Musica e capacità
cognitive.
di Paola Emilia Cicerone
L'ascolto di un brano musicale agisce su svariate aree del cervello
migliorando le capacità cognitive.
Crescendo con la musica
Quando spiego che, da neurologo, mi occupo di musica, i miei colleghi mi chiedono: ma
perché studiare proprio la musica? Mentre i musicisti mettono l'accento sullo studiare:
cosa c'è da studiare, mi chiedono, nell'esperienza musicale? Robert Zatorre, della McGill
University di Montreal, uno dei massimi esperti di studi su musica e cervello, riassume
così le antiche incomprensioni tra scienziati e artisti. Incomprensioni che si possono
superare in nome di un comune amore per la conoscenza, come è avvenuto a Venezia, dove
tre giorni di convegno su "Neuroscienze e Musica", organizzati dalla Fondazione
Pierfranco e Luisa Mariani, hanno consentito a ricercatori e musicisti di confrontarsi su
un terreno comune per cercare di capire che cosa avviene nel nostro cervello quando
ascoltiamo musica. Partendo dagli studi sulle lesioni cerebrali che alterano le funzioni
musicali per arrivare allo studio dell'attività cerebrale durante l'ascolto o
l'esecuzione della musica.
Ad aprire un dibattito che non poteva non essere animato sono stati proprio gli studi di
Zatorre sulle emozioni provocate dalla musica. Il neurologo canadese ha analizzato in
particolare i chill, ossia i brividi provocati dall'ascolto di un brano musicale
particolarmente emozionante: "Ho scelto questi parametri perché facilmente
definibili, identificabili - perché producono alterazioni nel battito cardiaco e nella
tensione muscolare - e analizzabili" spiega lo studioso. Si è visto così che
determinate musiche producono in alcune aree cerebrali - nella corteccia frontale e
nell'amigdala - reazioni simili a quelle provocate da altre esperienze piacevoli come la
droga, il cibo o l'attività sessuale. "È curioso che un evento astratto,
apparentemente privo di valori biologici come la musica, produca una simile reazione"
sottolinea Zatorre. "Viene da pensare che per la nostra specie la musica abbia
un'importanza maggiore di quella di un semplice fenomeno culturale."
Ma il confronto tra scienziati e musicisti, o musicisti scienziati come Diego Minciacchi,
neurologo dell'Università di Firenze e compositore, ha indirizzato il dibattito verso
interrogativi fondamentali: di cosa parliamo, quando parliamo di musica? E siamo certi che
le note isolate o i brani musicali solitamente scelti per la maggior parte degli
esperimenti non ne influenzino l'esito? "Se cerchiamo di capire come il cervello
percepisca la musica, dobbiamo chiederci se la musica tonale occidentale sia quella più
adatta per le nostre ricerche" osserva Minciacchi, convinto che l'ambiente musicale
in cui siamo immersi - "quello che ci viene proposto dalle grandi multinazionali
discografiche e dall'industria dell'intrattenimento culturale" - finisca per
condizionare tali studi, soprattutto perché rende difficile distinguere l'aspetto della
percezione di un determinato brano musicale da quello della memoria, che entra in gioco
quando si utilizzano per i test linguaggi musicali che tutti conoscono. Per risolvere il
problema, prosegue Minciacchi, "sarebbe necessario un maggiore dialogo
interdisciplinare tra musicisti e neurologi".
La questione resta aperta, ma sono in molti a sollecitare una maggiore attenzione nei
confronti delle musiche moderne e contemporanee. Isabelle Peretz, dell'Università di
Montreal, ha presentato al convegno una sua batteria di test per la valutazione dei
disturbi del riconoscimento della musica - tra i quali si colloca anche l'agnosia musicale
- che scompone l'esperienza musicale nelle sue diverse componenti.
Sulla percezione musicale ci sono, però, alcuni dati acquisiti: sappiamo che la reazione
all'ascolto di un brano musicale da parte di un cervello inesperto non è tanto diversa da
quella di un professionista dei suoni. I non musicisti sembrano, infatti, possedere una
sorta di conoscenza implicita delle regole musicali, anche se la capacità di apprezzare
le sottili differenze determinate da variazione di ritmo, tonalità e melodia si
acquisisce solo con la pratica e lo studio.
Sappiamo anche che il cervello dei musicisti è in qualche modo "diverso" da
quello di altri soggetti: oltre a un (prevedibile) maggiore sviluppo dell'area uditiva, ci
sono altri dati interessanti. Dagli studi di Isabelle Peretz risulta che il cervelletto
dei musicisti ha una massa del 5 per cento superiore rispetto a quello di chi non si
occupa di musica. E uno studio di imaging con risonanza magnetica funzionale realizzato da
Vanessa Sluming dell'Università di Liverpool su 26 musicisti di sesso maschile mostra
come la costante pratica musicale aumenti la densità della materia grigia nell'area di
Broca, un dato questo che potrebbe mitigare l'atrofia cerebrale dovuta all'invecchiamento.
Ma attenzione: non dobbiamo correre il rischio di riprodurre, con i moderni strumenti di
indagine, qualcosa di simile all'antica frenologia che individuava nelle "bozze"
del cranio la localizzazione delle facoltà e i tratti caratteriali della persona.
L'avvertimento viene da Marina Bentivoglio, docente dell'Università di Verona, che, pure,
nella sua relazione ha presentato il caso di alcuni musicisti la cui creatività può
essere collegata alle patologie di cui soffrivano: "Come Mozart, i cui presagi di
morte che tanta parte hanno avuto nella composizione del celebre Requiem potrebbero essere
stati causati da un ematoma subdurale, conseguenza di una caduta che ne avrebbe accelerato
la morte anche in seguito ai salassi cui venne sottoposto per combattere
un'infezione" spiega la ricercatrice. "O come Hildegarda di Bingen, la mistica
medioevale che compose le proprie musiche dopo visioni e improvvisi malesseri, che oggi
potremmo definire come episodi di tipo isterico o epilettico. È difficile valutare i dati
che indicano nel cervello dei musicisti alcune aree più sviluppate rispetto alla norma,
soprattutto perché bisogna considerare una grande variabilità individuale" prosegue
Bentivoglio. "E la "marcia in più" rispetto alla musica di cui alcuni
dispongono nasce da un cocktail difficilmente scindibile di ambiente e geni."
Un'analoga prudenza viene raccomandata nell'affrontare altri temi difficili, come quello
del legame tra musica ed emozioni: "Un terreno sul quale conviene andare cauti, visto
che il mondo delle emozioni è il meno conosciuto dei sistemi cognitivi" sottolinea
Giuliano Avanzini, dell'Istituto nazionale neurologico "C. Besta" di Milano. Un
contributo in materia è venuto - in tono con l'interdisciplinarità del convegno - da
Giovanni De Poli del Dipartimento di elettronica e informatica dell'Università di Padova,
che ha spiegato come, variando alcune modalità di esecuzione di un brano musicale - per
esempio accelerandolo - si possano evocare emozioni diverse, come paura, tristezza o
rabbia.
I tre giorni di convegno sono culminati in un concerto che ha visto eseguire musica
composta da alcuni dei partecipanti e spesso realizzata, attraverso strumenti elettronici,
sulla base di dati scientifici. E mentre gli atti del simposio saranno pubblicati in
collaborazione con la New York Academy of Science - che due anni fa aveva avviato il
dibattito su musica e neuroscienze con un primo convegno sul tema - si sta già preparando
un prossimo convegno che si terrà tra due anni e mezzo a Lipsia, in collaborazione con il
Max-Planck-Institut: "Un'occasione anche per fare il punto sulla musicoterapia"
spiega Maria Majno, consigliere delegato della Fondazione Mariani. "Esistono infatti
molte dimostrazioni empiriche della sua efficacia, mentre le prove scientifiche sono
ancora carenti."
Nasciamo tutti musicisti? In un certo senso sì: lo dimostrano recenti studi che ci
aiutano anche a capire come la musica possa e debba far parte della formazione scolastica
"sia che gli allievi siano normodotati, sia che abbiano handicap o problemi
cognitivi", sottolinea Luisa Lopez, neurofisiologa del Centro per le disabilità di
sviluppo "Eugenio Litta". Insomma, le affermazioni di Steven Pinker che
sottolineava "l'irrilevanza neurofisiologica della musica" sembrano smentite,
mentre si torna a guardare a Darwin, il quale ne L'origine delle specie sottolinea come
alcune forme musicali potrebbero avere preceduto lo sviluppo del linguaggio.
L'apprendimento musicale è dunque una chiave per uno sviluppo cognitivo soddisfacente?
Qualche cautela è d'obbligo. Sembra ormai definitivamente smentito, per esempio, il
cosiddetto "effetto Mozart", la teoria emersa da uno studio del 1993 secondo la
quale l'ascolto di una sonata del grande salisburghese per 10 minuti sarebbe bastato a
migliorare il ragionamento visivo-spaziale. Più interessanti e più convincenti sono gli
studi sugli effetti a lungo termine delle abilità musicali sulle capacità cognitive.
Ricerche effettuate da Wilfried Gruhn dell'Università di Friburgo dimostrano che i
bambini che studiano musica presentano un vantaggio cognitivo da sei mesi a due anni
rispetto ai loro coetanei, e ottengono un punteggio sopra la media nei test
d'intelligenza: "Talento musicale e abilità cognitive sembrano andare in generale di
pari passo" spiega lo studioso.
"La musica coinvolge il nostro organismo a diversi livelli: è dunque logico che
possa influenzare abilità cognitive, linguistiche, e anche motorie" spiega Lopez.
Dalla ricerca emergono infatti prove che legano così profondamente linguaggio e musica da
far pensare che questa possa essere utilizzata per migliorare l'apprendimento del
linguaggio. Jenny Saffran dell'Università del Wisconsin ha dimostrato sperimentalmente
che per imparare a parlare il bambino analizza statisticamente la ripetitività dei suoni
sviluppando, ancora prima di conoscere i singoli vocaboli, la capacità di individuarli
nel flusso del parlato, una capacità che entra in gioco anche nel riconoscimento di un
brano musicale. Secondo alcuni ricercatori dell'Università di Sheffield l'inserimento
sperimentale dell'educazione musicale nel curriculum scolastico di bambini dislessici
avrebbe migliorato in modo significativo la loro capacità di lettura e pronuncia. Meno
chiara invece la spiegazione dei buoni risultati ottenuti con altri tipi di handicap:
"È possibile che la musica riesca ad aiutare i bambini autistici proprio perché è
da sempre un veicolo di interazione sociale, quindi utile per chi presenta carenze proprio
in questo settore" ipotizza Luisa Lopez.
Ma a che età i bambini cominciano ad apprezzare determinati suoni? In un ambiente
"musicale" come quello in cui viviamo, un certo livello di apprendimento avviene
in modo spontaneo: secondo Sandra Trehub dell'Università di Toronto, i bambini hanno fin
dalla più tenera età una predisposizione alla musica, come se fossero biologicamente
preparati ad apprezzarla, anche se preferiscono la consonanza alle dissonanze. È noto da
tempo che fin da piccolissimi i bambini analizzano i suoni in modo simile a chi possiede
il cosiddetto "orecchio assoluto", ossia la capacità di riconoscere una singola
nota: una capacità che successivamente perdiamo, e su cui in età adulta possono contare
solo alcuni musicisti. Ma oggi uno studio realizzato all'Università del Texas mostra che
anche bambini di circa cinque anni possono sviluppare l'orecchio relativo - quello che ci
permette di riconoscere l'intervallo fra due note - se ne hanno bisogno, se cioè diventa
una discriminante necessaria per riconoscere un brano. Una scoperta che gioca a favore di
un apprendimento precoce della musica, anche se alcuni studi sembrano dimostrare che solo
verso gli otto anni i bambini siano in grado di apprendere elementi musicali più
sofisticati, come l'armonia.
Orecchio per la musica Fin dalla più tenera età i bambini hanno una predisposizione alla
musica e possiedono il cosiddetto orecchio assoluto, ossia la capacità di riconoscere una
singola nota. Questo dono viene in genere perso con l'età e sostituito dall'orecchio
relativo, ossia dalla capacità di riconoscere un intervallo tonale. Solo intorno agli
otto anni si acquisisce anche la capacità di apprendere l'armonia
LA MUSICA COME STRUMENTO DI DIAGNOSI
I progressi delle neuroscienze, assieme al fatto che oggi disponiamo di strumenti
diagnostici sempre più sofisticati, come tomografia a emissione di positroni, risonanza
magnetica e risonanza magnetica funzionale, ci consentono oggi di capire sempre meglio
come il nostro cervello elabori l'esperienza musicale. Giuliano Avanzini dell'Istituto
nazionale neurologico "C. Besta" di Milano, consigliere scientifico della
Fondazione Mariani, sintetizza così il rapporto sempre più stretto tra neurologia e
musica: "Sapevamo già che la musica attiva le circonvoluzioni temporali superiori
dell'emisfero destro, la parte del cervello responsabile dei processi creativi, ma si è
visto che coinvolge anche l'emisfero sinistro, che domina i processi logico-matematici,
soprattutto quando un brano musicale non viene semplicemente ascoltato, ma anche eseguito.
E ancor più quando viene eseguito da musicisti professionisti. II cervello infatti sembra
in grado di analizzare separatamente le diverse componenti della musica: mentre l'emisfero
destro ne coglie il timbro e la melodia, il sinistro analizza il ritmo e l'altezza dei
suoni. E lo fa coinvolgendo aree deputate a funzioni diverse come l'area di Broca,
tradizionalmente considerata area del linguaggio, che oggi riteniamo sia utilizzata anche
per riconoscere la sintassi musicale".
II messaggio musicale sembra dunque capace di stimolare connessioni neuronali molto
complesse. In effetti, dagli studi svolti finora emerge una mappa delle funzioni della
corteccia cerebrale meno rigida di quella precedentemente ipotizzata e proprio in questo
risiede l'interesse della neurologia per la musica. Ma quale musica è in grado di
attivare maggiormente le aree cerebrali?
"Premesso che il cervello è in grado di distinguere tra l'ascolto della musica e
quello di un qualsiasi rumore - continua Avanzini - si è visto che facendo ascoltare a
soggetti con competenze musicali più o meno sviluppate espressioni musicali diverse, come
una melodia occidentale e una cinese, vengono attivate le stesse aree del cervello. È
come se esistessero degli "universali" della musica che vanno al di là del
sistema musicale. Sono proprio studi come questi che fanno sorgere qualche dubbio
sull'opportunità di un uso stereotipato, a livello sperimentale, della musica
occidentale." E per quanto riguarda le emozioni, quanto sappiamo della capacità
della musica di scatenarle? "Questo è un terreno delicato - spiega Avanzini - anche
se ci sono motivi per pensare che l'impatto emotivo della musica possa avere effetti
importanti, sia dal punto di vista psicologico sia da quello fisiologico. Lo dimostrano,
per esempio, gli studi sull'epilessia musicogenica, una rara forma epilettica - ne
esistono 86 casi documentati in tutto il mondo - in cui la crisi è scatenata dall'ascolto
di un brano musicale. Questo non significa, ovviamente, che in generale la musica provochi
l'epilessia, né che la crisi possa essere scatenata da qualunque tipo di emozioni: questi
pazienti possono infatti vivere senza problemi situazioni perturbanti a livello
emozionale. Studiare queste forme di epilessia scatenata dalla musica serve, da un lato, a
identificare le strutture coinvolte nella percezione della musica e, dall'altro, a capire
quale è l'aspetto rilevante dello stimolo che scatena la crisi epilettica, anche di
origine differente."
La musica contribuisce certamente a una migliore conoscenza della mappa cerebrale, ma
quali ricadute, dal punto di vista clinico, potranno avere queste ricerche sugli attacchi
epilettici indotti dalla musica?
"Riteniamo che si possano realizzare test molto selettivi che consentiranno di
identificare minime lesioni della corteccia cerebrale. Inoltre speriamo che dall'epilessia
musicogenica ci possano venire informazioni preziose sui meccanismi, ancora poco noti, che
generano una normale crisi epilettica." Passiamo ora a considerare i vantaggi di una
valida educazione musicale specificamente rivolta ai bambini. A quale età andrebbe
iniziata? " I bambini - spiega Avanzini - sembrano in rado di apprezzare la musica
fin dai tre, quattro mesi di vita. E dunque opportuno offrire loro proposte musicali varie
e stimolanti, pur rimandando lo studio vero e proprio a un'età più consona, iniziando
con il canto, che le ricerche più recenti confermano essere lo strumento ideale per
l'apprendimento della musica. È però importante dare all'ascolto musicale un tempo e uno
spazio ben definiti, evitando di immergere il bambino in un indiscriminato sottofondo
musicale che riduce la musica a una funzione di tappezzeria e disturba il processo di
formazione del gusto musicale." Dalla Rivista Mente e Cervello n. I ,
gennaio-febbraio 2003
Indice
Scienza e letteratura di Margaret Atwood
Nella sua nuova opera, L'ultimo degli uomini, l'autrice racconta di una
catastrofe ambientale. E in queste pagine spiega perché il tema più importante per un
romanzo oggi è il futuro della specie di Eleanor Case e Maggie McDonald
Peni blu e pestilenze, maiali transgenìcì allevati per estrarne gli organi e guardie
armate ai cancelli di pochi scienziati privilegiati. È il futuro dipinto da Margaret
Atwood nel suo ultimo libro Oryx and Crake, che fin dalla pubblicazione in inglese (in
italiano esce il 26 settembre edito da Ponte alle Grazie col titolo L'ultimo degli uomini)
ha provocato discussioni che vanno ben oltre la letteratura. Perché il cupo futuro del
romanzo, sostiene lei, è già possibile nel nostro mondo, con una biosfera degradata e
guerre combattute in nome delle risorse energetiche. Ma cosa accadrebbe se invece usassimo
le nostre conoscenze per spezzare questo ciclo e reinventarci una nuova umanità? O il
prezzo da pagare per una cultura più nobile sarebbe troppo alto? Ne abbiamo parlato con
l'autrice, incontrata a Londra per la presentazione de Il racconto dell'ancella, un altro
suo celebre romanzo di ambientazione fantascientifica.
Lei ha scritto undici romanzi, moltissimi racconti, testi per il teatro, poesie. E
recentemente ha insegnato Kafka agli ingegneri della Columbia britannica. Perché proprio
a loro? Le parabole di Kafka spesso contengono un grande enigma. Gli ingegneri amano tutto
ciò che assomiglia a un puzzle. Spesso poi le parabole si risolvono in un paio di righe,
così li ho convinti a mettere per iscritto gli enigmi che nascondono. Era una cosa che li
interessava e che facevano volentieri: se li avessi costretti a scrivere un sonetto di
Shakespeare sarebbe stato molto più difficile. Gli enigmi risultano particolarmente
appetibili a chi ha una mentalità che punta a risolvere i problemi. Ovviamente molti di
questi sono senza soluzione, in questo modo gli ingegneri hanno avuto modo di esprimere
quelli che sono i loro quesiti senza risposta o anche la loro concezione del mondo. In fin
dei conti in che cosa consiste l'ingegneria? Nel mettere insieme tanti elementi per
realizzare qualcosa che funziona.
Quante ricchezze contiene il mondo della scienza per uno scrittore?
Molti scrittori non sanno nulla di scienza e non se ne preoccupano neppure. E' molto più
facile trovare biologi esperti di letteratura che letterati che si interessano di
biologia. Non sono gli scienziati a non leggere i libri, quanto piuttosto gli scrittori
che spesso non riescono a capire o parlare il linguaggio della scienza. Le persone sono
molto più consapevoli dell'importanza della scienza rispetto al passato. Una volta lo
consideravano un mondo un po' bizzarro, da cui sono nate tutte le storie dei classici
scienziati un po' pazzi. Questo atteggiamento deriva in parte dalla paura dell'ignoto.
Ciò che determina le nostre scelte e le nostre decisioni non è il freddo ragionamento
quanto piuttosto le predilezioni emotive dell'essere umano. Dovremmo prestare maggior
attenzione perché sono la paura e il desiderio che governano il mondo. La conoscenza è
solo qualcosa in grado di aiutarci.
Che cosa ne pensa della fantascienza?
Gran parte della fantascienza è pura fantasia. Ci sono personaggi che volano su enormi
draghi, mondi remoti popolati da strane forme di vita. C'è anche una parte ben
congegnata, con bizzarre creature che mangiano quasi come noi, consapevoli del fatto che
la vita può essere sostenibile. Ma c'è anche la fantascienza dì puro divertimento.
Oryx and Crake non appartiene alla fantascienza: si parla di fatti che avvengono
all'interno della fiction. Fantascienza è parlare di razzi e sostanze chimiche. La
fiction speculativa è quando invece hai già di fronte, nella realtà, tutto ciò che ti
serve. Abbiamo imboccato una strada che ci appare già visibile. In 1984 e Brave New
World, era già possibile vedere tutti gli elementi di quel particolare percorso. Non mi
piace la fantascienza, a eccezione di quella degli anni '30, quando spuntavano i mostri
con gli occhi fuori dalle orbite.
È chiaro che tiene sempre d'occhio il mondo della scienza.
Da dove vengono le sue conoscenze?
Le ho accumulate nel tempo. E poi ho quella che chiamo la "scatola marrone".
Quando ho iniziato a scrivere questo libro, ho cominciato a ritagliare tutti gli articoli
che suscitavano il mio interesse e a metterli nella scatola marrone. In realtà basterebbe
guardare un atlante. II livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l'altezza a cui
arriverà il mare... un po' dappertutto. Nessuna di queste informazioni è nascosta in una
soffitta polverosa. Anche mio fratello è biologo: uno dei suoi figli è un fisico mentre
l'altro è un ingegnere dei materiali, specializzato in computer a cristalli. Mio padre
era un entomologo. Mia cognata ha studiato biologia ma attualmente fa la ceramista.
Durante il tradizionale pranzo di Natale in famiglia devo stare attenta a quello che dico:
l'ultima volta ci siamo ritrovati a discutere di parassiti intestinali, con grande
disappunto degli altri membri della famiglia.
Perché ha deciso di scrivere questo libro?
Ero in una riserva naturale del Queensland, in Australia, e stavo osservando delle
schiribille dal collo rosso, una specie poco numerosa. L'Australia costituisce una specie
di microsistema: basta distruggere un minuscola parte di habitat per far morire una
specie. È stato allora che ho iniziato a scrivere Oryx and Crake, ma avevo alle spalle
anni di informazioni. Oryx and Crake, come Il racconto dell'ancella, si basa su
determinati assiomi. In base a un assioma, i ghiacciai si stanno effettivamente
sciogliendo e il nord sta davvero diventando più caldo. Nessuno sa che cosa stia
accadendo da quelle parti ma avendoli visti personalmente, posso garantirvi che si stanno
davvero ritirando e che la gente del posto è molto preoccupata perché gli orsi polari
sono in serio pericolo. Ho postulato il riscaldamento globale, ho ipotizzato che se il
Nord America non farà qualcosa in materia di leggi ambientali, le risorse idriche
finiranno per esaurirsi e le acque sotterranee verranno contaminate. Con un'irrigazione
eccessiva, poi, la terra risulta salificata, come sta accadendo in California. È per
questo che nel libro tutti mangiano la soia. E non sappiamo neppure se si tratta di vera
soia. Le persone pensano che questi sviluppi non intaccheranno la loro vita, eppure
abbiamo già assistito al tracollo della pesca del merluzzo negli ultimi 20 anni. Finito.
Esaurito. L'esempio precedente è quello del piccione viaggiatore. Tutti pensavano che
fossero troppo numerosi, erano convinti che non si sarebbero mai estinti. Ormai non è
più possibile pensare in questo modo, tranne forse nel caso dei virus. A proposito dì
virus: la gente mi chiede se la Sars è l'incarnazione della malattia-killer che ho
inventato. Ho risposto di no.
Quanto si avvicina la sua fiction speculativa alla scienza moderna?
II ragno-capra è reale, come pure il maiale con più organi. Per quanto ne so, invece,
non hanno ancora impiantato il tessuto corticale in un maiale, come hanno fatto gli
scienziati nel libro, ma sono sicura che lo faranno fra non molto. La domanda è se ciò
sia intrinsecamente male. Ovviamente la risposta è no. Credo che l'80% delle invenzioni
sia positiva. Dovremo dipendere da molte nuove invenzioni per riuscire a venire fuori
dalla situazione attuale.
Privatizzazione e proprietà sono argomenti fondamentali affrontati nel libro.
Esatto. Ho postulato quello che sta già accadendo: ormai si è praticamente perso il
concetto di spazio pubblico. La sicurezza impone comunità rinchiuse, delimitate dai
cancelli. Ormai è diventato poco sicuro vivere da una parte e spostarsi in altre zone,
così nel libro abbiamo ricreato tutto all'interno delle mura, come negli antichi
castelli. Le grandi aziende vogliono impedire la conoscenza, i furti e le scorrerie,
perché ormai è tutto completamente commercializzato. Questo significa che dietro tutto
c'è sempre e solo la logica del profitto. Non esiste più la pura scienza, ma se mettete
il naso nelle università, vi rendete conto che le uniche persone che riescono a ottenere
sovvenzioni o borse di studio sono quelle che le grandi aziende ritengono utili per
raggiungere i propri obiettivi. Per lo più ci sono persone che sfruttano e derubano gli
studenti. Gli studenti fanno il lavoro, i pezzi grossi ci mettono la firma e raccolgono
tutti gli onori. Ma non nel mio libro. Le cose funzionano meglio, almeno per certi
aspetti: se gli studenti inventano qualcosa, sono loro a trarne i vantaggi, e questo li
rende particolarmente creativi.
La specie che ha progettato, i Craker, gli umanoidi, pensano a breve termine, proprio come
gli esseri umani.
Noi siamo programmati per pensare a breve termine, come qualsiasi altra specie, perché se
non risolvi i problemi imminenti non hai alcuna probabilità di sopravvivere. Devo
attraversare la strada? Forse è meglio aspettare un attimo per evitare di essere
investito. È questo il pensiero a breve termine.
Noi esseri umani siamo capaci di prendere decisioni a lungo termine?
Io credo che siamo abbastanza capaci di farlo. Ma dov'è la volontà politica? Chi ha
intenzione di lanciare una campagna in questo senso? È abbastanza sexy? Seconda me lo
diventerà a breve. È quello che ha sostenuto E.O. Wilson. Fra quando ha iniziato a
parlare di queste cose e ha proposto la campagna e oggi si è verificato uno spostamento
sismico. Quando ha iniziato, la gente lo ignorava o si prendeva gioco di lui. In Canada si
faceva un gran parlare della questione del surriscaldamento globale: era vero oppure no?
Bene, tutti quelli che sostenevano di no sono stati smentiti. Nessuno può più dire che
il globo non si sta surriscaldando. Adesso sostengono che non si sa se la colpa è
dell'uomo, può anche darsi che faccia parte di un ciclo naturale. Se andremo avanti
così, fra decine dì migliaia di anni non saremo più qui, almeno non nella forma
attuale. Ci sarà la natura. Si tratta solo di capire se vogliamo che rimanga anche della
gente in giro a osservarla o se ci saranno solo scarafaggi, topi e denti di leone.
Cosa possiamo fare?
Abbiamo bisogno di grandi desalinizzatori. Qualche esperto dovrebbe inventarli e farci un
favore. È intrinsecamente sbagliato volere un nuovo progetto? No, fa parte dei sogno
dell'intera umanità, fin dai suoi albori, scoprire che cosa vogliamo veramente. Basta
ritornare indietro nel tempo, tornare alla mitologia, che conteneva già tutto: l'eterna
giovinezza, il denaro, la bellezza e il potere.
I Craker non sembrano avere un vero e proprio linguaggio. Ma II linguaggio è importante?
Non hanno un grande linguaggio, è vero. Ci sono cose per le quali il linguaggio non
serve.
Ma per questo sono da considerare più ricchi o più poveri?
Non lo sappiamo. Non sappiamo ciò che provano.
Se alcuni tratti culturali fossero programmati, esisterebbero cose come il libero
arbitrio?
I Craker iniziano ad avere il libero arbitrio solo alla fine del libro. Nel frattempo
stanno già coltivando alcune forme artistiche, che in teoria non dovrebbero essere in
grado di portare avanti, e stanno anche sviluppando un sentimento religioso. Non è quello
che si aspettavano Crake, lo scienziato che ha progettato questo mondo, e neppure Jimmy,
il suo migliore amico, ma è pur sempre una religione.
Quindi per quanto sia intelligente il progettista, il progetto finisce sempre per
sfuggirgli di mano...
Io credo di sì. E ci sono anche altre cose che Crake non riesce a realizzare. Non può
eliminare la musica e neppure sbarazzarsi dei sogni. In ogni caso i Craker non sono
idioti, non per niente li chiamo primati intelligenti. Anzi, sono molto di più: non hanno
bisogno di tutte quelle cose che ci fanno perdere tempo. Eliminando queste esigenze, si
eliminano anche le forme culturali che danno vita a tali bisogni. Ad esempio, non hanno
bisogno di vestiti e quindi non è necessario avere enormi campi di cotone o schiavi. E
dato che non devono neppure coprirsi, non devono uccidere gli animali per ricavarne pelli
e pellicce. E poi sono vegetariani, ma molto più di chiunque altro: si nutrono solo di
foglie e quindi a loro non serve l'agricoltura, che richiede lavoro e determina l'accumulo
di beni, con la conseguente disuguaglianza sociale in base alla quale c'è sempre chi
accumula più degli altri e chi si lascia sopraffare. II mio modello è Armi, acciaio e
malattie, di Jared Diamond, un libro bellissimo. Ovviamente i Craker hanno un apparato
digerente capace di elaborare le foglie che mangiano, e ho aggiunto delle funzioni simili
a quelle dei conigli che possono cibarsi addirittura dei loro escrementi.
E II sesso?
I Craker non sono monogami e non sono sempre sessualmente attivi. Anche loro, come tutti i
primati, vanno in calore. Dopo aver terminato Oryx and Crake ho letto sul National
Geographic un articolo molto bello sulla scimmia gelada dell'Etiopia. II maschio ha una
macchia rosa sul petto. Quando raduna un piccolo harem con quattro femmine - e sono loro a
scegliere il maschio, non viceversa - la macchia rosa diventa rossa. Un certo numero di
primati dispone di questi segnali. Credo che sarebbero molto utili...
Che cosa le piacerebbe che gli scienziati prendessero dal suo libro?
Non mi preoccupano molto gli scienziati. Gli scienziati, intesi nel vero senso della
parola, sanno già tutte queste cose.
Magari non sanno che cosa fare perché non hanno i mezzi economici necessari, però di
certo conoscono bene l'argomento. Forse i fisici non si sono occupati molto della
questione o magari a loro non interessa più di tanto. A me sta a cuore molto di più
l'opinione degli elettori, vorrei che iniziassero a preoccuparsi maggiormente della
conservazione della nostra biosfera. Se vivessi in Gran Bretagna, sarei una grande fan
della Hedgerow Society. Se vuoi continuare a sfruttare il tuo pianeta fino all'osso, devi
sapere a che cosa vai incontro. Avevamo un piccolo appezzamento di terreno su un'isola in
mezzo al lago Erie, in Canada. L'abbiamo donato a una fattoria che si occupa di colture
biologiche sperimentali. II futuro sta nel ritorno al biologico, a una vita più naturale.
Deve necessariamente essere così. (Copyright www.newscientist.com)
Chi è Margaret Atwood Margaret Atwood è nata a Ottawa, Canada, nel 1939. Icona
femminista. nei suoi libri affronta anche temi mitologici e di fantascienza. In Italia ha
pubblicato tra gli altri L'assassino cieco (Ponte alle Grazie). La donna da mangiare
(Corbaccio). L'altra Graze. Le uova di Barbablu. Tornare a galla. (Baldini Castoldi
Dalai). Da un articolo su Donna del 3 Settembre 2003
Una certa follia
creativa. di Carl William Brown
Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante
F. Nietzsche 1844-1900
Per essere veramente e utilmente creativi bisogna avere un progetto valido, o meglio
ancora più progetti da condividere con la creatività dell'intera umanità, viceversa non
saremo in grado che di compiere banali, stupide e mediocri imprese creative, come quelle
ad esempio di scrivere dei libri insulsi che non serviranno minimamente allo sviluppo
della specie e della sua felicità.
Carl William Brown
L'importante è comunicare, voler comunicare, voler capire, volere farsi capire.
L'importante è intendersi.
Carl William Brown
Gorgia nativo di Leontini in Sicilia verso il 480 apparve in Atene in occasione di
un'ambasciata. Vi si stabilì incontrando grande successo come maestro di dialettica.
Abilissimo, dopo aver convinto della validità di una tesi, sapeva strappare subito dopo
il consenso per quella diametralmente opposta che aveva demolita. Filosofo e maestro di
dialettica.
Ammesso dunque, per aasurdo, che l'essere fosse - prosegue il filosofo - sarebbe
inconoscibile. Infatti, ciò che conosciamo è costituito dalla molteplicità delle
rappresentazioni mentali che, in quanto tali, non sono la realtà, né ce ne danno una
esatta comprensione. L'essere in se stesso rimane quindi irraggiungibile per il pensiero,
che non può in alcun modo conoscerlo. Ma se anche ci fosse possibile conoscere qualche
cosa, non potremmo renderne partecipi gli altri. Fra il pensiero nostro e l'altrui si
frappongono le parole, che hanno sempre un valore diverso per chi le pronuncia e per chi
le ascolta, perché ognuno le interpreta secondo le proprie cognizioni.
La religione di una persona è ciò che più gli interessa, e la tua è il successo.
James Matthew Barrie
Le possibili domande scientifiche hanno avuto una risposta, ma i nostri problemi vitali
non sono ancora neppure stati toccati.
L. Wittgenstein
Gli scienziati lavorano meglio se sono al di fuori di ogni autorità, compresa l'autorità
della ragione.
P. Feyerabend
La scienza senza la religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca.
A. Einstein
Noi non siamo in pace con noi stessi perché siamo trincerati in "Abitudini di
pensiero" legate al "modo in cui si vive.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Il nostro modo di vivere si rispecchia nel linguaggio
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
L'aspetto delle cose per noi più importanti è nascosto a causa della loro semplicità e
familiarità.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Non c'è un metodo della filosofia, ma ci sono metodi; per così dire, differenti terapie.
La terapia deve essere appropriata alle persone coinvolte nel problema.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Ogni spiegazione dev'essere messa al bando, e soltanto la descrizione deve prendere il suo
posto.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Il linguaggio è un veleno che può essere usato per sedurci, sviarci e ammaliarci, ma
può anche curare, come quando parliamo in modo veridico. Il linguaggio è ambiguo.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
O inventare nuovi usi per le parole, usi talvolta assurdi, per aiutare ad allentare la
stretta delle forme abituali del linguaggio. Le convenzioni.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
La matematica, come i giochi e il linguaggio, dipende dalla nostra capacità di seguire
regole.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Occorre per così dire ricorstruire l'intero linguaggio. Ma questo linguagio si è
sviluppato perché gli esseri umani avevano e hanno - la tendenza a pensare in questo
modo.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se
fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé. Prefazione alle ricerche
filosofiche.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
Vi sconsiglio vivamente di diventare filosofi accademici. Tra loro la tentazione del
pensiero fasullo è diffusissima.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
La filosofia non è una dottrina, ma un'attività.
Ludwig Josef Johann Wittgenstein
La concezione dell'anima elaborata nella mitologia dell'antica Cina sostiene che l'uomo
possederebbe due anime, Hun e Po. Po si origina all'atto del concepimento (viene trasmessa
col seme, dal genitore al nascituro) ed è la sede della memoria. Hun, invece, scocca alla
nascita, col primo respiro; è la forza che accende e stimola l'intelligenza e cresce se
viene tenuta desta e in esercizio.
Po è l'anima inferiore, legata alla fisicità (non per nulla passa per via spermatica),
sede di tutte le nostre pulsioni più basse, della malvagità e dell'invidia. Hun, invece,
captata col respiro nell'aria, alito degli dei, è elevata, portata alla speculazione. Po
è la tenebra, Hun la luce; Po è l'ancora, Hun la vela; Po cerca di trascinare Hun verso
il basso, verso la materialità. Hun è la creatività, la scintilla del genio, la
riflessione originale e innovativa. Po è la memoria: spenta, piattamente ricettiva,
assimila, ricorda e replica le intuizioni dell'anima più elevata, senza neppure avere la
necessità di comprenderle. Nell'anima bassa vengono raccolte e sedimentate le attività
di quella alta. Attraverso la procreazione di nuovi esseri, le opere originali dell'anima
superiore, razionale, verranno tramandate. Questa sintesi mitologica illustra molto bene
il processo di formazione della cultura. Un insieme di nozioni e idee, patrimonio comune
di tutta una società si trasmette di generazione in generazione.
Carl William Brown
La vera regola è saper rompere le regole. G. Marino 1569-1625
Nell'accezione comune, saggio e folle sembrano modi di essere agli antipodi. Non è così
nella cultura cinese: essa definisce il saggio con una serie di ideogrammi relativi al
vento e al fulmine. Saggio per loro "non è il vecchio tranquillo che ha perduto ogni
illusione, ma chi, come il vento, corre a capofitto, irresistibilmente, sul proprio
cammino e non può essere né fermato né trattenuto in nessun momento della sua corsa;
chi purifica l'aria come fa il fulmine, e colpisce quando ce n'è bisogno". Facciamo
nostra questa immagine di Keyserling per tratteggiare la saggia follia, che negli esercizi
che seguono vi invitiamo a far uscire. Essere "consapevolmente folli" ci
permetterà di rompere quella cortina di convenzioni mentali e non che ci precludono la
vera felicità, facendoci accontentare anche in vacanza di momenti di benessere scadente,
nei quali, pur illudendoci di trasgredire il solito ordine, ci condanniamo a ripetere
sempre e solo noi stessi.
Il cervello vuole vedere altre facce, infatti ogni nuovo incontro ci obbliga a ridisegnare
"noi stessi". Confrontarci con gli altri ci obbliga a riflettere anche su noi
stessi.
Cattura le idee più strane.
Vivere la vacanza come un'avventura inedita sblocca le energie compresse dalla routine
Aprirsi all'ignoto, senza poter contare sulle solite, rassicuranti, certezze di sempre, è
il modo migliore per esplorare le aree più nascoste di noi stessi. Paure mai sondate,
entusiasmi imprevisti; incontri nuovi, risorse sepolte, reazioni insospettate...
Quello che conta è dare ascolto, almeno una volta, alla voce interiore che, con più o
meno insistenza, ci tenta ciclicamente a esplorare l'ignoto, in senso geografico e...
psichico. L'avventura è un viaggio nell'anima.
II cervello si nutre di sorprese.
Devi ricordarti di qualcosa? Speri di reincontrare lo persona che ti ha colpito ieri in
quel locale? Ti piacerebbe tanto visitare quel luogo? Se qualcosa ti
interessa in modo particolare, invece di mettere subito in atto strategie già collaudate,
smetti di pensarci. Solo così, in modo obliquo, il cervello può attivarsi al massimo,
diventare "largo" e condurci allo scopo senza sforzi inutili.
Siamo abituati a pensare che il risultato che conseguiamo dipenda dalle nostre capacità
di impostare correttamente le cose: se non abbiamo trascurato nessuna variabile, se siamo
stati accorti nel procedere, è più probabile che otteniamo ciò che ci siamo prefissi
come scopo.
Di fatto non è così: il cervello, come confermano i più recenti studi di
neurofisiologia, non ha la funzione di ricordare, fare progetti o archiviare le
informazioni in sequenze ordinate, come una banca-dati. È piuttosto l'organo che ci crea
adesso, che ci fa trasmutare adesso, dando forma compiuta alle forze che abbiamo dentro e
che sanno già cosa fare e dove andare. Quindi, per ottenere un risultato, non ha senso
sforzarsi di incanalare o far agire in un modo standard l'energia che è dentro di noi,
secondo la logica di causa-effetto. Al contrario, l'unico compito che ci è richiesto è
di lasciarci... ingravidare dagli interessi che ci premono (speranze, progetti, interessi,
curiosità, desideri...) e aspettare che, al momento opportuno, senza intervenire in modo
diretto, si portino a compimento.
La vita è come un fiume che scorre, a volte calmo, altre impetuoso, ma sempre
imprevedibile. Quando proviamo a trasformare la nostra esistenza in un percorso
programmato in cui sappiamo già che cosa avverrà domani e nei giorni a seguire,
semplicemente andiamo "contro natura" finendo per pagare prima o poi delle
conseguenze spiacevoli. Per questo motivo dobbiamo sempre di più tener conto di un
concetto "forte" che, in questi ultimi anni, è andato affermandosi nel campo
della ricerca con il nome di Teoria della Complessità. Il messaggio più significativo
che ci consegna questa disciplina d'avanguardia è che la vita anche nei suoi risvolti
biologici più sottili quali il funzionamento di cellule e tessuti, è un processo
caotico. Sì, noi viviamo senza accorgercene seduti sopra il caos. Certo, un caos
intelligente, capace di auto-regolarsi ma sempre di caos si tratta... Questo significa che
noi e il nostro organismo saremo "più vivi" tanto più consentiremo alla vita
di scorrere in modo irregolare, lasciando spazio alle novità, cedendo di fronte agli
imprevisti piuttosto che opponendosi. Nel momento in cui aspiriamo a liberarci dai vincoli
dello stress, dei modelli di comportamento, dei programmi, della routine e dell'orologio
dobbiamo imparare a... recitare a soggetto. Questo è quanto la vita ci chiede di fare.
Caos, follia, trasgressione: tre parole che affascinano e incutono timore allo stesso
tempo. II loro significato è ambivalente e per questo tutti ne sono attratti e insieme
turbati. In ognuno di noi convivono sentimenti contrapposti: il gusto di essere un po'
folli e la paura della pazzia, la necessità di oltrepassare le regole e il bisogno di
sicurezza, la voglia di fare confusione e la spinta verso l'ordine. Vediamo ora nel
dettaglio i significati che questi termini possono assumere e il loro ruolo in quei
momenti della vita in cui le regole vanno infrante, le sicurezze abbandonate e il caos
deve potersi esprimere. Con un poco di attenzione...
Andare oltre il conosciuto, verso le parti ignote e segrete - e perciò preziose - di sé
Quando la trasgressione è benedetta... - Il significato originario di questo termine è
"andare oltre": ma oltre cosa? Oltre la parte conosciuta di sé, dei propri
confini, per far emerge la nostra "quota ignota". In questo senso la si può
vedere come una forza che ci spinge lontano da un luogo o una situazione ingabbiata, verso
un'area dai confini ancora incerti. In tal modo la trasgressione facilita la costruzione
di nuovi spazi di conoscenza di sé e del mondo, aiutandoci a crescere e a diventare
maggiormente flessibili.
Chiaramente ogni volta che mettiamo in atto dei comportamenti fuori dalla norma per
renderci "interessanti" agli occhi degli altri, per fare una bravata o per
dispetto nei confronti di qualcuno, non stiamo trasgredendo nulla, ci stiamo solo
uniformando a un "modello di trasgressione" altrui. Simili comportamenti, in
apparenza così spregiudicati, sono in realtà molto conformisti e per nulla
trasformativi, infatti non intaccano minimamente l'insieme dei condizionamenti e dei
luoghi comuni della cultura, del tempo e dell'ambiente.
La follia buona, creativa è sempre una "follia d'amore"; non inteso come
innamoramento, ma come "fusione con il mondo" (pensiamo al comportamento
"folle" di chi arriva a vivere per mesi su un albero per fermare la distruzione
delle foreste). La frammentazione dell'identità, che caratterizza la pazzia, la
"malattia mentale" è, al contrario, un'estrema mancanza d'amore, inteso come la
forza che ci "tiene assieme". Senza questa forza si va incontro alla
disgregazione e la perdita dei confini fra sé e il mondo non è più fusione ma
dispersione.
II nostro organismo muta vertiginosamente e trae il suo benessere dalla capacità di saper
armonizzare in frazioni di secondo i miliardi di impulsi che riceve. Vive di novità, e
soffre del tram tram qupotidiano e della sua monotonia.
E il caos il creatore supremo... La ricerca scientifica più avanzata considera oggi il
caos il modo di procedere dell'evoluzione. L'universo non si è formato, nel corso dei
millenni, seguendo una logica lineare, ma piuttosto attraverso salti improvvisi, mutamenti
imprevedibili, percorsi irregolari e incostanti. Ecco perché ogni atto veramente creativo
contiene una quota caotica: essa è necessaria perché l'energia della creazione possa
espandersi in più direzioni e non atrofizzarsi in partenza. Attenzione: caos non
significa casualità, disordine o mancanza di significato, bensì moltiplicazione delle
prospettive possibili, verso un ordine evolutivo più elevato.
Se osserviamo per esempio il nostro corpo: ogni giorno all'incirca 600 miliardi di cellule
muoiono e altrettante si rigenerano in una struttura che comunque istante dopo istante non
è mai uguale a se stessa.
Una certa monotonia influisce negativamente su tutto il nostro corpo e pure sulla nostra
mente: se il respiro è sepre uguale possiamo finire in situazioni di una calma ipnotica,
il cuore deve essere stimolato e non deve battere sempre ad un ritmo troppo regolare, se
le onde del cervello sono sempre simili si compromette persino la sua elasticità.
Infatti quando durante il sonno la dinamica respiratoria è rigorosamente ritmica, quando
cioè i respiri sono sempre uguali, si entra in uno stato detto sonno apnoico, cioè senza
respiro, che è pericolosissimo. L'irregolarità del respiro è quindi del tutto naturale,
e corrisponde alla variabilità dei nostro scambi con l'esterno.
La vecchiaia per esempio è una riduzione della complessità e del caos. Ad esempio, la
normale funzione cerebrale presenta frequenti fluttuazioni elettroecenfalografiche di tipo
caotico. Con l'invecchiamento si assiste a una riduzione di questa dinamica, che
rispecchia una diminuzione del numero delle sinapsi e di neuroni.
Secondo le teorie dell'evoluzione; gli organismi viventi mutano e si sviluppano in
rapporto all'ambiente in cui sono immersi. Le mutazioni che si adattano ai cambiamenti
ambientali mantengono l'organismo costantemente "ai margini del caos", cioè in
quella zona in cui la materia organica è fluttuante ed elastica e sta tra la stabilità e
la variazione assoluta. Sistemi troppo stabili infatti non sono in grado di accordarsi ai
mutamenti e soccombono. Le specie, invece, evolvono esplorando non l'infinito spazio delle
possibilità (il che comporterebbe il sostanziale annullamento delle probabilità di
imbroccare la strada giusta) ma solo lo spazio delle possibilità situato al margine del
caos. Solo toccando il caos, quindi, si dà evoluzione, mutamento e, in una parola, vita.
Il nostro corpo assieme al nostro spirito Senza emozioni si deprime, un mondo affettivo
piatto, cioè senza variazioni emotive, affettive ed erotiche, è un mondo che scivola
inevitabilmente verso la staticità, il vuoto esistenziale, la depressione.
Il nostro cervello è la centralina che coordina il funzionamento di tutti gli apparati e
organi del nostro corpo e una riduzione della sua capacità di integrare le
improvvisazioni infinite della vita, coincide con il principio stesso della malattia. La
malattia, dunque, equivale a una perdita delle dinamiche caotiche fisiologiche, cioè alla
incapacità di accettare e convivere ogni giorno con un po' di sana follia.
Non esiste dunque nessuna sostanza del corpo che sia costante e perché si mantenga la sua
funzionalità, il processo riproduttivo deve essere assolutamente adattabile e in grado di
modificarsi istante per istante.
Pensate al caos che deve regnare in un organismo che cambia all'incirca 10 milioni di
volte al secondo... Naturalmente la centralina che contiene e controlla questa
"follia" è il nostro cervello.
Come fa il nostro cervello a coordinare tutte le variabili che gli portano i due
ecosistemi, individuo e ambiente, in ogni istante della vita? A includere, metabolizzare e
rendere funzionali al sistema tutti gli eventi caotici che ogni istante incontriamo?
Proviamo ad immaginare, come scrive nel suo libro "Olos" (Edizioni Riza), Ervin
Laszlo, filosofo della complessità, che questo organo meraviglioso quanto misterioso sia
simile a una perfetta jazz-band. Il nostro cervello per funzionare bene e produrre salute
deve comportarsi come un'orchestra jazz dove si suona senza spartito, dove ogni suonatore
reagisce immediatamente con un suo contributo originale ad ogni spunto che gli provenga da
qualsiasi altro suonatore.
Nella jazz band c'è una melodia iniziale che serve si, da leit-motiv per agganciare il
secondo strumento, ma poi viene completamente abbandonata per la nuova melodia e così
via, creando continuamente nuove armonie.
Parafrasiamo questa immagine e sovrapponiamola alla vita: per stare bene, per godere di
salute e serenità dobbiamo solamente obbedire a una semplice regola: accettare che ci sia
sempre qualcosa di nuovo e qualcosa da inventare mentre l'esistenza scorre. La vera arte
del vivere bene consiste nel lasciarci portare senza fine dalle improvvisazioni, proprio
come nella nostra jazz band, dove ciascuno dei suonatori, per quanto minore, gode della
massima libertà di espressione, pur rimanendo in armonia e in tono con tutto.
Il cervello coordina il corpo non "controllando" tutto, ma gestendo le cose come
se si trattasse di un'orchestra jazz, dove l'improvvisazione e la variazione si accordano
all'armonia complessiva.
Il cervello come il seme e l'uovo, trasforma il "progetto" in
"materia". Nell'uomo questo progetto coincide con la sua capacità di far
evolvere l'universo portandolo alla consapevolezza.
Quando sei stressato, lasciati andare come una foglia trascinata dal vento.
Aprire gli occhi ed interessarsi alle novità, in pratica nutrire sempre la propria
curiosità ci rende più sensibili alle forze che si muovo dentro e fuori di noi.
Il cervello giusto è creativo, si adatta al mondo, non ha pregiudizi, osserva molto, non
vive di ricordi, non giudica, non vive di speranze, non segue un copione sempre uguale e
predefinito.
Ogni cosa che facciamo, anche le cose più banali, ci ricaricano di energia istante per
istante.
L'umorismo è parte integrante delle nostre giornate: ridiamo spesso e volentieri ed
abbiamo una buone dose di autoironia.
Se ci comportiamo in maniera insolita ne restiamo piacevolmente sorpresi.
Liberare l'energia che spesso viene bloccata dalle nostre abitudini di pensiero, dalle
nostre consuetudini e dalle convenzioni sociali, scoprendo al tempo stesso i nostri
talenti, la nostra energia creativa, vitale e generatrice.
Il cervello è il luogo principale delle nostre forze operative.
La soddisfazione non deriva solo dal raggoiungimento dell'obiettivo che ci siamo
prefissati, ma anche da tutto ciò che facciamo mentre ci adoperiamo per raggiungerlo.
Tutto vive all'insegna di un caos creativo. L'ordine fa male alla salute!
Il cervello umano trova nel disordine intelligente il suo habitat naturale. Noi
dobbiamo aiutarlo a creare questo ambiente, con uno stile di vita deguato che sappia anche
andare a caccia del nuovo, per sentirsi unici, vitali e soprattutto creativi. Da un
dossier apparso su Riza Psicosomatica n. 273 Agosto 2003
Indice
Una nuova metodologia:
la
Daimonologia. di Carl William Brown
Il nostro pianeta da oggi non è più lo stesso (bella stronzata), infatti d'ora in
avanti qualcosa di profondamente innovativo, originale e creativo continuerà a
svilupparsi con metodo e rigore scientifico. Questa è dunque una sorta di vademecum del
pensiero creativo e di potenziamento delle facoltà mentali elaborato da Carl William
Brown, che per la sua elaborazione ha attinto sia dalla sua vasta produzione letteraria e
filosofica, sia dalla sua complessa esperienza di vita. Ricordiamo che il nostro C.W.
Brown, che si impegna da anni nell'ambito dell'insegnamento, della divulgazione culturale
e della provocazione artistica, è autore di ben più di 8000 aforismi originali,
di vari saggi e di vari articoli, nonché di varie raccolte di massime e di aforismi. Nel
1997 fonda il Daimon Club, un'associazione culturale di stampo eclettico e surreale che
trova il suo terreno ideale di crescita negli sterminati spazi della grande rete e conta
oggi al suo interno parecchi artisti e più di 850 pagine in costante evoluzione. Questi
principi di Daimonologia applicata (Applied Daimonology) rivestono quindi, assieme al
Testamento di C.W. Brown ed al Lascito del Daimon Club una sorta di eredità spirituale
che il nostro autore vuole lasciare alla stanca umanità, insieme ovviamente al resto
della sua opera e delle sue varie iniziative. E' nata dunque una nuova disciplina, un
nuovo modo di intendere e organizzare il sapere e la sua divulgazione. E' nata la
Daimonologia. Quelli che potrai quindi trovare nella pagina seguente non sono che alcuni
dei Principi Sintetici ed Enigmatici della Daimonologia,
estratti dalla più vasta opera di Carl William Brown dedicata all'argomento e messi a
disposizione del vasto pubblico. Certamente non si può pretendere di poter esaurire una
tematica così ampia in alcune pagine e pertanto magari non tutto all'inizio ti sarà
chiaro, anche perché per conoscere a fondo la nuova disciplina si dovrebbe leggere il
trattato completo e si dovrebbe inoltre fare dell'esperienza sul campo. Pertanto la
seguente sintesi è da ritenersi esclusivamente di natura informativa e divulgativa e non
può quindi essere considerata un discorso esaustivo e definitivo sull'argomento. Spero
comunque che sia lo stesso illuminante per chi farà l'azione di leggerla e per chi vorrà
accettare la nostra eredità, la cui entità può essere appresa leggendo il Lascito del Daimon Club oppure il
testamento di Carl William Brown! Ancora una volta
perciò, grazie in anticipo!
Il termine "Daimonologia" deriva dal
vocabolo greco Daimon che significa genio, spirito guida, potere
divino, e anche, divinità inferiore o eroe divinizzato, ma non solo, infatti il verbo
espresso da questa parola significava pure dividere, distribuire, ripartire, condividere e
il suffisso "da" era comune a parole come democrazia, demiurgo e altri termini
che derivavano dal nome "demos" vale a dire popolo, e forse è per questo
che non è mai stato visto di buon occhio dal potere ufficiale, che non voleva appunto
mettere in comune i suoi privilegi e ha visto nel genio della critica il demonio del male.
Così dal genio è nato Satana, per il Carducci "la forza vindice della
ragione", per Baudelaire "le plus savant et le plus beau des anges". Prima
del suo impiego da parte di Carl William Brown non era mai stato ufficialmente utilizzato,
se non in una breve citazione di un autore americano a riguardo della cultura ellenica e
delle religioni dell'epoca. Tale constatazione è stata verificata e confermata
attraverso un'approfondita ricerca su vari testi enciclopedici sia cartacei sia
elettronici, sia attraverso un'estesa ricerca in rete utilizzando per lo scopo i migliori
motori di ricerca. In ogni caso poiché il termine "daimon" già esisteva non era del tutto impossibile aggiungergli magari un suffisso o un
prefisso; diverso è invece il discorso se intendiamo la Daimonologia come una vera
e propria disciplina e come una rigorosa ed efficace metodologia di ricerca e di studio,
in questa accezione infatti non era mai stata impiegata: il sottoscritto ne è pertanto
l'inventore, il creatore e l'organizzatore a tutti gli effetti.
Il termine nuovamente coniato sta inoltre ad indicare una vera e
propria corrente di pensiero oltre che, come abbiamo già detto, una nuova ed innovativa
metodologia di studio e di indagine creativa. Come il termine Lucifer, ovvero luce, così
anche il nome Daimon sta ad indicare un nuovo simbolo di fratellanza, di uguaglianza, di
libertà, anche in onore di Voltaire che chiamava D'Alembert e Diderot "suoi fratelli
nel diavolo", vuole in pratica rappresentare una sorta di nuovo illuminismo! La
Daimonologia è dunque una sorta di nuova "coincidentia oppositorum", che vuole
agevolare la genialità di ogni individuo, superando le barriere del bene e del male. Il
suo elaboratore è stato pertanto il primo ad organizzarla, ad esprimerla e a divulgarla,
e ne è quindi a tutti gli effetti il referente teorico, creatore dei suoi principi e dei
suoi contenuti. Fa testo di ciò la pubblicazione dei "Principi Sintetitici ed
Enigmatici" della nuova disciplina sui siti internet del Daimon Club in data 13-12-1998 e la registrazione delle pagine che li contengono nei
vari motori di ricerca. In primo luogo Arianna ed Altavista. Pertanto chiunque ne faccia
uso per recensioni o critiche varie è fermamente pregato di citare le fonti. E' inoltre
fuori dubbio che maggiori informazioni si potranno avere scrivendo direttamente al Daimon
Club, a Carl William Brown o inviando dei testi scritti ai vari forum del Club.
Principi Sintetici ed Enigmatici di Daimonologia Applicata
1) La Daimonologia (Daimonology) ha dato origine alla
Filosofia e la Filosofia a tutte le altre scienze. Partendo dalle origini del principio
noi giungeremo alla fine della ricerca.
2) La Filosofia intesa come amore per il
sapere ingloba tutte le scienze e ne è quindi l'affascinante genitrice. La Daimonologia
però va oltre e inizia dove termina il sapere.
3) La Daimonologia è una speculazione
interdisciplinare e multidisciplinare che deve la sua nascita al genio e la sua
divulgazione al nuovo movimento surrealista, nichilista ed umorista e naturalmente agli
artefici creativi del Daimon Club.
4) La Daimonologia è il discorso sul genio,
è la genialità che mette in discussione se stessa e la globalità, è una sintesi del
tutto e del nulla universale. E' la coincidentia oppositorum del dolore e della gioia. E'
la fine di ogni principio.
5) La Daimonologia è la realtà
dell'idealità che insegue l'idealità della realtà. E' una sintesi etica, estetica,
critica, dialettica ed enigmatica del pensiero globale ed universale.
6) La Daimonologia si riconcretizza alle
soglie del terzo millennio e segna la via per l'avvento della Daimon Age, epoca in cui
come al solito si continuerà a perseguire vanamente l'armonia globale dell'esistenza
universale.
7) La Daimonolgia nasce in primo luogo per
cercare di indagare e soprattutto lenire gli aspetti più paradossali delle assurde e
dogmatiche contraddizioni esistenziali.
8) La Daimonologia non fa differenza tra il
reale e l'ideale, tra la vita e la morte, i suoi cultori infatti non hanno bisogno, come i
medium, di evocare gli spiriti del passato o del futuro, perché sono essi stessi degli
spiriti in perenne contatto con l'essenza dell'universo.
9) La Daimonologia è una forma di indagine,
di critica, di studio e di divulgazione che si avvale di tutto lo scibile conosciuto e
sconosciuto e mira ad espandere la creatività e la capacità critica, sintetica ed
immaginativa degli individui.
10) La Daimonologia tende soprattutto a
diffondere, a condividere e a comunicare il sapere in modo tale che si possa perseguire la
critica ed il miglioramento della consapevolezza, della responsabilità, e della
realizzazione degli individui.
11) La Daimonologia intende perseguire la
condivisione, la comunicazione e la diffusione del genio umano, cosmico ed universale. Ed
è proprio perché nasce dal dolore del non sapere che è a sua volta in grado di superare
il limite della propria conoscenza.
12) La Daimonologia è consapevole che le
cose conosciute sono di gran lunga inferiori a quelle sconosciute e pertanto ritiene che
il fine dell'uomo non possa che essere quello della continua ricerca e della continua
lotta. La Daimonologia pertanto persegue umilmente una dotta ignoranza, la conoscenza del
se, degli altri, del potere e dell'universo.
13) La Daimonologia ritiene che sia
fondamentale la diffusione capillare del sapere, della critica e della metodologia
immaginativa, artistica, creativa, empirica, culturale e scientifica. La Daimonologia
infatti integra perfettamente lo scibile letterario e filosofico con lo scibile
scientifico e tecnologico.
14) La Daimonologia si propone di prodigarsi per migliorare le relazioni umane, favorendo
gli incontri, i rapporti intellettuali, sociali, politici, economici, sentimentali,
religiosi, mediante collaborazioni di ogni tipo rivolte a favorire la diffusione delle
idee e delle opere di quanti la coltivano e più diffusamente di tutta l'umanità.
15) La Daimonologia può essere considerata anche come una sorta di "terapia
vitalistica", una forma di bioenergia intellettiva che si propone di migliorare,
attraverso lo studio, la ricerca e i contatti di ogni tipo, la condizione esistenziale,
vale a dire psichica, fisica, sociale, economica e spirituale, di tutte le persone che
approveranno i principi delle sue metodologie e più diffusamente di tutti gli esseri
umani che leggeranno ed interpreteranno in maniera positiva le sue linee guida.
16) La Daimonologia non ha pregiudizi ed è
perfettamente conscia di non possedere la verità rivelata, come del resto non la
possiedono di sicuro neanche gli altri. In ogni caso l'esatta metodologia per applicare
correttamente tale disciplina è per il momento ancora riservata, pertanto la possono
conoscere solo gli artefici che l'hanno creata, organizzata ed elaborata.
17) La Daimonologia è consapevole che le
forze dell'universo sono al tempo stesso potenti e stupefacenti ed è dunque impossibile
dominarle completamente, esse al limite possono essere solo indagate pazientemente,
integralmente e tutt'al più possono essere umilmente e tenacemente contrastate.
18) La Daimonologia ha bisogno di essere nel
mondo e fuori dal mondo, pertanto essa si basa sull'osservazione, sulla demolizione, sulla
creazione, sulla divulgazione e sulla condivisione. E' quindi una parte ed un'estensione
dell'etica ed è a tutti gli effetti una disciplina teorica, pratica, sperimentale ed
applicata. Essa vuole in ogni caso incidere ed influire sul comportamento del pensiero e
dell'azione.
19) Continua sulla pagina ufficiale della Daimonologia Applicata ...
Indice
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