
(Associazione acque territoriali dell'ovest bresciano), formata da
rappresentanti dei Comuni, ha infatti deliberato la privatizzazione delle
risorse idriche su gran parte del territorio, costituendo due società nelle
aree Centro ed Ovest della provincia le quali saranno composte da una
rilevante presenza di capitali privati (30-40%). Per dare vita ad un'azione
di pressione sull'amministrazione provinciale in grado di chiedere il ritiro
di tali delibere, il Tavolo contro le privatizzazioni del Brescia Social
Forum e Attac Brescia organizzano un'assemblea pubblica aperta a tutti.
L'appuntamento è per le 20.45 nella sede del Mir in Via Milano 65, in città.
IlBrescia 27 Aprile 2006
NEWS SULLE
TEMATICHE ECONOMICO ENERGETICHE
Puntare sulle fonti rinnovabili ed il miglioramento degli standard
energetici degli edifici, allo scopo di ridurre il mix di combustibili
fossili e di emissioni.
I nuovi impianti devono garantire maggiori rendimenti ed emissioni ridotte e
tutte le scelte tecnologiche devono svilupparsi nel rispetto del mercato e
della compatibilità ambientale. A Barcellona per esempio il comune ha
emanato "L'ordenanza Solar", che prevede per i nuovi edifici e quelli
ristrutturati l'obbligo di coprire il 60% del fabbisogno di acqua calda e
calore con pannelli solari.
Secondo alcuni esponenti politici questa norma si potrebbe estendere anche
alle abitazioni esistenti. Ovviamente servirebbe una strategia e delle
normative a livello europeo che poi però andrebbero applicate e rispettate
dai singoli paesi. per le energie rinnovabili la nostra industria non è
competitiva e gli incentivi che il governo ha stanziato in sostanza si
traducono in importazioni dall'estero. Nel 2004, il contributo delle Energie
Rinnovabili in Italia è stato pari al 7% del fabbisogno energetico
nazionale. Il comparto idroelettrico rappresenta circa il 60% del totale,
seguono biomasse e rifiuti con oltre il 30%, il geotermico per il 9%, mentre
le "nuove rinnovabili" costituite da solare ed eolico non raggiungono
insieme il 3%.
Nella produzione di energia elettrica il contributo delle nuove fonti
rinnovabili ha concorso nel 2004 al 16% circa del consumo totale. Con una
potenza lorda installata di circa 17 Gw (Milioni di Kilowatt) e quasi 43 Twh
(Miliardi di Kilowattora) prodotti, l'idroelettrico copre più del 75% della
produzione: gli aumenti di tale quota però si limiteranno in futuro ai
piccoli impianti perché è esclusa la costruzione di nuove dighe.
Già le dighe, queste sconosciute. Forniscono un terzo dell'acqua per
l'irrigazione e un sesto dell'energia consumata dagli italiani, oltre a
proteggere le vallate dalle inondazioni, ma in molti casi nessuno se ne
cura. Ce ne sono 8.350 con dentro oltre 13.000 metri cubi di acqua, di cui
545 considerate grandi dighe, con sbarramenti superiori ai 15 metri
d'altezza; ma la maggior parte non è sottosposta a controlli adeguati per
mancanza di risorse. Non basta infatti il Registro Italiano Dighe, ente
pubblico controllato dal Ministero delle infrastrutture, che con 200
dipendenti e una sola macchina su tutto il territorio nazionale non può fare
gran che e obiettivamente riscontra qualche difficoltà. Per Marcello Mauro,
presidente del Rid, l'unica possibilità è un intervento a ridurre o svuotare
l'invaso. Non stupisce che dighe non se ne edifichino più, malgrado la
richiesta di energia pulita, le sette in costruzione vanno avanti a
singhiozzo fin dagli anni settanta.
In Italia per rispettare il protocollo di kyoto, entrato in vigore il 16
febbraio 2005 dovremo ridurre del 6,5% le emissioni di anidride carbonica e
invece le abbiamo viste crescere di più del 10%. Non c'è stata la minima
volontà di applicare i dettami dell'accordo. L'Italia comunque non è
l'unica, dal novembre 2001 all'agosto 2005 hanno infatti aderito al progetto
159 stati, con le significative eccezioni di Australia, Cina e Stati Uniti,
questi ultimi responsabili di circa il 40% del totale delle emissioni.
In Italia in compenso continuano a venir inaugurate nuove centrali che per
produrre energia necessitano dello stesso gas che oggi scarseggia e che
domani sarà sempre più caro, visto il prezzo dei combustibili sul mercato
mondiale, o peggio ancora del carbone, anche se poi, tanto per gettare un
po' di fumo negli occhi, ogni tanto si parla di nucleare, che però ha dei
costi proibitivi.
Per quanto rigurada l'idrogeno, va ricordato che questo elemento non è una
fonte di energia, ma un vettore energetico. Le fonti energetiche sono dunque
sempre le stesse: idrocarburi fossili, il nucleare, il carbone, il solare,
l'idroelettrico. La vera rivoluzione è utilizzare sistemi a basso impatto
ambientale e ad alta efficenza per produrre idrogeno. In una situazione così
difficile, non dobbiamo dimenticare che una buona risorsa sarebbe quella del
risparmio energetico e di tutte le tecnologie, i comportamenti e le
legislazioni ad esso collegate. Per fare solo un esempio tra una ventina di
mesi faranno irruzione sul mercato prodotti alimentati con celle a
combustibile ad idrogeno (20-30 volte più potenti delle vecchie batterie. Le
celle a combustibile alimentate con idrogeno sono convertitori
elettrochimici di energia. Le prime celle prodotte sfruttano l'idrogeno
estratto dal metanolo, che può essere prodotto sia a partire dal gas
naturale o dal carbone, ma soprattutto sfruttano le biomasse o altre fonti
rinnovabili (Energia eolica, solare, geotermica) per produrre elettricità e
sottoporre l'acqua a elettrolisi per ottenere l'idrogeno (il cosìdetto
"idrogeno verde").
COMITATI PER L'AMBIENTE DI
BRESCIA E PROVINCIA
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