TEGUCIGALPA,
Honduras - La popolazione di San Miguel Arcangel sa bene che
cosa significhi essere colpiti da una calamità e ha osservato con lucidità la corsa
mondiale ai soccorsi per l'Asia colpita dal maremoto.
Il vecchio Nahum Càceres racconta come la sua comunità sia stata spazzata via sei anni
fa dall'uragano Mitch. Nel portafoglio conserva l'elenco scritto a mano di una decina di
associazioni internazionali e di enti di soccorso che da allora sono andati e venuti.
"Non so quanti soldi abbiano inviato, ma ho sentito dire che questo è un progetto da
un milione di dollari", dice indicando un complesso di case. "Vorrei proprio che
vedessero che cosa ne è stato dei loro soldi". Eric Moscoso, suo vicino di casa, è
ancora più lapidario: "Ci hanno abbandonati".
Sei anni fa al cuore dei telegiornali e dei quotidiani di tutto il mondo c'erano le
immagini dell'Honduras. Allora, come adesso per il Sud Est asiatico, ci fu un enorme
ondata di solidarietà internazionale. Allora come adesso i capi di Stato promisero grosse
somme di denaro per aiutare le popolazioni coinvolte. Le agenzie umanitarie si impegnarono
per "ricostruire meglio", promettendo di rimanere sul posto a lungo, di fornire
tutto l'aiuto necessario per superare le resistenze sociali ed economiche che rendono i
poveri così vulnerabili. È anche possibile che stavolta le cose vadano diversamente, e
che i paesi donatori inviino davvero tutti gli aiuti promessi..............
A sei anni dall'uragano Mitch che ha devastato l'Honduras, a San Miguel Arcangel i bambini
giocano in mezzo a case senza elettricità né servizi.
L'uragano Mitch fu un anomalia della natura, che rovesciò piogge torrenziali su questa
regione per cinque giorni consecutivi. Definito la calamità più devastante dell'emisfero
nell'ultimo secolo, Mitch trasformò i ruscelli in fiumi impetuosi, provocando slavine,
travolgendo gli abitanti a migliaia. Si calcola che i morti siano stati 9.000 e che i
danni subiti assommassero a oltre 7,2 miliardi di euro.
All'indomani della catastrofe la comunità internazionale si impegnò aversare quella
stessa cifra per contribuire alla ricostruzione del Paese. Oggi gli esperti del Centro per
la cooperazione internazionale della New York University ritengono che la maggior parte di
quella somma non si sia mai materializzata e le fonti honduregne dicono che la metà di
quel che è arrivato era in forma di prestiti.
Lo stesso pare sia avvenuto anche in Iran. Ad un anno dal teremoto che ha distrutto la
città di Bam, uccidendo oltre 40.000 persone e lasciandone altrettante senza tetto, le
strade sono ancora impraticabili per i cumuli di macerie. Gli iraniani dicono di aver
ricevuto 13,8 milioni di euro degli 800 promessi dalla comunità internazionale.
Affari di cuore di Guido Castellano,
Paola Ciccioli e Elena Porcelli 9/4/2004
www.fundraising.it
Il palco del Pavarotti & Friends. L'edizione 2003 è stata
dedicata ai profughi iracheni assistiti dall'Alto commissariato delle Nazioni unite per i
rifugiati (Unhcr)
Quattro italiani su 10 donano per beneficenza. Ma dove finiscono i soldi? Panorama ha
fatto i conti in tasca a sette associazioni. Scoprendo che non sempre sanno fare bene del
bene.
C'è da far arrivare un bambino da Santo Domingo per farlo curare in un ospedale italiano?
Pronti: a Costa Volpino, in provincia di Bergamo, la gente ha aperto il portafoglio e
partecipato alla raccolta fondi organizzata dal settantenne Sergio Disperati. Il fatto è
che poi il promotore dell'iniziativa si è dileguato con i soldi e adesso bisogna
inventarsi qualcosa per coprire le spese mediche cui il piccolo è stato sottoposto.
Un caso isolato, certo. Che però dà corpo all'ostacolo numero uno che smorza la spinta a
donare: la diffidenza. Ecco perché i professionisti del non profit hanno pensato bene di
dotarsi di un codice di autoregolamentazione, la Carta della donazione, e messo nero su
bianco che non c'è beneficenza senza trasparenza e garanzia.
In Italia le onlus, cioè le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, secondo il
censimento Istat sono 221.412 e soltanto nel 2003 sono riuscite a raccogliere 3,7 miliardi
di euro. A donare, documenta l'ultima indagine Doxa, sono 19 milioni di persone, cioè
quattro italiani su dieci. Le difficoltà economiche si sono fatte sentire? «Diciamo che
non ci sono stati grossi incrementi» risponde Ilaria Borletti, presidente del Summit
della solidarietà, l'associazione che raccoglie 19 tra le principali onlus, tra cui il
«gigante» Telethon, «l'unico ad aver aumentato la raccolta rispetto all'anno passato».
«Non vedo crisi» aggiunge Beatrice Lentati, antesignana del fund raising in Italia.
«C'è più oculatezza, i donatori hanno imparato a scegliere. Perché dare con
intelligenza significa anche informarsi e monitorare la destinazione dei soldi offerti a
una causa che ci appassiona».
Nelle schede di seguito, sette tra le manifestazioni benefiche di maggior richiamo alle
quali Panorama ha chiesto di fornire i bilanci per capire, comparando entrate e uscite, se
sanno davvero fare bene del bene. Emerge che non sempre i costi sostenuti dalle varie
associazioni rientrano nei parametri di oculatezza che richiede la migliore beneficenza.
AIL, ASSOCIAZIONE ITALIANA CONTRO LE LEUCEMIE-LINFOMI E MIELOMA
In piazza a Pasqua e a Natale
I loro nemici si chiamano leucemia, linfoma e mieloma. Per sconfiggerli i volontari
dell'Ail scendono in piazza due volte l'anno, a Natale e a Pasqua, chiedendo l'aiuto di
tutti. «È grazie alla sensibilità delle persone che acquistano le nostre piante e le
uova di cioccolato che l'associazione può vivere» fanno sapere dalla sede nazionale di
Roma «e soprattutto può combattere la crociata contro malattie terribili». I risultati
di queste iniziative sono importanti. L'anno scorso, solo con le vendite in 2 mila piazze,
l'Ail ha raccolto oltre 12 milioni di euro di cui, detratte le spese vive, quasi 8 milioni
sono stati devoluti per combattere i tumori del sangue e delle ghiandole linfatiche.
«In più ci sono le donazioni effettuate a vario titolo dai nostri associati» aggiunge
il portavoce dell'associazione. Che non sono poche visto che nel 2002, complessivamente,
l'associazione ha devoluto 10.562.308 euro. Ma dove sono andati a finire i soldi degli
italiani? «Per la precisione, 6.466.925 euro in assistenza e 4.095.382 in ricerca»
precisano dalla sede romana dell'Ail. Il ruolo principale di questa associazione e delle
sue 72 sezioni provinciali è l'attività a favore dei malati, svolta in simbiosi con le
principali strutture di ematologia, sia universitarie sia ospedaliere, presenti sul
territorio italiano.
Le cifre
Anno di fondazione: 1969
Fondi raccolti* 12.623.407
Costi 4.716.500
Fondi devoluti 7.906.907
Percentuale spese 37,3%
* i dati (in euro) si riferiscono solo alla vendita sulle piazze italiane delle stelle di
Natale e delle uova di Pasqua nel 2002. Il bilancio e i dati del 2003 sono ancora in fase
di approvazione.
AIRC, ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO
Azalee e arance per finanziare la ricerca
«Con i fondi che raccogliamo riusciamo a coprire il 40 per cento di tutta la ricerca sul
cancro in Italia» dice Alfio Noto presidente dell'Airc, l'associazione che dal 1965 (anno
di fondazione) a oggi ha devoluto alla ricerca quasi 320 milioni di euro. Cifra che ogni
anno aumenta. «Abbiamo oltre 1 milione 800 mila associati che si fidano di noi perché
vedono l'impegno che mettiamo nel cercare di debellare una malattia che spaventa e tocca
tutti». Gli associati solo l'anno scorso hanno versato con i conti correnti postali quasi
19 milioni di euro. «In più, ogni anno vendiamo in tutte le piazze d'Italia le arance
che la Regione Siciliana ci regala» aggiunge Noto «le azalee e gli auguri di Natale».
Iniziative che permettono a un'associazione con circa 60 dipendenti di devolvere
quest'anno 35,594 milioni di euro. Una cifra record.
Ma c'è anche qualche nota dolente. «Quest'anno, alcuni investitori istituzionali e
grandi aziende non hanno ancora fatto donazioni o hanno drasticamente diminuito il loro
contributo» tiene a puntualizzare Noto. Nonostante questo rallentamento e il caro euro,
il 2003 è stato comunque un anno buono per l'Airc. Con i fondi raccolti finanzierà
centinaia di progetti di ricerca svolti presso laboratori universitari, ospedali e
istituti scientifici. «Fiore all'occhiello dell'associazione» aggiunge Noto «è l'Ifom,
Istituto della fondazione italiana ricerca sul cancro di oncologia molecolare».
Questo laboratorio, considerato uno dei cinque più evoluti al mondo, si trova a Milano,
è completamente finanziato dall'Airc e vede lavorare a fianco a fianco ricercatori che
«un po' in controtendenza, vengono da ogni parte del mondo, Italia compresa».
Le cifre
Anno di fondazione: 1965
Fondi raccolti* 48.100.000
Costi 12.506.000
Fondi devoluti 35.594.000
Percentuale spese 26%
* i dati (in euro) sono estratti dal bilancio 2003 e comprendono le donazioni ricevute
dall'associazione e i ricavi dalla vendita sulle piazze italiane delle arance e azalee.
LA FABBRICA DEL SORRISO, MEDIAFRIENDS ONLUS
Quando ridere fa bene a sé e agli altri
Rendere felici i bambini più sfortunati è lo scopo dell'iniziativa La fabbrica del
sorriso. Una raccolta fondi organizzata dalla Mediafriends (onlus di Mediaset, Medusa e
Mondadori), attraverso una trasmissione tv andata in onda a ottobre su Canale 5 con i
comici dei programmi Zelig, le Iene e Striscia la notizia e attraverso la vendita del
libro La fabbrica del sorriso (oltre 375 mila copie).
Scopo dell'iniziativa: finanziare i progetti di quattro associazioni dedicate ai bambini,
l'Abio, l'Amref, il Cesvi e la Lega del filo d'oro. «Abbiamo raccolto 8.571.326 euro»
dice Leonardo Pasquinelli, direttore programmi Mediaset. «Si tratta di un successo anche
perché i costi per la manifestazione sono stati bassissimi: 509.447 euro, il 5,94 per
cento dell'incasso totale».
I fondi sono già arrivati a destinazione. L'Abio sta costruendo, in alcuni ospedali
pediatrici italiani, aree per fare divertire i bambini ammalati. L'Amref, in Africa,
costruisce 11 pozzi in Kenya e Tanzania, realizza scuole, soccorre i profughi della guerra
civile ugandese e finanzia il progetto «dottori volanti», medici che a bordo di piccoli
aerei portano cure nei villaggi africani più sperduti. Il Cesvi allestirà a Harare, in
Zimbabwe, un centro per l'accoglienza dei ragazzi di strada; in Cambogia costruirà un
centro di salute per bambini; in Iraq ha riaperto una scuola vicino a Bassora.
La Lega del Filo d'oro sta lavorando per ampliare la capacità ricettiva del centro di
Osimo per bambini sordociechi.
Le cifre
Anno di fondazione: 2003
Fondi raccolti* 8.571.326
Costi 509.447
Fondi devoluti 8.061.879
Percentuale spese 5,94%
* I dati (in euro) si riferiscono alle offerte ricevute per lo spettacolo tv «La fabbrica
del sorriso» e per la vendita del libro.
TRENTA ORE PER LA VITA
Bassa raccolta e troppe spese
Dopo due anni di stanca, e il trasloco dalla Mediaset alla Rai, la maratona televisiva
condotta da Lorella Cuccarini ha raccolto quest'anno meno del previsto. «Pensavamo di
raggiungere i 5 milioni di euro e invece, a tutt'oggi, le donazioni ammontano a 3 milioni
935 mila» dice Andrea Enea, responsabile rapporti istituzionali di Trenta ore per la
vita. La trasmissione, andata in onda a febbraio, ha avuto come principale obiettivo il
sostegno al progetto di assistenza domiciliare agli anziani della Comunità di
Sant'Egidio. L'offerta più consistente è venuta dal gruppo Capitalia (2 milioni 164 mila
euro). Le promesse di donazione arrivate al 412 della Telecom Italia sono state 18.863,
per un ammontare di 379 mila euro, via sms sono stati raccolti 216 mila euro, con la Sisal
223 mila, tramite le Poste 630 mila, con le carte di credito 430. Aziende e privati hanno
versato 108 mila euro.
Particolare attenzione merita l'aspetto dei costi. La voce più rilevante, un milione 560
mila euro, è quella relativa al contratto con la Rai. Che subappalta la realizzazione
della trasmissione alla Triangle production di Silvio Testi, marito di Lorella Cuccarini.
«Non posso negare che questa circostanza possa far pensare a un conflitto di interessi»
commenta Franco Giannantonio, vicepresidente di Trenta ore per la vita. «Del resto, non
mi risulta che altre società abbiano presentato offerte migliori». (continua)
«PROFESSIONISTI DELLA BONTÀ»
Parla il docente Valerio Melandri, esperto in raccolta fondi
«Per raccogliere soldi ci vogliono soldi e professionalità. È un'inutile ipocrisia fare
finta che non sia così, anche una lettera per chiedere offerte costa». Parola di Valerio
Melandri, docente di tecniche di fund raising (raccolta fondi) alla facoltà di economia
dell'università di Bologna e direttore del centro studi Philantropy.
Ci sono truffe nelle raccolte fondi italiane?
Le raccolte di fondi più note sono oneste, anche se spesso si spende troppo per farle.
Alcune vendite di oggetti nelle piazze costano oltre il 50 per cento di quello che
ricavano. Ma queste iniziative servono anche a farsi conoscere dalla gente per reclutare
volontari e donatori.
Come ridurre i costi?
Ci vuole un buon fund raiser, cioè un professionista che sa individuare i donatori più
generosi e i metodi migliori per chiedere. Solo il 14 per cento dei fund raiser italiani
è un volontario, ma questo non deve scandalizzare: competenza e dedizione portano più
aiuto a chi ha bisogno.
C'è chi specula sulla beneficenza?
Nel nostro Paese ci sono carenze legislative in cui si muovono i furbi. Il presidente
della Lega del filo d'oro, per esempio, ha trovato per strada truffatori che chiedevano
offerte per la sua organizzazione senza essere autorizzati. Non ha potuto denunciarli
perché per raccogliere fondi non serve il permesso e non poteva provare che non avessero
intenzione di consegnargli il denaro raccolto. Negli Stati Uniti, invece, ogni colletta
dev'essere autorizzata dalla polizia.
Le cifre
Anno di fondazione: 1994
Fondi raccolti* 3.935.000
Costi 2.209.192
Fondi devoluti 1.725.808
Percentuale spese 56%
*Bilancio provvisorio (in euro) della trasmissione tv andata in onda a febbraio 2003 sulle
reti Rai.
TELETHON PER LA RICERCA SULLE MALATTIE GENETICHE
Maratona televisiva per incassi record
Con l'ultima maratona televisiva del 12 e 13 dicembre Telethon ha raccolto 22.446.883 euro
da destinare alla sua principale finalità: lo studio delle distrofie muscolari e di
malattie genetiche rare, anche di quelle che colpiscono pochissimi pazienti e che per
questo vengono ignorate dalle case farmaceutiche. Le spese per la trasmissione, la
raccolta fondi e la comunicazione ammontano a 3.499.084 euro (dati parziali).
Telethon Italia è divisa in Comitato fondazione onlus e Fondazione, tutti e due
presieduti da Susanna Agnelli. Nel bilancio al 30 giugno 2003, appena pubblicato, risulta
che il Comitato ha assegnato 17,884 milioni di euro a nuovi progetti. Mentre la fondazione
ha speso 8,463 milioni di euro per gli istituti di ricerca interni. Tra questi l'Istituto
Telethon Dulbecco che dà la possibilità a 24 ricercatori di lavorare per cinque anni,
offrendo tre livelli di stipendio: 30-45-75 mila euro lordi all'anno. Dall'esame delle
voci passive risulta che la maratona televisiva, la cui realizzazione è in coproduzione
con la Rai, costa 775 mila euro. Ai quali va aggiunta la voce «eventi», 475 mila euro,
che si riferisce alle spese per la promozione di feste e concerti legati alla
trasmissione. Gli oneri raccolta fondi ammontano a 1,121 milioni di euro, una parte dei
quali è assorbita dagli stipendi delle persone che lavorano per l'organizzazione, il cui
numero varia da un minimo di 50 a un massimo di 70.
Le cifre
Anno di fondazione: 1990
Fondi raccolti* 25.794.000
Costi 5.974.000
Fondi devoluti 19.820.000
Percentuale spese 23%
*Bilancio provvisorio (in euro) della maratona tv del 12 e 13 dicembre 2003
PAVAROTTI & FRIENDS PER I RIFUGIATI IRACHENI IN IRAN
La voce delle popstar per chi non ha voce
Prestare la voce dei più grandi artisti a chi non ha voce, dando un aiuto concreto, è
l'obiettivo dei concerti di Pavarotti & Friends. Il tenore Luciano Pavarotti ne ha
organizzato uno ogni anno, con la partecipazione delle più importanti popstar italiane e
mondiali, dal 1992 fino al suo annunciato ritiro dalle scene (il suo staff non precisa se
in futuro ci saranno altri concerti). L'edizione 2003 è stata dedicata ai profughi
iracheni assistiti dall'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).
I costi dell'iniziativa sono suddivisi tra la Pavarotti International, l'azienda che
organizza i concerti del tenore, e l'Unhcr. «Non intendiamo rendere note le spese da noi
sostenute» fa sapere la Pavarotti International (3.079.590 euro di fatturato nel 2002)
«perché relative alla produzione dello spettacolo e non alla raccolta fondi di cui si
occupa per intero l'Unhcr».
L'Alto commissariato ha ricavato 960.747 euro dalla vendita dei biglietti, nel corso della
serata ha incassato donazioni per 533 mila euro e ha speso in tutto 137.370,71 euro, di
cui 96.074 di diritti Siae e il resto per la stampa dei biglietti, la gestione del
botteghino e lo stand per le donazioni. I proventi della diretta televisiva sono andati
alla Pavarotti International. «Ma» sostiene Lionello Boscardi dell'Unhcr «non bastano
certo per un grande concerto con star internazionali. Anzi, il maestro Pavarotti ci
rimette di tasca sua».
Le cifre
Anno di fondazione: 1992
Fondi raccolti* 1.493.747
Costi n.p.
Percentuale spese ?
* I dati si riferiscono al solo incasso del concerto Pavarotti & Friends. Non sono
state fornite le entrate da sponsorizzazioni.
NAZIONALE CANTANTI PER AIUTARE I BAMBINI CHE SOFFRONO
Ugole azzurre per i bambini sfortunati
L'idea di far giocare a pallone i cantanti, per beneficenza, è venuta nel 1981 a Gianni
Morandi e ha subito coinvolto molti grandi della musica. Nel 1987 si è costituita
ufficialmente la Nazionale italiana cantanti per aiutare i bambini che soffrono e nel 2000
è diventata onlus. L'attuale presidente è Eros Ramazzotti.
«Tutto l'incasso delle nostre partite» assicura il segretario dell'associazione Gianluca
Pecchini «va in beneficenza». Gli alti costi di organizzazione e gli stipendi dei
quattro dipendenti dell'associazione sono coperti dagli sponsor. «Sponsor che non ci
sarebbero se non ci fossero i grandi eventi e i grossi nomi della musica, che tra l'altro
non percepiscono alcun compenso e si pagano quasi tutte le spese. Ciononostante,
mobilitare uno stadio per accogliere l'evento presenta costi inevitabili. Per questo, nel
caso di grandi eventi come quelli organizzati dalla Nazionale cantanti, il parametro del
25 per cento non è applicabile.
«Il 2003 non è stato uno degli anni migliori» prosegue Pecchini «ma in 24 anni abbiamo
giocato 420 volte e raccolto in tutto circa 39.234.267 euro, devoluti a vari enti, tra cui
l'Associazione italiana amici dei bambini, l'Associazione italiana sclerosi multipla, che
grazie a noi hanno fatto conoscere il loro messaggio al grande pubblico».
L'evento più importante della Nazionale cantanti è la Partita del cuore, trasmessa in
diretta Rai ogni primavera. Nel 2003 alla vendita dei biglietti (333 mila euro) si sono
aggiunte le donazioni via sms e carta di credito (139 mila euro) e i diritti televisivi
(197 mila euro).
La prossima partita del cuore avrà luogo a Firenze il 28 maggio.
Le cifre
Anno di fondazione: 1981
Fondi raccolti* 1.444.416
Costi 674.796
Fondi devoluti 796.620
Percentuale spese 46,7%
*Bilancio provvisorio (in euro) del 2003. II dato comprende sponsorizzazioni e diritti tv.
Il Non Profit in Italia
Istituzioni attive 221.412
Associazioni Riconosciute 61.313
Associazioni non Riconosciute 140.746
Fondazioni 3.008
Cooperative Sociali 4.651
Lavoratori 630.000
Dipendenti 532.000
Collaboratori 80.000
Distaccati 18.000
Volontari 3.200.000
Religiosi 96.000
Obiettori di Coscienza 28.000
Padova, Terzo settore a convegno. Dirigenti in allarme: "il
governo vuole farci cambiare pelle"
PADOVA - Appena tre anni fa è stato ufficialmente riconosciuto
attraverso il suo Forum permanente parte sociale a tutti gli effetti, come il sindacato e
Confindustria. Oggi si trova a un bivio. Così riassumibile: accettare fino in fondo la
sfida del mercato, col rischio di vendersi l'anima, oppure difendere l'anima, col pericolo
di essere spazzati via dal mercato. Un dilemma che mai gli uomini del Terzo settore (terzo
perché alternativo al pubblico e al privato) avrebbero voluto affrontare. Ma che è
finito ormai all'ordine del giorno.
Accade così che alla Fiera di Padova, dove si celebra la settima edizione di Civitas
(Mostra convegno della solidarietà e dell'ecanomia sociale e civile), le diversità
comincino ad affiorare. Ci incontri i militanti del volontariato, i dirigenti delle
cooperative sociali, i quasi dilettanti dell'associazionismo di base e i semi-prossionisti
della neonata impresa sociale. Gli scout dell'Agesci e i rastrellatori di appalti della
Compagnia delle Opere, per intendersi. Uniti nei valori. Divisi sui mezzi per conseguirli.
"Sì; ci sono difrenze. Ma noi cercheremo counque di andare avanti tutti
insieme", spiega Edo Patriarca, presidente del Forum permanente del Terzo settore.
"Il punto che riceviamo forti pressioni: siamo diventati una risorsa indispensabile
per ridisegnare il sistema sociale, sanitario e federale che il governo ha in mente".
Cioè il modello americano: le organizzazioni del sociale concepite come erogatrici di
servizi che lo stato non garantisce più. "Noi invece prosegue Patriarca siamo legati
al modello europeo, che si avventura nel terreno dell'economia, ma senza perdere di vista
la dimensione partecipativa".
Le spinte al cambiamento sono notevoli. Anche perché in ballo c'è una torta sempre più
appetitosa. "Nel Terzo settore c'è anche il finto non profit: balere e palestre che
si nascondono dietro alla sigla di associazioni non lucrative", accusa Antonio Sambo,
coordiitore di Civitas. "A volte le Regioni ci mettono del loro: basta un appalto, e
un gruppo raccoglie in un mese migliaia di associati. Basta tagliare i fondi, e una
cooperativa sociale muore. Le tentazioni di vendersi per un piatto di lenticchie può
essere forte. Ma cedere sarebbe l'errore peggiore.
Le tensioni hanno però anche effetto positivo. L'impresa sociale può trovare la sintesi
perfetta tra valori e innovazione. Nascono cooperative sociali che si specializzano nella
tutela e valorizzazione dei beni-ambientali, artistici e culturali o nell'assistenza alle
famiglie. "Rispondiamo a un'esigenza dei tempi, siamo il prototipo dell'impresa
sociale", dice Franco Marzocchi, presidente di Federsolidarietà Confcooperative,
150.000 soci, fatturato di 2,3 miliardi di euro. "Il mercato sociale - aggiunge - è
una realtà". I numeri gli danno ragione: sono quasi un milione, secondo una ricerca.
Acli-Eurisko,
le famiglie italiane disposte a pagare per l'assistenza ai bambini o agli anziani. La loro
domanda basterebbe a creare 475.000 nuovi posti di lavoro.
L'INTERVISTA
Un imprenditore solidale: il volontariato per noi è un freno.
Parlano di marketing, business plan, di branding. Come gli imprenditori d'assalto.
Hanno un negozio a Roma a piazza del Popolo, uno a Venezia a Ponte Rialto: 250.000 euro
l'anno di faturato ciascuno. Hanno tre punti vendita in franchising, a Milano,
Padova e Trieste. E dieci associati, da Napoli a Ivrea. Lavorano esclusivamente sul
mercato, eppure militano nel Terzo settore. Il loro consorzio, "Le botteghe della
soliarietà", vende artigianato e prodotti alimentari. E il presidente Sandro
Salviato, 42 anni, veneto,
non ha peli sulla lingua: "Con il nondo del volontariato non abbiamo niente a che
fare. Anzi, il volontariato è un limite allo sviluppo dell'impresa sociale".
Allora siete imprenditori e basta. Cosa c'entra il sociale?
"Crediamo ancora nel commercio equo, ma se non si fa il salto di qualità si resta
solo dei velleitari" "C'entra perché noi vendiamo prodotti particolari. Da
quelli del commercio equo e solidale al biologico, fino a quelli dell'economia
marginale".
Che sarebbe?
"Ci sono aree del nostro paese, al Sud per esempio, in cui l'economia è tanto
depressa che i prodotti non trovano mercato. Idem per molti artigiani. Noi restituiamo a
tutti la possibilità di accedere al grande pubblico. Ma a una condizione". Quale?
"Che si tratti oggettivamente di prodotti di qualità. Abbiamo deciso di ampliare la
domanda di queste merci cercando punti vendita nei centri delle città. Abbiamo investito
grandi somme, gli orari di apertura sono quelli di tutti gli altri negozi. Con i quali
vogliamo competere alla pari.
Ma perché non avete fatto un'impresa tradizionale? "Perché è dal mondo del
commercio equo che proveniamo. Ci crediamo ancora. Ma abbiamo capito che se non si fa il
salto di qualità si resta velleitari".
Il Terzo settore quindi vi sta stretto?
"In un certo senso sì. L'economia solidale cresce solo se si adegua al
mercato".
POTERE, BENEFICENZA E STUPIDITA' di
Carl William Brown
I ricchi fanno la beneficenza, e la beneficenza fa i ricchi. Così
accade che chi magari costrusice armi o possieda azioni in multinazionali che sfruttano il
mondo in lungo e in largo, poi sia anche tra i maggiori artefici delle fondazioni che si
occupano di pace nel mondo, e di solidarietà tra i popoli. Niente di nuovo sotto il sole,
lo aveva già detto G.B. Shaw, solo che con il passar del tempo, il virus della stupidità
muta sempre più e sembra ormai resistente a qualsiasi forma di terpaia del buon senso.
Ormai dobbiamo solo sperare in una cura genetica! Già, sarebbe troppo semplice se la
stupidità fosse una malattia come sostiene appunto James Watson, lo scienziato che
insieme a Francis Crick, un collega dell'università di Cambridge, scoprì il DNA ben 50
anni orsono. Secondo James, la stupidità non è causata né da bassi livelli di
istruzione, né dall'assenza di stimoli nell'infanzia: si nasconde proprio nel profilo
genetico dell'uomo. Per questo grazie alle nuove tecnologie genetiche tale imperfezione si
può e si deve sconfiggere, rimuovendo appunto il gene responsabile. Ma passiamo dalla
teoria alla pratica.
Sono 2 miliardi i bambini nel mondo. 150 milioni soffrono la fame, 120 milioni non
frequentano la scuola, 10 milioni muoiono per malattie incurabili, 13 milioni sono orfani
a causa dell'aids, in 600.000 sono stati contagiati nel 2000 dal virus dell'hiv.
Negli ultimi 10 anni la mortalità infantile è fortemene diminuita in alcuni paesi poveri
del pianeta, dove si nutrono meglio che in passato, sono tutti vaccinati contro tetano e
morbillo e hanno finalmente accesso a fonti di acqua potabile. Non solo, nel 1988 i casi
di poliomielite sono scesi del 99 per cento e ci sono oggi più allievi nelle scuole che
in qualsiasi altro periodo della storia. Tuttavia assieme a questi dati buoni ve ne sono
altri invece molto più cattivi. Per esempio un bambino ogni dodici muore prima di aver
compiuto il quinto anno di età, nei paesi in via di sviluppo lavorano 250 milioni di
piccoli schiavi tra i 5 e i 14 anni, 150 milioni di piccoli soffrono la fame e un milione
e mezzo di ragazzi sotto i 15 anni è stato infettato dall'hiv. Ma non è finita qui,
infatti nel prossimo anno 26 bambini su 100 non riceveranno alcuna vaccinazione, 30
soffriranno di malnutrizione, 19 non avranno accesso all'acqua potabile, 17 su 100 non
frequenteranno mai la scuola e la nascita di 40 bambini su 100 non verrà mai registrata.
Il che equivale a dire che queste creature non esisteranno, non avranno quindi una
nazionalità, né dei documenti, né un'identità ufficiale.
A fronte di tutto questo l'Unicef ha promosso una sezione speciale sull'infanzia proprio
per fronteggiare queste emergenze, assieme all'Onu, a vari governi e a un migliaio di
associazioni che si occupano dell'infanzia nel mondo. Nel 1990 si svolse un sammit
dell'infanzia di storica importanza, durante il quale i leadres mondiali inserirono nei
loro programmi politici le questioni che riguradavano i bambini più diseredati. Furono
adottate una serie di misure che si prefiggevano traguardi precisi da realizzare in un
periodo di tempo determinato, destinati a garantire la salute e la sicurezza dei più
piccoli. In quell'occasione fu anche lanciata la campagna destinata a ratificare
l'attuazione della Convenzione dei Diritti dell?infanzia, approvata dall'Onu l'anno
precedente. La sessione speciale riunitasi quest'anno, e siamo alla fine del 2003, dovrà
stabilire quanti di questi impegni sono stati in raltà mantenuti. Sappiamo infatti sin
troppo bene che sia i governi sia le organizzazioni umanitarie talvolta non si comportano
nel migliore dei modi, e ovviamente quando si riuniscono per parlare dei problemi dei più
poveri spendono cifre enormi in pranzi e cene, per non parlare poi degli stipendi
astronomici degli stessi funzionari. Per cui....!
La gente comune nel frattempo dorme e segue le vicende dei vips o degli sportivi,
rabbonita e rimbecillita dai mass media e da qualche prete di turno. Così i potenti,
approfittando del sonno, gli sfilano il portafoglio di tasca. I politici. I sindacalisti.
I banchieri, e persino i bancari. I giornalisti, soprattutto. Gli imprenditori. I
funzionari del fisco. Quelli che contano, insomma, i quali, conta di qua, conta di là,
alla fine si contano allegramente i soldi della povera gente.
Per fare questi filantropici lavori e per amministrare il bene pubblico ci sono infatti
schiere di burocrati, di politici e di funzionari vari che in santa alleanza con la
chiesa, con le banche, con le organizzazioni non-profit e con gli imprenditori di ogni
settore guadagnano una marea di soldi alle nostre spalle e il più delle volte invece di
fare le cose per lo meno nel migliore dei modi, riescono a rovinare sia l'ambiente sia un
mucchio di persone, mandando come al solito tutto a puttane, categoria che del resto non
fa altro che aumentare.
Così spesso accade persino che i soldi dati in beneficenza vadano ad arricchire altre
persone, e che i bisognosi, quelli veri, magari son ancora lì che aspettano. I soldi
stanziati per i terremotati? Arrivano iper-ridotti dopo 5 anni. Gli alluvionati in
Bangladesh? Mai visto una lira. Gli aiuti per l'Iraq, e chi ne sa qualcosa. E allora, la
domanda nasce spontanea: dove finiscono 'sti soldi? Fatevi un giretto alla Fao: stanze e
stanzette con opere colossali. Le organizzazioni che fanno? Si spacciano come
infinitamente buone, ma il loro unico scopo è aiutare se stesse. Cene sontuose, convegni
con cartelle scopiazzate, missioni impossibili costate miliardi per risolversi con un buco
nell'acqua (magari era anche un'opera per combattere la sete). Ai poveri destinatari non
arriva niente, perché i soldi spariscono in bilanci supergonfiati e in voci degli
straordinari da brivido: "Mi scusi, ma in questo bilancio ci sono 5 miliardi che non
tornano... Mah, saranno le spese varie." Già, le spese varie negli atelier. E
ancora, avanti con le opere di spreco: si vuol costruire un ospedale in Ruanda? Ecco i
soldi. Ma, una volta terminato, ci si accorge che quei poveracci non possono utilizzare le
attrezzature troppo complicate, e che non sono in grado di aggiustarle... Tutti soldi
sprecati. Tutto questo e latro ancora è stato per esempio denunciato da un giornalista,
tale Mario Giordano che ne ha per tutti: non si salva nessuno! Pavarotti&Friends,
Missione Arcobaleno, la Fao, la Croce Rossa, le Ong e le imprese no profit. Organizzazioni
che aiutano esclusivamente loro stesse, pagando profumatamente i loro impiegati, che
vivono nel lusso più sfarzoso. Il convegno per la fame nel mondo? E' seguito da una mega
abbuffata con prelibatezze, e le varie fondazioni in fin dei conti spesso non sono altro
che artifici per scaricare le spese e farle rientrare dal buco della serratura come
rimborsi più che meritati per mantenere ad oltranza un solo e vero alibi, la stupidità
della specie, ovviamente. E così come i giullari di corte sono autorizzati a raccontare
l'imbecillità del loro re, così anche i sicofanti del potere fanno lo stesso,
guadagnando per l'impegno, svariati miliardi di lire, naturalmente. E la gente è
contenta, la maggior parte dorme, quelli un po' più svegli sono contenti perché c'è
gente che denuncia la triste realtà, già poi non cambia niente lo stesso, e infine per
quelli che hanno un minimo di genialità non resta che la speranza di un futuro migliore o
la scoperta di qualche cura genetica per eliminare il peggiore di tutti i virus, quello
della stupidità universale.
I casi di mal governo, mal affare, corruzione e impiego pazzoide delle risorse finanziarie
di un paese o di un'organizzazione non si contano di certo, ce ne offre un altro esempio
il politico Raffaele Costa che ha analizzato e raccolto 110 casi in cui è stato coinvolto
il ministero degli Esteri nell'ambito di spese ingiustificate, anche legali, interessi
maturati per mancati pagamenti e danni miliardari sborsati dallo Stato. Nel mirino
dell'onorevole di Mondovì la Cooperazione allo sviluppo e gli aiuti ai paesi del Terzo
Mondo. Qualcosa evidentemente è andato storto nei rapporti fra lo Stato e le ditte
operanti all'estero per costruire opere, vendere merce, offrire tecnologia e servizi. Ma
non è stato un caso, era la prassi. Lo dimostrano gli atti giudiziari della Farnesina nei
quali si vede uno Stato sommerso dalle vicende giudiziarie o arbitrali e costretto a
risarcire denari che si sarebbero potuti risparmiare. La denuncia è bi-partisan, tocca
cioé tutti gli schieramenti (dal 1993 a oggi si sono avvicendati nei palazzi del potere
centrosinistra, centrodestra e i governi tecnici) e non coinvolge direttamente ministri ma
soprattutto funzionari, per dirla con un eufemismo, poco attenti a risparmiare e anzi
dediti a male amministrare il denaro pubblico. Anche le leggi ci hanno messo del loro:
«Leggi burocratiche assurde, controlli complessi ma inutili, appalti sbagliati,
disinteresse che - spiega Costa - hanno generato un'alluvione di sprechi».
L'onorevole punta il dito su vicende di ordinaria amministrazione che a tratti sfiorano il
grottesco. Come quella donazione di aerei che il Governo italiano volle fare alla Somalia
nel 1986 e che le autorità locali rifiutarono chiedendone la rimozione. Un diniego
costato 110 milioni di cui 29 in interessi per l'affitto di hangar e spese varie. Sono
soltanto briciole se si considera la storia del mulino costruito in Guatemala il cui conto
arrivò dal 1987 al giugno 2002 a 6,2 miliardi di lire (di cui 4 soltanto di interessi
maturati in 15 anni). Le cifre salgono in Senegal dove un piano di sviluppo da 25 miliardi
ne costa 39 (13 per interessi e 1 per spese arbitrali) o ancora in Somalia dove un primo
pagamento di 18 miliardi di lire a un consorzio viene effettuato, ma la ditta richiede una
revisione dei prezzi che comporta un aggravio di spesa di 16 miliardi di cui 7 per la
revisione e 9 per i soliti interessi. E si potrebbe continuare con l'acquedotto
dell'Angola costato un terzo in più rispetto al previsto per i ritardi nei pagamenti, con
l'iniziativa di cooperazione e sviluppo in Camerun costata 6 miliardi sui 3 preventivati.
BOB GELDOF DENUNCIA. ITALIA
ULTIMA NEGLI AIUTI. Il cantante accusa. Roma è indietro rispetto alle
promesse per l'Africa fatte al G8 nel 2005.
LONDRA. Un anno dopo l'impegno solenne preso dai paesi del G8 per salvare
l'Africa da povertà, malattie, sottosviluppo, un Paese si distingue dagli
altri per l'inadempienza rispetto alle promesse: l'Italia. Questo,
perlomeno, afferma Bob Geldof, il cantante irlandese che l'anno scorso
organizzò il megaconcerto planetario "Live8" e la concomitante campagna di
pressioni sui leader degli otto Paesi più ricchi della Terra, riuniti in
Scozia per il loro summit annuale, affinchè promuovessero un'iniziativa
globale in soccorso del continente nero. Dodici mesi più tardi, un rapporto
redatto da «Data», l'organizzazione che si batte per la cancellazione del
debito, la lotta all'Aids e la fine delle sovvenzioni agricole che
danneggiano l'Africa, fa il punto su quanto gli Otto Grandi si erano
impegnati a fare e quanto hanno fatto. «Le promesse non sono state mantenute
o sono state solo parzialmente mantenute», riassume Geldof citando le cifre
del rapporto e chiamando in causa in particolare il nostro Paese.
«L'Italia è così indietro nell'incremento degli aiuti che non ho idea di
come farà a rientrare in linea con gli impegni presi», accusa il cantante,
che lo scorso dicembre finì sulla copertina del settimanale Time nsieme a
Bill e Melinda Gates come «personaggi dell'anno» per il lavoro compiuto in
favore del Terzo Mondo. Secondo il rapporto, entro fine anno l'Italia
dovrebbe mettere a disposizione dell'assistenza allo sviluppo dell'Africa
qualcosa come 800 milioni di euro in più. Altre nazioni del G8 che non hanno
fatto abbastanza in questo campo sono la Germania e il Canada. «Le promesse
fatte dai
Paesi più ricchi ai Paesi più poveri sono le più sacre», commenta Geldof,
«se non manteniamo gli impegni presi, uccideremo quei Paesi»
Mentre sul fronte della cancellazione dei debito i Paesi industrializzati
stanno rispettando gli obiettivi che si erano fissati, un altro campo di
inadempienza è quello dell'introduzione di regole commerciali più eque nei
confronti dell'Africa: anche qui il primato negativo, secondo «Data», va
all'Italia, che insieme alla Francia rappresenta l'ostacolo maggiore
all'eliminazione delle sovvenzioni agricole alle esportazioni, sovvenzioni
che i leader del G8 si erano impegnati ad abolire entro il 2013. Gli Otto
dovranno fare di più, infine, anche per la lotta all'Aids in Africa, dove si
sono compiuti progressi, ma gli sforzi dovrebbero ora raddoppiare per
raggiungere il target stabilito: in questo campo Stati
Uniti, Gran Bretagna e Francia guidano i finanziamenti, mentre Italia,
Canada, Giappone e Germania - conclude il rapporto - forniscono meno della
quota equa di finanziamento. Enrico Franceschini La Repubblica
L'Italia è la maglia nera degli aiuti allo
sviluppo. Donazioni ai minimi: nel 2004 erano lo 0,15% del Pil. Ultima tra i
22 paesi Ocse del gruppo per lo sviluppo. Unico stato europeo a non essersi
avvicinato agli obiettivi di Barcellona dello 0,33% del Pil entro il 2006.
L'accordo europeo prevede che il 50% degli aiuti sia destinato all'Africa:
attualmente l'Italia ne da solo il 35%.
Il fronte commerciale dei rapporti ricchi-poveri è un teatrino, con al
centro temi come i sussidi all'agricoltura. La vacca francese costa 2,5
dollari al giorno al contribuente europeo, quelle americane arrivano anche
fino a 5, mentre il nordafricano, al giorno di dollari ne guadagna 1 se va
bene.
Bob Geldof
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virtuosi di filantropia pragmatica! |