COMITATI PER
L'AMBIENTE DI BRESCIA |
CITTADINI
PER IL RICICLAGIO E PER IL RISPARMIO ENERGETICO Il gruppo Infatti, i "Cittadini per il
riciclaggio" sostengono che "una volta gettata l'immondizia nel cassonetto, la
gente si illude che tutto sia risolto, mentre in realtà il funzionamento di un
inceneritore comporta emissioni di anidride carbonica e scorie nocive (diossina, clori
organici e ossidi di azoto), che rimangono depositate nei filtri". Il gruppo si è
perciò occupato di organizzare campagne di informazione e convegni, al fine non solo di
coinvolgere le altre associazioni ambientaliste, ma anche tutti gli abitanti della città,
a partire da quelli residenti nella zona Sud. Sono stati quindi allestiti incontri di
educazione ambientale nelle scuole e dibattiti per discutere di alcuni temi strategici,
affrontati anche con personale tecnico. Per esempio come impostare correttamente la
raccolta differenziata, come fissare equamente le tariffe per i rifiuti (dalla tassa in
base alla metratura dell'abitazione, alla tariffa in base alla produzione, così come in
altri paesi europei), come utilizzare le biomasse, ossia gli scarti biologici della
vendemmia, delle cartiere, degli oleifici e altri, che hanno un alto potere calorico e che
l'Asm vorrebbe utilizzare nell'inceneritore (tanto che qualcuno già parla di una terza
linea proprio dedicata all'utilizzo termico delle biomasse). Il gruppo ha sollecitato
anche la preparazione di un piano di evacuazione in caso di disastro ambientale e, in
generale, di una politica di tutela della salute pubblica. Ma ai primi di dicembre 2000 si è
verificata una svolta che potrebbe cambiare le carte in tavola anche nel medio periodo, e
proprio i "Cittadini per il riciclaggio" sono stati i vincitori di un primo
round giudiziario molto importante. Partendo da un loro ricorso, il Tar di Brescia ha
infatti emesso un'ordinanza con la quale ha sospeso di fatto fino alla fine dell'anno il
conferimento di rifiuti all'inceneritore di via Codignole. Il motivo? L'impianto dell'Asm
ha superato il tetto di 266 mila tonnellate per il quale era stato autorizzato. Dai
documenti in possesso dell'associazione ambientalista e diffusi dalla Provincia, demandata
a controllare l'applicazione del piano-rifiuti, è risultato infatti che a giugno del 2000
l'impianto era già arrivato a ridosso del tetto delle 266 mila tonnellate. Questo
utilizzando due delibere regionali nelle quali si introduce il concetto del diverso potere
calorico, e che consentono nei fatti uno sforamento delle quantità se la
"qualità" dei rifiuti è bassa. Di conseguenza il ricorso al Tar chiedeva che
rientrasse nei parametri autorizzati. E l'1 dicembre 2000 il tribunale amministrativo di
Brescia ha sospeso l'efficacia delle deliberazioni regionali del 1998, costringendo l'Asm
a spegnere l'inceneritore fino alla fine dell'anno in attesa di prendere una decisione. La
vicenda giudiziaria è poi proseguita nelle aule del Consiglio di Stato, al quale
l'azienda ha fatto ricorso contro l'ordinanza del Tar. E il 19 dicembre il Consiglio di
Stato ha dato ragione all'Asm, autorizzando la riapertura dell'impianto. ASM sfida ancora una volta la città: dopo il più grande inceneritore d'Europa, una megacentrale termoelettrica da 400 MW, in pieno centro urbano! Diciamo no alla centrale turbogas da
400 MW dell'Asm · Perché è una nuova
centrale e non sostituisce nulla, se non ferri vecchi già inutilizzati! COMITATO CONTRO L'AZIENDA ECOSERVIZI Il gruppo I CITTADINI PER LA VALLE DI MOMPIANO Il gruppo COMITATO CONTRO LA METROPOLITANA Il gruppo Il progetto di Comune e Asm di creare una metropolitana leggera a Brescia lascia perplessi molti cittadini. Oltre al costo di 1.130 miliardi preventivato per la prima fase, che cosa comporterà economicamente la gestione di questo servizio? La nostra città, certo non enorme, ha davvero bisogno di una tale opera? Tutti i bresciani hanno un quadro preciso delle implicazioni connesse a una così importante realizzazione (per esempio dell'impatto ambientale)? La situazione non appare certo delle più trasparenti ed è per questo che una trentina di persone, quasi tutte impegnate in ambito ambientale, hanno pensato che una soluzione poteva essere quella di chiedere direttamente alla cittadinanza di esprimersi sulla spinosa questione. E' nato così il "Comitato per il referendum", organizzato da Ezio Garibaldi (che ha già partecipato a numerose battaglie: Parco Ducos, Palagiustizia, difesa degli alberi da via Dal Monte al Parco del Mella a Fossa Bagni, riciclaggio dei rifiuti contro l'inceneritore), Danilo Scaramella (portavoce dei Verdi bresciani), Paolo Mori (consigliere comunale dei Verdi Città Futura, passato recentemente ai Verdi da Italia Nostra), Pippo Jannacci (consigliere della prima Circoscrizione eletto come indipendente nelle liste dei Ds), Salvatore Del Vecchio e Angiola Masneri (Circolo del Centro storico di Legambiente). Tutto è iniziato il 27 luglio del 1999 quando, durante una seduta del consiglio comunale, è stato approvato il progetto preliminare della metropolitana leggera e il verde Mori, contrario alla decisione, ha presentato un emendamento con il quale si chiedeva l'indizione di un referendum consultivo cittadino sull'argomento, respinto però dalla maggioranza (della quale peraltro il partito di Mori fa parte). Allora, si sono detti gli ambientalisti, se la giunta Corsini non vuole il referendum, raccoglieremo noi le firme per chiederne l'indizione con un'iniziativa popolare. Compito difficile e ambizioso, anche alla luce degli avversari che gli organizzatori si sono scelti: tutti i partiti della maggioranza e dell'opposizione (Lega Nord e Rifondazione escluse), e l'Asm, controllata dal Comune di Brescia ma dalla quale il Comune a sua volta dipende per far quadrare i conti del bilancio. Così, nel marzo del 2000, sono state raccolte le prime mille firme, quelle preliminari necessarie perché fosse autorizzata l'iniziativa. Alla fine però il gruppo ha raggiunto il suo scopo e, intorno alla metà di dicembre, ha superato quota 10 mila sottoscrizioni, il minimo necessario per far indire il referendum. Certo, lo sforzo è stato enorme: i 150 banchetti sono costati alle poche decine di volontari migliaia di ore passate per le strade e nelle piazze a distribuire volantini e a discutere con una cittadinanza interessata, ma anche - come hanno detto a quiBrescia i membri del comitato - decisamente disinformata e "vittima" della pressante campagna pubblicitaria dell'Asm la quale, forse non del tutto correttamente, ha già investito decine di milioni di lire (dei contribuenti) in un'attività propagandistica preliminare. L'attività La spesa ingente e il forte impatto
ambientale (viadotti che cambieranno volto a interi quartieri per i tratti sopraelevati,
scavi per i tratti sotterranei) che un'opera come quella della metropolitana leggera
comporterebbe per la nostra città sono i motivi principali che hanno convinto i membri
del comitato a impegnarsi in questa difficile battaglia. Infatti questi attivisti con
pochi mezzi e pochi sostenitori hanno intrapreso un cammino in salita, forti solo delle
proprie idee. E' iniziato così un difficile iter che, dopo la presentazione delle prime
mille firme nel marzo del 2000, ha visto i sostenitori del referendum impegnati in
numerosissimi banchetti per raccogliere le 10 mila firme necessarie. Durante tutto questo
periodo (circa tre mesi) gli ambientalisti si sono confrontati con la cittadinanza che, in
molti casi, ha posto loro anche domande imbarazzanti. Non conoscendo infatti
approfonditamente tutta la vicenda, alcune perplessità nascono spontanee: perché, per
esempio, tante polemiche nei confronti di un'opera pubblica che potrebbe risolvere i
problemi di traffico della nostra città? "Come per ogni ambientalista",
risponde per il comitato Danilo Scaramella, "anche per noi l'obiettivo è quello di
convincere la gente a lasciare a casa l'auto privata per viaggiare in città con i mezzi,
oppure a piedi o in bicicletta. Perché il traffico cittadino smetta di essere un problema
bisogna favorire il trasporto collettivo". Ma allora gli obiettivi di ambientalisti e
Asm sembrerebbero gli stessi. Il fatto è che, secondo il comitato, ci sono altre
soluzioni per risolvere il problema viabilità nella nostra città senza spendere i
miliardi dei contribuenti. "Nel caso della metropolitana leggera, prima è stato
deciso il mezzo e poi si è tentato di giustificarne la convenienza", dice ancora
Scaramella e aggiunge: "il progetto, pensato ovviamente in Asm a metà degli anni 80,
è nato infatti dalla volontà di fare qualcosa di vistosamente nuovo e prestigioso,
sull'esempio di quanto era in corso di realizzazione nel nord della Francia, a Lille.
L'idea ha affascinato sia il mondo industriale e la vecchia Dc - che intravvedevano una
possibilità di compiere affari - sia l'opposizione (il vecchio Pci) per quell'aurea di
"modernità" dello strumento e perché ci si aspettava che generasse posti di
lavoro: il mito dell'occupazione e della ricchezza. Quindi l'interesse inizialmente non
era rivolto all'ambiente e alle esigenze della nostra città, queste tematiche sono emerse
in seguito, appunto per giustificare una così dispendiosa opera". Una soluzione
alternativa, molto meno costosa e pesante per l'ambiente, sarebbe per il Comitato quella
di potenziare gli autobus delle Lam, linee ad alta mobilità, già previste e di prossima
realizzazione che, se la metropolitana leggera si dovesse fare, avrebbero in molte tratte
un tragitto identico. Insomma, la questione è complessa: se andrà in porto inciderà
profondamente sulle tasche dei bresciani e cambierà il volto della città e per questo,
secondo i sostenitori del referendum, gli abitanti devono essere consultati. Ora, dopo la
consegna delle 10.800 firme raccolte in tre mesi e la convalida di 10.096 di queste da
parte del Comitato comunale di valutazione, bisognerà aspettare la primavera del 2001
quando, tra aprile e giugno, i bresciani verranno chiamati alle urne e a far sentire la
loro voce. Domenica 10 giugno 2001 si è svolto il
referendum sulla metropolitana leggera di Brescia, che non ha raggiunto il quorum. E'
stata infatti solo del 45,14% la percentuale dei votanti. In tutto, sui 159.257 abitanti
del comune di Brescia che ne avevano diritto (73.216 maschi e 86.041 femmine), sono andati
alle urne in 71.865. Per raggiungere il quorum della metà più uno degli aventi diritto
era invece necessario arrivare a 79.629 persone. Un risultato solo sfiorato per meno di 8
mila voti. E comunque un risultato migliore del 38,13% che era stato raggiunto nel
referendum sullo stesso argomento organizzato dalla Lega nel 1998. Sono stati comunque
più di 45 mila i bresciani che hanno detto no alla metropolitana. Non sono bastati,
naturalmente, ma questo può rappresentare già un piccolo successo per il ridotto
manipolo di ambientalisti che ha raccolto le firme. Ecco i dati riferiti a 206 sezioni su
206: I Sì sono stati 25.915 su 71.865 votanti, pari al 36,05%, mentre i No sono stati
45.561, pari al 63,38 per cento dei votanti. CIRCOLO GANDOVERE LEGAMBIENTE IN FRANCIACORTA Il gruppo La Franciacorta è una delle zone più belle
e verdi della nostra provincia, anche qui, però, la natura è sempre più minacciata
dall'intervento umano. E' per tutelare questo patrimonio che un gruppo di ambientalisti,
fra cui citiamo Silvio Parzanini, Angelo Ferrari, Duilio Zogno, Simona Albini e Pier Luigi
Fanetti, ha deciso di istituire un circolo Legambiente, direttamente collegato con
Legambiente Lombardia e Legambiente Nazionale. Il Circolo Gandovere Franciacorta accoglie
oltre 40 iscritti provenienti da sei comuni della provincia di Brescia: Gussago,
Cellatica, Castegnato, Rodengo Saiano, Cazzago San Martino e Ospitaletto. La zona d'azione
è quindi molto vasta e i problemi sono molteplici, per questo il gruppo è impegnato su
più fronti e in diverse battaglie. Per esempio, il circolo Legambiente Gandovere è
riuscito a impedire la realizzazione di una mega rotatoria stradale da 5 miliardi prevista
in località Ponte Batello, a Castegnato. Secondo il progetto questa rotatoria avrebbe
dovuto migliorare il problema del traffico, aggravato dalla decisione di realizzare il
Mercatone Uno in una zona decisamente congestionata. Grazie alla mobilitazione dei
cittadini, l'amministrazione ha invece deciso di costruire due piccole rotatorie
adiacenti, a nord della tangenziale. Questa zona, a ridosso della trafficatissima strada,
ha comunque bisogno di interventi che migliorino la qualità della vita, come la
costruzione di barriere visive e acustiche che la separino dal traffico. Ma il vero nemico degli ambientalisti della
Franciacorta, quello contro cui negli ultimi mesi tutti stanno rivolgendo i loro sforzi,
è senza dubbio il progetto della Cogeme di realizzare un inceneritore nel comune di
Rovato. Anche il Circolo Legambiente Gandovere ha quindi partecipato alla fondazione del
"Comitato contro l'inceneritore" per far sentire la voce dei cittadini della
zona, preoccupati dalle prospettive che l'opera comporterebbe. Ne fanno parte anche molti
altri gruppi: i Cittadini per lambiente di Travagliato; il Gruppo ambiente di
Berlingo; il G.R.E. di Castrezzato; i Comitati spontanei di Lograto, Trenzano, Rovato,
Cazzago San Martino, Ospitaletto, Passirano; il Circolo Legambiente Laura Conti di
Brescia; il WWF Iseo orientale e Medicina democratica. Insomma, uno schieramento molto
ampio per un problema molto importante. Secondo gli ambientalisti, non viene data agli
abitanti la possibilità di esprimere un parere su questo importante argomento. La Regione
ha infatti costituito un comitato di tre esperti: di questi, uno è nominato dalla Regione
stessa, uno dalla Provincia e uno dalla Cogeme. Ma, ribattono gli ambientalisti, com'è
possibile che una delle parti direttamente in causa - la Cogeme - venga rappresentata in
questo comitato pubblico? E perché nessuno ha pensato di coinvolgere maggiormente i
cittadini? Gli ambientalisti, fin dall'agosto del 2000, hanno chiesto di far sedere un
loro rappresentante insieme con gli altri, ma invano. Benchè finora non abbiano ottenuto
successi concreti, la partita è ancora aperta. Innanzitutto nella zona sono state
raccolte 15 mila firme contro l'inceneritore. Poi è stata organizzata una biciclettata
per l'ambiente che, dalla discarica di Castrezzato, ha portato oltre 300 persone fino al
Broletto in città per manifestare contro il progetto. Si sono poi tenuti degli incontri
con i capigruppo e con le commissioni prima e terza del Consiglio Provinciale, per cercare
di trovare delle soluzioni al problema. Una manifestazione ha portato infine gli
ambientalisti franciacortini fino alla sede milanese della Regione Lombardia. BEDIZZOLE, LOTTA CONTINUA CONTRO LA DISCARICA Il gruppo Nella piana intorno al paese di Bedizzole,
in località Casina Nuova, da qualche anno si erge una collina. Non è altissima, circa 16
metri, ma la sua sagoma è ben visibile, circondata com'è dai campi di grano. Nessun
fiore, però, sboccia sulla sua superficie, nessun animale vi trova rifugio, il materiale
che la compone è infatti una sostanza altamente inquinante, ricavata dagli scarti delle
automobili demolite: la collinetta è una discarica di 870 metri cubi, per un'altezza di
16 metri e una superficie di 82 mila e 400 metri quadri, in cui vengono scaricate circa
mille tonnellate di rifiuti al giorno. Per combattere questo mostro ecologico, un gruppo
di cittadini di Bedizzole ha istituito un Comitato antidiscarica che, dopo aver perso la
battaglia iniziale, sta ora lottando per evitare l'espansione del progetto, limitando i
danni all'ambiente e i rischi per la popolazione. Il deposito non è destinato a smaltire
i rifiuti della gente, bensì sostanze industriali, ricavate dalla carcassa delle
macchine: gomma, pezzi di copertone, avanzi di fonderia, plastica, poliuretano, resti di
liquidi vari, un materiale chiamato fluff, relativamente nuovo e di cui quindi non si
conoscono totalmente le potenzialità inquinanti a medio-lungo termine. Come sempre accade
in questi casi, però, il Comitato è destinato a scontrarsi con una potenza economica, la
Faeco di Lonato (gruppo Feralpi), che ha ottenuto l'autorizzazione per costruire la
discarica di Bedizzole e che oggi la gestisce. Il gruppo di ambientalisti che finora ha
raccolto firme, organizzato manifestazioni di protesta e presentato quattro ricorsi al
Tar, si trova ai ferri corti anche con l'amministrazione comunale, alla quale rimprovera
il fatto di dichiararsi contro la discarica, senza però fare nulla a livello pratico per
contrastarla. Così gli ecologisti, capitanati da Ivan Facchetti, si stanno sobbarcando
gli oneri organizzativi e finanziari che una tale battaglia comporta, aspettando il 27
aprile del 2001, giorno in cui il Tar dovrebbe discutere della contestata discarica
partendo dai ricorsi del Comitato. L'attività La mancanza di chiarezza è ciò che gli
ambientalisti contestano principalmente alla Faeco. Secondo il Comitato, infatti, in
questa vicenda si sono verificate parecchie anomalie. Tutto è iniziato nel 1997, quando
la Faeco ha chiesto l'autorizzazione per riempire una cava di prestito, utilizzata per
estrarre la sabbia necessaria alla costruzione della vicina tangenziale. Gli studi
geologici necessari alla realizzazione del progetto, però, rilevarono la presenza di
acqua a circa sei metri nel sottosuolo, troppo vicino quindi alla superfice. Stranamente,
però, una seconda tornata di analisi del terreno ha fornito dati completamente diversi:
l'acqua si trovava a 40 metri, non più a sei. L'inizio dei lavori ha poi evidenziato
l'errore e l'acqua è emersa all'altezza di sette metri. A quel punto la costruzione della
discarica è comunque andata avanti e, nel 1999, tutto era pronto per accogliere i
rifiuti. Il fluff però, raccontano gli ambientalisti, nonostante sia classificato come
una sostanza non pericolosa, se analizzato ha valori inquinanti talmente alti da non poter
essere smaltito in una discarica, come quella di Bedizzole, classificata nella categoria
2B, adatta cioè a ospitare rifiuti non pericolosi. La Faeco sembrava allora avere le mani
legate: tutto era pronto, era stato investito molto denaro, ma il lavoro non poteva
iniziare. A salvare le sorti della discarica, ci ha invece pensato l'amministrazione
comunale che ha acconsentito a una variante gestionale, permettendo lo smaltimento del
fluff senza apportare nessuna modifica all'insediamento. La macchina ha iniziato così a
funzionare a pieno ritmo, ma il giro d'affari dello smaltimento non era ancora sufficiente
a coprire li costi, nonostante venissero importati rifiuti da Vercelli, Verona, Sondrio,
Torino. Verso la fine del '99, la società ha allora chiesto al comune la possibilità di
ampliare la discarica, ottenendo un rifiuto. Il no dell'amministrazione è però stato
cancellato dal sì della Regione che ha autorizzato il progetto. Mentre accadevano tutte
queste cose, gli ambientalisti di Bedizzole non sono certo rimasti con le mani in mano.
Oltre alla campagna di sensibilizzazione, hanno infatti intrapreso le vie legali,
presentando ben quattro ricorsi al Tar: il primo, nel '97, contro l'apertura della
discarica; il secondo, nel '98, per la questione delle falde acquifere; il terzo nel '99,
contro la variante gestionale; il quarto infine, nel 2000, per contrastare il progetto
d'ampliamento. Come detto, la discussione finale è fissata per aprile, ma certamente
pensare che la discarica possa essere chiusa è un'utopia. La speranza degli ambientalisti
è comunque quella di ruscire a fermare l'espansione di questo mostro ecologico, situato
in una zona di campagna che, tra l'altro, può già lamentare la presenza di un centro per
il compostaggio di rifiuti e di una strada tangenziale che aprirà prossimamente. FIUME CHIESE LA GUERRA DELL'ACQUA Il gruppo Il fiume Chiese nasce dai ghiacciai
dell'Adamello, attraversa la Val Daone, la Val Giudicaria e, dopo aver formato il lago
d'Idro, la Valsabbia. Il suo corso si unisce poi a quello dell'Oglio, all'altezza del
comune mantovano di Canneto. Il suo alveo, lungo all'incirca 160 chilometri, si sviluppa
in territorio bresciano per ben 87 chilometri. Come è ovvio, nei secoli la presenza del
fiume ha fortemente condizionato la vita dei paesi che si affacciano sulle sue sponde ma,
almeno dai primi Anni 60, l'acqua del Chiese non ha la possibilità di scorrere
liberamente. Mentre infatti nella zona di Idro viene utilizzata per scopi idroelettrici
(basta pensare ai laghi artificiali della Bissina e della Boazzo), più in basso, poco
dopo Bedizzole, il corso del fiume viene addirittura sbarrato per consentire l'irrigazione
dei campi. Certo, l'acqua è un bene comune, però l'uso irriguo portava via, fino a sette
od otto anni fa, anche l'ultima goccia del prezioso liquido al Chiese, lasciando l'alveo
secco, completamente asciutto. E' stato per evitare la morte biologica del fiume che un
gruppo di ambientalisti ha deciso di lottare per far tornare l'acqua in quella che era
diventata una distesa di sassi, adibita a discarica e completamente dequalificata. Tutto
è iniziato nel 1992. Nel mese di febbraio è infatti nato il "Comitato vita fiume
Chiese" di Bedizzole, formato da una decina di persone (fra cui citiamo Valerio
Gabana,Vittorio Podavini, Claudio Maccarinelli, Giorgio Erves, Mirella Bettini, Alessandro
Daini, Giampietro Meloni, Ermanno Bertini, Mauro Facchetti) che, dopo aver raccolto più
di 4 mila firme, hanno iniziato un continuo lavoro di sensibilizzazione e protesta. La
lenta macchina della burocrazia si è allora messa in moto. Il nocciolo della questione
ruotava infatti intorno alla Roggia Lonata, uno sbarramento situato in località Cantrina,
a Bedizzole. Questa, deviando il corso dell'acqua verso i canali usati per l'irrigazione,
prosciugava praticamente il fiume. Grazie alle proteste del Comitato, nel giugno del 1993
il ministero dei Lavori pubblici, da cui dipende la gestione delle acque, ha avviato un
tavolo di discussione per rivedere il piano gestionale del Chiese. Si sarebbe così dovuto
aprire un periodo di sperimentazione di tre anni, durante i quali nella parte di fiume
sottostante la chiusa avrebbero dovuto essere versati almeno 2,2 metri cubi d'acqua al
secondo. Un ricorso del Consorzio irriguo del medio Chiese (lo stesso che controlla
l'apertura delle paratoie della Roggia Lonata), però, fermò tutto per tre anni. La
sperimentazione bloccata è ripresa solo nel 1996: questa volta, però, nel fiume si
dovevano versare 1,8 metri cubi d'acqua al secondo. Il significato di questo progetto di
studio (una sorta di prova) doveva essere quello di avere un quadro completo e preciso
della situazione per poi prendere decisioni definitive, ma il forte conflitto di interessi
esistente intorno alla questione ha prolungato, fra discussioni e proroghe, la
sperimentazione fino al 30 settembre del 2001. Durante questo perido gli ambientalisti si
sono dati molto da fare. Nel 1994, si sono costituiti come associazione, continuando a
contrastare le decisioni che mettevano in pericolo la vita del fiume, come quella promossa
dal Consorzio del medio Chiese che, nel 95, voleva la cementificazione dell'alveo del
fiume, evitata solo grazie alla battaglia (è stato fatto un sit-in per una settimana)
dell'Associazione. La mancanza dell'acqua nel fiume aveva dato
un duro colpo all'intero ecosistema della zona. La morte della bottatrice, dello scazzone,
del temolo, del vairone, dell'anguilla e del cavedano, pesci che normalmente vivevano nel
Chiese, aveva fatto sparire anche l'airone cenerino e il martin pescatore, costretti ad
abbandonare queste zone alla ricerca di cibo. Il fiume insomma aveva cessato di essere
quella fonte di vita che lo rendeva unico, per diventare un luogo deserto, una distesa di
sassi in cui gli uomini riversavano i propri rifiuti. Ovviamente, non sarebbe bastato
rimettere l'acqua nell'alveo per far rinascere il Chiese. E' per questo che l'Associazione
si è impegnata per il recupero della fauna e della flora. Innanzitutto, tramite
l'organizzazione di alcune giornate ecologiche, il letto del fiume è stato ripulito dalla
spazzatura dell'uomo. E' seguito il recupero di alcune zone, il controllo degli scariche
industriali, è nato un parco denominato "Airone", sono stati piantati alberi
(come il bellissimo ontano nero) e il ciclo riproduttivo dei pesci è stato seguito e
monitorato. Così, mentre l'acqua tornava ad appropriarsi del suo corso naturale, anche la
vita ricompariva tra i flutti. Ma un altro scopo degli amici del fiume è, come ha detto a
quiBrescia Valerio Gabana, quello di far rinascere nelle persone l'amore per il Chiese.
Gli abitanti, infatti, in tanti anni si sono dimenticati della bellezza di questo corso
d'acqua. Ma, senza l'appoggio e l'impegno della collettività il lavoro degli associati,
che negli anni sono diventati un centinaio, risulterebbe inutile. Insomma, per gli
ambientalisti, bisogna che le persone ritornino ad "abitare" il fiume,
considerandolo una risorsa da proteggere. Anche perché sulla questione dell'acqua non è
ancora stata messa la parola fine. |
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