Qui di seguito riportiamo
una serie di articoli (che troverete anche nel nostro forum
sulla stupidità, perché il loro contenuto ben si addice a gettare un po' di luce
sulla divina maestà) che possono essere molto utili per comprendere come la
letteratura, la sua teoria, la sua pratica e più in generale la creatività stessa, siano
spesso funestate dal potere e dagli iniqui privilegi di tanti imbecilli che popolano le
nostre istituzioni politiche ed accademiche.
Il Servilismo degli accademici. Francesco Alberoni
Francesco Alberoni, recentemente, nella sua rubrica
"Pubblico e Privato" che tiene sul Corriere della Sera ha inteso incorniciare:
"Ecco che cosa ti aspetta se vuoi insegnare all'Università". Nel mondo
universitario l'imperativo tra gli accademici è uno solo, vale a dire la carriera. La
carriera universitaria docente, sostiene Alberoni nel suo articolo, produce:
"dipendenza, incertezza e servilismo". Tutto nasce in realtà dal cosidetto
sistema di esplicita cooptazione dei docenti che, sempre secondo Alberoni, così si
esemplifica: "Il laureato di solito, incomincia la carriera universitaria con un
assegno di ricerca. Decide una commissione giudicatrice. In realtà il professore
(ordinario) che presenta il suo candidato, e i suoi colleghi lo promuovono in quanto lui
promette di promuovere uno di loro. Così il giovane incomincia a lavorare con quel
"maestro" da cui dipenderà, d'ora in avanti, tutto il suo futuro. Dopo un
tirocinio di alcuni anni, gli dicono di prepararsi al concorso statale per diventare
Ricercatore. Qui la commissione è eletta da tutti i professori italiani della materia,
con un meccanismo elettorale complicatissimo che, però, è governato da un ristretto
gruppo di potere politicamente orientato, e decide in anticipo chi dovrà essere promosso
e chi no. Perciò al nostro giovane andrà bene solo se il suo maestro è inserito nella
cordata giusta. Mettiamo che riesca. Ora è diventato Ricercatore. Ha circa 35 anni, uno
stipendio da fame e deve aspettare tre anni per la conferma. Tre anni sulle spine. Ma è
la regola: deve sempre sentirsi sotto giudizio, chinare la testa, fare il bravo.
Dopo qualche anno, se ha fatto le ricerche gradite ai superiori, lo autorizzano a
partecipare al concorso di professore associato. Anche questa commissione giudicatrice
nazionale viene eletta dallo stesso gruppo di potere che ha scelto quella del concorso
precedente ed ha già stabilito, in anticipo, chi vincerà e chi no. Supponiamo che lo
facciano vincere. È sui 45 anni e deve fare altri tre anni per avere la conferma. Quindi
pazienza e prudenza. Passa altro tempo e, al nostro amico, resta solo l'ultima tappa,
quella di professore ordinario, la più difficile. Ora deve assolutamente essere nella
cordata giusta, aver dato le giuste garanzie politiche, non avere nemici ed essere stato
inserito con molto anticipo nell'elenco di coloro che saranno promossi. Se si comporterà
proprio per bene può farcela, entro i 55 anni. Più i soliti tre anni per la conferma.
Così, verso i settant'anni sarà finalmente libero di creare e di scrivere quello che
pensa, prima di andare in pensione a 65". Alla fine Alberoni conclude con
un'esortazione fatta al ministro dell'università: "Signor ministro, mi creda, oggi
chi fa carriera universitaria in Italia è come un cane tenuto al guinzaglio per tutta la
vita. Una condizione umiliante. Ma non sono gli uomini ad essere malvagi, sono sbagliate
le regole, le istituzioni. L'autonomia non esiste, la concorrenza non esiste, le elezioni
del CUN (Comitato Universitario Nazionale) e delle commizzioni dei concorsi sono
manovrate".
Indice
Sulle Istituzioni (Politiche
ed accademiche) William Hazlitt
Le istituzioni sono più corrotte e più guaste degli individui, perché hanno più potere
per fare del male, e sono meno esposte al disonore e alla punizione. Non provano né
vergogna, né rimorso, né gratitudine, e neanche benevolenza. La coscienza individuale o
naturale del singolo componente viene soffocata (non possiamo avere un principio morale
nel cuore degli altri), e non si pensa ad altro che a dirigere meglio lo sforzo comune
(liberato da scrupoli inutili) per ottenere vantaggi politici e privilegi, da spartirsi
poi come bottino. Ciascun membro raccoglie il profitto, e rovescia la colpa, se c'è,
sugli altri......Se uno dei membri solleva un'eccezione del genere opponendosi al gruppo,
viene subito zittito, si fa il sangue cattivo, e non conclude niente: viene considerato un
intruso, una pecora nera nel gregge, e lo cacciano via, oppure lo obbligano a sottostare
alle convinzioni e ai desideri di coloro ai quali si è associato e che si aspettano la
sua cooperazione. Le sottigliezze del giudizio individuale sono assegnate a una
commissione, che le vanifica, mentre i progetti e gli interessi dell'istituzione trovano
un segreto, ma potente appoggio nell'amor proprio dei diversi membri. Rimostranze e
opposizioni non danno frutti, sono fastidiose, irritanti. Non portano a nulla. Conformarsi
al modo di vedere della compagnia è necessario tanto per continuare a essere considerati
socievoli, quanto per avere una vita tranquilla......Così restringe la vaga e
insignificante qualifica di Uomo nel più enfatico titolo di Cittadino onorario e
Assessore Comunale. Sente che gli obblighi verso l'umanità indefinita si allentano sempre
più, man mano che si lega più strettamente ai nuovi impegni. A mano a mano perde di
vista senso e sentimenti comuni, immerso com'è tra litigi, intrighi, beghe e arie:
meschinità che ormai lo coinvolgono intimamente e a cui attribuisce enorme importanza. E'
diventato un altro. "La società gli deve veramente molto per quest'ultimo
affare"; cioè, per qualche squallido inghippo, qualche manovra sottobanco per
usurpare i diritti del prossimo, o per calpestarne le ragioni. Nel frattempo mangiano,
bevono e gozzovigliano insieme. Affogano nei boccali di una pinta tutte le piccole
animosità e le inevitabili differenze d'opinione. Le lagnaze della moltitudine si perdono
tra il rumore delle stoviglie e i "lunga vita al re!", sbraitati alle riunioni
trimestrali, o ai pranzi offerti dal sindaco.........
Da queste piccole debolezze, e dai «risvegli di coscienza», i membri sono efficacemente
protetti dalle regole e dai regolamenti della loro società e dallo spirito che la domina.
L' individuo è la creatura di tutti propri sentimenti, il gingillo dei propri vizi e dell
proprie virtù. E' rivestito di un abito multicolore come il buffone in Shakespeare, ma le
istituzioni son rivestite di una uniforme morale: non hanno senti menti complessi, la
debolezza è trasformata in sistema, «le malattie diventano merce». Del naturale e
genuino impulso personale viene ammesso soltanto quel tanto che è comprensibile alla
coscienza collettiva dei membri, o che risulta utile agli interessi (veri o presunti),
all'importanza, alla rispettabilità e ai fini dichiarati della società. Oltre questo
confine l'energia è bloccata, la coscienza disseccata, e tutta questa massa inerte è
come una torpedine che paralizza i migliori sentimenti e indurisce il cuore. Si dice che
il riso e le lacrime siano i segni caratteristici dell'umanità. Il riso è abbastanza
comune nelle alte sfere perché dà risalto per contrasto alla recita dell'austerità, ma
chi ha mai visto un'istituzione pubblica in lacrime? Sol un affare o qualche furfanteria
può tenerli seri per più di dieci minuti consecutivi.
Queste sono le qualifiche e il tirocinio necessari a un uomo per essere tollerato in
un'istituzione, dove però è ammesso come una semplice unità numerica, conta zero. Per
essere un capo o un dittatore deve essere diplomatico nella sfacciataggine e delicato nel
lavoro più sporco. Non deve semplicemente conformarsi ai pregiudizi correnti, deve anche
adularli. Non deve solo essere insensibile alle richieste di moderazione e di equita, deve
gridare forte contro di esse. Non soltanto deve lasciarsi coinvolgere nel complotti
e negli intrighi più spregevoli, dev'essere anche infaticabile nel fomentarli e nel
seminare zizzania. Non solo deve ripetere le menzogne, ma inventarle. Fare discorsi e
scrivere programmi, dedicarsi ai desideri e agli scopi della società, esserne la
creatura, lo sciacallo, il ficcanaso, il portavoce, il suggeritore. Deve essere pratico di
processi, di rinvii, di privilegi, di tradizioni, di luoghi comuni, di logica e retorica,
di tutto, fuorché di buon senso e di onestà. Deve (come dice Burke) «vuotarsi delle sue
viscere naturali e riempirsi di miserabili, sudici fogli di pergamena riguardanti i
diritti» di pochi privilegiati. - Dev'essere un'essenza concentrata, un rappresentante
ben truccato e incipriato dei vizi, delle assurdità, dell'ipocrisia, della gelosia,
dell'orgoglio e della presunzione del suo partito. Un individuo del genere, a forza di
intrigare, darsi importanza e distribuire lodi sperticate, adulando i presenti, e
denigrando gli assenti, prestandosi alle debolezze di alcuni, e incoraggiando le cattive
inclinazioni di altri, ìn una società ristretta passerà per un grand'uomo. l'età non
migliora la moralità delle pubbliche istituzioni. Si attaccano sempre più tenacemente ai
loro piccoli privilegi, e alla loro insensata credenza di essere importanti. L'ostinazione
aumenta di pari passo con l'indebolimento.........Lo scopo inevitabile di tutte le
istituzioni culturali non è di diventare sapienti, o di insegnare la sapienza ad altri,
ma d'impedire a chiunque altro di diventare o sembrare più sapiente di loro. In altre
parole, la loro infallibile tendenza è, in fondo, di soffocare le indagini ed oscurare il
sapere, mettendo dei limiti alla mente dell'uomo, e dicendo al suo fiero spirito:
"Fin qui arriverai, e non oltre!"
Sarebbe un esperimento istruttivo pubblicare la lista dei lavori pubblicati nel corso
dell'anno dai membri delle università. C'è da fare qualche tentativo per abborracciare
un sistema sbilenco in campo legislativo e politico, o circa il governo della Chiesa? Ci
pensa un membro dell'università. Bisogna compiere una riflessione su qualche argomento da
lungo tempo esaurito «incuranti della
vergogna, e dell'error della ragione»? Ci pensa un membro dell'università. Viene
annunciato un progetto per conservare gli antichi pregiudizi adattandoli per opportunismo
a usanze moderne? JA progetto è di un membro dell'università. Così ogni anno ci arriva
una fornitura fissa di Rimedi contro il calo dei titoli obbligazionari, Pensieri sui mali
dell'educazione, Trattati sulla predestinazíone, ed Elogi di Malthus, tutti da un'unica
fonte, e tutti dello stesso tenore. Se venissero da qualsiasi altra parte nessuno li
degnerebbe di uno sguardo, ma hanno l'Imprimatur della noia e dell'autorità: sappiamo che
sono innocui, e così vengono esposti nelle vetrine dei librai e letti (nell'intervallo
tra un'opera di Byron e un romanzo scozzese) nelle città sedi di vescovadi e nei borghi
vicini!
Suppongo e so che nelle più moderne istituzioni per l'incoraggiamento delle belle arti le
condizioni sono pressappoco le stesse. Non si pensa agli scopi ma ai mezzi; le regole
prendono il posto della natura e del genio; intrighi, beghe e lotte per graduatorie e
precedenze sopraffanno lo studio e l'amore per l'arte. Un'Accademia Reale di pittura è
una specie d'ospedale o d'infermeria per le stranezze del gusto e della spontaneità, un
luogo di sosta nel quale l'entusiasmo e l'originalità si fermano e stagnano per non
spandere più la loro influenza: invece dovrebbe essere una scuola che incoraggi il genio,
un tempio dedicato alla fama. Tutti quelli che si agitano, strisciano e pregano per
ottenere un posto, vivono poi sugli attestati di merito fino alla vecchiaia, dopo la quale
è raro che se ne senta più parlate. Se capita fra di loro un uomo veramente capace, che
segue la sua strada, non conta niente. Consigli, risoluzioni, discorsi, votazioni: mai che
compaia il suo nome. Se si presenta con progetti e idee per il bene dell'Accademia e per
lo sviluppo dell'arte, viene subito trattato come un visionario, un fanatico con idee
ostili all'interesse e al credito dei membri della società. Se incoraggia gli allievi a
dipingere soggetti storici, fa diminuire all'istante le entrate dei professionisti, che
sono quasi tutti (per volontà di Dio) pittori di ritratti. Se elogia l'arte antica e i
classici antichi, credono che sia spinto dall'invidia verso i pittori moderni e i talenti
naturali. Se poi insiste sulla conoscenza dell'anatomia perché la ritiene essenziale al
disegno, sembra che voglia implicitamente criticare i nostri eminenti disegnatori.
Qualunque piano, suggerimento o discussione che abbia come oggetto i propositi generali e
i principi dell'arte, viene ostacolato, disprezzato, messo in ridicolo e calunniato,
perche dà l'impressione di ledere i profitti e le pretese della grande massa dei
rispettabili e prosperosi artisti del paese. Questo suscita irritazione e risentimento da
tutte le parti. L'ostinazione delle autorità costituite cresce di pari passo con la
violenza, e la stravaganza
degli oppositori, e danno tutta la colpa alla follia e agli sbagli che loro stesse hanno
provocato o aggravato. Ogni cosa è un fatto personale, non una questione di pubblico
interesse, e percio la dignità dell'istituzione entra in gioco più quando è minacciata
dai passi
falsi e dalle sbadataggini dei suoi membri, che quando si tratta di promuovere i loro
obiettivi comuni e dichiarati........
Sappiamo che esiste tra i ladri un senso d'onore, ma pochissima onestà verso chi non è
dei loro. Il loro senso d'onore consiste nel dividere equamente il bottino fra di loro,
non nell'acquistarlo onestamente. In genere non si tradiscono l'un l'altro, ma tendono
agguati a uno straniero, o spaccano la testa ad un viandante. Danno l'allarme se uno dei
loro covi corrre pericolo di essere scoperto, e si sosterranno a vicenda fino a versare
l'ultima goccia di sangue per difendere i loro illeciti guadagni. Eppure formano una
società, e sono rigorosamente responsabili della loro condotta tanto l'uno verso l'altro,
quanto verso il loro capo........
Gli eccessi ai quali va soggetta hanno origine appunto da quella mancanza di previsione e
di sistema che è la prova della rettitudine e della bontà che anima le sue intenzioni.
In breve, l'unica classe di persone alla quale non si può rivolgere l'accusa di essere
disonesta o corrotta è quella società composta di individui che va in genere sotto il
nome di popolo!
Indice
La stupidità dei
concorsi Autori Vari
Anche la vecchia pelliccia pende al vecchio chiodo e mi
ricorda le sciocchezze che insegnai, allora, a quel ragazzo e delle quali egli, un
giovanotto ormai, si nutre ancora oggi. O cappa dal lungo pelo, mi prende veramente il
desiderio di darmi, ancora una volta unito a te, l'importanza del docente, come quando si
pensa di aver completamente ragione. Ai dotti ciò riesce, al diavolo è passata la voglia
da un pezzo. (Scuote la pelliccia che ha tirata giù dal chiodo. ne vengono fuori tignole,
scarafaggi e farfallette.)
Mefistofele
Ahimè!, ho studiato, a fondo e con ardente zelo, filosofia e giurisprudenza e medicina e,
purtroppo, anche teologia. Eccomi qua, povero pazzo, e ne so quanto prima.
Già, quello che si chiama sapere! A chi è permesso chiamar le cose con il loro nome? I
pochi che ne capirono qualche cosa e, abbastanza ingenui, non frenarono l'empito del loro
cuore e rivelarono alla folla i loro sentimenti e le loro visioni, li hanno sempre messi
in croce o sopra un rogo. Vi prego, amico, è notte fonda, per questa volta dobbiamo
interrompere.
Prima parte'della tragedia
Notte
Una piccola stanza gotica, con una volta alta Faust, inquieto, sulla sua poltrona, davanti
al leggio
FAUST. Ahimè!, ho studiato, a fondo e con ardente zelo, filosofia e giurisprudenza e
medicina e, purtroppo, anche teologia. Eccorni qua, povero pazzo, e ne so quanto prima!
Vengo chiamato Maestro, anzi dottore e già da dieci anni meno, per il naso, in su ed in
giù, in qua ed in là, i miei scolari. E scopro che non possiamo sapere nulla! Ciò mi
brucia quasi il cuore. Ne so, è vero, un po' più di quelli sciocchi, dottori, maestri,
scribi e preti; non mi tormentano né scrupoli, né dubbi, né ho paura del diavolo o
dell'inferno. Però mi è stata tolta in cambio di ciò ogni gioia; non mi metto in capo
di sapere qualcosa di buono, non mi illudo di poter insegnare qualcosa, di saper render
migliori o convertire gli uomini. Oltre a ciò non ne ho né beni, né danari, né onori,
né le pompe del mondo. Nemmeno un cane potrebbe continuare a vivere cosi. Mi sono dato
pertanto alla magia, se mai il potere o la parola dello Spirito mi rivelassero qualche
segreto. Per non dover dire, dopo così amare, sudate fatiche, quello che non so, per
poter scoprire ciò che, nel profondo, tiene insieme l'universo e contemplare ogni attiva
energia ed ogni primitiva sostanza e smetterla di rovistare nelle parole.
J.W. Goethe
L'Università
e la finzione dei concorsi
L'università italiana ha molti meriti, ma anche tanti difetti, quantomeno se confrontata
con altre università occidentali. Un difetto grave è che essa è in parte finta, non in
senso denigratorio, ma nel senso proprio: di una cosa più apparente che reale, o che
appare come non è. Sono finti certi professori, che lavorano più fuori che dentro
l'università (debitamente autorizzati!); finti molti studenti, che non frequentano i
corsi e sono presenti solo agli esami (senza loro colpa, perché sarebbe impossibile
ospitarli tutti se decidessero di frequentare); finte molte riunioni plenarie di organi
accademici, dove si discute di problemi in realtà già decisi in riunioni più ristrette;
finti spesso i rapporti tra docenti, e così via. Nel nostro sistema universitario il
progressivo sviluppo del principio di apparenza rispetto a quello di realtà si è legato
al progressivo sviluppo della quantità rispetto alla qualità. Fino a poco tempo fa,
erano abbastanza veri i concorsi universitari (almeno quelli di I e II fascia), perché,
essendo pochi nel tempo e centralizzati, di solito si svolgevano in un regime di reale
concorrenza. ma il nostro legislatore deve aver pensato che i pochi e veri concorsi
costituivano un'anomalia nel quadro di un sistema universitario ormai inflazionato e
sempre più tendente verso il principio della finzione. Allora ha elaborato un nuovo
regime concorsuale (l. 210 del 1998) che, con un ingegnoso pasticcio fra centralismo e
autonomismo, ha prodotto concorsi numerosi e rigorosamente finti. Una serie combinata di
fattori (l'appetito localistico di molte università, la triplice idoneità, il sistema
delle commissioni, la facilità del voto di scambio, la chiamata diretta degli idonei ed
il minor costo per le facoltà nella chiamata dei docenti interni rispetto agli esterni)
ha dato come risultato la eliminazione totale della concorrenza, sia fra i commissari che
fra i candidati. In altri termini, una riforma in in nome dell'autonomia ha avuto un esito
paradossale: un'autonomia senza competizione e senza responsabilità, e quindi senza
qualità. L'aspetto più curioso è che quasi tutti i colleghi criticano il nuovo
meccanismo concorsuale, ma pochi protestano a voce alta. molti per rassegnazione, ma forse
anche perché tale meccanismo in fondo torna comodo, permettendo ad ognuno di poter
sistemare facilmente i propri allievi (preferiti). Oppure perché in alcune discipline
consente a ristrette oligarchie ben organizzate di controllare le elezioni dei commissari:
cosa che il sorteggio o la commissione unica nazionale rendeva ben più difficile.
Conclusione: anche nell'università, come altrove, la quantità ha più successo della
qualità, e i ricercatori validi, cresciuti fuori dall'università, non avranno più
chances di essere cooptati.
Riccardo Pisillo Mazzeschi Univ. di Siena
Francesca Farabollini Univ. di Siena
Riccardo Fubini Univ. di Firenze
Giorgio Chittodini Univ. statale di Milano
Da un articolo di giornale
Tutti sanno che Carlo Rubbia è nato in Italia e ha vinto il premio Nobel. Non tutti
invece sanno che Carlo Rubbia non avrebbe mai potuto, in base alle leggi esistenti, essere
chiamato per chiara fama a insegnare in una università italiana: non tutti sanno,
infatti, che alla fine degli anni sessanta il giovabe Rubbia, bocciato in un concorso a
cattedra, scelse di insegnare ad Harvard, dove restò per 19 anni, dopo i quali ha assunto
una posizione eccellente al Cern di Ginevra. Ora la legge è cambiata e Rubbia ha potuto
così diventare professore all'università di Pavia per chiamata diretta. Il caso di
Rubbia potrebbe innescare una benefica reazione a catena, convincendo altre università a
reclutare altri studiosi degni di questo nome e a rimettere in movimento la ricerca e la
didattica.
Si creerebbe un clima di buona competizione tra gli atenei, verrebbe potenziata la
mobilità dei docenti, si indebolirebbero le antiche ma tenaci forme di lottizzazione. E,
in una università meno rigida e più aperta al mercato, si creerebbero quelle
opportunità per i giovani che, negli anni passati, sono state sacrificate alle cordate
dei portaborse e dei mediocri. Forse, il Comma 112, in cui si dichiara la possibilità di
una chiamata diretta di eminenti studiosi non solo italiani che occupino analoga posizione
in un'università straniera o che siano insigniti di alti riconoscimenti scientifici in
ambiti internazionali, è il segno di un'inversione di tendenza.
Messina, retata nell'ateneo. Le cosche gestivano corsi ed esami, arrestati anche medici e
docenti.
Secondo i Pm i professori erano collusi o intimiditi. Solo una parte ha resistito.
L'ateneo sempre al centro degli interessi mafiosi. Agguati, estorsioni e l'omicidio di un
professore. Lezioni e canne mozze, il supermarket degli affari.
P.S.
In ogni caso la storia di
Carlo Rubbia non è che l'eccezione che conferma la regola, infatti molti validissimi
studiosi non hanno mai ottenuto una cattedra universitaria in Italia, si ricordi per
esempio il caso di Zeri, ma anche all'estero non scherzano, si veda per esempio il caso di
Peirce.
Charles Sanders Peirce
Charles Sanders Peirce (Cambridge, Massachusetts, 1839 -
Milford 1914) filosofo statunitense. Al padre Benjamin, famoso matematico della Harvard
University dovette soprattutto la sua grande cultura fisico-matematica, e alle proprie
letture quella logico-filosofica. Dopo aver frequentato Harvard per due anni, dal 1859 al
1891, lavorò per il servizio geodesico e costiero degli stati uniti. Si considerò
soprattutto un logico e tentò invano di ottenere una cattedra di questa disciplina; né
riusci a pubblicare La grande Logica, la sola opera da lui portata a termine. Ebbe solo
alcuni incarichi annuali di logica e filosfia della scienza all'università John Hopkins
di Baltimora, al Lowell institute di Boston e nella stessa Harvard. Visse gli ultimi
vent'anni isolato e poverissimo e lasciò una massa di manoscritti, acquistati dalla
Harvard University. Essi furono parzialmente pubblicati, insieme agli articoli più
importanti sparsi in varie riviste. La logica è intesa da Oeirce in senso così lato da
includere anche questioni psicologiche, gnoseologiche, metafisiche e perfino teologiche.
Due sono le dottrine logiche fondamentali da lui opposte sia alla logica aristotelica
kantiana, sia a quella hegeliana: la semiotica, o dottrina dei segni, e la faneroscopia, o
dottrina delle categorie........
Il significato concettuale di "durezza" (cioè la sua verità non astratta), per
esempio è espresso dalla seguente proposizione generale condizionale: "Se una certa
sorta di sostanza è sottoposta a una certa sorta di azione ne conseguirà una certa sorta
di risultato conforme all'esperienza sinora acquisita"...e in generale "il
concetto di tutti i possibili effetti prodotti da un oggetto è il concetto completo di
quell'oggetto". Soprattutto a causa di questa tesi Peirce è considerato il fondatore
del pragmatismo. A differenza di James, pone l'accento non sulla singola azione, o sul
risultato immediato, o sulla volontà di credere, ma sulla generalità delle persuasioni
via via raggiunte, e continuamente verificate e corrette, dalla comunità dei ricercatori,
ossia sulla razionalità e chiarezza delle nostre idee, condizione prima della loro
operatività. La ricerca, o interpretazione, collettiva dell'esperienza procede
all'infinito, sempre più approssimandosi, mediante l'autocorrezione, all'interpretazione
finale, ossia alla verità, tuttavia mai raggiunta.
Primo è il caso, lo spirito, l'eterno presente, la pura possibilità logica, la coscienza
immediata; secondo è la necessità, la materia, il passato, l'attuazione, l'esperienza;
terzo è l'evoluzione, l'abitudine, il futuro condizionale, la potenzialità,
l'interpretazione. Frammentario e spesso oscuro, ma profondo e originale, il pensiero di
Peirce è all'origine non solo del pragmatismo, ma di tutte le correnti più vive della
filosofia americana contemporanea: dal realismo critico alla filosofia dell'emergenza,
dall'empirismo logico al comportamentismo, alla filosofia del linguaggio. Notevoli anche i
suoi contributi di logica matematica, in specie la teoria delle matrici.
Nynfa Bosco
Talenti Perduti
L'ostracismo al nobel Rubbia, un nobel bocciato dall'università italiana. E' la storia di
Carlo Rubbia, tornato in Italia nel 1997, dopo 30 anni di ostracismo da parte degli atenei
del nostro paese.
Nel 1993 il Nobel Dulbecco lanciò un appello contro la fuga dei giovani ricercatori
all'estero. I migliori se ne vanno, nell'università italiana non si può lavorare.
In vent'anni l'Italia ha perso centinaia di scienziati. in una ricerca del 1989 i
ricercatori emigrati negli States denunciavano: "Cacciati dai baroni
dell'università".
Chi emigra non torna. per molti ricercatori riapprodare in Italia è impossibile: gran
parte dei titoli esteri non servono come curriculum per la carriera universitaria.
Uno dei casi più recenti di fuga scientifica è quello di Antonio Giordano, medico
italiano che in Usa ha scoperto un gene anti-cancro. Non torno, troppa burocrazia.
Antonio iavarone racconta il caso di nepotismo che l'ha obbligato a varcare l'oceano. Da
noi la bravura non paga ce ne siamo dovuti andare. Ad allontanarci dall'Italia, racconta
Iavarone, è stato un vero e proprio caso di nepotismo. Già nel 95 a Roma le ricerche
avevano dato i primi importanti risultati.....poi il primario di oncologia pediatrica, il
professor Renato Mastrangelo, ha cominciato a renderci la vita impossibile. Ci imponeva di
inserire il nome del figlio nelle nostre pubblicazioni scientifiche. Ci impediva di
scegliere i collaboratori. non lasciava spazio alla nostra autonomia di ricerca. per
alcuni anni abbiamo piegato la testa. sono circa 25 le pubblicazioni illegittimamente
firmate dal figlio del professore. Poi, un giorno, all'inizio del 99 abbiamo denunciato
tutto. ne hanno parlato i giornali e le radio. da quel momento, era chiaro, non potevamo
più mettere piede nel laboratorio, ce l'avrebbero fatta pagare. Il professore infatti ci
ha fatto causa per diffamazione e ha scritto decine di lettere ai colleghi per mettere in
ridicolo le nostre accuse. I vertici dell'università cattolica hanno fatto quadrato
attorno a lui......Noi siamo emigrati ed il figlio del professore ora lavora col padre ed
insegna in diverse scuole di specializzazione della cattolica.
Parla il medico Paolo Cornaglia Ferraris, autore di Camici e Pigiami
E' vero, i concorsi di casa nostra li vincono figli, mogli e nipoti.... Che dimensione ha
il fenomeno? Per rendersene conto basta leggere gli annunci pubblicati sulle riviste
scientifiche internazionali che cercano di attrarre docenti e ricercatori, offrendo
cattedre e direzioni di laboratorio. Non c'è mai un annuncio italiano. Perché? Non c'è
interesse ad affidare le cattedre ai migliori, perché possono far ombra a chi ha già una
posizione dominante e potrebbero conquistare le risorse finanziarie destinate alla
ricerca. Tutto a danno della qaulità della ricerca. una qualità che dovrebbe essere
attentamente valutata da chi eroga i finanziamenti: sanità e ricerca scientifica, per
evitare frodi scientifiche. Esistono commissioni di verifica? Certo, nelle università
americane sono molto attente e severe. Da noi non esistono. Negli usa chi firma una
ricerca deve dimostrare qual è stato il suo apporto specifico al lavoro. Qui si infilano
i nomi in base a quello che dice il direttore e c'è una lotta furibonda. A lei è
successo? Si, ecco perché sono stato cacciato fuori. I miei guai sono cominciati quando
mi rifiutai di aggoiungere nei miei lavori scientifici i nomi dei protetti del direttore
del dipartimento.
Gli Usa sono al primo posto fra le mete dei cervelli in fuga dalle università italiane,
seguiti da francia e gran bretagna. pochi invece scelgono il giappone. I ricercatori che
lasciano l'Italia sono soprattutto ingegneri e fisici, poi medici e biologi.
Indice
I privilegi
dei docenti universitari.
Intervista al ministro, a conclusione del nostro forum "Basta col fuori
ruolo, sì agli incentivi per chi produce"
Zecchino spara a zero sui prof. "Poco lavoro, troppi privilegi" di
Sabina Minardi
ROMA - Ne ha per tutti, il ministro Ortensio Zecchino: in primo luogo, si dichiara
contrario ad alcuni storici "privilegi" dei docenti universitari, come la
pensione molto ritardata (attraverso il meccanismo del "fuori ruolo") o le
troppe poche ore lavorative (350, meno della media europea); e poi prosegue accusando
l'eccessivo "ipergarantismo" del sistema, che di fatto ha congelato il
licenziamento per assenteismo reiterato. Ma non basta. Accettando di rispondere alle
domande di Repubblica.it, a conclusione del forum "I professori devono lavorare di
più", il responsabile dell'Università, nel governo di Massimo D'Alema, annuncia
anche alcune future riforme: ad esempio, l'introduzione della valutazione dei
"prof" da parte degli studenti; o la creazione di meccanismi di controllo
sull'attività didattica effettivamente svolta, pur escludendo il cartellino da timbrare.
E quanto alle retribuzioni, Zecchino lascia poche speranze alla categoria: "Gli
stipendi attuali sono adeguati - sostiene - ma bisogna dare incentivi solo a chi produce
di più".
La maggior parte dei partecipanti al nostro forum ritiene che il tempo dedicato dai
docenti all'insegnamento sia in genere troppo poco, o comunque più breve rispetto al
resto d'Europa...
"E' un fatto oggettivo. Il numero di ore che i docenti europei dedicano
all'insegnamento è più alto delle nostre 350 ore".
Lei ha dichiarato recentemente che "bisogna elevare la soglia dei doveri dei docenti
e del loro tempo dedicato alla didattica". Nel disegno di legge approvato di recente
dal Consiglio di ministri non c'è, però, alcun riferimento ad un aumento del numero di
ore per l'insegnamento...
"No. Quel disegno di legge riguardava la valutazione. Questo è un problema più
complesso a se stante".
In che senso?
"Nel senso che non potevamo, in quella sede, elevare soltanto il numero di ore.
Occorre una ridefinizione dello stato giuridico dei docenti. Che non poteva, però,
avvenire nell'ambito di quel disegno di legge".
E a che punto è la definizione dello stato giuridico, che i docenti attendono da tempo?
"E' un'operazione alla quale mi accingo. Ma i problemi sono numerosi, complessi, e le
posizioni molto diversificate: sul tema potremmo aprire un altro forum".
Dunque, non sarà una questione risolvibile nel giro di poco tempo...
"Vede, è dal '68 che resiste l'idea del docente unico. E molte convinzioni sono dure
a morire. Stiamo mettendo a fuoco un'ipotesi operativa".
Insomma, lei non ritiene sufficiente il vecchio minimo delle 350 ore. Solo che non era
quella la sede legislativa più appropriata per stabilirlo...
"Esatto. Anzi, io ritengo urgente la questione del minimo. Noi oggi abbiamo una
distinzione, tra docenti a tempo pieno e docenti a tempo determinato, che non ha più
senso. Intanto, perché il 93 per cento dei docenti è a tempo pieno. E non si può
seriamente dire che quel 93 per cento faccia più di quella che è la soglia minima
imposta al restante 7 per cento dei docenti".
"Perché i professori universitari non sono soggetti a controlli, perché l'orario
dei lavoratori deve essere controllato attraverso procedure come il timbrare
cartellini?". Così scrive un nostro lettore, lei che ne pensa?
"Il problema del cartellino è una finta battaglia. Ci sono diverse categorie di
persone che non timbrano il cartellino. E credo che neanche i professori dovrebbero
timbrarlo. Altrimenti, per un'esigenza egualitaria, l'introduzione di questo sistema
dovrebbe riguardare tutti i lavoratori. Credo che siano indispensabili certi meccanismi di
controllo. Ma non credo che lo siano strumenti come il cartellino".
Ha già in mente questi altri meccanismi di controllo?
"Li stiamo valutando. Ma non è la mancanza del cartellino che caratterizza
negativamene il docente".
"Cos'è il lavoro di un docente universitario? Esiste il pensiero ad ore? Esiste la
ricerca sperimentale 8-17?", si domanda un nostro lettore. Crede sia davvero
possibile davvero "misurare" l'attività didattica?
"Certo. E i sistemi di valutazione sono da anni oggetto di studio. Come gli esami
degli studenti tendono a radiografare le capacità e la preparazione con una certa dose di
convenzionalità negli schemi di giudizio, così sarà anche per la valutazione dei
docenti".
"I professori lavorano moltissimo, ma per loro stessi. Anzi, sfruttando la qualifica
di "prof" per triplicare il loro onorario". Molti partecipanti al nostro
forum sostengono che i docenti italiani hanno troppi altri incarichi. Non andrebbero
stabilite precise regole di incompatibilità?
"Anche qui entrano in gioco i problemi legati allo stato giuridico. Perché molte
volte sarebbe un impoverimento della cultura del docente precludergli totalmente
l'esercizio della professione. Io sono per una verifica dell'attività didattica, in modo
che non patisca compressioni da attività professionali".
Insomma, attività professionale sì, purchè non condizioni l'insegnamento.
"Il problema è che oggi nessuno controlla effettivamente quanta attività didattica
si svolga. Per una tradizione di eccessiva autonomia dei singoli docenti di organizzare il
proprio corso. Anche questa delle incompatibilità sarà una questione affrontata al
momento di definire lo stato giuridico dei docenti".
"Nelle nostre università gli ordinari frequentemente muoiono in cattedra, nel senso
che continuano ad insegnare in pratica fin quando ne hanno voglia. La loro età di
pensionamento è notevolmente superiore a quella dei comuni lavoratori dipendenti"...
Secondo lei, i docenti universitari vanno in pensione troppo tardi?
"Sì. Credo che il fuori ruolo debba essere ormai considerato un privilegio da
rivedere".
"Oggi un preside, un presidente di corso di laurea o di diploma, o anche un Rettore
non può prendere provvedimenti nei confronti di docenti inadempienti". Davvero non
si può licenziare per assenteismo reiterato?
"Gli strumenti per assumere provvedimenti severi esistono. La verità è che noi
veniamo da una lunga stagione di protezione pansindacale, che vale non solo per gli
universitari ma per tutti i lavoratori. E' un fatto culturale: dalla difesa del più
debole siamo passati a forme di garanzie rigide che hanno obiettivamente portato a degli
abusi. Questo ipergarantismo non sempre rende possibile la esemplarità di alcuni
provvedimenti".
Molti lettori accusano "quelli che tengono più cattedre, togliendo così la
possibilità di inserimento agli altri", "quelli che non insegnano ma stanno in
congedo, tenendosi il posto indefinitamente in caldo". Insomma, l'opinione comune è
che i docenti godano di "privilegi esagerati". Che ne pensa?
"Che l'università sia un regno incontrollabile per vocazione antica, dove
l'ipergarantismo ha trovato la sua espansione massima".
Lei ha proposto che i docenti siano valutati anche dagli studenti. In che modo gli
studenti potranno dire la loro sulla qualità e la capacità d'insegnamento dei
professori?
"L'organo di valutazione di ciascuna università dovrà avvalersi anche dell'opinione
degli degli studenti, attraverso meccanismi di monitoraggio. Ovviamente questo non
significa che deve fondare il giudizio solo sulle opinioni degli studenti, perché sarebbe
fuorviante."
E gli studenti, che strumenti avranno per esprimersi?
"Saranno le singole università ad organizzarsi. Nella legge è scritto solo che deve
trattarsi di opinioni 'raccolte sistematicamente'. Potranno essere, per esempio, schede
distribuite ai ragazzi a fine anno".
"So già dove andranno le incentivazioni prospettate dal ministro: ai soliti
maneggioni lobbisti che hanno fatto dell'Università il loro feudo personale". Così
ci scrive un ricercatore universitario. Come replica?
"Dicendo che i soldi andranno agli atenei, che li destineranno poi ai docenti. Io mi
auguro che il sistema degli incentivi possa funzionare. Ma l'incentivo è per chi fa di
più rispetto alla soglia del dovere".
Secondo lei gli stipendi dei docenti, finora, sono stati troppo bassi?
"Non credo. Anche rispetto ad altre retribuzioni pubbliche, non darei un giudizio
negativo. Mi pare che siano adeguati alle funzioni svolte. Noi ora, con il sistema degli
incentivi, abbiamo voluto correlare gli stipendi alla resa".
Indice
Docenti
universitari e concussione. (Un caso)
Premessa
Messaggio recuperato da un forum
E' ora di dire basta a queste disuguaglianze !!!!
Popolo dei prof. mobilitatevi !!!!!!!
Le università fanno contratti e ci insegna Costanzo (con tutto il rispetto, manca solo
Laurenti) mentre i prof. di scuola sono contestati.
Basta con queste lobby e questi giochi di potere.
Gente svegliatevi e date una occhiata agli atenei!!!
I prof. arrivano quando vogliono e fanno ciò che vogliono.
A scuola invece non si sgarra.
APRITE GLI OCCHI!
W i PROF DI SCUOLA!!!!!!
Grazie
Messaggio recuperato da un forum
'sta storia dei dottorati, perfettamente corretti nella forma e truccati nella sostanza,
perchè tanto all'orale quando esponi il tuo progetto il prof. è libero e sovrano di fare
passare il suo cocco beh questa è una cosa che affratella tutti i prof. universitari i
quali si comportano come una casta chiusa a riccio (e in questo caso comunisti o fascisti
non importa, non è questione di colore ma di casta). Io dottorati per questi non ne
faccio sono una gran presa per il sedere...comunque ora se sei disposta a pagare 2 o 3
milioni all'anno puoi fare quelli senza borsa..cioè se davvero ti serve per lavoro il
titolo di dottorato, se no lascia perdere sono soldi buttati che tanto i prof. al corso di
dottorato rimasticano le solite vecchie lezioni che fanno comunemente all'università.
della serie ora capite perché zeri, il più grande storico dell'arte italiano di questi
ultimi hanni non ha mai avuto una cattedra in Italia...
Camerino, video hard in ateneo - il professore perde la cattedra
CAMERINO - E' stretto nell'ascensore della Procura della Repubblica, ma sembra ancora in
cattedra. "Voi giornalisti - dice severo - dovete praticare più attentamente la
virtù della temperanza". Per non essere bocciati, meglio consultare il Nuovo
Zingarelli. "Temperanza - spiega il vocabolario - è la capacità di moderarsi
nell'appagare i propri bisogni, istinti, desideri e appetiti".
Non è male, il pulpito di Camerino dal quale arriva la predica. Il professor Ezio
Capizzano, 66 anni, è stato infatti indagato per concussione, per avere esercitato la
propria autorità al fine di ottenere favori sessuali. Ci sono film che lo ritraggono sul
tappeto del suo ufficio, dentro all'ateneo, in compagnia di studentesse. La telecamera era
nascosta sotto la scrivania. Lui, per ora, ha replicato da vero signore. "Può
succedere che siano le studentesse a farsi avanti. Se un uomo capisce che una donna ci
sta, e che si deve tirare indietro?".
Tutto per "amore", ovviamente. E per spiegare quali strani meccanismi scattino
fra una studentessa e un professore, ha mostrato una foto di festa di laurea, con una
ragazza che si appoggia a lui, maglia aderente e senza reggiseno. "E che vuol dire
questo? Non è chiaro?". Ancora non sa, il professore, che non potrà più rientrare
nell'università.
Ieri pomeriggio si è riunito il Senato accademico, che già lo aveva sospeso. "Dalle
sue dichiarazioni, non smentite - dice il magnifico rettore, Ignazio Buti - abbiamo
appreso che questo docente ha compiuto atti sessuali dentro all'università, e con
studentesse sue allieve. Sembra fra l'altro che oggetti come il videoregistratore e altro
siano di proprietà dell'ateneo. Questa è davvero una grave lesione al prestigio che un
docente deve tenere come il patrimonio più prezioso. Il Senato, che aveva concesso due
anni di proroga al pensionamento dopo il compimento dei 65 anni, revoca tale
autorizzazione e il professor Capizzano è da oggi fuori ruolo".
Certo, l'ateneo di Camerino avrebbe preferito altra pubblicità. "Questo è il nostro
666esimo anno accademico - dice il rettore - e siamo pieni di storia. Il professor
Capizzano? Ero già qui quando lui è arrivato nel 1971. Uno pieno di iniziative. Certo,
si vociferava che fosse molto attratto dal gentil sesso, ma in tanti anni nessuna accusa
concreta. Quando mi chiedevano referenze, riferivo di questa attrazione particolare e
basta. Cosa potevo dire?".
Piccola città, bastardo posto, canterebbe Guccini. Camerino ha 7.500 abitanti e 2.500
studenti residenti, e quasi nessuno ora può dire: io non sapevo nulla. Anche perché
basta andare in piazza Cavour, dove ci sono il duomo e l'università, per sapere tutto.
"Le studentesse a luci rosse? Guardi quella targa che ricorda Gregorio XIII. Tutto è
iniziato poco dopo". Ride, la ragazza e dice che l'unica novità, in tutta la
vicenda, è la telecamera. "Si sapeva benissimo cosa volesse dire "andare in
ufficio" dal professore. Non sapevo però che quello là si facesse anche i
filmini".
CAMERINO - Mette le mani avanti. "Io all'esame di diritto commerciale ho preso venti,
ed era la terza volta che mi presentavo". Le parole della ragazza che chiameremo
Rossana confermano che questa è una storia da prendere con le molle, in ogni senso.
"Il professore? Sapevamo tutti cosa voleva dire 'andare in ufficio' da lui. Del
resto, ci provava ovunque, anche al bar. Ma tutte noi sapevamo che era un...". Meglio
non riferire nel dettaglio ciò che si ascolta fra la piazza e la Procura, dove tutte le
ragazze - anche quelle sentite dagli inquirenti - dicono che "le altre" andavano
"a letto con il professore, perché così era più facile".
"D'altro canto - sospirano in paese - se una ragazza è maggiorenne e consenziente sa
quel che fa e ha sempre le sue ragioni...".
"A volte - dice Rossana - bastava una bella scollatura. Ti presentavi all'esame e
c'era chi slacciava un bottone della camicetta. Veniva subito chiamata: la scollatura dava
diritto di precedenza. Le gambe no, ininfluenti. Tanto, davanti alla cattedra, non si
vedono". Adesso nascono anche quelle che potrebbero essere leggende paesane.
"Una che era in appartamento con me si è lamentata perché è stata 'in ufficio' e
ha preso soltanto diciotto. Un'altra ragazza, invece, non riusciva a laurearsi da anni
poi, all'improvviso, ha presentato la tesi. Cinque giorni prima di discuterla anziché con
i 15 giorni d'anticipo previsti dall'università".
"Comunque la prima cosa che ho imparato, appena arrivata a Camerino, è stata questa:
non preoccuparti per l'esame di diritto. Se sei carina...". "Altro che
leggende", quasi si arrabbia Rossana. "Una volta il professore mi ha guardato in
faccia e mi ha detto: hai un brufolo, vuol dire che non fai abbastanza l'amore. Io avrei
la ricetta, se vuoi venire in ufficio...".
La storia era così conosciuta che tanti - spiega la ragazza - si facevano accompagnare.
"Io avevo un appuntamento nello studio, e ci sono andata assieme al mio fidanzato.
Altre ragazze si sono presentate con il papà, e lui si arrabbiava".
...
Il professore era ammirato e anche temuto. "Davvero - dice un suo ex studente -
conosceva tutti. Il suo corso è stato inaugurato dal ministro Enrico La Loggia, il 15
ottobre 2001. L'anno scorso si è presentato candidato per Democrazia Europea e presentava
Andreotti ai suoi amici. Si sentiva onnipotente".
Indice
Docenti universitari e non solo. Genio e Stupidit.......
Nell'articolo di Giorgio Celli (uno dei pochi professori universitari abbastanza
brillanti che l'Italia riesce ad esprimere) su
Evaristo Galois,
il Rimbuad della Matematica, vediamo come spesso la saccente e stupida arroganza di
molti accademici non aiuti né il genio, né la ricerca, né l'equità. I professori
universitari sono una delle varie caste privilegiate che esistono nel nostro paese e come
hanno sostenuto sia F. Alberoni, sia altri
scrittori non sono poi così meritevoli e degni dei posti che occupano; per non parlare
poi della corruzione che vi è in questi ambienti e delle connivenze che esistono con il
più nefasto potere politico, industriale e malavitoso. (Si vedano a questo proposito gli
altri articoli presenti nei forum del Daimon Club). Tuttavia
alcuni sono dei bravi insegnanti e degli abili ricercatori, ma solo alcuni, mentre la
maggior parte dei nostri docenti universitari non fa altro che sfruttare le menti più
brillanti dei vari studenti, non disdegnando al tempo stesso di occuparsi delle loro
varie, molteplici e lucrose attività extradidattiche, che nulla hanno a che fare con la
professione per la quale lo stato li paga, e alla quale dedicano pochissimo del loro
tempo, in media circa 350 ore all'anno.
Per questo all'interno delle nostre università troviamo un'allegra e spensierata
combriccola di figure che si dividono in maniera del tutto vantaggiosa il duro lavoro
della ricerca e della docenza; abbiamo così i professori ordinari, i professori
associati, i ricercatori, i tecnici laureati, i professori a contratto e chi più ne ha
più ne metta e naturalmente molte volte accade che tutti questi mediocri personaggi
cercano avidamente di conservare i loro atavici privilegi, senza dare al tempo stesso
troppa importanza o troppo impegno a quello che dovrebbe invece essere il loro vero lavoro
creativo, che del resto in pochi possono controllare e senza considerare con la dovuta
attenzione il lavoro degli altri, molte volte più originale e brillante del loro. Per
questo motivo assistiamo in Italia alla "fuga dei cervelli" e sempre per questo
motivo in Italia non abbiamo grandi realtà di eccellenza nel settore universitario, il
quale sfrutta la ricchezza del settore industriale per restare a mala pena a galla, e ne
approfitta della mediocrità del settore editoriale per continuare indisturbatamente a
divulgare stupidità, vanità, e tanta banale incapacità.
Come già sosteneva Giulio Preti abbiamo poi una grande divisione tra le due culture ed
così che nella realtà quotidiana dei nostri atenei, per non parlare ovviamente delle
nostre scuole superiori, ci troviamo difronte ad una vera e pericolosa massa di ignoranti.
Ma a questo proposito sentiamo appunto il Preti cosa scriveva: " Certo tutti
conosciamo la stupida ignoranza scientifica di molti letterati - e dico
"stupida", perché quasi quasi se ne gloriano, ne fanno una civetteria, come se
l'asinaggine potesse mai essere un pregio. Ma qui è ancora più deplorevole l'ignoranza
scientifica... degli scienziati. La scienza moderna richiede, e quindi alleva, molti
"proletari della ricerca" o savants bétes (come li chiama A. Huxléy sulla scia
di V. Hugo): piccoli ricercatori senza cultura e senza luce, manovali della ricerca
scientifica in laboratorio, le cui micro-ricerche si compongono poi nei grandi quadri
scientifici che trascendono la loro intelligenza e la loro cultura. Molti di loro riescono
poi a salire in cattedra - ahimè: e, se pure possono educare qualcuno, educano soltanto
degli altri manovali, che quando verrà il loro turno saliranno in cattedra. Fuori del
loro "Istituto", smettono di pensare, e ricadono immediatamente al livello di
mentalità pre-logica delle loro mogli, madri e nonne. Per questo, proprio per mancanza di
intelligenza, cultura e fantasia, sono spesso degli ottusi conservatori..... ". In
effetti la realtà negli ultimi decenni non è cambiata e così ci troviamo a mantanere
una classe privilegiata di "ottusi conservatori" (Ribadisco il concetto) i quali
contribuiscono spesso al mantenimento dell'imbecillità sociale e al consolidamento
elettorale di una classe politica e imprenditoriale sempre più fessa ed ignorante che ci
conduce a grandi passi verso il baratro più oscuro.
La cosa malsana è che questo stato di cose riguarda purtroppo anche la nostra salute, che
non viene per niente tutelata dall'organizzazione viziosa delle nostre facoltà. Si dice
infatti che i medici sono troppi, ed è vero, ma solo perché il servizio sanitario
disegnato dagli intellettuali, e realizzato dalla politica, è una struttura oligarchica,
autoreferenziale, iperburocratica, iperconsumistica, accentrata nelle università e negli
ospedali. E così viviamo un'altro paradosso, infatti proprio grazie alla stupidità delle
nostre organizzazioni, nel paese che vanta più medici per numero di abitanti d'Europa,
per fare certi esami si deve aspettare talvolta anche un anno. Ma qui il discorso si
dilungherebbe troppo. Per fortuna non sono l'unico a considerare inadeguati i nostri
pensatori ed i nostri docenti, infatti Alberto Arbasino giudica gli intellettuali dei
"conformisti a 360 gradi" piuttosto che dei conservatori "illuminati",
Angelo Panebianco li considera conformisti e corporativi, mentre Guido Calogero li invita
a convincersi che "la cattedra non è per i profeti e nemmeno per i demagoghi".
Ma purtroppo siamo in Italia e questo è quello che ci passa il convento !!!!! Ah
dimenticavo, ammesso e non concesso che questi "manovali della cultura" siano
degli intellettuali, compito assai gravoso che dividono comicamente con l'altra grande
casta di intellettuali che abbiamo in Italia, vale a dire i "sicofanti del
potere", come li chiamava Russel, ovvero i nostri amati e divertenti giornalisti.
A questo punto però qualcuno si potrebbe chiedere almeno un paio di cose, e cioè come
mai il sottoscritto abbia il dente così avvelenato nei confronti dei docenti universitari
e secondo, come mai non ci sia alcun riferimento alla casta dei filosofi. Bene, cerchiamo
subito di sciogliere qualsiasi forma di ragionevole dubbio e passiamo a soddisfare le
richieste dei più curiosi. Alcuni anni fa scrissi una lettera ad un famoso accademico
della mia città, nonché stimato professore di filosofia di un'università del nord, in
cui gli chiedevo gentilmente di poter avere un breve colloquio durante il quale gli avrei
presentato brevemente la mia vasta opera di aforismi ed i miei progetti. La risposta non
si fece attendere troppo e con un certo stupore appresi che il gurù non aveva tempo e che
poi non sarebbe stato nemmeno in grado di esprimere un giudizio su questo tipo di
letteratura aforismatica; come a dire che per lui in pratica anche Wittgenstein o
Nietzsche non erano altro che dei perfetti autori ma, haimè, incomprensibili per il suo
limitato genio. Nacque così la mia celebre e breve risposta che in sintesi suonava
praticamente così: "Se Dante nel duecento ha persino messo dei Papi all'inferno, nel
2000 Carl William Brown può agevolmente mettere dei filosofi nel cesso." E così
dopo aver dato delle eloquenti delucidazioni sui filosofi, passiamo quindi al successivo
ed enigmatico quesito del dente avvelenato. Il tutto risale in parte alla mia carriera di
studente universitario di varie facoltà umanistiche che mi ha lasciato moltissimi dubbi e
moltissime certezze sulla reale e presunta incapacità di tanti docenti ed in parte alla
mia esperienza di docente di scuola media superiore. Così per cercare di capirci qualcosa
di più circa un anno fa su Internet ho aperto un forum sulla Teoria della Letteratura con
l'intento di stimolare la collaborazione tra le due culture e la divulgazione di una
visione olistica della realtà, nonché di fare anche un po' di pubblicità alla mia vasta
produzione letteraria. Non privo di un certo entusiasmo ho dunque scritto a vari docenti
universitari, a vari scrittori e ad alcuni giornalisti. Il risultato non è stato molto
soddisfacente e comunque nessun docente mi ha risposto o ha inviato messaggi sul forum. A
questo punto la mia delusione è stata abbastanza evidente ed il mio disappunto si è
ulteriormente inasprito quando mi sono ricordato che un po' di anni prima nessun editore
aveva accettato di pubblicare i miei libri di aforismi, (In tutto più di 8.000 aforismi
originali) e si sa, anche le case editrici non sono del tutto esenti dal fascino ambiguo
del potere e dei professori universitari. Così è nata, un po' per scherzo e un po' per
serietà, la vicenda del dente avvelenato e di conseguenza i forum sulla Teoria della
letteratura e sulla stupidità si sono via via arricchiti di nuovi articoli e di nuove
informazioni.
In ogni caso l'ambiente universitario soffre anche di molti altri malanni. E vediamo
brevemente di quali. Nelle facoltà scientifiche si assiste da vent'anni ad un calo
inesorabile delle immatricolazioni, fatto dovuto evidentemente ad un'incapacità diffusa
del sistema educativo, politico e sociale. Di questo passo infatti se non facciamo
qualcosa, tra dieci anni diventeremo, ancora di più, utilizzatori di tecnologie
sviluppate da altri. Il problema è dovuto anche al fatto che nelle scuole elementari,
medie e e superiori non si da un giusto riconoscimento alle materie scientifiche, né
tanto meno una giusta retribuzione alla professionalità dei docenti, che abbandonati a
sé stessi, non investono nella ricerca, nell'aggiornamento, nell'ampliamento delle loro
capacità. Un'altro grave problema della nostra condizione di santi, poeti e navigatori è
che non solo la cultura scientifica non è diffusa tra la popolazione, ormai quasi
completamente rimbecillita dai mass media, ma non lo è neanche tra chi occupa posti di
potere e decide sulle sorti del nostro destino, sempre più nefasto ovviamente. La prova
concreta di questo stato di cose la possiamo trovare se analizziamo le immatricolazioni
all'università nell'anno accademico 2001-2002, che sono state 331.228 così suddivise:
37.178 Ingegneria; 16.097 Geo-biologia; 9.796 Chimica; 12.611 Scienze; 255.606 altre. La
composizione per iscritti ai corsi di laurea risulta così suddivisa: 12,1% ingegneria;
4,7% Architettura; 4,6% Medicina; 4,4% Geo-biologico; 3,4% Chimico-farmaceutico; 2,6%
scientifico; 2,5% agrario; 14,2 Economico-statistico; 9,3 Politico-sociale; 17,5
Giuridico; 10,5 Letterario; 5,5% Linguistico; 5,0% Insegnamento; 3,4% psicologico; 0,3%
Educazione fisica. Questa condizione si ripercuote anche sulla nostra vita sociale e sulla
nostra salute, infatti per esempio in Italia è molto scarsa la "caccia" alle
cause della malattia tumorale e vi è anche un impegno insufficiente alla prevenzione,
inoltre nella ricerca sul cancro siamo gli ultimi in Europa e lavoriamo solo su cure
scoperte all'estero. Così negli ultimi cinque anni in Italia si sono svolte 228 ricerche
cliniche in Oncologia, contro le 1474 del Regno Unito, le 508 della Francia e le 453 della
Germania. Leggermente meglio le ricerche cliniche sull'Aids che in Italia, sempre negli
ultimi 5 anni, sono state 35, contro le 135 del regno Unito, le 23 della Germania e le 36
della Francia. Certamente tutto questo è dovuto anche al fatto che in Italia gli
investimenti per la ricerca sono molto limitati e bisogna aggiungere che in questi ultimi
anni il sistema universitario è riuscito a non affondare solo grazie all'autonomia degli
atenei e così malgrado la perenne carenza di risorse molte facoltà hanno visto crescere
la loro competenza e la qualificazione del loro personale. In ogni caso c'è da
specificare che per coprire il gap con il resto d'Europa, cioè far salire gli
stanziamenti dallo 0,8 all'uno e due per cento del Pil servono 10 miliardi di euro, vale a
dire un miliardo all'anno per dieci anni. In pratica siamo il fanalino di coda
dell'Europa, dove solo la Grecia spende complessivamente meno di noi per la ricerca e la
didattica.
Bene, arrivati a questo punto dobbiamo anche precisare che forse un po' di colpa della non
florida situazione Italiana sarà anche da imputare al personale di ruolo delle
università che è di circa 108.000 persone, se consideriamo i docenti, i ricercatori e il
personale tecnico amministrativo, senza contare tutti i vari professori a contratto. Per
dovere di cronaca dobbiamo anche dire che gli stipendi al netto degli oneri dei professori
ordinari dell'Università Italiana sono di 45.725 euro per i neonominati, destinati a
diventare 91.095 euro dopo i trent'anni; per i professori associati sono invece di 34.610
euro per i neonominati, destinati a diventare 66.759 euro dopo i trent'anni; per i
ricercatori neonominati sono di 19.416 euro che diventano 49.660 dopo i trent'anni. Vi è
ancora da rilevare che dal 1994 al 2002 gli organici sono aumentati dell'11% mentre il
costo del personale è aumentato del 74%. Dunque dobbiamo ammettere che non siamo in
presenza di personale sottopagato, se pensiamo poi a tutte le altre fonti di reddito che
questi professionisti della cultura, della ricerca e dell'educazione si possono
procacciare. Evidentemente allora ne dobbiamo dedurre che il sistema non gode di ottima
salute e quindi dobbiamo anche ammettere che un po' di critica non fa poi così male,
soprattutto se è una critica che inviata al dialogo dialettico, persone che invece
pensano solo a divulgare i propri pensieri, i propri scritti, le proprie teorie, senza
ascoltare troppo i loro potenziali interlocutori. Ma terminiamo in bellezza e diamo a
cesare quello che è di Cesare infatti sempre rispetto al 1994 il numero dei laureati è
cresciuto del 60%, e poi, unico dato a favore dei docenti italiani, ricordiamo che il
rapporto tra docenti e studenti è di 1 a 32 in Italia, mentre in Inghilterra è di 1 a
17, in Francia è di 1 a 18, in Germania è di 1 a 11 e in Spagna è di 1 a 17. Ed infine,
come ciliegina sulla torta, lasciate che vi auguri "Buon Lavoro a Tutti", come
dice il nostro caro presidente, che tra le tante cose, purtroppo, a differenza di
Costanzo, non è un Professore Univeristario. Indice
Carl William Brown
Da Bouvard et Pécuchet di Gustave Flaubert
Les six millions de voix refroidirent Pécuchet à l'encontre du peuple ; -- et Bouvard et
lui étudièrent la question du suffrage universel.
Appartenant à tout le monde, il ne peut avoir d'intelligence. Un ambitieux le mènera
toujours, les autres obéiront comme un troupeau, les électeurs n'étant pas même
contraints de savoir lire ; -- c'est pourquoi, suivant Pécuchet, il y avait eu tant de
fraudes dans l'élection présidentielle.
- "Aucune", reprit Bouvard, "je crois plutôt à la sottise du peuple.
Pense à tous ceux qui achètent la Revalescière, la pommade Dupuytren, l'eau des
châtelaines, etc.! Ces nigauds forment la masse électorale, et nous subissons leur
volonté. Pourquoi ne peut-on se faire avec des lapins trois mille livres de rentes ?
C'est qu'une agglomération trop nombreuse est une cause de mort. - De même, par le fait
seul de la foule, les germes de bêtise qu'elle contient se développent et il en résulte
des effets incalculables."
- "Ton scepticisme m'épouvante !" dit Pécuchet.
Evaristo Galois Il
Rimbaud della matematica.
Da sempre, l'attenzione degli psicologi, e dei sociologi,
è stata rivolta ai minus / varianti, agli handicappati, ai disadattati « dal basso », a
quegli esseri umani, cioè, che risultano emarginati, o difficilmente integrabili
socialmente, in forza di un limite, motorio, o mentale, che ne fa, in qualche modo, degli
approssimati « per difetto » alle capacità medie degli uomini, al feticcio, così
sfumato e imprendibile, della normalità. Solo di recente, ad opera soprattutto dei
ricercatori americani, si è fatta strada, faticosamente, la consapevolezza che esiste
un'altra forma, opposta, di disadattamento, egualmente grave, una distonia « per eccesso
», che fa dell'uomo cosiddetto di genio, del bambino prodigio, degli esseri incapaci di
collocarsi nel mondo, consegnandoli ad una esistenza solitaria e spesso rovinosa. Con una
circolarità esemplare la tragedia del minus / variante si rispecchia sovente in quella
del plus / variante, e l'handicappato e il genio sono le facce di una stessa moneta che
non serve, a quanto sembra, per acquistare un certificato di piena cittadinanza tra gli
uomini.
« Il genio è una lunga pazienza », qualcuno ha scritto. Ma il bambino prodigio, questo
impaziente per definizione, questo prevaricatore delle norme e delle aspettative, mette in
crisi la verità sostanziale dell'aforisma; per lui, si direbbe, il talento non è
affatto, come si vuole solitamente suggerire, una forma privilegiata di apprendimento, è
l'espressione di un corto circuito tra mente e mondo, un fenomeno di impossessamento del
reale attraverso una transazione fulminea e totalizzante.
La teoria di un rapporto di reciproca, e stretta, causazione e adattamento tra società e
pensiero si disintegra sottilmente, costringedoci a chiamare in causa una « via
altra" alla conoscenza, che non procede per accumulo, ma per salti quantici, una
"comprensione per intuizione" di cui hanno parlato, da sempre i poeti, i
mistici, e talora gli stessi scienziati, per lo meno quelli epistemologicamente più
uavvertiti.
O i filosofi, quando affermano che, in certo modo, l'uomo capisce il mondo perché lo fa:
il cosmo è, in fondo, una immensa proiezione/ fantasma, una allucinazione, su scala
galattica, del nostro cervello. Gli esempi più strabilianti di « genialità precoce »
ce li offrono, e certo non a caso, i matematici. Perché gli algoritmi sono, nell'essenza,
creazioni mentali e si direbbe che la struttura dell'universo matematico risulti
espressione speculare di una necessità, di una logica implicita nei meccanismi funzionali
del cervello. La matematica è pensiero nel suo punto di massima congruenza e astrazione;
un punto dove la ragione, partita per il mondo, ritorna, figliol prodigo della conoscenza,
a se stessa.
Come spiegare, se non rifacendosi a questa segreta consonanza, a questo echeggiamento
pitagorico, tra i numeri e la mente, il fatto che Gauss sapesse far di calcolo ancor prima
di parlare e che, a due anni, potesse correggere il padre che aveva sbagliato a
conteggiare il salario dei suoi operai? A dieci anni, lo stesso Gauss, strabiliò il
maestro risolvendo, in maniera a un tempo geniale ed economica, il problema di scrivere i
numeri da 1 a 100 e di sommarli. Gauss inventò questa scorciatoia:
100 + 1 = 101
99 + 2 = 101
98 + 3 = 101
per cui moltiplicando 50 X 101 ottenne 5.050, il risultato desiderato.
A 19 anni, questo ragazzo figlio di un padre ignorante e un poco brutale, che gli
contestava la vocazione, era considerato universalmente uno dei più grandi matematici
viventi. Esemplare, per il nostro discorso, è il caso di Evaristo Galois, esemplare non
solo per la precoce manifestazione del suo genio, ma anche per la sua vita breve,
tormentata e piena di contraddizioni che fanno di lui un autentico « Rimbad della
matematica ».
Jean-Arthur Rimbaud, come si sa, è stato uno dei massimi archetipi e fondatori della
poesia moderna. Ragazzo prodigio, scrisse, in un vero e proprio delirio creativo, i suoi
lucidi, fosforici poemi tra i 15 e i 20 anni, per mettere in atto, al culmine di questa
sua prodigiosa avventura intellettuale, una sorta di « suicidio differito ». Smise,
infatti, di occuparsi di letteratura, si imbarcò per l'Africa, e diventò, come lui
stesso ha scritto, uno dei tanti « feroci viaggiatori dei paesi caldi ». Malato, mentre
le sue opere erano lette ed esaltate da tutta Parigi, morì, non ancora quarantenne, in un
tetro ospedale, disperato e sconosciuto, paradigma di quel « disadattamento per eccesso
», di cui abbiamo parlato all'inizio. Galois scoprì la matematica a 16 anni leggendo,
per caso, un libro di testo, quello di Legendre. Come Rimbaud, Galois non ebbe maestri.
La poesia e la matematica si scoprono e si vivono, non sì imparano. Tutto quello che vale
la pena di apprendere, purtroppo, ed è la disperazione della didattica, non lo si può
insegnare. Dal momento in cui Evaristo trova se stesso, e il suo vero mondo, la sua vita
è segnata. Il più grande matematico di tutti i tempi, come lo definisce Infeld, nel suo
romanzo / biografia, così appassionato e tendenzioso, viene bocciato per due volte agli
esami di matematica che era necessario superare per essere ammessi al Politecnico. Ouesti
scacchi sono un sintomo delle difficoltà dell'« handicappato da genio ». Galois, che
percorre, solitaria meteora, i cieli estremi della speculazione matematica, si sente
offeso dalle banali domande dell'esaminatore, e rifiuta, nella coscienza dei suoi segreti
poteri, di prestarsi al gioco, risibile, di quella prova, troppo ingiuriosamente al «
disotto » delle sue capacità. Ma il calvario del disadattato per eccesso è solo agli
esordi. Per ben tre volte, Galois invia il resoconto delle sue scoperte matematiche
all'Accademia, ma, cecità e stolidità di chi si ritiene ormai un padrone della sapienza,
il responso ufficiale è, come nelle regole, deludente. Chauchy, criminalmente, smarrisce
e forse cestina due manoscritti dell'oscuro e perentorio studente, Poisson ne esamina un
terzo, e crede di scoprirvi un errore, mentre, al contrario, la storia farà giustizia, è
lui, il maturo matematico applicato, e non l'introverso postulante, a prendere una
grossolana cantonata! Al contrario di Rimbaud, che partecipò, forse, alla Comune di
Parigi, ma sicuramente con scarso entusiasmo, Galois fu uno scienziato ansioso di
intervenire nelle vicende del proprio tempo, fu un uomo, come si direbbe oggi,
politicamente impegnato. Repubblicano, nemico dei preti, nel crogiuolo rovente degli anni
attorno al 1830, che videro la ascesa e la caduta delle ultime, esangui,
monarchie francesi, prima dell'avvento di « Napoleone il Piccolo », partecipò, studente
sessantottardo ante-litteram, alle agitazioni sociali che travagliavano la nazione e venne
arrestato e processato due volte, la prima per istigazione al regicidio, per, come si
direbbe oggi, apologia di reato, la seconda per detenzione d'armi. A 2l anni non ancora
compiuti, questo giovane asceta consacrato alla rivoluzione e agli algoritmi, così
ansioso di migliorare il mondo, ma cosi poco esperto dei suoi labirinti e delle sue
trappole, venne coinvolto in una « storia di donne ». Un amore, un rivale, un duello: si
compie, così, il suo destino.
Forse, come suppone Infeld, è tutta una trama della polizia per liquidare lo studente
contestatore e libertario. Una faccenda da « servizio segreto ». Ci imbattiamo, qui, in
una
delle più brucianti, e sconsolanti, contraddizioni del genio. Evaristo Galois, questo
atleta del pensiero, che anticipa i decenni, che vive progettando l'avvenire, è
miserevolmente
schiavo, come l'ultimo dei bellimbusti, delle convenzioni del suo tempo. Non può
sottrarsi al dovere di accettare una sfida a duello. Uomo del futuro, muore in nome degli
ideali del passato. La notte prima di recarsi al luogo del suo suicidio - Galois era
completamente, o quasi, inesperto di armi, mentre il suo rivale era noto come un tiratore
formidabile - egli decide di scrivere il proprio testamento scientifico. Ha una notte per
guadagnarsi l'immortalità, per continuare a vivere in quel domani, che lo presente,
finirà per capirlo. Scrive, per esteso quanto gli è possibile, le sue intuizioni
matematiche.
Questa lotta, di Galois contro il tempo, che gli sfugge, e contro l'oblio, per dare un
senso alla sua vita in articulo mortis, è una delle imprese più epiche, e patetiche, che
ci siano mai state raccontate. All'alba, la fatica di Sisifo è compiuta. Le sue
disposizioni testamentarie chiamano in causa tutti noi: ci ha lasciato in eredità la
teoria dei gruppi, universo incantato in cui si smarriranno, affascinati, i matematici del
Novecento e delle cognizioni così avanzate sugli integrali ellittici, che, come scrive
Colerus, « solo Riemann e Weirstrass riusciranno a interpretare ».
Handicappato da genio, prigioniero dell'etica esausta dì una società che non l'aveva
amato, e che non amava, Galois si incamminò verso quel luogo che era, per lui,
l'equivalente, come fuga da se stesso, dell'Africa arroventata dal sole di Rimbaud.
Un colpo di pistola gli risolse per sempre l'equazione algebrica di grado infinito della
vita.
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