Può la filosofia
curare e lenire il malessere dell'anima oltre che i tormenti della vita? E'
questa la motivazione da cui muove la consulenza filosofica, la quale, tra
singoli, aziende e laureati aspiranti a farne una professione, sta
diventando anche in Italia un fenomeno sempre più significativo. Se lo
chiede anche Pier Aldo Rovatti, professore di Filosofia contemporanea a
Trieste nel suo libro La filosfia può curare?
Rovatti (già collaboratore del padre dell'antipsichiatria italiana, Franco
Basaglia) stigmatizza la cultura e la società forzatamente terapeutiche
nelle quali siamo immersi, e scrive un manifesto foucaultiano contro quella
vera e propria "ideologia angloamericana" che vede l'uomo, sempre e comunque
come un malato psichico. Compiti della filosofia sono, dunque, ancora una
volta, il disvelamento e la lotta. (Vedi apocalisse e logica, verità e
disvelamento). Solamente una consulenza filosofica allevata alle armi della
critica e alla scuola del sospetto (e non il pallido e inoffensivo
counselling adottato dalle leadership aziendali) può avere un senso e
risultare benefica. Assumendo le nozioni di "spaesamento" e di "rischio" non
quali malattie, ma come la "paradossale" cura, essa diventa così capace di
combattere la sorveglianza normalizzatrice istituita dai tanti poteri
ordinatori per sterilizzare la critica dell'esistente. Un piccolo libro
coraggioso, sotto il segno di Socrate, contro i dispositivi disciplinari e
soffocanti della cultura economicistica e dell'università odierna, con il
ritmo di quella "respirazione-contro" che è la politica, e l'anima, del fare
filosofia.
Guarigione
Vana è la parola di un filosofo che non guarisce l'uomo che soffre. Perché
come a nulla vale la medicina se non scaccia la malattia dal corpo, anche la
filosofia a nulla serve se non elimina la sofferenza dalla mente.
Epicuro
Sviluppo delle potenzialità dell'essere umano
Avendo compreso che la vita umana è piena di sofferenza, un filosofo degno
di tale nome - così come un medico degno di tale nome - tenterà di tutto per
curarla. L'obiettivo della ricerca medica è la guarigione. Allo stesso modo,
l'obiettivo della filosofia è quello di far sbocciare l'essere umano in
quanto tale.
Martha Nussbaum
Raggiungere
Nell'infinita vastità del tempo, la vita tende in avanti e in progressione
verso l'alto, partendo dagli organismi unicellulari fino ad arrivare
all'uomo; non si può negare che l'umanità abbia ancora infinite possibilità
di ulteriore perfezionamento.
Thomas Mann
Emancipazione
La vita è piena di un potenziale davvero imperscrutabile ... nella maggior
parte dei casi, i nostri cosiddetti limiti non sono altro che la nostra
stessa decisione di limitarci.
Daisaku Ikeda
Risveglio
Ciò che si trova alle nostre spalle e ciò che ci attende sono ben poca cosa
a confronto di ciò che si trova dentro di noi.
Ralph Waldo Emerson
Utilità
La filosofia riacquista la sua vera natura allorché smette di essere uno
strumento che si occupa dei problemi dei filosofi e inizia a diventare un
metodo - coltivato dai filosofi - per occuparsi dei problemi degli uomini.
John Dewey
Purificazione
Tutti i fenomeni dell'esistenza hanno come precursore la mente, la mente
quale capo supremo, e di mente sono fatti. La felicità segue come un'ombra
chi parla o agisce con mente pura: un'ombra che non lo lascia mai.
Buddha
Essere
Non avere paura della vita. Se credi che la vita sia degna di essere
vissuta, questa tua convinzione ti aiuterà a realizzarla pienamente.
William James
Agli inizi del '900 Max Stirner fu scoperto come
precursore di Nietzsche. Un pensatore eccentrico, inclassificabile, un
maledetto.
Stirner non ebbe fortuna nella vita, dopo gli studi a Berlino dove ascoltò
le lezioni di Hegel, per qualche anno insegnò latino in un collegio
femminile. Dal 1842 prese a frequentare il circolo bohémien dei "Liberi", e
alla fine si ridusse a sbarcare il lunario come traduttore. Ormai
abbandonato e incupito morì nel 1856 per un'infezione causata da una puntura
di insetto. Fu John Henry Mackay, scrittore tedesco di origini scozzese,
pioniere nella rivendicazione del diritto all'omosessualità (Stirner fu
sposato due volte, quindi questo non c'entra), che alla fine dell'ottocento
si mise sulle sue tracce. Ritrovò la sua tomba, recuperò i pochi documenti
rimasti e nel 1898 pubblicò la biografia che è a tutt'oggi la principale
fonte di informazione.
Ma perché Stirner fece tanto scandalo? Aveva spinto l'esercizio della
critica filosofica all'estremo e insegnava, con i sofisti, che
l'intelligenza non si ferma davanti a nulla: non c'è idea, concetto o tesi
che resista a un'interrogazione veramente radicale. Nello stesso tempo
sapeva, con gli scettici, che in una simile situazione il cuore non si
lascia muovere più a nulla. Stirner non tollera usurpatori dell'inalienabile
diritto dell'individuo ad autodeterminarsi. Non il vecchio Dio della
teologia tradizionale, ma nemmeno i suoi surrogati filosofici moderni: lo
Spirito di hegel e l'uomo di Feuerbach. E tanto meno le forme secolarizzate
sotto le quali si ripresentava il vecchio bigottismo, né i valori astratti
di cui si servono il perbenismo e la retorica politica. Essi producono
soltanto uomini schiavi e assoggettati, perché tolgono all'Io il coraggio di
essere sé stesso. Sua opera principale L'unico e la sua proprietà 1844,
subito proibita perché recava offesa a Dio, a Cristo, alla Chiesa e alla
religione in generale.
Cos’è la consulenza filosofica?
La consulenza filosofica è una disciplina di recente origine ma ormai
diffusa in molti paesi del mondo. Nasce in Germania nel 1981, per iniziativa
del filosofo Gerd Achenbach, il quale, lamentando il distacco della
filosofia praticata nelle Università dalla vita reale e dagli uomini che la
animano, rivendica il ruolo "pubblico" svolto dalla filosofia nell’antica
Grecia, ove essa si occupava anche della saggezza, ossia del modo in cui
ciascun uomo può condurre la propria vita, e veniva considerata una
disciplina "pratica". Assumendo Socrate ed il suo dialogo "maieutico" come
modelli di riferimento e criticando l’atteggiamento "medico" di gran parte
delle psicoterapie ed in particolare della psicoanalisi, Achenbach rivaluta
l’approccio umanistico, empatico e "comprensivo" della relazione d’aiuto, ed
apre il primo studio al mondo di quella che egli definisce "Philosophische
Praxis", in seguito denominata anche pratica o consulenza filosofica. Lo
scopo è offrire un servizio alternativo a quello delle psicoterapie a tutti
coloro che, bisognosi di sussidio e collaborazione per affrontare problemi
esistenziali, morali, decisionali, siano ciononostante fondamentalmente
"sani", cioè non affetti da psicopatologie quali psicosi o nevrosi.
A seguito del notevole successo dell’iniziativa, in pochi anni la pratica si
è estesa dalla Germania (ove oggi esistono oltre cinquanta studi) a molti
altri paesi, come Olanda, Gran Bretagna, Francia, Norvegia, Austria,
Svizzera, USA, Canada, Australia, Sud Africa, Israele, Giappone.
Per indicare gli ambiti e le situazioni in cui la consulenza filosofica
risulta particolarmente opportuna, si possono citare le parole di Lou
Marinoff, presidente della maggiore associazione statunitense di consulenti
filosofici, il quale la ritiene adatta per "fronteggiare dilemmi morali,
conflitti etico-professionali; per riconciliare l'esperienza con le
credenze, i conflitti tra ragione ed emozione, le crisi di significato,
scopi e valori; per favorire la ricerca di identità personale, di strategie
nelle relazioni familiari; per superare l’ansia dovuta al cambio di un
lavoro, l’incapacità di ottenere i propri obiettivi, la crisi di mezza età,
le difficoltà relazionali; per affrontare la morte di una persona amata o la
difficoltà a vivere la propria mortalità".
La consulenza filosofica è in genere più breve ed assai meno "invadente" di
una psicoterapia, proprio perché non opera con tecniche psicologiche, non si
occupa di inconscio e non ricerca nel passato le "cause" del "sintomo", ma
guarda al futuro lavorando razionalmente e realisticamente sul presente.
Perché cercare consulenza da un filosofo?
Ogni uomo, indipendentemente dalla sua cultura e dall’estrazione sociale, ha
una propria "visione del mondo", attraverso la quale interpreta la realtà
che lo circonda, reagisce ad essa, la giudica, vi interviene: essa
costituisce la sua filosofia personale, diversa per ciascun individuo e
sempre in evoluzione.
La complessità delle società moderne rende sempre più difficile il
conseguimento di visioni della realtà sufficientemente comprensive e
coerenti da permettere a ciascun individuo di affrontare con sicurezza la
"sfida" della libertà: scegliere ogni volta in modo pienamente autonomo,
senza affidarsi ad i sempre più deboli principi d’autorità (famiglia,
religioni, ideologie politiche). Ne seguono sempre più frequentemente dubbi
e incertezze, spesso causa di insicurezza e stati di crisi.
Di fronte alle difficoltà esistenziali, c’era finora una sola possibilità:
rivolgersi ad uno psicoterapeuta. Se però il disagio ha radici nel modo in
cui si interpreta la realtà, se le origini di dubbi e prostrazioni si
trovano nella propria filosofia personale, non sarà opportuno rivolgersi ad
un "medico" che cerchi una "cura", bensì ad un esperto nell’elaborazione
delle idee e dei pensieri, che cerchi di far luce e chiarezza sui complessi
rapporti che intercorrono tra interpretazione del mondo e scopi, valori e
significati, concetti e aspettative.
L‘esperto in questo settore è appunto il filosofo. Egli instaura con il
consultante una relazione dialogica che mira ad esplorarne e chiarirne la
"filosofia personale", rispettandone però esigenze e priorità. Egli non ha
modelli di "salute" o di "normalità", non lavora sull’inconscio, sulla
psiche o sulla biografia della persona che lo consulta: la aiuta,
facilitando la comprensione della sua stessa visione della realtà,
contribuendo ad una riflessione su di essa ed a una sua migliore
rielaborazione.
La consulenza secondo i consulenti
"Il filosofo professionale non è necessariamente chiamato a rendere migliori
le cose o ad aiutare a eliminare i problemi, ma piuttosto a renderli
comprensibili nella loro complessità, in modo che l’altro possa vivere con
essi, piuttosto che contro o a dispetto di essi"
Petra Von Morstein, consulente filosofico canadese
"Come esperto nell’interpretazione delle visioni del mondo, il consulente
filosofico aiuta i consultanti a scoprire i diversi significati che sono
contenuti nei loro modi di vita ed esamina criticamente quegli aspetti
problematici che rappresentano le loro difficoltà. Egli non offre teorie, ma
piuttosto pratiche e strumenti per analisi concettuali, problematizzazioni,
individuazioni di assunti nascosti, descrizioni, distinzioni, indicazioni di
rapporti. Tali strumenti possono aiutare i clienti ad esaminare le loro
della realtà criticamente ed a rivederle"visioni
Ran Lahav, consulente filosofico israeliano
"L’obiettivo del consulente filosofico non è semplicemente rendere felici e
soddisfatti i propri clienti, ma piuttosto chiarire e migliorare le loro
idee e visioni del mondo attraverso un processo di riflessione critica. Si
assume che tale riflessione possa spesso portare ad una soluzione dei
problemi dei clienti, e che da ciò possano scaturire anche soddisfazione e
felicità; ma il consulente filosofico si concentra sull’analisi delle
visioni del mondo associate ai problemi esistenziali del cliente, non sui
problemi stessi. I consulenti filosofici possono approntare servizi unici e
di gran valore – l’analisi critica di idee e visioni del mondo problematiche
– ma la consulenza filosofica non è psicoterapia o consulenza spirituale"
Roger Paden, consulente filosofico americano
MALATTIA O MAL-ESSERE?
«È peculiare della natura stessa degli uomini la curiosità sulle cause degli
eventi ai quali assistono: alcuni lo sono di più, altri di meno, ma tutti
provano la stessa, identica curiosità nel ricercare le cause della propria
fortuna o sfortuna.»
- THOMAS HOBBES -
«La cosa importante è non smettere mai di porsi domande.» - ALBERT EINSTEIN
-
Quali Grandi Domande ti sei posto o ti porrai oggi? In ogni fase della
nostra vita ci facciamo domande importanti che hanno come oggetto noi stessi
e gli altri, i nostri problemi e quelli degli altri, il mondo, nella sua
vastità, e l'universo, ancora più immenso, il significato e lo scopo della
nostra esistenza. Formuliamo domande sul passato, sul presente e sul futuro.
Esaminiamo ogni argomento possibile e immaginabile. Gli esseri umani
vogliono e hanno bisogno di dare un senso a ciò che capita loro, o ciò che a
loro non capita, sia nell'ímmediato, sia nel corso del tempo.
La capacità di ricerca è il principale strumento che noi uomini abbiamo a
disposizione per raggiungere questo obiettivo. Nei momenti difficili o di
sofferenza la gente pone una quantità di domande ancora maggiore: più è
complicata la situazione, più le domande si fanno pressanti. Ma, per ironia
della sorte, proprio le domande che ci stanno più a cuore sono anche quelle
a cui è più difficile dare una risposta.
È a questo punto che può entrare in gioco la filosofia. Ma attenzione, per
"filosofia" non intendo soltanto lo studio di idee astratte, uno studio fine
a se stesso, un valido esercizio per gli accademici che amano dibattere e
sviscerare ogni teoria. La filosofia può fornire un grande aiuto anche alla
gente comune, applicando idee utili ai problemi concreti della vita.
Quando un collega americano che lavorava in Asia senti parlare per la prima
volta della pratica filosofica, esclamò: «Sembra proprio buon senso, della
migliore specie». Ed è proprio così. Presumibilmente hai già una buona dose
di buon senso e questo è il motivo per cui ti ritrovi a leggere questo
libro. Ora sei pronto per compiere un ulteriore passo avanti.
I filosofi non smettono mai di chiedere, di indagare, di pensare: (nettiamo
in discussione tutto ciò che ci circonda. Non diamo nulla per scontato.
Ripeto sempre ai miei studenti che non esiste una domanda stupida in sé, ma
naturalmente, se la poni agli altri, riceverai inevitabilmente una serie di
risposte stupide. Porre domande in maniera efficace e ottenere le risposte
giuste è un'arte vera e propria che, spesso, dipende proprio dalla capacità
di rivolgere la domanda adeguata. Se hai bisogno di rivolgere o di risolvere
una Grande Domanda della tua vita, questo libro ti aiuterà ad avvicinarti
alle idee di grandi filosofi del passato e del presente. Ti mostrerà come la
filosofia può cambiarti la vita, trasformando il tuo mal-essere in
ben-essere. Non soltanto in teoria, ma anche in pratica. In ogni capitolo
sono esposte storie che illustrano come i consulenti filosofici aiutano i
propri clienti ad affrontare le Grandi Domande che li tormentano. E ogni
capitolo termina con esercizi filosofici che potrai fare per progredire nel
cammino verso il benessere.
Ho selezionato le "Grandi Domande" in base agli argomenti più importanti con
i quali la gente si confronta e, naturalmente, alla mia esperienza
quotidiana. Questo capitolo illustra l'approccio alla pratica filosofica.
Nella parte II, ogni capitolo è dedicato a una Grande Domanda: Come fai a
sapere ciò che è giusto? (cap. 2), Ti guida la ragione o la passione? (cap.
3), Se vieni offeso, ti senti ferito? (cap. 4), È proprio necessario che tu
soffra? (cap. 5), Cos'è l'amore? (cap. 6), Perché non possiamo andare tutti
d'amore e d'accordo? (cap. 7), Qualcuno può vincere la "guerra dei sessi"?
(cap. 8), Chi comanda qui: noi o le macchine? (cap. 9), Sei un essere
spirituale? (cap. 10), Sei in grado di gestire un cambiamento? (cap. 11). La
parte III offre consigli concreti, affinché tu possa costruire la tua
filosofia di vita. La parte IV infine, contiene fonti aggiuntive, una "hit
parade" dei filosofi citati nel libro e un elenco dei consulenti filosofici.
Prima che la filosofia possa aiutarti a cambiare vita, è necessario che ti
ponga onestamente una Grande Domanda: soffri a causa di una malattia fisica
o a causa di un malessere? Scopo di questo capitolo è quello di aiutarti a
comprenderne la differenza. Credimi, è importante.
Cos'è normale?
«Prima, quando la religione era forte e la scienza debole, l'uomo scambiava
la magia per medicina;
ora che la scienza è forte e la religione debole, gli uomini scambiano la
medicina per magia.»
- THOMAS SZASZ -
La medicina e la scienza si occupano di mantenere lo stato di salute, di
curare le ferite e le malattie. Ma cos'è la malattia? In genere si tratta di
qualcosa che colpisce il corpo interferendo con le sue normali funzioni o,
addirittura, bloccandole. La maggior parte delle persone può snocciolare
l'elenco completo delle proprie malattie infantili: morbillo, orecchioni,
varicella... per non dire dei normali raffreddori. Molti si trovano a fare i
conti con una serie di malattie ben più temibili: la maggior parte di noi
conosce qualcuno che ha lottato contro il cancro, contro un infarto, contro
il morbo di Alzheimer, e via dicendo. Tutti siamo destinati a morire di
"qualcosa" e, in linea di massima, questo "qualcosa" si rivela essere una
malattia, o complicazioni che da essa scaturiscono.
La "normalità" è definita in parte dalle norme sociali e in 1parte da quelle
biologiche. Se, ad esempio, soffri regolarmente di allucinazioni - vale a
dire se vedi e senti cose che nessun altro riesce a vedere e a sentire -
probabilmente verrai definito psicotico" e ti verrà diagnosticata una
malattia psichiatrica.
Ma, se vedi cose che nessun altro vede e le immortali in un film, o se odi
note che nessun altro ode e le trasformi in una sinfonia,
allora sei un regista o un compositore. Se sei in grado di controllare il
fermento della tua mente tanto da estrapolarne bellezza e chiarezza,
potresti addirittura vincere il premio Nobel, proprio come è successo a John
Nash. E ancora, se hai delle allucinazioni in un diverso contesto sociale,
potrebbe dipendere dall'assunzione di sostanze stupefacenti, oppure potresti
essere lo scíamano della tua tribù. La morale di queste osservazioni è
semplice: in base alle circostanze sociali, ciascuna di quelle che noi,
oggi, definiamo "malattie mentali" può essere considerata, invece, una
manifestazione del tutto normale. Ma questa morale è anche a doppio taglio:
se, infatti, le circostanze sociali sono, per così dire, "aggiustate", molti
problemi che malattie non sono, rischiano di essere "diagnosticati" come
tali. E questo è estremamente grave, oltre che potenzialmente pericoloso.
Faccio un esempio: se vivendo all'interno di quel paese avessi denunciato le
storture dell'Unione Sovietica, avresti potuto essere confinato in un
ospedale psichiatrico, anziché in una prigione politica. Perché? Perché il
Partito aveva dichiarato l'Unione Sovietica un "paradiso dei lavoratori". E
chiunque obietti a vivere in un paradiso è, ovviamente, pazzo. Logico, ma
naturalmente il fatto che una massa di persone chiami ogni giorno "paradiso"
quello che, in realtà, è l'inferno o il purgatorio, non lo rende tale.
L'esempio è emblematico di come la pratica medica possa essere utilizzata in
maniera distorta, come mezzo di controllo sociale o politico.
Un'altra considerazione: alla fine del xix secolo, tutti coloro che
chiedevano di lavorare nel settore dei servizi pubblici nello Stato di New
York dovevano sottoporsi a esami frenologici. La frenologia è una scienza
che individua i tratti della personalità delle persone localizzando diversi
rilievi sul cranio. Un rilievo dietro l'orecchio sinistro significa
presumibilmente che sei coraggioso; uno dietro l'orecchio destro significa
che sei egoista. Su questa base assolutamente aleatoria, localizzando i
rilievi su tutto il cranio, sono stati "mappati" dozzine di tratti
caratteriali. Ma la frenologia si è rivelata una scienza estremamente
inaffidabile; per fortuna ha avuto vita breve anche la sua possibilità di
esercitare un controllo a livello politico e sociale. Facciamo ancora un
esempio: supponi di avere avuto una brutta esperienza nella vita, che ti ha
segnato profondamente. Potresti essere stato rapinato, picchiato o aver
subito uno stupro. Potresti essere rimasto vittima di un grave incidente
stradale, essere stato attaccato da un animale pericoloso o aver vissuto un
combattimento o un'altra situazione nella quale hai rischiato la vita. Se
sei ancora tormentato dal passato, ti potrebbe venire diagnosticato un
disturbo post-traumatico da stress (PTSD, Post-traumatic stress disorder).
Sembra grave, vero? Ma cosa significa esattamente? Significa semplicemente
che il passato ti tormenta ancora. Cioè che ti tormentano i ricordi, i tuoi
sentimenti nei confronti del passato stesso, le tue
domande, nonché il tuo legittimo desiderio di fartene una ragione, dettato
dall'istinto di autoconservazione. Da quando in qua i ricordi si trasformano
in una malattia che ha bisogno della diagnosi di un medico e dell'intervento
di psicologi? È questa la migliore spiegazione che sanno darti? I filosofi
possono fare al
trettanto, se non meglio! Tutti hanno ricordi - brutti e belli - ma forse
c'è bisogno di affrontarli con un approccio diverso. Il disturbo
post-traumatico da stress è una malattia vera e propria? O è semplicemente
un malessere? Il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico) dell'American
Psychiatric Association
la classifica come malattia". Una volta che qualsiasi malessere viene
definito -"malattia", alloraa psichiatri e psicologi clinici sono in grado
di diagnosticarlo. Ebbene sì, le "malattie" classificate all'interno del DSM
vengono "elette in maniera democratica".
L'assistenza sanitaria pretende che i terapeuti della parola facciano delle
"diagnosi", altrimenti le assicurazioni sanitarie non rimborseranno mai le
loro prestazioni. Quindi, se vogliono continuare a percepire uno stipendio,
sarà meglio che trovino qualche "malattia".
Il disturbo post-traumatico da stress è perfetto allo scopo. Copre un
terreno molto vasto: tutto il tuo passato. Tanto più sei avanti con gli
anni, maggiori probabilità avrai di scoprire che hai dei problemi.
Tutti hanno un passato, quasi tutti rimpiangono di aver fatto o di non aver
fatto alcune cose, tutti sono in grado di ricordare episodi lieti o
dolorosi. In qualità di consigliere filosofico preferirei dire che chiunque
sia tormentato dal proprio passato ha un malessere, non necessariamente una
malattia. Curare una malattia come se fosse un malessere è un errore; curare
un malessere come fosse una malattia è un altro errore. Come si fa a
distinguerli? Non sempre è facile, proprio come l'arte di vivere bene.
Tu sei responsabile di te stesso e tocca a te trovare l'aiuto giusto per
risolvere la tua situazione.
La cura migliore, ovviamente, varia di volta in volta; deve adattarsi al
singolo caso. Informati. Consulta un medico e assicurati che, dal punto di
vista medico, sia tutto a posto. Consulta uno psichiatra, uno psicologo, uno
psicoterapeuta, un assistente sociale o un consulente filosofico e chiedi
anche la loro opinione. E poi - perché no? - chiedi anche a qualcuno di cui
ti fidi, ad esempio tua nonna o il tuo guru. Fatti leggere i tarocchi. Ma
ricorda una cosa: proprio come in un tribunale sei ritenuto innocente fino a
prova contraria, devi essere ritenuto stabile, funzionale e mentalmente sano
fino a quando non vi saranno prove concrete del fatto che, nella condotta
personale e professionale, sei instabile, disfunzionale o matto. Negli
ultimi anni la presunzione di innocenza e di sanità mentale sono state
gravemente erose da forze politiche, sociali e commerciali che lavorano a
pieno ritmo per minare le tue libertà fondamentali. Per questo è molto più
difficile ottenere un'udienza imparziale in una corte legale, nonché
un'opinione sul tuo malessere da parte dei professionisti della "salute
mentale".
Ancora altri esempi: devi alzarti tutte le mattine per andare a lavorare?
Hai dei meeting o delle presentazioni o delle scadenze? Ti stai preparando
per un esame, per un colloquio di lavoro o per un appuntamento importante?
Stai attraversando un momento di difficile transizione, come ad esempio un
divorzio o un cambiamento di lavoro? Sei il genitore di un bambino o di un
adolescente che sta attraversando un momento difficile? Hai cercato di
evitare un confronto imminente con il tuo partner, con un collega o con il
capo? Stai ancora cercando di dare un senso agli attacchi terroristici? Se
uno di questi scenari ti causa una qualsiasi preoccupazione, allora si
suppone che tu abbia una "malattia", chiamata "Disordine generalizzato da
ansia" (Generalized Social Anxiety Disorder, GSAD), e il farmaco di sintesi
più utilizzato in questi casi è il Paxil.*
Questo farmaco viene pubblicizzato in prima serata, come una sorta di
panacea per la presunta "malattia" di chi ha una qualsivoglia preoccupazione
nella vita. Il presupposto da cui si parte è che se stai sperimentando un
qualsiasi malessere, allora sei affetto dal GSAD. In altre parole, si
presume che tu sia instabile, disfunzionale o peggio. Ma chi è che formula
questi giudizi a dir poco discutibili? Le compagnie farmaceutiche, che
guadagnano fior fior di quattrini semplicemente convincendoti che il tuo
malessere è, in realtà, una malattia. Questa non è scienza: sono affari. E
negli affari il cliente - in questo caso il paziente - deve fare molta
attenzione a tutelare se stesso.
In qualità di consulente filosofico, direi che è perfettamente normale avere
delle preoccupazioni in merito a eventi importanti della vita.
Per gli atleti e per gli attori, prima di iniziare una gara o una
rappresentazione, è del tutto normale avere le "farfalle nello stomaco". È
un buon segno: significa che sono coinvolti in ciò che fanno e che si stanno
preparando a dare il meglio di sé. Se non provassero nulla, significherebbe
che a loro non interessa proprio un bel niente di ciò in cui sono impegnati.
Ma se le "farfalle" svolazzano troppo, e si trasformano in un`ansia da
prestazione" - altro malessere da non confondere con una malattia - allora
gli attori hanno a loro disposizione una serie di opzioni: betabloccantl,
Ipnoterapla, psicoterapia, meditazione, yoga, bio-feedback e altre tecniche
di rilassamento. Ma il rimedio migliore, per ogni singolo caso e per ogni
singola persona, varia di volta in volta.
*Il Paxil è un farmaco in vendita sul mercato statunitense. Il suo principio
attivo è la Paroxetina. In Italia, i farmaci equivalenti in commercio sono
il Seurepin e il Seroxat.
E ciò che è meglio per il tuo particolare malessere dipende anche da te.
Quindi se ti accontenti di una diagnosi fatta in maniera superficiale dalla
televisione, buon per te e ancora meglio per le case farmaceutiche. Ma se ti
interessa davvero la tua vita, è inevitabile che sperimenti un po' di
disagio in previsione - e durante la preparazione - di eventi importanti.
Questa non è affatto una malattia: è una splendida opportunità! Le case
farmaceutiche giocano proprio sulla tua confusione: se sei in grado di
operare una distinzione fra malessere e malattia non avrai certo bisogno di
farmaci per affrontare le sfide quotidiane. Di cosa avrai bisogno, invece?
Di una filosofia di vita! E questo libro ti aiuterà a svilupparne una, o di
articolare meglio quella che hai già elaborato. La vita non è una malattia.
E le sue prove e le sue tribolazioni - per le quali a volte provi dei
malesseri - non ne sono affatto i sintomi.
Non fraintendermi. La ricerca medica finanziata dalle compagnie
farmaceutiche ha sviluppato alcuni farmaci "miracolosi" per guarire o
controllare vere malattie: concrete, reali, temibili. Ed è un bene che sia
così. Del resto, anche la Natura (che è farmacista e biochimico per
eccellenza) produce sostanze curative; purtroppo, però, molte di queste non
vengono nemmeno scoperte perché, stupidamente, continuiamo a distruggerne
gli habitat naturali. Alcune persone traggono real
mente beneficio da alcuni farmaci di sintesi, come il Prozac o il Paxil,
proprio come altre traggono enormi benefici da una gamma di rimedi naturali.
Ma una volta assodato che la chimica del tuo cervello è stabile e che sei
funzionale, hai pur sempre bisogno di una filosofia di vita per affrontare
tutto il malessere
che, inevitabilmente, incontrerai lungo il cammino.
Rifletti quindi attentamente sulla differenza che esiste fra malattia e
malessere. Se pensi realmente di essere malato, cerca allora di avvalerti di
tutto l'aiuto che la medicina è in grado di offrirti: esami, diagnosi e
cura. Ma se soffri di un malessere, che è una situazione di disagio a
livello conscio e non una di
sfunzione del corpo, cerca allora l'aiuto più appropriato anche per questo
caso: esamina il tuo modo di pensare e il tuo stile di vita. Trova un modo
per dare un senso alla tua situazione e applica i principi che ti aiuteranno
al meglio ad affrontarla. Questa viene chiamata "filosofia applicata".
Aristotele la chiamava phrónesis o saggezza pratica. (Serve anche la calma,
la conoscenza, il buon senso e la logica globale. Nota di C.W.Brown)
Non sempre ti sara póssi ile modificare le circostanze, ma potrai sempre
cambiare il modo di cui interpretarle. E il modo in cui le interpreti non è
altro che la tua filosofia di vita.
La domanda che ti pongo allora è: la tua filosofia di vita lavora per te,
contro di te o non funziona affatto? Se già funziona, bene: ma puoi farla
funzionare meglio. Se lavora contro di te, non va bene: ma puoi fare in modo
che inizi a lavorare per te. Se non funziona per nulla, è uno spreco, ma
puoi modificarla e farla funzionare.
Psichiatria, psicologia e filosofia
«Il medico cura, la Natura guarisce.»
- ARISTOTELE -
Queste tre discipline fanno luce sulla condizione interna dell'uomo, ma lo
fanno partendo da prospettive molto diverse. Ciascuna ha qualcosa di unico
da offrire per aiutare gli esseri umani e - a seconda della malattia o del
malessere - ciascuna può rappresentare, di volta in volta, la migliore fonte
di aiuto.
Ripeto che è compito specifico di chi cerca aiuto (ossia tu) scoprire qual è
il tipo di aiuto di cui ha bisogno. A volte è addirittura scontato. Ad
esempio, se hai mal di denti, ti rivolgerai a un dentista. Purtroppo, però,
i malesseri che permeano la vita non sono sempre così ovvi. Come fai a
sapere se l'aiuto migliore te lo può offrire uno psichiatra, uno psicologo o
un filosofo, o eventualmente un astrologo o un aromaterapeuta? A volte non
sai chi consultare, quindi vai a tentoni, commettendo degli errori.
Dal punto di vista filosofico, questo è un approccio empirico: hai bisogno
di imparare una lezione importante in base all'esperimento e all'esperienza.
Se trovi una disciplina risolutiva, le cui idee ti aiuteranno e guideranno,
probabilmente ne avrai cieca fiducia e la consiglierai ai tuoi amici. Dal
punto di vista filosofico,
questo è un approccio pragmatico: sei convinto da qualcosa perché hai visto
che, all'atto pratico, funziona.
Alcuni tipi di problemi possono essere affrontati da una sola persona in un
unico ambiente. Ad esempio un dentista e un suo assistente si prenderanno
cura del tuo mal di denti, mentre tu stai comodamente seduto su di una
poltrona e devi sopportare un piccolo disagio fisico.
Altri tipi di problemi, invece, possono richiedere la cooperazione di più
figure professionali. Ad esempio, se sei alle prese con un divorzio, puoi
aver bisogno dell'aiuto di un avvocato, di un commercialista, di uno
psicologo infantile, di uno psicoterapeuta, di uno psichiatra, di un
mediatore, di un sacerdote e di un filosofo, per non parlare del tuo
migliore amico o amica. E puoi trovarti nella condizione di sopportare un
notevole sconforto emozionale.
Ma se hai bisogno di parlare con qualcuno a proposito delle circostanze che
ti hanno portato al divorzio, cosicché te ne possa fare una ragione,
comprenderne significato, scopo e valore nella tua vita, allora un filosofo
può essere la guida ideale. Sin dall'antichità, infatti, e in tutto il corso
della storia, i filosofi hanno funto da guida per affrontare i malesseri
della vita; nel mondo di oggi, tuttavia, tendono a rendersi sempre meno
disponibili, a diventare inaccessibili e a non prendere più in
considerazione questi problemi di carattere pratico. Ma la gente sente la
mancanza del tipo di consiglio che i filosofi riescono a dare e delle
prospettive che possono offrire. Così, negli ultimi decenni, la pratica
filosofica ha vissuto una grande rinascita. I filosofi sono riemersi come
consiglieri di singoli clienti, di gruppi
e come consulenti per le organizzazioni. Alcuni di noi stanno anche seguendo
dei corsi di aggiornamento e di riqualificazione, proprio per diventare
professionisti in questo settore, per integrare il ruolo accademico. È
errato pensare che stiamo cercando di sostituire o di soppiantare la
psichiatria o la psicologia. Stiamo semplicemente restituendo alla filosofia
il posto che le spetta di diritto, in collaborazione con altre professioni
che mirano tutte allo stesso obiettivo: il benessere del paziente. Né, tanto
meno, stiamo cercando di sovvertire la filosofia accademica (cioè
"teoretica"): al contrario, la maggior parte dei professionisti filosofici
si è laureata seguendo proprio corsi tradizionali.
La gente dovrebbe imparare a conoscersi dal punto di vista medico, in modo
da riuscire a conservarsi in buona salute, incluso il funzionamento della
chimica cerebrale. Le visite mediche, psichiatriche servono proprio a questo
scopo. Analogamente, dovremmo imparare a conoscerci dal punto di vista
psicologico, in modo da essere in grado di mantenere il nostro benessere
emozionale. Comprendere le forze che condizionano e influenzano la propria
personalità, le proprie abitudini, i propri gusti, le proprie antipatie,
ambizioni, avversioni, è un procedimento necessario alla propria crescita
personale. Un gran numero di psicologi è pronto ad aiutarti. Ma cosa fai
quando, pur essendo mentalmente stabile e in grado di contenere le tue emo(zioni,
un problema, una domanda scottante ti provocano un malessere? Questo libro
ti insegna ad affrontare i problemi dal punto di vista filosofico: offre una
terapia alle persone sane. Esaltare il tuo punto di vista può trasformare il
tuo malessere in benessere. Attribuire una spiegazione filosofica alle
circostanze è come trovarsi nell'occhio del ciclone: resti calmo e composto
anche se, intorno a te, tutto vortica.
Ma attenzione: un malessere non curato può trasformarsi in una vera e
propria malattia. E molto più semplice curare un malessere, coltivando delle
buone idee prima che degeneri in malattia vera e propria e richieda
l'attenzione dei medici. Un persistente stato di malessere può guastare o
rovinare pensieri, parole e azioni, e avrà ripercussioni negative anche
sullo stato di salute emozionale e fisico. Un dilemma morale irrisolto,
un'ingiustizia non sanata o uno scopo non raggiunto sono fonti di malessere
che, se non vengono esaminate dal punto di vista filosofico, potranno
certamente manifestarsi in un momento successivo sotto forma di problemi
psicologici e di natura medica.
In determinati casi sarà opportuno chiedere l'aiuto specifico di uno
psichiatra, di uno psicologo o di un filosofo. A volte, per ottenere l'aiuto
di cui si ha bisogno, sarà necessario avvalersi di più di una branca. Può
anche accadere che un caso particolare si trovi in un'area in bilico fra
tutte queste professioni. Sta al paziente o al cliente (quindi a te)
scoprire, in maniera empirica o pragmatica, la forma più appropriata di
aiuto.
Ogni disciplina ha la sua particolare area di interesse e ciascuna
"sconfina" nelle aree delle altre. Esiste, però, anche un'area comune a
tutte: i migliori consulenti psichiatrici, psicologici e filosofici
condividono la capacità di dialogare in maniera efficace con i propri
pazienti o clienti (nonché fra di loro) su argomenti delicati come il
significato, lo scopo e il valore nell'esperienza di vita.
Credenza sulla credenza
«La più grande scoperta della mia generazione è che gli esseri umani possono
cambiare la propria vita, modificando i propri atteggiamenti.»
- WILLIAM JAMES -
I filosofi sono profondamente interessati al bagaglio costituito dalle
credenze, dove per credenza non intendo "leggende", superstizioni o opinioni
religiose", quanto il significato più ampio di "opinione, convinzione,
giudizio, parere". Molti filosofi, da Platone a William James, hanno notato
il ruolo vitale che svolgono le credenze nel nostro modo di affrontare la
quotidianítà. Hobbes ha osservato che il mondo umano è governato dall'opiníone.
Le opinioni sono solo credenze premature in merito a problemi che richiedono
la nostra immediata attenzione. L'esame filosofico di un sistema di credenze
richiede il tentativo di comprendere non soltanto ciò in cui crede la gente,
ma anche come ha raggiunto quelle credenze; quali sono le motivazioni di
fondo, come influenzano il modo di vivere e, infine, in quale misura, ciò in
cui crede la gente è fonte di benessere, di malessere o di malattia. Quel
che sorprende è che, indipendentemente da ciò che ciascuno di noi crede in
merito a un qualsivoglia argomento, vi sarà sempre qualcun altro che crederà
nella cosa diametralmente opposta o in qualcosa di assolutamente
incompatibile. Ne conseguirà che le azioni umane saranno altrettanto
contraddittorie e incompatibili. Ad esempio, l'imperatore romano Nerone
condannava crudelmente a morte tutti coloro che credevano nel cristianesimo.
Alcuni secoli dopo, l'Inquisizione - altrettanto crudelmente - condannava a
morte tutti coloro che non credevano alla sua versione del cristianesimo.
Purtroppo non sapremo mai se Nerone e gli inquisitori erano matti o
semplicemente delusi.
Nelle tredici colonie che si erano appena distaccate dall'Inghilterra, i
firmatari della Dichiarazione di Indipendenza vennero considerati eroi,
eppure la Corona Britannica li dichiarò "traditori". Qualora fossero stati
arrestati, i "Padri Fondatori" della neonata nazione americana sarebbero
stati impiccati per alto tradimento. Erano forse aspiranti suicidi? Niente
affatto. ;Erano uomini coraggiosi che passarono all'azione solo dopo un
accurato esame di coscienza e un dibattito pubblico, e che agirono sulla
base di profondi principi filosofici.
Ma prendiamo in esame un avvenimento più recente e anche più agghiacciante:
la maggior parte degli americani, degli europei e degli asiatici ritengono
che i diciannove arabi che, 1'l l settembre 2001 hanno dirottato e fatto
esplodere quattro aeroplani, erano terroristi che hanno commesso un crimine
atroce contro l'umanità, nonché un affronto alla civiltà. Nel mondo
islamico, invece, alcuni ritengono che queste stesse persone siano state
martiri, eroi e soldati valorosi.
Sebbene l'obiettivo di questo libro sia di aiutarti a portare a termine
pacificamente un cambiamento personale, esaminando o modificando la tua
filosofia di vita, nel capitolo 4 leggerai come anche i cambiamenti politici
possano essere portati avanti senza guerra e senza violenza, grazie ai mezzi
messi a disposizio'`ne dalla filosofia.
Gli esempi estremi e violenti citati fin qui esemplificano come le credenze
- anche credenze che hanno come oggetto le credenze altrui - possano
svolgere un ruolo vitale nel governare la vita e la condotta delle persone.
Comprendere questa verità è un compito della filosofia. Ed è un compito
della filosofia comprendere anche come le credenze - e le credenze sulle
credenze - possano rendere migliore o peggiore la vita umana.
Non credere che io sia un relativista morale. Un relativista morale,
infatti, ritiene che la bontà, la giustizia e la correttezza siano relative
alle opinioni della gente.
In merito all'attacco alle Torri Gemelle, i relativisti morali ritengono che
sia stata una tragedia la morte di un numero così elevato di civili
innocenti, ma anche che i terroristi fossero in qualche modo soldati
giustificati dal perseguimento della jihad secondo le proprie regole. La
diffusione del relativismo morale e la sua sfortunata sponsorizzazione
politica da parte dei centri universitari americani ed europei a partire
dagli anni '70, hanno portato una gran confusione al mondo occidentale.
Privati di una bussola morale - fra gli altri strumenti filosofici necessari
a saminare e a comprendere il sistema delle credenze - milioni di persone
trovano difficile o impossibile definire un contesto per inquadrare gli
eventi attuali, indipendentemente dalla loro atrocità. E ciò, sovente,
aggiunge un aspetto grottesco alla tragedia.
Lo ripeto: non sono un relativista morale. Sono convinto che la gente debba
essere libera di credere e adorare il proprio Dio o le proprie divinità come
meglio crede, ma anche che questa libertà non debba mai implicare la libertà
di ferire o uccidere chi la pensa diversamente. Perciò tollero le credenze
degli altri, sempre che non siano intolleranti. Quindi empatizzo con i primi
martiri cristiani - che morirono per la loro fede e non cercarono di
uccidere altre persone per affermarla - men
tre condanno Nerone, l'Inquisizione e tutti i terroristi arabi, perché non
sono altro che assassini intolleranti. La mia condanna; non ha assolutamente
nulla a che vedere con il paganesimo, con il cristianesimo o con l'islam. Ha
piuttosto a che vedere, con la premeditazione di fare del male, che non fa
altro che aumentare le sofferenze del mondo e che non è mai in grado
ridurle. Come filosofo, conosco molti metodi per attaccare o difendere,
rinforzare o sovvertire qualsiasi credenza o sistema di credenze; si possono
trovare filosofi per affermare o appoggiare qualsiisi punto di vista,
indipendentemente da quanto sia sagace o assurdo. Sono i filosofi che, molto
tempo fa, hanno creato la figura dell'avvocato: allora si chiamava
"sofista".
Come consulente filosofico, mi interessano le credenze dei miei clienti: se,
infatti, sono causa di malessere, e se manca una guida filosofica per
affrontare questo malessere in maniera costruttiva, allora molto
probabilmente soffriranno senza che ce ne sia realmente bisogno. E
trasmetteranno in maniera distruttiva il proprio malessere anche agli altri,
come un virus mentale particolarmente contagioso.
Credo fermamente che alcune credenze causino maggiore malessere di altre; e
che alcune siano più dannose di altre. E anche questo non è affatto
relativismo morale. Esistono molti modi per danneggiare se stessi e gli
altri, e il danno è male. Questa è una certezza. Ci sono pure molti modi per
aiutare se stessi e gli altri, e aiutare è un bene. E anche questa è una
certezza assoluta. Ma il modo in cui aiutare se stessi e gli altri dipende
da ciascuno. Questo, invece, è relativo.
Cosa ti fa pensare?
«La felicità della vita dipende dalla qualità dei pensieri.»
- MARCO AURELIO -
Torniamo a te: cosa ti fa pensare? Come la maggior parte delle domande,
anche questa è facile solo in apparenza. Ciononostante è una Grande Domanda;
è un punto di partenza per il nostro viaggio. Se abbiamo intenzione di
formarci un'opinione in merito a un qualsiasi argomento, dovremmo prima
sapere cosa è il pensiero e come si forma. Poiché questa domanda non ha
alcuna risposta definitiva, procediamo esplorando diverse risposte possibili
e comparando ciò che apprendiamo.
Alcuni neuroscienziati potrebbero affermare che stiamo perdendo il nostro
tempo intorno a una domanda stupida, perché (per loro) ovviamente, è il
cervello che ci fa pensare. Hai forse parlato di recente con qualcuno senza
testa? O hai avuto una stimolante conversazione con una persona che ha la
sfortuna di trovarsi in uno stato di morte cerebrale? No, naturalmente.
Secondo il loro punto di vista, dunque, una volta compreso il meccanismo in
base al quale funziona il cervello, saremo anche in grado di comprendere il
pensiero. Ma fermati solo un attimo, rifletti sull'atto del pensare, e prova
a definire un pensiero: di che colore è? Di che forma?
Quanto è lungo? Qual è la sua massa? Quanto pesa sulla Luna? Quanto tempo ci
vuole per pensare? I pensieri non sono come le altre cose che ci circondano:
hanno proprietà del tutto diverse. E cosa sappiamo di quei pensieri che
chiamiamo memorie?
Come sono immagazzinati i ricordi legati agli episodi dell'infanzia? Se si
tratta di stati elettrochimici del cervello, come vengono mantenuti? Se si
tratta di stati molecolari, come vengono rinnovati? Come fai ad avere
accesso a questi dati ogni volta che vuoi e perché, man mano che invecchi,
questo processo diventa
sempre più difficile, tanto che non sei più in grado di ricordare, "a
comando"? E perché, invece, nell'ultima fase della vita le me',morie più
lontane ritornano con assoluta chiarezza?
Poiché non esistono risposte a queste domande, non ci soddisfa affatto
limitarci ad affermare che è il nostro cervello che ci fa pensare. Equivale
a dire: «Le nostre gambe ci fanno camminare» o «Il motore fa funzionare la
macchina».
Sto osservando due foto a colori di un cervello (diapo MRI) pubblicate, di
recente, sulla rivista «Newsweek». Una mostra un cervello "normalmente
conscio"; l'altra il cervello di un buddista immerso in profonda meditazione
(samadhi). Le due foto mostrano che diverse aree del cervello vengono
stimolate in modo differente a seconda dei diversi stati cerebrali,
influenzatí a loro volta, da diversi stati della mente. È interessante
fotografare questi processi. Ma, come ci ha ricordato il
filosofo Alfred Korzybski, «una cartina geografica non è un territorio». Gli
stati cerebrali sono gli effetti di cause noetiche, vale a dire pertinenti
alla mente. Una foto del cervello certo non si può considerare una foto
della mente o della coscienza. Non esiste una foto della mente, perché la
mente non è un oggetto fisico. Non possiamo fermare su una pellicola atti di
volontà, intenzioni, attitudini, opinioni, affetti o non-affetti, concetti,
significati, concezione del sé, gioie o dolori. Anche se la
mente è frutto del cervello, essa ha comunque proprietà indipendenti. È la
tua volontà a determinare in parte lo stato del tuo cervello. Mostrare una
foto di un cervello "stimolato" in un certo modo affermando che questo
"spiega" la samadhi, è come mostrare la foto di un albero illuminato e
sostenere che "spiega" il Natale.
Quindi ciò che ti fa pensare non è il cervello, è piuttosto la tua
coscienza. La mente è la fonte locale della coscienza. Il pensiero è la
radianza* della mente. Proprio come le forme fisiche di energia radiante, il
pensiero ha proprietà di ampiezza, frequenza, intensità. A differenza delle
forme fisiche di energia radiante, il pensiero ha proprietà di attaccamento,
sentimento, capacità di giudizio.
Concludendo, la tua coscienza è la forma che ti permette di pensare. E, per
svolgere questa attività, consuma anche una quantità infinita di cibo.
Ingerisce tutti i generi di nutrimento, alcuni più tossici di altri:
intenzioni, atti di volontà, rivelazioni, pregiudizi, ragioni, passioni. Se
vuoi pensare chiaramente, hai bisogno di nutrire la mente con il miglior
cibo che hai a disposizione: la filosofia.
La tua vita è un veicolo. Il tuo cervello è il motore di quel veicolo. Se il
motore funziona a dovere (e se tutti gli altri sistemi sono perfettamente
funzionanti), il veicolo si può muovere. Ecco arrivare poi, inesorabili, le
altre Grandi Domande: dove andrà? Quanto sarà veloce, o quanto sarà lento?
Quale strada percorrerà? Quante fermate farà? Chi altri potrà raggiungerlo
lungo la strada? Per dare un senso a queste domande, abbiamo bisogno di un
autista: la tua mente. Senza una mente, il veicolo della tua vita, privo di
conducente, non andrà proprio da nessuna parte. Ma con la mente al volante,
il veicolo ti condurrà attraverso un viaggio meraviglioso: la tua vita.
*In fisica, la radianza è il flusso di energia emesso da una sorgente per
ogni unità di superficie irradiata.
Cosa ti fa pensare che qualcosa non va? Il valore dei sintomi.
«Nessuno è esente dai problema, finché si muove lungo le correnti della
vita.»
- CARL GUSTAV JUNG -
Esistono solo due cose che possono farti pensare che qualcosa non funzioni:
la malattia o il malessere. E la differenza è enorme.
Se il tuo stato di salute fisico è messo a repentaglio da una qualsiasi
malattia, ad esempio un'infezione batterica o un problema cardiaco,
avvertirai sintomi fastidiosi. E questa, potenzialmente, è una fortuna: i
sintomi ti stanno avvertendo che qualcosa non va. Se puoi guarire, allora,
in retrospettiva, i sintomi ti avranno aiutato a sopravvivere: saranno stati
il tuo salvavita. Preferiresti forse il conforto perpetuo? Paragona lo
scenario appena descritto a quello di una persona che, senza nessun
preavviso, crolla a terra, colpita da un infarto o da un colpo apoplettico.
Io preferirei di gran lunga il disagio dei sintomi, ma avere la possibilità
di guarire. Credo che anche tu lo preferiresti. La morale filosofica di
questa storia è che il dolore e lo sconforto non sono necessariamente o,
sempre, qualcosa di negativo. E che il piacere non è necessariamente, o
sempre, una buona cosa. I dolori sono un bene quando ci mettono in guardia e
attirano la nostra attenzione. Analogamente, i piaceri sono un male quando
non ci mettono in guardia, come accade, ad esempio, nella dipendenza da
sostanze stupefacenti.
Se hai una malattia che si annuncia con una lunga lista di sintomi,
inizierai a pensare che qualcosa non va perché ti sentirai in maniera
diversa dal solito. E questa è una situazione interna e oggettiva.
Il malessere è una faccenda del tutto diversa. Tanto per cominciare,
l'origine è esterna. I cinque sensi grazie ai quali interagiamo con il mondo
possono essere ciascuno causa di malessere, focalizzando l'attenzione della
nostra mente su uno stimolo che consideriamo fastidioso.
La vista - per coloro che hanno la fortuna di averla - è il senso di
percezione più forte e, di conseguenza, ciò che i nostri occhi vedono può
causarci spesso malessere. Immagina di camminare per strada e,
all'improvviso, di vedere qualcosa alla quale non sei abituato: forse una
coppia gay che si tiene per mano, o un mendicante che ti chiede una
monetina, o una persona coi capelli tinti di blu, con il corpo ricoperto da
dozzine di piercing.
Queste persone non rappresentano direttamente una minaccia o un pericolo per
te, tuttavia, il vederli ti può causare malessere. Perché? Per prima cosa
perché le immagini che stai vedendo cozzano contro alcune nozioni
preconcette che hai sull'eterosessualità, sul benessere economico o sulla
moda. In verità esistono solo tre modi in cui puoi risolvere il malessere.
Per prima cosa potresti cercare di allontanare questa gente dal tuo
circondario, e, quindi, dalla tua vista. Ma questo, senza ombra di dubbio,
ti causerà ulteriori problemi, non da ultimo perché stai violando i loro
diritti. Secondo, potresti cercare di convincerli a essere più simili a te:
eterosessuali, con un lavoro e senza piercing. E questa potrebbe essere una
gran perdita di tempo. Terzo, puoi chiederti esattamente quali sono le tue
credenze che fanno sì che questi stimoli visivi siano causa di malessere.
Fintanto che queste persone non ti fanno del male è senza dubbio più
semplice modificare i tuoi pregiudizi nei confronti di ciò che essi
rappresentano, anziché cercare di modificare loro affinché non urtino i tuoi
pregiudizi.
Lo stesso vale anche per tutti gli altri sensi: l'udito, l'olfatto, il gusto
e il tatto. Fintanto che uno stimolo non è dannoso, allora il tuo disagio è
una sorta di reazione indotta dal tuo precedente giudizio. Se vuoi eliminare
il malessere e sperimentare, una sensazione piacevole o confortevole, allora
devi eliminare tutti i tuoi pregiudizi. Gli esercizi filosofici contenuti
nel libro hanno proprio questa finalità. Può essere più facile a dirsi che a
farsi, ma certamente è meglio provare.
Lungo tutto il viaggio che noi chiamiamo vita incontriamo una miriade di
piaceri e di sofferenze: benessere, malessere e malattia. Anche se la
maggior parte delle persone trova sempre qualcosa che non va nella propria
vita e anche se, alla fine, tutti noi moriremo, la norma della vita è lo
star bene, non la malattia. Usa i segnali d'allarme che ti invia il tuo
corpo per correggere ciò che non va. Mascherare i sintomi, senza affrontarne
la causa è un atteggiamento sbagliato e foriero di disa
stro. Dovremmo perciò essere grati a questi sintomi, a dispetto dello stato
di inquietudine o di fastidio che ci possono trasmettere. Saremo allora
liberi di celebrare la vita.
Cosa ti fa pensare che qualcosa non vada bene in te?
«Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini
formulano sui fatti.»
- EPITTETO -
Ora che conosciamo le uniche due valide ragioni per supporre che qualcosa
non funzioni come dovrebbe (malattia e malessere), il passo successivo
consiste nel riconoscere quando qualcosa non va. Malattia e malessere
possono dare origine a due tipi di allarme, rispettivamente dolore e
sofferenza. Non tutte le malattie causano subito dolore, quindi una diagnosi
precoce rappresenta ovviamente la migliore chance di guarigione. Molte
persone sono bravissime nel sottovalutare i primi sintomi. Le persone
impegnate e di successo spesso sono davvero negligenti sotto questo aspetto:
accade perché il successo può conferire un illusorio senso di
invulnerabilità, e perché un'agenda fitta di impegni mal si concilia con una
malattia.
Se in questo momento il tuo corpo sta provando un dolore insolito, allora
probabilmente c'è qualcosa che non va: una malattia.
Questo è chiaro. E se stai sperimentando una sofferenza? Può derivare da un
malessere o da una malattia. Nel tuo ambiente o in una relazione qualcosa
non va? Stai soffrendo perché qualcun altro ti sta facendo soffrire o perché
tu stesso ti stai infliggendo delle sofferenze? Presumere di non essere
ferito è una falsa dicotomia. Puoi rimproverare gli altri per il malessere
che provi, ma la sofferenza è tua, solo tua. E questa è una buona notizia:
se è tua, puoi anche sbarazzartene.
Dobbiamo fare attenzione quando parliamo di sofferenza contrapposizione al
dolore.
A volte la sofferenza è il riflesso di un problema fisico. Ad esempio una
depressione cronica può dipendere da un problema legato ai processi chimici
all'interno del cervello; e quindi le persone che ne soffrono non possono
cambiare la situazione in virtù della loro sola forza di volontà. In questo
caso specifico, la sofferenza può essere alleviata da un farmaco. Questo
genere di sofferenza è l'equivalente di un "dolore nel cervello" ed è di
origine fisica. Il cervello in sé non avverte il dolore,
quindi il dolore stesso può essere trasformato in una sofferenza della
mente.
Alcuni dolori apparenti, invece, sono realmente invenzioni della mente.
L'esempio classico è il cosiddetto "dolore fantasma", per cui le persone che
hanno subito un'amputazione affermano di avvertire il dolore nell'arto che
manca. Il nostro compito principale, dunque, è comprendere il genere di
sofferenza causato dalle credenze di una persona, dalle sue abitudini e dai
suoi pregiudizi. E possiamo alleviare questa sofferenza proprio modificando
le credenze, le abitudini, e demolendo i pregiudizi. Questa è la pratica
filosofica. Ma tutti i tipi di sofferenza sono spia chi un problema di
salute mentale? Certo che no. La sofferenza, anche se non necessaria o buona
in sé, può essere un'ottima insegnante, un mezzo per raggiungere un fine
migliore (il capitolo 5 vi svelerà alcune delle sue lezioni). Non
fraintendermi: non sto affermando che devi cercare la sofferenza per
superarla: non avrebbe senso.
Ma se stai già soffrendo e cerchi di comprenderne la vera causa, forse, ti
capiterà di scoprire che sei tu stesso la causa. Se è così - e in molti casi
è proprio così - come puoi scegliere di soffrire, hai anche il potere di
ridurre o di eliminare del tutto la sofferenza scegliendo di non soffrire.
Ecco una Grande Domanda rivolta a coloro che soffrono: soffri perché
qualcosa non va in te, perché sei malato? O soffri perché ti stai
maltrattando e ti procuri un malessere? Là fuori esiste un'industria
fiorente che ha la missione di convincerti che stai soffrendo solo o
principalmente perché in te qualcosa non va. Per controbattere questa
tendenza è sorta una piccola industria filosofica che sta crescendo in tutto
il mondo, la cui missione è quella di convincerti che soffri solo o
principalmente perché ti stai maltrattando.
Quindi, se sei pronto ad affrontare alcune Grandi Domande dal punto di vista
filosofico, continua pure a leggere. Se hai bisogno prima di assumere del
Prozac o del Paxil, fallo. Le Grandi Domande resteranno. Se hai bisogno di
alcuni anni di psicoterapia o alcuni decenni di psicoanalisi prima di
riuscire ad avere un
atteggiamento filosofico, sia pure per un solo giorno, va bene anche quello.
Sempre che tu ne abbia il tempo. Le Grandi Domande ti aspettano. La vita è
sempre pronta a cambiarti. E tu, quando sarai pronto a cambiare la tua vita?
Tratto dal libro Le Pillole di Aristotele di Lou Marinoff Piemme Edizioni
2003
PRENDI IL LAVORO CON FILOSOFIA
Appena tornati e già stressati? Coraggio, rendere le aziende più felici non
è una chimera.
Anzi, può essere redditizio. Lo sostiene un "allenatore" di manager. Che ci
spiega come è possibile riconquistare l'anima. Partendo da Socrate
di Marina Terragni
«In azienda no, una donna mi fa paura. Con la sua sensibilità, con tutte
quelle arti che un uomo non sa usare. Anche nelle trattative preferisco
avere a che fare con un uomo». Emilio Riva, gigante della siderurgia
italiana, al Corriere della Sera
Pronti? Via! Si ricomincia. Bentornate e bentornati alla vostra scrivania,
al vostro computer, alla bacheca con le barzellette e le foto dei bambini,
alla macchinetta del caffè, ai compagni di cella, alle fotocopiatrici.
Coraggio, fra qualche giorno vi sembrerà tutto normale, riunioni-fiume, otto
ore più straordinari, I'insalatona dell'una, la sigaretta sul balcone,
l'ordinario inferno aziendale. E i weekend a sognare di aprire un
agriturismo, con la perenne sensazione che la vita scorra altrove. Come mai
nelle aziende si soffre tanto? «Nel mondo stanno capitando molte cose,
l'informatizzazione, la g!obalizzazione. Tutto sta cambiando a velocità
vertiginosa» spiega Andrea Vitullo, executive coach, allenatore e consulente
di manager. «Ma la struttura dell'organizzazione del lavoro resta
tayloristica: otto ore, le persone nelle celle. Tutto spinge verso la
centralità dell'io-e-la-mia-vita, e lì invece c'è solo produzione e
stipendio, e la separazione netta tra pubblico e privato». Vitullo, già
manager nel marketing e nella comunicazione in aziende multinazionali e
società di servizi, osserva da tempo l'infelicità aziendale con passione da
etologo, e dopo aver frequentato un master sulle "pratiche riflessive" all'Insead
di Fontainebleu, ha deciso che quello sarebbe diventato il suo lavoro:
rendere le aziende più felici, avviare i leader a una gestione più
riflessiva, íllumínata e responsabile, affiancandoli come executive coach
"filosofo". Sulla sua esperienza ha scritto il libro Leadership riflessive.
La ricerca di anima nelle organizzazioni (Apogeo).
Sono le donne a soffrire di più. A domandarsi più spesso: io cosa ci faccio
qui? «Proprio per questo non hanno più voglia di fare carriera fino a
rompere il "soffitto di cristallo'. Hanno capito che questo significa
affiliarsi definitivamente alla cultura maschile».
Però si parla sempre di femminilizzazione del mondo del lavoro, di
intelligenza emotiva, di flessibilità: tutte belle cose che stentano a
diventare pratica reale.
«La cultura femminile sta entrando nelle organizzazioni maschili. La
gerarchia si va sgretolando, c'è sempre più "rete", parole come relazione,
affetti e cura ricorrono sempre più spesso. Sarebbe il momento di affidarsi
all'intuizione più che alle indagini di mercato, a un dialogo che non sia
solo un botta-e-risposta immediato. Invece resiste la cultura machista e
muscolare, il mito dell'obiettivo, del vincere. La maggior parte dei leader
non riesce a gestire relazioni ed emozioni. Magari intuisce che la strada è
quella, ma poi non si autorizza a fare cose nuove. Per essere un leader
"riflessivo" devi uscire dallo schema azione-reazione, devi saper sostare
nel disagio, nel "non só", fare silenzio e ascoltare. Tutte cose che mettono
in difficoltà gli uomini».
La gioia è anti aziendale: crede che le organizzazioni possano "guarire"?
«Credo che ci vorrà un salto generazionale: per questo ho dedicato il mio
libro ai bambini. Tutto cambierà rapidamente e tumultuosamente: i tempi, gli
spazi, i modi del lavoro. Le organizzazioni come le conosciamo oggi non ci
saranno più, sarà tutto molto più fluido e più mobile».
Un leader "riflessivo" com'è?
«Si sente responsabile dei destini e della felicità delle persone che guida,
non crede di ottenere risultati migliori disidratando le loro anime. Vede
l'azienda come luogo dello sviluppo personale di chi ci lavora».
Ma un'azienda guidata da leader così fa profitti?
«Sì, se usciamo dall'angustia del qui e ora economico, se non ci limitiamo
al bottom fine, l'ultima riga dei bilanci aziendali, se vediamo come un
guadagno anche la "fioritura dell'umano". Si tratta di un'idea diversa del
profitto».
Una cosa importante nell'attuale organizzazione del lavoro è il controllo
dei corpi: tenerti lì, magari a far niente, imbullonato alla sedia.
«È una questione in gran parte psicologica. Spesso il leader non sa gestire
la sua ansia. Se c'è un problema, deve uscire in corridoio e trovare lì le
truppe su cui farlo ricadere. E poi se non sei lì vuol dire che sei nella
vita, e lavoro e vita devono restare rigorosamente separati. Ma se sei
raggiungibile via cellulare o internet, oggi puoi benissimo lavorare a un
progetto comune anche stando fisicamente altrove. lo stesso lavoro per
aziende europee che avrò incontrato sì e no due volte. E invece devi stare
li, e più a lungo possibile, magari solo a parlare di calcio. Le donne ne
soffrono, hanno molto altro da fare nella vita. Gli uomini meno. Ma è chiaro
che aumentando il numero di donne il modello si esaurisce e crolla. Le cose
stanno già cambiando. Un leader riflessivo lo sa, e favorisce il
cambiamento».
Un'altra cosa delle aziende è la fretta, lo stress, quei tempi da emergenza.
Come se si lavorasse in un pronto soccorso.
«La velocità della tecnologia ti fa essere perennemente in ritardo. È tutto
un botta-e-risposta immediato, senza mai poter riflettere o vacillare,
figuriamoci ammalarsi. Tutta questa ansia compressa in tempi e spazi angusti
non può che diventare cattive relazioni, aggressività».
II suo stile di coaching è "filosofico". Che differenza c'è con i coach
psicologi?
«Lo psicologo investiga il sommerso, si concentra sulle caratteristiche
psicoattitudinali. II filosofo lavora sulla visione del mondo. II suo
obiettivo non è dare risposte chiuse, ma ampliare lo sguardo, le domande, le
idee. Le cosiddette vision aziendali spesso sono influenzate dall'angustia
dello sguardo di chi dovrebbe averle. Diciamo che il coach psicologo è più
strumentale, cerca di adattare le persone ai bisogni delle aziende, mentre
il coach filosofo parla con la persona, libera la sua creatività».
Con chi lavora?
«Prevalentemente con manager di primo e secondo livello: se lavori su
livelli più bassi crei solo frustrati, metti in moto energie che restano
intrappolate. Faccio coaching individuali e piccoli seminari, cerco di
aprire finestre, di dare energie, di essere libero, magico, di ispirare.
Nell'one-to-one spesso analizziamo questioni concrete, specifici problemi di
gestione. II rapporto che si crea è di affidamento».
Ci sono molte affinità tra le cose che lei dice e la riflessione femminile
sul lavoro. Le regole del dialogo socratico, cardine del coaching filosofico
- parlare chiaro, e per se stessi, usare argomenti concreti - somigliano
molto al "partire da sé" del femminismo.
«La cosa potente del dialogo socratico è che sei continuamente riportato a
te, alle tue emozioni, al tuo personale. È un approccio che tiene insieme la
razionalità, il cuore e la pancia, e fa venire alla luce la tua unicità di
persona. Lo sforzo comporta anche una ricerca sul linguaggio. Le parole che
usi hanno una puntualità e una ricchezza molto maggiore rispetto alla folla
di parole senza significato che ricorrono nel lessico aziendale».
Chi ha inventato il coaching filosofico? «Gerd Achenbach, una quindicina
d'anni fa in Germania. In America c'è Lou Marinoff, autore di Platone meglio
del Prozac. Oggi esistono master di filosofia pratica. II primo è nato a
Venezia, a Ca' Foscari. L'idea è quella di un filosofo che torna nel mondo,
come un saggio che aiuta a vivere».
CHE BRUTTA ARIA SI RESPIRA NEGLI UFFICI
Un lavoratore dipendente su tre è insoddisfatto dell'attività che svolge ed
è alla ricerca di un altro posto, secondo un'indagine condotta da Astra per
la Fondazione Adecco. Dalle 1.001 interviste del campione (rappresentativo
della popolazione tra i 14 e i 79 anni) è emerso che il 52 per cento degli
italiani «non si sente realizzato sul lavoro» e che addirittura il 61 per
cento «ha gravi difficoltà con il capo o con i collaboratori». Infine, solo
il 40 per cento di chi si dichiara insoddisfatto pensa di riuscire a
risolvere da solo i problemi di relazione con i colleghi, mentre il 60 per
cento auspica di poter contare su un aiuto dall'esterno.
Spazio per interventi di supporto psicologico e di counseling neglì ambienti
di lavoro, quindi, sembra essercene tanto. Anche per 1'executíve coach,
nuova figura di consulente chiamato sempre più spesso in soccorso dì manager
che si trovano in difficoltà nel gestire le proprie emozioni e stati
d'animo, e che non trovano più nuove motivazionì nell'ambiente di lavoro.
Sono un centinaio i professionisti certificati dalla Federazione Italiana
Coach, associazione professionale che accredita anche le tre scuole italiane
dove si tengono corsi e seminari di formazione (www.federazionecoach.it).
Saggezza OrientaleDaimon Age