COMITATI PER L'AMBIENTE DI BRESCIA
 

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CITTADINI PER IL RICICLAGIO E PER IL RISPARMIO ENERGETICO

Il gruppo

Qual è la molla che ha spinto ecologisti già appartenenti a diverse associazioni ambientaliste a riunirsi nel nuovo gruppo "Cittadini per il riciclaggio"? E' stato l'aver individuato un nemico comune: l'inceneritore di rifiuti dell'Asm di via Codignole, del quale a Brescia si è cominciato a discutere una decina d'anni fa. Si tratta di un grande termoutilizzatore che produce elettricità e acqua calda per il teleriscaldamento della città, sfruttando l'energia contenuta nelle immondizie che vengono bruciate. Proprio dieci anni fa si svolsero infatti le prime riunioni fra Marino Ruzzenenti (Legambiente), Giorgio Gregori (Greenpeace), Paolo Mori (Italia Nostra), Enrico Zecca (Legambiente), Angiola Masneri (Legambiente), Fabrizio Valli (Wwf), Luigi Tosetti (Comitato ambiente "Città di Brescia"), Ezio Garibaldi, Celestino Panizza, Ettore Brunelli, e altri ancora. Fin dall'inizio il gruppo temeva che il grande inceneritore, con la sua continua fame di combustibile, avrebbe annullato ogni politica di raccolta differenziata e si è opposto a questa filosofia propugnando un riutilizzo più lungimirante degli scarti bresciani, basato sul principio che la combustione dei rifiuti non è la soluzione del problema del loro smaltimento.

Infatti, i "Cittadini per il riciclaggio" sostengono che "una volta gettata l'immondizia nel cassonetto, la gente si illude che tutto sia risolto, mentre in realtà il funzionamento di un inceneritore comporta emissioni di anidride carbonica e scorie nocive (diossina, clori organici e ossidi di azoto), che rimangono depositate nei filtri". Il gruppo si è perciò occupato di organizzare campagne di informazione e convegni, al fine non solo di coinvolgere le altre associazioni ambientaliste, ma anche tutti gli abitanti della città, a partire da quelli residenti nella zona Sud. Sono stati quindi allestiti incontri di educazione ambientale nelle scuole e dibattiti per discutere di alcuni temi strategici, affrontati anche con personale tecnico. Per esempio come impostare correttamente la raccolta differenziata, come fissare equamente le tariffe per i rifiuti (dalla tassa in base alla metratura dell'abitazione, alla tariffa in base alla produzione, così come in altri paesi europei), come utilizzare le biomasse, ossia gli scarti biologici della vendemmia, delle cartiere, degli oleifici e altri, che hanno un alto potere calorico e che l'Asm vorrebbe utilizzare nell'inceneritore (tanto che qualcuno già parla di una terza linea proprio dedicata all'utilizzo termico delle biomasse). Il gruppo ha sollecitato anche la preparazione di un piano di evacuazione in caso di disastro ambientale e, in generale, di una politica di tutela della salute pubblica.

La sua battaglia

I "Cittadini per il riciclaggio" hanno sempre favorito un discorso di prevenzione appoggiandosi alle direttive del decreto Ronchi, nel quale si dà priorità alla riduzione della produzione delle immondizie, al riuso del materiale, alla raccolta differenziata e al riciclaggio: inceneritore e discarica, in una corretta impostazione del problema dei rifiuti, arrivano infatti agli ultimi posti. "Se si considera l'aspetto economico", spiega il portavoce del gruppo Marino Ruzzenenti, "ai comuni la raccolta differenziata costa più di 170 lire al chilo, anche perché va sostenuta da una campagna pubblicitaria ed educativa, mentre se tutto finisce nell'inceneritore il costo è intorno alle 90 lire al chilo". Seconda come produzione pro capite di immondizia, Brescia (intesa come insieme di città e provincia) - stando ai dati di giugno di quest'anno in possesso dei "Cittadini per il riciclaggio" - è agli ultimi posti tra le province lombarde impegnate nella raccolta differenziata, che è relegata a uno scarso 17 per cento sul totale dei rifiuti. "In realtà Asm e Comune", sostiene Ruzzenenti, "non hanno alcun interesse nella riduzione della produzione pro capite, nel riciclo o nel riuso: i guadagni provenienti dalla raccolta dei rifiuti presso gli altri comuni, dalla vendita dell'acqua calda, dell'energia elettrica e dagli incentivi statali non hanno infatti nulla da spartire con concetti come riduzione, riutilizzo e riciclo".
I "Cittadini per il riciclaggio" spiegano che "nel 1999 a Brescia e provincia sono state prodotte oltre 550 mila tonnellate di rifiuti, ma ne sono state smaltite complessivamente 1 milione e 400 mila tonnellate, provenienti anche da altre province. Il progetto futuro di aprire la terza linea del termoutilizzatore e quello di aggregare la provincia di Mantova e una parte di Bergamo alla raccolta dei rifiuti sono preoccupanti. Oltre a trasformare Brescia in una grande pattumiera, questo comporterebbe la deresponsabilizzazione delle due province vicine, che potrebbero ragionare come il cittadino che una volta chiuso il cassonetto non si preoccupa ulteriormente".

Ma ai primi di dicembre 2000 si è verificata una svolta che potrebbe cambiare le carte in tavola anche nel medio periodo, e proprio i "Cittadini per il riciclaggio" sono stati i vincitori di un primo round giudiziario molto importante. Partendo da un loro ricorso, il Tar di Brescia ha infatti emesso un'ordinanza con la quale ha sospeso di fatto fino alla fine dell'anno il conferimento di rifiuti all'inceneritore di via Codignole. Il motivo? L'impianto dell'Asm ha superato il tetto di 266 mila tonnellate per il quale era stato autorizzato. Dai documenti in possesso dell'associazione ambientalista e diffusi dalla Provincia, demandata a controllare l'applicazione del piano-rifiuti, è risultato infatti che a giugno del 2000 l'impianto era già arrivato a ridosso del tetto delle 266 mila tonnellate. Questo utilizzando due delibere regionali nelle quali si introduce il concetto del diverso potere calorico, e che consentono nei fatti uno sforamento delle quantità se la "qualità" dei rifiuti è bassa. Di conseguenza il ricorso al Tar chiedeva che rientrasse nei parametri autorizzati. E l'1 dicembre 2000 il tribunale amministrativo di Brescia ha sospeso l'efficacia delle deliberazioni regionali del 1998, costringendo l'Asm a spegnere l'inceneritore fino alla fine dell'anno in attesa di prendere una decisione. La vicenda giudiziaria è poi proseguita nelle aule del Consiglio di Stato, al quale l'azienda ha fatto ricorso contro l'ordinanza del Tar. E il 19 dicembre il Consiglio di Stato ha dato ragione all'Asm, autorizzando la riapertura dell'impianto.

Per contattare i "Cittadini per il riciclaggio": Marino Ruzzenenti 030 290354Leggi altre notizie sull'inceneritore e la nuova centrale!  
Comitato contro la centrale turbogas di Brescia e per il Risparmio Energetico.


ASM sfida ancora una volta la città: dopo il più grande inceneritore d'Europa, una megacentrale termoelettrica da 400 MW, in pieno centro urbano!

Diciamo no alla centrale turbogas da 400 MW dell'Asm

·    Perché è una nuova centrale e non sostituisce nulla, se non ferri vecchi già inutilizzati!

·    Perché produce altre Pm 10 in una realtà già molto inquinata con alti rischi per la salute!

·    Perché non serve per il teleriscaldamento, dove già ora si spreca oltre il 50% di acqua calda e che non può più espandersi in futuro!

·    Perché Brescia sta già emettendo C02 da effetto serra oltre le quote assegnate!

·    Diciamo sì al risparmio energetico e al solare!

·    Perché a Brescia non si è fatto nulla e gli sprechi sono enormi (consumi 3-4 volte gli appartamenti della Germania)!

·    Perché solo così si abbassano le emissioni di gas serra e delle PM 10!

·    Perché si produce lavoro e ricchezza diffusa, e non profitti concentrati nelle mani dei soliti noti (Asm e "furbetti del quartierino")!



Comitato contro la centrale turbogas di Brescia e per il Risparmio Energetico. Sostenuto dall'Associazione per la Ricerca e la Lotta contro la Stupidità! (Molto attiva a Brescia, anche se un po' snobbata! Per forza……)


Brescia, 17 dicembre 2005


COMITATO CONTRO L'AZIENDA ECOSERVIZI

Il gruppo

Un forte odore di ammoniaca, che attacca gli occhi, provocando bruciori, e aggredisce le vie respiratorie, causando un senso di soffocamento. Questa forse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha convinto gli abitanti del triangolo di Brescia zona Buffalora, Bettole e Piffione di Borgosatollo a costituirsi in un Comitato che ha come unico intento quello di cacciare dal proprio territorio quello che considerano un mostro ecologico: l'Ecoservizi di via dei Santi, azienda che tratta e smaltisce rifiuti industriali pericolosi e no. Capitanato da Domenico Sabbio, il Comitato per la salvaguardia dei cittadini è nato nel 2000 e racchiude in sè tante piccole e spontanee realtà che, a partire dagli Anni 80, si sono sviluppate nella zona di Brescia, Borgosatollo e Castenedolo.

L'attività

La questione, come sempre accade in questi casi, si trascina da anni. L'azienda, che tratta e smaltisce rifiuti industriali speciali, sorge in una zona industriale all'estrema periferia di Brescia, via dei Santi, che però è anche densamente abitata. La contestazione di chi vive a Bettole, Buffalora e Borgosatollo è iniziata negli Anni 80, quando sono state raccolte le prime firme e sono state sporte le prime segnalazioni alle autorità sanitarie, alla Magistratura e alla pubblica amministrazione. Ma il tutto si è presto perso nei meandri della burocrazia, anche perchè, mancando una valutazione di impatto ambientale, le accuse mosse dai residenti e dai vari comitati spontanei (inquinamento dell'aria e delle falde acquifere, pericolo per la salute delle persone) non potevano essere supportate. Per arrivare a una svolta si è dovuto aspettare il 2000. Il ministero dell'Ambiente, infatti, riconoscendo la pericolosità dello stabilimento, ne aveva ordinato la chiusura, subito archiviata, però, da un ordine di riapertura del Tar del Lazio, emesso il 31 agosto dello stesso anno. Gli animi degli abitanti si sono così ulteriormente scaldati ed è nato l'attuale Comitato per la salvaguardia dei cittadini, che ha unificato i vari gruppi preesistenti. I cittadini hanno raccolto altre 800 firme nel triangolo Piffione-Bettole-Buffalora e il sindaco di Borgosatollo le ha fatte avere all'allora ministro dell'Ambiente Willer Bordon che infatti, il 30 aprile, ha firmato un nuovo decreto in cui definisce non compatibile con l'ambiente l'attività dell'azienda, che lavora e smaltisce 250 mila tonnellate all'anno di rifiuti speciali. Bisogna, però, ricordare che l'Ecoservizi tecnicamente è posta nel territorio del comune di Brescia, essendo a Bettole di Buffalora e, stando alle accuse dei cittadini, la giunta Corsini prende alla leggera la questione non interessandosi attivamente ai problemi degli abitanti del circondario. Altro coltello che rigira nella piaga dei residenti è il fatto che, nonostante le dichiarazioni del ministro dell'Ambiente, il blocco dell'impianto dovrà essere avviato solo entro il 2004 (quando scadrà l'autorizzazione regionale), anche se l'azienda deve presentare un piano per lo spostamento delle attività nocive entro la fine del 2001. Ed è questa la domanda che, in questi ultimi tempi, sta rimbalzando tra i membri del comitato: perchè aspettare ancora tre anni? In effetti, se la situazione è davvero pericolosa, i provvedimenti dovrebbero essere presi con urgenza. Anche perché l'Asl ha classificato l'azienda come insalubre di prima classe, dopo un'ispezione avvenuta nel settembre scorso quando molti avvertirono un fortissimo odore di ammoniaca che appestò per ore l'aria della zona. E l'Ecoservizi che cosa dice? Chiaramente di essere perfettamente in regola e di essersi sempre prodigata per garantire la salute degli abitanti. In effetti non è così semplice spostare un'azienda che conta 50 operai e lavora a pieno regime e, inoltre, chi si prenderebbe la responsabilità di accettarla nel proprio comune? "A noi non interessa", ha detto a www.quiBrescia.it Domenico Sabbio, "ci pensa chi ha la competenza per poterlo decidere, per noi l'importante è che la nostra salute non sia quotidianamente messa a repentaglio" .

Chi volesse contattare il Comitato per la salvaguardia dei cittadini può chiamare Domenico Sabbio allo 030 2701161.


I CITTADINI PER LA VALLE DI MOMPIANO

Il gruppo

Si tratta di una delle associazioni spontanee più puntigliose e attente tra quelle attive a difesa dell'ambiente in città. Il comitato "Cittadini per la Valle di Mompiano" si pone come obiettivo quello di salvare dal cemento uno degli ultimi angoli di verde rimasti intatti a ridosso dei quartieri di Brescia. Il movimento è nato nella primavera del 1996, anche se prende le mosse da un'esperienza precedente: quella, sempre nella stessa zona, del Parco Castelli. Verso la fine degli Anni '80, infatti, il terreno a Nord dello stadio era ancora incolto nonostante l'amministrazione comunale avesse garantito, fin dai primi Anni '70, la realizzazione di un'area adibita a parco. Inoltre, una variante al Piano regolatore generale (Prg) metteva a rischio di edificazione gran parte dell'area: il 27 gennaio del 1992 nacque così la Cooperativa parco Castelli, originata dal Comitato per l'ambiente Zona Nord e da tutte le associazioni del quartiere di Mompiano. La Cooperativa presentò un'osservazione alla variante del Prg seguita da oltre 6 mila firme e chiese la gestione amministrativa dell'area, con lo scopo di coinvolgere la comunità della zona nel progetto. Non ottenne però la gestione e si sciolse a fine anno: il Parco Castelli vide la luce soltanto tre anni dopo.
L'interesse ambientalistico dei cittadini della zona trovò nuovo sbocco nel 1996, quando una quarantina di persone - fra cui citiamo Gianluigi Fondra, Mario Piovanelli, Marco Palamenghi, Loretta Colla, Roberto Fasolo, Alberto Platto, Fausto Martini e Ada Pea - fondò il comitato Cittadini per la Valle di Mompiano. L'obiettivo era restituire a un utilizzo pubblico l'ex Polveriera militare e preservare il carattere agricolo della Valle di Mompiano, minacciata dalla trasformazione delle antiche cascine in residenze di lusso. Il comitato decise di far sentire la propria voce inserendosi nel contesto del Parco delle Colline, un progetto ambizioso che coinvolge la città e il suo hinterland e prevede la realizzazione di un Parco locale di interesse sovraccomunale (Plis).

L'attività

Come abbiamo visto, nel mirino dei Cittadini per la Valle di Mompiano c'è anche l'ex Polveriera. Nel 1991 l'Esercito italiano ha infatti abbandonato, senza però cederla subito al comune, la Polveriera edificata fra le due guerre nella zona Nord-Ovest della città ed è dal 1996 che il Comitato si muove affinché non sia il degrado ma siano i cittadini ad impadronirsene. I promotori hanno preparato una petizione con più di 5 mila firme e sono riusciti a farsi ricevere sia dall'ex sindaco Mino Martinazzoli sia dal colonnello Venturi, comandante del distretto militare bresciano. Le proposte per la destinazione dell'area andavano dalla realizzazione di una struttura utilizzabile dalle associazioni scientifiche bresciane, all'apertura di uno spazio destinato al "turismo dolce" studentesco europeo, alla creazione di spazi destinati ai ritrovi estivi, con opportunità ricreative, educative e di socializzazione. Chi invece non ha mai ricevuto il Comitato è stato Bernardo Secchi, incaricato per il nuovo Piano regolatore generale (Prg) di Brescia, e infatti nel suo Piano non compare alcun cenno alla perimetrazione del famoso Parco sovraccomunale delle Colline, mentre proprio l'ex polveriera di Mompiano è stata l'unica struttura militare esclusa dai progetti di riutilizzo predisposti per le caserme ubicate nell'area del comune. Ma i cittadini del Comitato non hanno mollato, elaborando due osservazioni al Prg: la prima riguardava la perimetrazione del Parco e la seconda il cosiddetto "progetto-norma" per il recupero dell'ex Polveriera. Così, con ben 7 mila firme di cittadini in calce, il 31 marzo del 1999 la documentazione è stata consegnata all'assessore all'Urbanistica Mario Venturini. In un successivo incontro con il Comitato, Venturini, pur sostenendo che il Parco delle Colline sarebbe stato fatto, ha respinto le proposte sull'ex Polveriera: le strutture ex militari erano ancora di proprietà dello Stato, quindi perché elaborare progetti? Così, dal preliminare al Prg effettivo sono scomparsi tutti i progetti riguardanti le caserme (l'iter per il passaggio della proprietà all'ente locale è iniziato solo poche settimane fa). Arriviamo così al 3 agosto di quest'anno, quando il consiglio comunale di Brescia ha approvato una delibera nella quale viene delimitato il perimetro del Parco delle Colline. Una delibera che non è piaciuta al Comitato, poiché non vi è cenno alla destinazione delle aree. Secondo il gruppo di militanti ambientalisti, così si rischiano pressioni sull'amministrazione da parte dei proprietari delle aree. Nel frattempo, in questi ultimi tre anni il Comitato ha preparato iniziative culturali, in collaborazione con altri gruppi ambientalisti, per far conoscere la bellezza naturale della Valle di Mompiano ad alcune classi di scuole materne, elementari e medie, stampando anche degli opuscoli sulla storia e la vita floreale e faunistica della Valle. E l'anno scorso ha preparato un presepe in una grotta della Val Fredda in collaborazione con la Parrocchia, invitando la popolazione a partecipare al suo allestimento. L'iniziativa si ripete anche quest'anno, ed è aperta a tutti.

Nel febbraio del 2001, i Cittadini per la Valle di Mompiano si sono sciolti. Forse per un comprensibile esaurimento dopo anni di battaglie, forse per la delusione derivante dagli scarsi risultati. Per sperne di più: Gianluigi Fondra, 030 2005816.


COMITATO CONTRO LA METROPOLITANA

Il gruppo

Il progetto di Comune e Asm di creare una metropolitana leggera a Brescia lascia perplessi molti cittadini. Oltre al costo di 1.130 miliardi preventivato per la prima fase, che cosa comporterà economicamente la gestione di questo servizio? La nostra città, certo non enorme, ha davvero bisogno di una tale opera? Tutti i bresciani hanno un quadro preciso delle implicazioni connesse a una così importante realizzazione (per esempio dell'impatto ambientale)? La situazione non appare certo delle più trasparenti ed è per questo che una trentina di persone, quasi tutte impegnate in ambito ambientale, hanno pensato che una soluzione poteva essere quella di chiedere direttamente alla cittadinanza di esprimersi sulla spinosa questione. E' nato così il "Comitato per il referendum", organizzato da Ezio Garibaldi (che ha già partecipato a numerose battaglie: Parco Ducos, Palagiustizia, difesa degli alberi da via Dal Monte al Parco del Mella a Fossa Bagni, riciclaggio dei rifiuti contro l'inceneritore), Danilo Scaramella (portavoce dei Verdi bresciani), Paolo Mori (consigliere comunale dei Verdi Città Futura, passato recentemente ai Verdi da Italia Nostra), Pippo Jannacci (consigliere della prima Circoscrizione eletto come indipendente nelle liste dei Ds), Salvatore Del Vecchio e Angiola Masneri (Circolo del Centro storico di Legambiente). Tutto è iniziato il 27 luglio del 1999 quando, durante una seduta del consiglio comunale, è stato approvato il progetto preliminare della metropolitana leggera e il verde Mori, contrario alla decisione, ha presentato un emendamento con il quale si chiedeva l'indizione di un referendum consultivo cittadino sull'argomento, respinto però dalla maggioranza (della quale peraltro il partito di Mori fa parte). Allora, si sono detti gli ambientalisti, se la giunta Corsini non vuole il referendum, raccoglieremo noi le firme per chiederne l'indizione con un'iniziativa popolare. Compito difficile e ambizioso, anche alla luce degli avversari che gli organizzatori si sono scelti: tutti i partiti della maggioranza e dell'opposizione (Lega Nord e Rifondazione escluse), e l'Asm, controllata dal Comune di Brescia ma dalla quale il Comune a sua volta dipende per far quadrare i conti del bilancio. Così, nel marzo del 2000, sono state raccolte le prime mille firme, quelle preliminari necessarie perché fosse autorizzata l'iniziativa. Alla fine però il gruppo ha raggiunto il suo scopo e, intorno alla metà di dicembre, ha superato quota 10 mila sottoscrizioni, il minimo necessario per far indire il referendum. Certo, lo sforzo è stato enorme: i 150 banchetti sono costati alle poche decine di volontari migliaia di ore passate per le strade e nelle piazze a distribuire volantini e a discutere con una cittadinanza interessata, ma anche - come hanno detto a quiBrescia i membri del comitato - decisamente disinformata e "vittima" della pressante campagna pubblicitaria dell'Asm la quale, forse non del tutto correttamente, ha già investito decine di milioni di lire (dei contribuenti) in un'attività propagandistica preliminare.

L'attività

La spesa ingente e il forte impatto ambientale (viadotti che cambieranno volto a interi quartieri per i tratti sopraelevati, scavi per i tratti sotterranei) che un'opera come quella della metropolitana leggera comporterebbe per la nostra città sono i motivi principali che hanno convinto i membri del comitato a impegnarsi in questa difficile battaglia. Infatti questi attivisti con pochi mezzi e pochi sostenitori hanno intrapreso un cammino in salita, forti solo delle proprie idee. E' iniziato così un difficile iter che, dopo la presentazione delle prime mille firme nel marzo del 2000, ha visto i sostenitori del referendum impegnati in numerosissimi banchetti per raccogliere le 10 mila firme necessarie. Durante tutto questo periodo (circa tre mesi) gli ambientalisti si sono confrontati con la cittadinanza che, in molti casi, ha posto loro anche domande imbarazzanti. Non conoscendo infatti approfonditamente tutta la vicenda, alcune perplessità nascono spontanee: perché, per esempio, tante polemiche nei confronti di un'opera pubblica che potrebbe risolvere i problemi di traffico della nostra città? "Come per ogni ambientalista", risponde per il comitato Danilo Scaramella, "anche per noi l'obiettivo è quello di convincere la gente a lasciare a casa l'auto privata per viaggiare in città con i mezzi, oppure a piedi o in bicicletta. Perché il traffico cittadino smetta di essere un problema bisogna favorire il trasporto collettivo". Ma allora gli obiettivi di ambientalisti e Asm sembrerebbero gli stessi. Il fatto è che, secondo il comitato, ci sono altre soluzioni per risolvere il problema viabilità nella nostra città senza spendere i miliardi dei contribuenti. "Nel caso della metropolitana leggera, prima è stato deciso il mezzo e poi si è tentato di giustificarne la convenienza", dice ancora Scaramella e aggiunge: "il progetto, pensato ovviamente in Asm a metà degli anni 80, è nato infatti dalla volontà di fare qualcosa di vistosamente nuovo e prestigioso, sull'esempio di quanto era in corso di realizzazione nel nord della Francia, a Lille. L'idea ha affascinato sia il mondo industriale e la vecchia Dc - che intravvedevano una possibilità di compiere affari - sia l'opposizione (il vecchio Pci) per quell'aurea di "modernità" dello strumento e perché ci si aspettava che generasse posti di lavoro: il mito dell'occupazione e della ricchezza. Quindi l'interesse inizialmente non era rivolto all'ambiente e alle esigenze della nostra città, queste tematiche sono emerse in seguito, appunto per giustificare una così dispendiosa opera". Una soluzione alternativa, molto meno costosa e pesante per l'ambiente, sarebbe per il Comitato quella di potenziare gli autobus delle Lam, linee ad alta mobilità, già previste e di prossima realizzazione che, se la metropolitana leggera si dovesse fare, avrebbero in molte tratte un tragitto identico. Insomma, la questione è complessa: se andrà in porto inciderà profondamente sulle tasche dei bresciani e cambierà il volto della città e per questo, secondo i sostenitori del referendum, gli abitanti devono essere consultati. Ora, dopo la consegna delle 10.800 firme raccolte in tre mesi e la convalida di 10.096 di queste da parte del Comitato comunale di valutazione, bisognerà aspettare la primavera del 2001 quando, tra aprile e giugno, i bresciani verranno chiamati alle urne e a far sentire la loro voce.

Domenica 10 giugno 2001 si è svolto il referendum sulla metropolitana leggera di Brescia, che non ha raggiunto il quorum. E' stata infatti solo del 45,14% la percentuale dei votanti. In tutto, sui 159.257 abitanti del comune di Brescia che ne avevano diritto (73.216 maschi e 86.041 femmine), sono andati alle urne in 71.865. Per raggiungere il quorum della metà più uno degli aventi diritto era invece necessario arrivare a 79.629 persone. Un risultato solo sfiorato per meno di 8 mila voti. E comunque un risultato migliore del 38,13% che era stato raggiunto nel referendum sullo stesso argomento organizzato dalla Lega nel 1998. Sono stati comunque più di 45 mila i bresciani che hanno detto no alla metropolitana. Non sono bastati, naturalmente, ma questo può rappresentare già un piccolo successo per il ridotto manipolo di ambientalisti che ha raccolto le firme. Ecco i dati riferiti a 206 sezioni su 206: I Sì sono stati 25.915 su 71.865 votanti, pari al 36,05%, mentre i No sono stati 45.561, pari al 63,38 per cento dei votanti.

Per saperne di più sul Comitato per il referendum sulla metropolitana è possibile chiamare Ezio Garibaldi allo 0328 9628279.


CIRCOLO GANDOVERE LEGAMBIENTE IN FRANCIACORTA

Il gruppo

La Franciacorta è una delle zone più belle e verdi della nostra provincia, anche qui, però, la natura è sempre più minacciata dall'intervento umano. E' per tutelare questo patrimonio che un gruppo di ambientalisti, fra cui citiamo Silvio Parzanini, Angelo Ferrari, Duilio Zogno, Simona Albini e Pier Luigi Fanetti, ha deciso di istituire un circolo Legambiente, direttamente collegato con Legambiente Lombardia e Legambiente Nazionale. Il Circolo Gandovere Franciacorta accoglie oltre 40 iscritti provenienti da sei comuni della provincia di Brescia: Gussago, Cellatica, Castegnato, Rodengo Saiano, Cazzago San Martino e Ospitaletto. La zona d'azione è quindi molto vasta e i problemi sono molteplici, per questo il gruppo è impegnato su più fronti e in diverse battaglie. Per esempio, il circolo Legambiente Gandovere è riuscito a impedire la realizzazione di una mega rotatoria stradale da 5 miliardi prevista in località Ponte Batello, a Castegnato. Secondo il progetto questa rotatoria avrebbe dovuto migliorare il problema del traffico, aggravato dalla decisione di realizzare il Mercatone Uno in una zona decisamente congestionata. Grazie alla mobilitazione dei cittadini, l'amministrazione ha invece deciso di costruire due piccole rotatorie adiacenti, a nord della tangenziale. Questa zona, a ridosso della trafficatissima strada, ha comunque bisogno di interventi che migliorino la qualità della vita, come la costruzione di barriere visive e acustiche che la separino dal traffico.
Un altro grave problema ambientale che spesso si riscontra nei paesi franciacortini è quello della presenza di industrie a rischio d'inquinamento nei centri abitati. Così i membri di Legambiente stanno cercando di sensibilizzare gli abitanti e le amministrazioni perché venga affrontata la questione della presenza della Ecorifiuti di Gussago nella zona di via Bodutto e della Elettrometal, che tratta rifiuti speciali, a Castegnato, allontanandole dalle zone abitate o cercando soluzioni alternative. Come è successo nel caso della ditta Sonorex di Cazzago (località Bonfadina) che, grazie all'intervento degli ambientalisti, si sta impegnando a trasformare il proprio ciclo produttivo oggi basato sull'esanone, altamente inquinante e utilizzato per magnetizzare i nastri video.
Altra spina nel fianco del circolo è la pista ciclabile che collega Brescia a Paratico. Questo percorso, uno dei più frequentati della provincia, dovrebbe essere ampliato per collegare fra di loro tutti i paesi della zona, in modo da diventare più accessibile anche per le persone meno attive che non possono affrontare il tragitto per intero. Per valorizzare l'iniziativa, inoltre, sarebbe necessario organizzare treni speciali sulla linea Brescia-Iseo, che consentano il trasporto delle biciclette. Questa iniziativa, apparentemente abbastanza semplice, sta richiedendo invece un grosso impegno da parte degli ambientalisti i quali, solo dopo molte insistenze, l'anno scorso hanno ottenuto che in estate venga aggiunta al convoglio una carrozza adibita al trasporto delle bici, anche se finora solo di domenica.
Per sensibilizzare l'opinione pubblica, il gruppo sta poi promuovendo un'interessante iniziativa. E' stato infatti istituito un premio speciale di demerito, chiamato Spaciugòt, un vero e proprio attestato da consegnare, con adeguata pubblicità, a chi nel corso dell'anno, in provincia di Brescia, si è distinto per l'insensibilità nei confronti dell'ambiente o del paesaggio. La prima edizione è stata realizzata quest'anno con la consegna del premio a febbraio. Associazioni, gruppi e singoli cittadini possono inviare segnalazioni entro il mese di gennaio a: Circolo Legambiente della Franciacorta "Il Gandovere", via XXVIII Maggio 25, 25045 Castegnato.

L'attività

Ma il vero nemico degli ambientalisti della Franciacorta, quello contro cui negli ultimi mesi tutti stanno rivolgendo i loro sforzi, è senza dubbio il progetto della Cogeme di realizzare un inceneritore nel comune di Rovato. Anche il Circolo Legambiente Gandovere ha quindi partecipato alla fondazione del "Comitato contro l'inceneritore" per far sentire la voce dei cittadini della zona, preoccupati dalle prospettive che l'opera comporterebbe. Ne fanno parte anche molti altri gruppi: i Cittadini per l’ambiente di Travagliato; il Gruppo ambiente di Berlingo; il G.R.E. di Castrezzato; i Comitati spontanei di Lograto, Trenzano, Rovato, Cazzago San Martino, Ospitaletto, Passirano; il Circolo Legambiente Laura Conti di Brescia; il WWF Iseo orientale e Medicina democratica. Insomma, uno schieramento molto ampio per un problema molto importante. Secondo gli ambientalisti, non viene data agli abitanti la possibilità di esprimere un parere su questo importante argomento. La Regione ha infatti costituito un comitato di tre esperti: di questi, uno è nominato dalla Regione stessa, uno dalla Provincia e uno dalla Cogeme. Ma, ribattono gli ambientalisti, com'è possibile che una delle parti direttamente in causa - la Cogeme - venga rappresentata in questo comitato pubblico? E perché nessuno ha pensato di coinvolgere maggiormente i cittadini? Gli ambientalisti, fin dall'agosto del 2000, hanno chiesto di far sedere un loro rappresentante insieme con gli altri, ma invano. Benchè finora non abbiano ottenuto successi concreti, la partita è ancora aperta. Innanzitutto nella zona sono state raccolte 15 mila firme contro l'inceneritore. Poi è stata organizzata una biciclettata per l'ambiente che, dalla discarica di Castrezzato, ha portato oltre 300 persone fino al Broletto in città per manifestare contro il progetto. Si sono poi tenuti degli incontri con i capigruppo e con le commissioni prima e terza del Consiglio Provinciale, per cercare di trovare delle soluzioni al problema. Una manifestazione ha portato infine gli ambientalisti franciacortini fino alla sede milanese della Regione Lombardia.
Oltre agli ovvii timori legati all'inquinamento dell'aria, i membri del comitato sono contrari al termoutilizzatore in quanto lo considerano non necessario. I rifiuti che dovranno essere bruciati, infatti, non saranno esclusivamente quelli della nostra provincia. A Brescia nel 1999 (fonte osservatorio provinciale) sono state smaltite 1.403.211 tonnellate di rifiuti di cui 701.211 prodotte dai bresciani e il resto proveniente da altre province o addirittura da fuori regione. Cogeme nelle sue tre discariche ha smaltito 161.363 tonnellate di rifiuti provenienti dal Bresciano e 483.117 tonnellate (75 per cento del totale) importate. L'inceneritore quindi, lungi dall'essere necessario, sarebbe solo un ulteriore mezzo per fare soldi. Ed è probabilmente questo il motivo per cui il comune di Rovato acconsente alla costruzione nel suo territorio, ma assai lontano dal centro abitato e invece attaccato al confine con Berlingo e Travagliato. Il comitato inoltre propone delle soluzioni alternative e più rispettose dell'ambiente per risolvere il problema rifiuti. Innanzitutto un unico bacino provinciale di raccolta e poi delle politiche di contenimento della produzione dei rifiuti (attualmente 1,46 chilogrammi giornalieri pro capite), oltre allo sviluppo della raccolta differenziata ancora poco diffusa nei comuni della provincia bresciana.

Chi volesse contattare il Circolo Legambiente Gandovere Franciacorta può chiamare Silvio Parzanini allo 030 2721476.


BEDIZZOLE, LOTTA CONTINUA CONTRO LA DISCARICA

Il gruppo

Nella piana intorno al paese di Bedizzole, in località Casina Nuova, da qualche anno si erge una collina. Non è altissima, circa 16 metri, ma la sua sagoma è ben visibile, circondata com'è dai campi di grano. Nessun fiore, però, sboccia sulla sua superficie, nessun animale vi trova rifugio, il materiale che la compone è infatti una sostanza altamente inquinante, ricavata dagli scarti delle automobili demolite: la collinetta è una discarica di 870 metri cubi, per un'altezza di 16 metri e una superficie di 82 mila e 400 metri quadri, in cui vengono scaricate circa mille tonnellate di rifiuti al giorno. Per combattere questo mostro ecologico, un gruppo di cittadini di Bedizzole ha istituito un Comitato antidiscarica che, dopo aver perso la battaglia iniziale, sta ora lottando per evitare l'espansione del progetto, limitando i danni all'ambiente e i rischi per la popolazione. Il deposito non è destinato a smaltire i rifiuti della gente, bensì sostanze industriali, ricavate dalla carcassa delle macchine: gomma, pezzi di copertone, avanzi di fonderia, plastica, poliuretano, resti di liquidi vari, un materiale chiamato fluff, relativamente nuovo e di cui quindi non si conoscono totalmente le potenzialità inquinanti a medio-lungo termine. Come sempre accade in questi casi, però, il Comitato è destinato a scontrarsi con una potenza economica, la Faeco di Lonato (gruppo Feralpi), che ha ottenuto l'autorizzazione per costruire la discarica di Bedizzole e che oggi la gestisce. Il gruppo di ambientalisti che finora ha raccolto firme, organizzato manifestazioni di protesta e presentato quattro ricorsi al Tar, si trova ai ferri corti anche con l'amministrazione comunale, alla quale rimprovera il fatto di dichiararsi contro la discarica, senza però fare nulla a livello pratico per contrastarla. Così gli ecologisti, capitanati da Ivan Facchetti, si stanno sobbarcando gli oneri organizzativi e finanziari che una tale battaglia comporta, aspettando il 27 aprile del 2001, giorno in cui il Tar dovrebbe discutere della contestata discarica partendo dai ricorsi del Comitato.

L'attività

La mancanza di chiarezza è ciò che gli ambientalisti contestano principalmente alla Faeco. Secondo il Comitato, infatti, in questa vicenda si sono verificate parecchie anomalie. Tutto è iniziato nel 1997, quando la Faeco ha chiesto l'autorizzazione per riempire una cava di prestito, utilizzata per estrarre la sabbia necessaria alla costruzione della vicina tangenziale. Gli studi geologici necessari alla realizzazione del progetto, però, rilevarono la presenza di acqua a circa sei metri nel sottosuolo, troppo vicino quindi alla superfice. Stranamente, però, una seconda tornata di analisi del terreno ha fornito dati completamente diversi: l'acqua si trovava a 40 metri, non più a sei. L'inizio dei lavori ha poi evidenziato l'errore e l'acqua è emersa all'altezza di sette metri. A quel punto la costruzione della discarica è comunque andata avanti e, nel 1999, tutto era pronto per accogliere i rifiuti. Il fluff però, raccontano gli ambientalisti, nonostante sia classificato come una sostanza non pericolosa, se analizzato ha valori inquinanti talmente alti da non poter essere smaltito in una discarica, come quella di Bedizzole, classificata nella categoria 2B, adatta cioè a ospitare rifiuti non pericolosi. La Faeco sembrava allora avere le mani legate: tutto era pronto, era stato investito molto denaro, ma il lavoro non poteva iniziare. A salvare le sorti della discarica, ci ha invece pensato l'amministrazione comunale che ha acconsentito a una variante gestionale, permettendo lo smaltimento del fluff senza apportare nessuna modifica all'insediamento. La macchina ha iniziato così a funzionare a pieno ritmo, ma il giro d'affari dello smaltimento non era ancora sufficiente a coprire li costi, nonostante venissero importati rifiuti da Vercelli, Verona, Sondrio, Torino. Verso la fine del '99, la società ha allora chiesto al comune la possibilità di ampliare la discarica, ottenendo un rifiuto. Il no dell'amministrazione è però stato cancellato dal sì della Regione che ha autorizzato il progetto. Mentre accadevano tutte queste cose, gli ambientalisti di Bedizzole non sono certo rimasti con le mani in mano. Oltre alla campagna di sensibilizzazione, hanno infatti intrapreso le vie legali, presentando ben quattro ricorsi al Tar: il primo, nel '97, contro l'apertura della discarica; il secondo, nel '98, per la questione delle falde acquifere; il terzo nel '99, contro la variante gestionale; il quarto infine, nel 2000, per contrastare il progetto d'ampliamento. Come detto, la discussione finale è fissata per aprile, ma certamente pensare che la discarica possa essere chiusa è un'utopia. La speranza degli ambientalisti è comunque quella di ruscire a fermare l'espansione di questo mostro ecologico, situato in una zona di campagna che, tra l'altro, può già lamentare la presenza di un centro per il compostaggio di rifiuti e di una strada tangenziale che aprirà prossimamente.

Chi volesse contattare il Comitato antidiscarica di Bedizzole può chiamare Ivan Facchetti allo 030 675783.


FIUME CHIESE LA GUERRA DELL'ACQUA

Il gruppo

Il fiume Chiese nasce dai ghiacciai dell'Adamello, attraversa la Val Daone, la Val Giudicaria e, dopo aver formato il lago d'Idro, la Valsabbia. Il suo corso si unisce poi a quello dell'Oglio, all'altezza del comune mantovano di Canneto. Il suo alveo, lungo all'incirca 160 chilometri, si sviluppa in territorio bresciano per ben 87 chilometri. Come è ovvio, nei secoli la presenza del fiume ha fortemente condizionato la vita dei paesi che si affacciano sulle sue sponde ma, almeno dai primi Anni 60, l'acqua del Chiese non ha la possibilità di scorrere liberamente. Mentre infatti nella zona di Idro viene utilizzata per scopi idroelettrici (basta pensare ai laghi artificiali della Bissina e della Boazzo), più in basso, poco dopo Bedizzole, il corso del fiume viene addirittura sbarrato per consentire l'irrigazione dei campi. Certo, l'acqua è un bene comune, però l'uso irriguo portava via, fino a sette od otto anni fa, anche l'ultima goccia del prezioso liquido al Chiese, lasciando l'alveo secco, completamente asciutto. E' stato per evitare la morte biologica del fiume che un gruppo di ambientalisti ha deciso di lottare per far tornare l'acqua in quella che era diventata una distesa di sassi, adibita a discarica e completamente dequalificata. Tutto è iniziato nel 1992. Nel mese di febbraio è infatti nato il "Comitato vita fiume Chiese" di Bedizzole, formato da una decina di persone (fra cui citiamo Valerio Gabana,Vittorio Podavini, Claudio Maccarinelli, Giorgio Erves, Mirella Bettini, Alessandro Daini, Giampietro Meloni, Ermanno Bertini, Mauro Facchetti) che, dopo aver raccolto più di 4 mila firme, hanno iniziato un continuo lavoro di sensibilizzazione e protesta. La lenta macchina della burocrazia si è allora messa in moto. Il nocciolo della questione ruotava infatti intorno alla Roggia Lonata, uno sbarramento situato in località Cantrina, a Bedizzole. Questa, deviando il corso dell'acqua verso i canali usati per l'irrigazione, prosciugava praticamente il fiume. Grazie alle proteste del Comitato, nel giugno del 1993 il ministero dei Lavori pubblici, da cui dipende la gestione delle acque, ha avviato un tavolo di discussione per rivedere il piano gestionale del Chiese. Si sarebbe così dovuto aprire un periodo di sperimentazione di tre anni, durante i quali nella parte di fiume sottostante la chiusa avrebbero dovuto essere versati almeno 2,2 metri cubi d'acqua al secondo. Un ricorso del Consorzio irriguo del medio Chiese (lo stesso che controlla l'apertura delle paratoie della Roggia Lonata), però, fermò tutto per tre anni. La sperimentazione bloccata è ripresa solo nel 1996: questa volta, però, nel fiume si dovevano versare 1,8 metri cubi d'acqua al secondo. Il significato di questo progetto di studio (una sorta di prova) doveva essere quello di avere un quadro completo e preciso della situazione per poi prendere decisioni definitive, ma il forte conflitto di interessi esistente intorno alla questione ha prolungato, fra discussioni e proroghe, la sperimentazione fino al 30 settembre del 2001. Durante questo perido gli ambientalisti si sono dati molto da fare. Nel 1994, si sono costituiti come associazione, continuando a contrastare le decisioni che mettevano in pericolo la vita del fiume, come quella promossa dal Consorzio del medio Chiese che, nel 95, voleva la cementificazione dell'alveo del fiume, evitata solo grazie alla battaglia (è stato fatto un sit-in per una settimana) dell'Associazione.

Qui sopra: lo sbarramento della località Cantrina a Bedizzole.

L'attività

La mancanza dell'acqua nel fiume aveva dato un duro colpo all'intero ecosistema della zona. La morte della bottatrice, dello scazzone, del temolo, del vairone, dell'anguilla e del cavedano, pesci che normalmente vivevano nel Chiese, aveva fatto sparire anche l'airone cenerino e il martin pescatore, costretti ad abbandonare queste zone alla ricerca di cibo. Il fiume insomma aveva cessato di essere quella fonte di vita che lo rendeva unico, per diventare un luogo deserto, una distesa di sassi in cui gli uomini riversavano i propri rifiuti. Ovviamente, non sarebbe bastato rimettere l'acqua nell'alveo per far rinascere il Chiese. E' per questo che l'Associazione si è impegnata per il recupero della fauna e della flora. Innanzitutto, tramite l'organizzazione di alcune giornate ecologiche, il letto del fiume è stato ripulito dalla spazzatura dell'uomo. E' seguito il recupero di alcune zone, il controllo degli scariche industriali, è nato un parco denominato "Airone", sono stati piantati alberi (come il bellissimo ontano nero) e il ciclo riproduttivo dei pesci è stato seguito e monitorato. Così, mentre l'acqua tornava ad appropriarsi del suo corso naturale, anche la vita ricompariva tra i flutti. Ma un altro scopo degli amici del fiume è, come ha detto a quiBrescia Valerio Gabana, quello di far rinascere nelle persone l'amore per il Chiese. Gli abitanti, infatti, in tanti anni si sono dimenticati della bellezza di questo corso d'acqua. Ma, senza l'appoggio e l'impegno della collettività il lavoro degli associati, che negli anni sono diventati un centinaio, risulterebbe inutile. Insomma, per gli ambientalisti, bisogna che le persone ritornino ad "abitare" il fiume, considerandolo una risorsa da proteggere. Anche perché sulla questione dell'acqua non è ancora stata messa la parola fine.

Chi volesse contattare l'Associazione vita fiume Chiese può chiamare Valerio Gabana allo 0338 4629186.

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