L'IGNORANZA
ITALIANA DEVE DIRE GRAZIE ANCHE ALLA SIAE
Tutti gli esseri umani di buona volontà che abbiano
un minimo di cultura e di dimestichezza con la grande rete sanno che ormai
Internet è un mezzo globale che di fatto può rendere grandi servigi al
progresso della nostra specie, sia da un punto di vista scientifico, sia da
un punto di vista educativo, e quindi ovviamente sociale, culturale, etico
ed estetico. La condivisione del sapere e delle informazioni tra tutti gli
abitanti del globo potrebbe realmente contribuire a sconfiggere i molti mali
che assillano la nostra umanità e in ogni caso, proprio grazie all'arte,
alla conoscenza e alla solidarietà, potrebbe almeno ingentilire l'esistenza
di tutti gli abitanti del pianeta migliorandone al tempo stesso la qualità
della vita. Chiaramente vi sono grandi differenze nell'utilizzo di queste
nuove tecnologie, questo è dovuto in primo luogo al potere economico degli
utenti stessi e in secondo luogo al grado di organizzazione dei sistemi
politici, legislativi e industriali in cui essi vivono.
Lo spirito e la filosofia della rete permettono dunque che vi siano online
siti con moltissime risorse gratuite, nati grazie al lavoro
non retribuito di molti appassionati, le cui spese di mantenimento e di
gestione sono coperte finanziariamente da oranizzazioni no-profit, dai
governi, dalle università, dalle scuole, dalle industrie o dalla pubblicità,
e questo permette a tutti indistintamente di poter usare dei software liberi
e di consultare per esempio dei giornali, dei dizionari, dei manuali, dei
libri, e delle enciclopedie in modo tale da migliorare la propria cultura e
quella dei propri figli in modo del tutto libero e naturale. Per esempio se facciamo una ricerca su Salvador Dalí usando la famosa Wikipedia o altre simili enciclopedie troveremo degli
ottimi articoli corredati anche da moltissime fotografie, che ci aiutano a
meglio comprendere la genialità dell'artista in questione.
Fotografie di Dalí presenti nella Enciclopedia
libera "Wikipedia" in inglese http://en.wikipedia.org/wiki/Salvador_dali; lo
stesso vale per un'altra famosa opera di consultazione http://encyclopedia.thefreedictionary.com/salvador+dali
-Dalí, photo by Carl Van Vechten, November 29, 1939
-Self-portrait - by teenaged Dalí in 1921
-Wild-eyed antics of Dalí and fellow surrealist artist Man Ray in Paris on
June 16, 1934, photographed by Carl Van Vechten
-The Persistence of Memory (1931) is one of Dalí's most famous works
-On Dream Caused by the Flight of a Bee around a Pomegranate a Second Before
Awakening (1944) Dalí said, "the noise of the bee here causes the sting of
the dart that will wake Gala"
-Dalí Theatre and Museum in Figueres
-Crucifixion (Corpus Hypercubus) (1954)
-The Temptation of St. Anthony (1946) contained Dalí's symbolic elephant,
Musee d'Art Moderne in Brussels
-Rinoceronte vestido con puntillas (1956), Puerto José Banús
-Gala in the window (1933), Marbella
-A photograph from the Dalí Atomica series (1948) by Philippe Halsman
-The Disintegration of the Persistence of Memory (1954) was Dalí's way of
ushering in the new science of physics above psychology
-Soft Construction with Boiled Beans (Premonition of Civil War) (1936)
-The Philadelphia Museum of Art used a surreal entrance display including
its steps, for the 2005 Salvador Dali exhibition
Purtroppo però lo stesso non vale per
l'edizione italiana della stessa enciclopedia http://it.wikipedia.org/wiki/Salvador_Dali
in cui più modestamente appare solo una piccola fotografia del grande
pittore spagnolo:
-Dalí nel 1939
E questo perché in Italia non esiste il "Fair Use",
strumento legislativo che permette di pubblicare materiali sotto copyright
senza autorizzazione, purché vi siano fini e intenti educativi; il principio
del fair use, infatti, rende i lavori protetti dal diritto d'autore
disponibili al pubblico come materiale grezzo senza la necessità di
autorizzazione, a condizione che tale libero utilizzo soddisfi le finalità
della legge sul diritto d'autore, che la Costituzione degli Stati Uniti
d'America definisce come promozione "del progresso della scienza e delle
arti utili".
L' evidente disuguaglianza nella ricchezza delle informazioni disponibili in
rete penalizza ovviamente gli utenti italiani che non conoscono l'inglese e
che sono quindi obbligati a navigare solo nel nostro povero e disgraziato
web nazionale, che ovviamente rispecchia la nostra misera e meschina
condizione di cittadini informaticamente, tecnologicamente e persino
artisticamente ancora un po' troppo analfabeti. Questa evidente
penalizzazione è resa possibile in primo luogo grazie alla nostra vecchia e
stupida legislazione (legge 22 aprile 1941 n. 633 e relativi adeguamenti),
ma soprattutto anche grazie alla politica culturale della nostra Siae che,
senza volerci inoltrare troppo nella discussione che richiederebbe
un'analisi molto più vasta e per la quale vi rimando al nostro forum
anticopyright, contribuisce in buona sostanza al mantenimento della
splendida ignoranza nazionale e naturalmente allo stesso tempo pure allo
sfarzoso mantenimento economico dei propri dirigenti che, a loro dire,
devono tutelare i diritti morali e gli interessi economici dei vari artisti
e dei loro eredi. Ma siamo sicuri che impedendo al vasto pubblico di
conoscerli questi artisti e quindi di apprezzarli e rispettarli saranno in
grado di mantenere le loro false promesse e quindi di contribuire al
miglioramento delle nostre potenzialità nazionali, e qui non mi riferisco
ovviamente solo agli aspetti artistici della questione, ma anche al nostro
carattere e alla nostra serietà che ci rende dei pagliacci in debito col
mondo dei più deboli e con quello della responsabilità logica e civile in
senso lato. Il governo italiano per esempio è moroso, non paga le medicine
per aids, tbc e malaria, ovvero se ne frega di rispettare gli aiuti
umanitari sottoscritti con l’Onu. Come il governo precedente del resto.
Senza farmaci si muore. Chi non può pagarli muore. Le nazioni povere
muoiono. Il Wto approva. Le case farmaceutiche, capofila la Glaxo,
incassano. I Governi ricchi assistono e per di più, come nel nostro caso,
non smantellano nemmeno alcuni enti pubblici a gestione privata deputati
solo al mero mantenimento dei
diritti d'autore, sì, proprio quelli che tutelano e alimentano la nostra
ignoranza, il nostro egoismo e la nostra povertà intellettuale e spirituale.
Carl William Brown
Indice Forum
E-LEARNING E DIRITTO: RIPENSARE DIDATICA E DIRITTO D'AUTORE
Aspetti problematici della gestione
dei diritti d’autore nell’organizzazione e nella gestione di un corso di
laurea erogato in modalità e-learning. Un confronto tra l’esperienza
americana e la realtà italiana.
La corretta applicazione della disciplina
relativa al diritto d’autore costituisce uno dei più grossi fattori di
incertezza tra quelli correlati alle varie e possibili forme
dell'apprendimento a distanza.
Le lezioni effettuate in e-learning sono, dal punto di vista dei contenuti e
delle finalità perseguite, equivalenti a quelle che vengono tradizionalmente
svolte in compresenza fisica all’interno di un’aula universitaria, con in
più il non indifferente vantaggio che lo studente può liberamente scegliere
i tempi e i modi di fruizione.
I termini del problema cambiano dal momento in cui l’equivalenza tra una
lezione tradizionale ed una lezione erogata attraverso la modalità
e-learning viene osservata dal punto di vista del diritto.
Le lezioni effettuate in e-learning, infatti, differiscono dalle
tradizionali lezioni svolte in classe per un aspetto fondamentale. Esse, per
essere rese fruibili agli studenti, debbono essere oggetto di una serie di
procedimenti e attività che impattano in modo inedito sui diritti esclusivi
dell’opera così come tradizionalmente definiti. Per esempio, l’opera, che si
tratti di un testo o di un’immagine o di un filmato, deve essere
innanzitutto riprodotta in forma digitale su un supporto diverso da quello
originale, a questo riadattata e resa disponibile in rete per essere fruita
dagli studenti.
In altri termini, mentre in una dinamica formativa tradizionale un docente
poteva esercitare la facoltà di mostrare durante la lezione un grafico o una
figura, nella maggior parte dei casi senza dover porre in essere nessuna
ulteriore attività, nelle lezioni a distanza il docente è costretto a
compiere una serie di operazioni che contrastano con i diritti dell’autore
così come riconosciuti dalla legge.
Se quindi nell’ambito delle lezioni tradizionali l'atto di utilizzazione
dell'opera protetta poteva ritenersi circoscritto al semplice fare vedere
agli studenti una immagine o un grafico, della quale gli studenti potevano,
al massimo conservare la sola memoria retinica o brevi schizzi presi nel
quaderno degli appunti, nell’ambito di un corso in modalità e-learning entra
in gioco la riproduzione della stessa opera (in slides multimediali, ad
esempio, o nell'html di una pagina web) e la sua conseguente (potenziale)
diffusione all’interno di Internet.
Il primo fattore problematico è dato dalla natura digitale dei contenuti
utilizzabili attraverso Internet, e la pericolosità del mezzo digitale
consiste nella sua particolare caratteristica che fa sì che una copia sia di
fatto indistinguibile dall’originale: essere in possesso di un file che
rappresenti un libro, una immagine, un filmato, è equivalente ad essere in
possesso di un numero indeterminato di copie di quello stesso file. In altre
parole ognuna delle copie ha la stessa qualità del file originario.
Il secondo fattore è costituito dalla trasmissibilità telematica di tali
opere. Mettere una foto in una pagina web vuol dire innanzitutto
moltiplicarla tante volte quanti sono gli accessi, e conseguentemente
diffonderla ad un pubblico indiscriminato. Quest’ultima circostanza fa si
che una volta che l’opera sia immessa nella rete, diventi impossibile
mantenere un effettivo controllo sulla sua circolazione e, soprattutto,
dell’uso che della stessa può essere fatta [Samuelson, 1991; Samuelson et
al., 1994].
L'e-learning, rendendo un’opera disponibile sulla rete internet e quindi
potenzialmente scaricabile da molte persone, amplia a dismisura la sfera dei
soggetti che possono ottenere la piena disponibilità, e quindi subentrare
senza titolo nell'utilizzabilità, di un'opera protetta esorbitando dalle
ragioni che avevano spinto il legislatore nel 1941 (anno in cui è stata
varata la legge a tutela del diritto d’autore) a prevedere l’utilizzazione
libera a fini didattici.
Quindi il problema giuridico e organizzativo di chi pone in essere corsi
elearning è quello di tutelarsi adeguatamente dal rischio di ledere gli
altrui diritti, e riconfigurare un contesto pacifico di utilizzazione libera
delle opere d’ingegno a fini didattici, attraverso opportune protezioni.
Prospettive future e soluzioni: l’esperienza
americana, la realtà italiana
Mentre in Italia il fenomeno dell’insegnamento a distanza può ritenersi
relativamente recente, negli Stati Uniti il fenomeno è da qualche anno ormai
consolidato e diffuso. Posto che i problemi legislativi affrontati dagli
americani sono simili ai nostri, data l’armonizzazione della disciplina
sostanziale del diritto d’autore e la globalità della diffusione di
internet, è di estremo interesse, in questo delicato momento di transizione,
guardare come si è sviluppata l’esperienza statunitense. Negli Stati Uniti,
infatti, sono fortissimi gli interessi dell’industria economica delle opere
di ingegno ma la ricerca e l’istruzione sono riuscite a ricavare una sfera
precisa e determinata di potere di utilizzazione rispetto alle prerogative
destinate agli autori e ai titolari di diritti connessi proprio in relazione
all’apprendimento a distanza.
Nel 2002 infatti, l’amministrazione Bush ha convertito in legge il
cosiddetto TEACH Act[1], che emenda la Section 101 (1) e (2) del Copyright
Act, ed espressamente dedicato alle utilizzazioni libere per scopi
didattici. Il TEACH Act (“Technology, Education and Copyright Harmonization
Act”) si pone come una integrazione ed un emendamento alla preesistente
legge sul diritto d’autore statunitense con l’obiettivo di dare una risposta
precisa alle numerose incertezze sollevate dalle varie forme di
apprendimento a distanza attraverso internet, in modo particolare dell’e-learning,
e le diverse problematiche poste dalla compatibilità di tali mezzi di
insegnamento con i diritti d’autore [USPTO 2002].
L’adozione della legge è stata accompagnata da numerose consultazioni di
commissioni intergovernative formate ad hoc e dalla partecipazione diretta
di commissioni di rappresentanti del mondo accademico e dei titolari di
diritti, le quali, di concerto, sono arrivate a specificare degli standard
capaci di contemperare i rispettivi interessi. Il risultato finale è stato
quello di sottoporre alle università e agli enti culturali accreditati che
svolgono attività formative in modalità e-learning l’obbligo di assicurare
adeguate misure di protezione ai contenuti dei corsi, in modo da non
pregiudicare gli interessi economici dei titolari di diritti e consentire
che le università continuino ad usufruire delle garanzie di cui la didattica
e la ricerca hanno da sempre goduto.
Il TEACH Act stabilisce infatti che le Università e gli enti accreditati
possono utilizzare per i loro corsi tutti i tipi di opere senza il consenso
del titolare dei diritti ad eccezione di quelle opere espressamente
destinate ad essere vendute appositamente come materiale per i corsi a
distanza e per le opere contraffatte o acquisite in violazione di legge. Per
le opere utilizzabili devono essere comunque rispettati precisi limiti
quantitativi di estrazione ed in ogni modo intanto potranno essere
utilizzate in quanto effettivamente attinenti al corso.
La prima accortezza attuabile per via tecnologica consiste nel fatto di
limitare l’accessibilità dei materiali del corso ai soli studenti iscritti.
Tale previsione ha una immensa importanza pratica poiché consente di
mantenere il controllo sulla circolazione dei contenuti esposti durante le
lezioni in e-learning. Ed infatti più è bassa la possibilità che terzi
indiscriminati abbiano la possibilità di accedere ai contenuti, più le
garanzie di tutela ai diritti degli autori offerte dalle classi "virtuali"
si avvicinano a quelle offerte dalle classi tradizionali.
In seconda istanza, gli enti che erogano i corsi sono obbligati ad
effettuare controlli tecnologici sia sulla conservazione dei corsi che nei
modi in cui questo saranno resi disponibili agli studenti. Tale risultato si
ottiene impedendo agli studenti di salvare le lezioni in locale, sul loro
disco rigido. In questo modo, il controllo sulla circolazione delle opere è
effettuato non solo in via generale ma anche in via capillare. Allo stesso
modo i corsi non potranno essere mantenuti online oltre il tempo necessario,
in modo da limitare la fruibilità degli stessi da parte degli studenti anche
dal punto di vista temporale.
Ulteriore previsione è costituita dal rispetto delle eventuali misure
tecnologiche di protezione apposte dai titolari di diritti sulle opere
stesse. Le Università potranno utilizzare le opere protette a condizione di
non rimuovere in alcun modo le misure antiaccesso e/o anticopia che
proteggono i contenuti. Posta l’autonoma rilevanza giuridica di tali misure
una violazione dei sistemi crittografici di sicurezza esorbiterebbe dai
limiti legittimi per cui l’utilizzazione libera è concessa.
L’Università, o comunque, l’ente che eroga il corso, potrà conservare copie
dei corsi erogati anche qualora queste contengano materiale coperto da
diritti d’autore di terzi purché le copie vengano conservate all’interno
dell’Università stessa. In ogni modo è previsto espressamente che
l’Università possa riutilizzare i corsi, sempre e purché vengano rispettati
i requisiti tecnologici previsti dalla legge anche nell’ipotesi della
riutilizzazione.
Come si può osservare, queste regole, semplici ed intuitive, hanno come fine
specifico quello di ovviare in modo preciso e circostanziato a tutti i
possibili ostacoli all’utilizzazione delle opere coperte da diritti d’autore
nei cicli di lezioni che si svolgono in modalità e-learning e fare si che
tali lezioni offrano ai titolari di diritti le stesse garanzie offerte dai
corsi e dalle lezioni tradizionali.
Tali regole, oggetto di espressa attività normativa da parte del legislatore
americano, sarebbero, in astratto, facilmente applicabili anche alla realtà
italiana.
L’utilizzazione di adeguate ed efficaci misure tecnologiche di protezione,
infatti, data la loro rilevanza giuridica anche nel nostro ordinamento,
circoscrive fino a rendere altamente basse le possibilità per gli autori di
subire un danno economico dall’utilizzazione di materiali protetti nei corsi
online.
I pur numerosi interventi di riforma e modifica di cui è stata numerosamente
oggetto la legge sul diritto d’autore non sono intervenuti in alcun modo
sull’art. 70: non c’è stato alcun intervento del legislatore nel senso di
volere espressamente escludere dall’ambito delle utilizzazioni libere i
corsi a distanza quindi, in mancanza di un espresso divieto, l’ambito di
utilizzazione libera a fini didattici delle opere protette deve ritenersi
pienamente vigente e praticabile, seppure, fino al momento in cui mancherà
un espresso riconoscimento formale a livello legislativo, costretto a
convivere con le diverse problematiche lasciate irrisolte dal legislatore
italiano. Elvira Berlingieri,
Maria Renza Guelfi, Marco Masoni, Giacomo Gensini, Antonio Conti
Dicembre 2006 Articoli al completo presenti nel sito:
www.wbt.it/index.php?risorsa=diritti_autore
Indice Forum
Against Intellectual Monopoly
Michele Boldrin and David K. Levine
I CONTROSENSI DELLE TABELLE SIAE
Vorrei qui far notare un controsenso rilevabile
nelle tabelle della Siae che riguardano i siti amatoriali, senza scopo di
lucro, intestati a persone fisiche. Il file in questione si chiama
olaf_av_utilizzatori_Tariffe.pdf ed è zippato nel sito della Siae. Porta la
decorrenza del giugno 2004, ma nella raccomandata che mi ha spedito l’Uff.
Arti Figurative si faceva riferimento a un file più aggiornato: p.es. nel
file “ufficiale”, scaricabile, pur dopo molte peripezie, viene detto alla
tabella 7.1, che riguarda p.es. i docenti che si muovono in rete a titolo
personale: n. di opere da 1 a 10, al mese 2 euro, all’anno 20 euro; n. di
opere da 11 a 50, 10 euro al mese, 100 euro l’anno. Viceversa, nella
raccomandata che mi hanno spedito, pur restando l’obbligo massimo di 50
opere, è sparito il forfait annuale, per cui si paga non 100 ma 120 euro per
50 opere.
Lo sa un docente che non esiste solo una tabella ufficiale ma anche una
ufficiosa? Una tabella messa online e una offline? Ma il bello deve ancora
venire. Secondo la Siae quando si supera il numero massimo delle immagini,
il docente è destinato a finire nella tabella successiva: quella delle
Scuole, Musei, Biblioteche, Università ecc. i cui domini notoriamente sono
intestati a persone giuridiche.
Qui gli importi sono di molto superiori e solo mensili: p.es. 50 immagini
(che è davvero ben poca cosa per uno che si vuole interessare di arte)
vengono a costare 63 euro al mese. Io ne avevo 74 incriminate: suppongo che
la Siae mi abbia conteggiato le prime 50 nella tabella dei docenti e le
altre 24 in quella delle scuole. Lo suppongo perché l’uff. suddetto si
rifiuta ostinatamente di dirmi non solo i nomi dei files, ma anche la
metodologia dei conteggi dei compensi. In ogni caso qui si deve cercare di
capire il tipo di ragionamento estorsivo che vuol fare la Siae ai danni dei
docenti. Da un lato essa pretende compensi anche da parte di chi non fa
lucro in alcuna maniera (qui voglio ricordare che la Siae è disposta a non
chiedere compensi solo a due condizioni: che il docente usi le immagini o
col tag iframe o in area riservata); dall’altro pretende maggiori compensi
da parte di chi, pur non facendo lucro in alcuna maniera, fa però più
cultura. Il controsenso sta proprio in questo, che quanti più ipertesti
culturali si fanno a titolo gratuito, favorendo indubbiamente, sebbene
indirettamente, i diritti patrimoniali degli artisti e/o dei loro eredi,
tanto più si deve pagare.
La Siae non può accettare che un docente, in un sito amatoriale, utilizzi
più di 50 immagini a un prezzo di favore. Se ne usa 51 si sta comportando
come un sito istituzionale, che notoriamente ha maggiori disponibilità
economiche! Questo sta a significare che la Siae non esprime affatto la
volontà degli artisti, che sarebbero ben contenti di essere recensiti a
titolo gratuito e a livello medio-alto, ma rappresenta soltanto la propria
volontà, che è quella di ricavare il massimo dall’uso delle immagini.
Proprio mentre pretende di difendere il diritto d’autore, danneggia
enormemente lo sviluppo della cultura. Ma la comicità esilarante la si
riscontra là dove la Siae sostiene da un lato che una semplice jpeg è copia
fedele di un dipinto e dall’altro che le immagini che un docente può mettere
in rete devono essere, per poter beneficiare delle tariffe minori, di bassa
qualità e non devono mai superare i 72 dpi di risoluzione.
Quindi un’immagine di una schifezza incredibile è copia autentica delle
Demoiselles d’Avignon di Picasso! Ma non è tutto. Ora tenetevi perché quanto
sto per dirvi raggiunge il vertice del supremo umorismo. “I responsabili dei
siti dovranno porre in essere accorgimenti tecnici atti a impedire lo
scaricamento delle immagini dai siti stessi”.
Qui lascio a voi facoltà di commentare una frase del genere, aggiungendo
ulteriori ipotesi interpretative alle seguenti: 1. che senso ha pagare l’uso
di un’immagine impedendo a qualcuno di vederla? Mi pongo questa domanda
perché non riesco a capire come si faccia a non scaricare un’immagine che si
vede. Gli “accorgimenti tecnici” sono forse quelli java? flash? Sono forse
questi gli “accorgimenti” che vanno per la maggiore in rete? Quelli che
tutti sono facilmente in grado di utilizzare? E in ogni caso la Siae lo sa
che esiste una cache del browser?; 2. se devo mettere una jpeg in un’area
riservata che senso ha pagarla? La stessa Siae mi autorizza a usarla
liberamente; 3. è davvero così importante che una jpeg di infima risoluzione
non venga scaricata da nessuno?; 4. col tag iframe posso mettere nel mio
sito qualunque immagine linkata: è la stessa Siae che mi dice di fare così
per non pagare i diritti (basta che i sorgenti html siano ben chiari).
Dunque di cosa si sta parlando qui? La Siae sa che cos’è la rete e come ci
si lavora?
Enrico Galavotti
Indice Forum
TERZA INTERROGAZIONE
PARLAMENTARE
Interrogazione a risposta scritta 4-02559
presentata da LUANA ZANELLA lunedì 12 febbraio 2007 nella seduta n.107
ZANELLA. - Al Ministro delle comunicazioni, al Ministro della pubblica
istruzione, al Ministro della giustizia, al Ministro per i beni e le
attività culturali. - Per sapere - premesso che:
recentemente l'ufficio Arti Figurative della Siae ha denunciato l'autore di
ipertesti pubblicati su un sito internet di didattica e cultura non profit
di Cesena (www.homolaicus.com), realizzato e gestito attivamente da un
decennio dall'insegnante di Cesena Enrico Galavotti, uno dei fondatori del
web didattico nazionale (meglio conosciuto in rete col nick di Galarico),
per l'utilizzo di 74 dipinti-immagini digitali di pittori protette dai
diritti d'autore, con richiesta di ingenti somme pecuniarie; la Siae
infatti, applicando una legge le cui origini risalgono all'anteguerra (legge
del 22 aprile 1941, n. 633 e successivamente adeguata con la cosiddetta
«legge Urbani» - legge 22 maggio 2004, n. 128) e non individuando alcuna
differenza tra uso didattico-formativo-istituzionale e uso commerciale,
pretende il pagamento di cifre rilevanti relative a diritti d'autore su
opere protette realizzate da artisti viventi o scomparsi da meno di 70 anni;
in particolare la SIAE (applicando solo ed esclusivamente l'articolo 3 della
legge n. 633 del 1941) sostiene discrezionalmente che l'utilizzazione, anche
parziale, di un'opera costituisce lesione del diritto morale dell'autore e
che la riproduzione non autorizzata delle opere in questione lede gli
esclusivi diritti patrimoniali che la legge riconosce agli stessi;
al tempo stesso la SIAE trascura l'applicazione dell'articolo 70 della
stessa legge del 1941, che prevede massima libertà per l'uso di immagini a
scopo didattico non commerciale e di insegnamento senza finalità di lucro, a
patto di citare la fonte (cosa che è avvenuta regolarmente nel sito in
questione);
questo precedente può causare eventuali ripercussioni negative - a livello
nazionale - nei confronti degli insegnanti telematici, autori di siti
internet con preziosi materiali didattici e culturali, ad esempio:
interpretando in questa maniera la norma, qualsiasi sito scolastico o blog
didattico che utilizza per puro scopo didattico file sonori, immagini
protette, citazioni d'autore, rischia ingenti sanzioni e quindi la chiusura
immediata e la libertà didattica e le specifiche competenze professionali
degli insegnanti ne risultano condizionate fortemente;
questo comportamento della SIAE, pertanto, limita fortemente la funzione
formativa della scuola e la libertà didattica degli insegnanti e dello
stesso web -:
se il Governo non ritenga necessario, anche per la promozione della cultura
nel nostro paese, salvaguardare quelle realtà, scolastiche e non, che
abbiano chiari e dimostrabili intenti formativo-educativi e che non traggano
profitto economico dall'utilizzo di tali immagini/testi dei quali vengano
puntualmentecitate le fonti, esentandole attraverso opportuni provvedimenti
e iniziative dal pagamento del Copyright, in modo che la loro funzione
formativa e didattica non sia limitata da questioni di ordine economico che
non li riguarda. (4-02559)
LUANA ZANELLA
Indice Forum
LA
CRIMINALITA' DELLE LEGGI SUL COPYRIGHT E SUI BREVETTI
Le leggi sui brevetti e sui diritti di copyright
sono i mezzi tramite i quali lo Stato, che è il più grande dei monopoli
criminali e tirannici, garantisce speciali, monopolistici privilegi a pochi
a spese di molti per proteggere inventori e scrittori contro la competizione
per un periodo lungo abbastanza da metterli in condizione di estorcere alla
gente una remunerazione enormemente superiore al valore dei loro servizi.
L'abolizione di questi monopoli potrebbe regalare ai loro attuali
beneficiati una salutare paura della competizione che potrebbe indurli a
contentarsi di pagamenti per i loro servizi uguali a quelli che altri
lavoratori prendono per i loro, e a mettersi al sicuro proponendo i loro
prodotti e lavori sul mercato fin da principio a prezzi tanto bassi che il
loro modo di fare affari non potrebbe tentare altri a mettersi in
competizione con essi.
I monopoli dei Brevetti e del Copyright sono una specie di diritti di
proprietà che dipendono per la loro legittimità dalla sottile nozione di
"proprietà nelle idee".
I difensori di questa proprietà propongono una analogia fra la produzione di
cose materiali e la produzione di astrazioni, e per questo paragone
dichiarano che il costruttore di prodotti mentali, non meno del costruttore
di prodotti materiali, è un lavoratore degno del proprio salario. Fin qui va
bene.
Ma, per completare le loro tesi, essi sono costretti ad andare oltre, e a
esigere, in violazione della loro stessa analogia, che il lavoratore che
crea prodotti mentali, a differenza di quello che crea prodotti materiali,
abbia diritto all'esenzione dalla competizione. Poichè il Signore, nella sua
saggezza, o il Diavolo, nella sua malizia, ha disposto le cose così che
l'inventore e lo scrittore produca naturalmente da uno svantaggio, l'uomo,
nelle sue forze, propose di supplire alla (divina o diabolica) mancanza con
un artifizio che non soltanto elimina lo svantaggio, ma in realtà dà
all'inventore o allo scrittore un vantaggio che non ha nessun altro
lavoratore - un vantaggio, per giunta, che in pratica va, non all'inventore
o all'autore, ma al promotore e all'editore ed al monopolista.
L'argomento per la proprietà nelle idee può sembrare di primo acchito
convincente, ma se tu ci pensi abbastanza a lungo, comincerai ad esserne
sospettoso. La prima cosa, forse, a destare il tuo sospetto sarà il fatto
che nessun sostenitore di tale proprietà propone la punizione di quelli che
la violano, essendo soddisfatti loro stessi dal porre coloro che violano
tale proprietà sotto il rischio di pericolose cause legali, e che quasi
tutti loro desiderano che anche il rischio delle cause legali scompaia
quando il proprietario ha goduto del suo diritto per un certo numero di
anni.
Allora, se, come Alphonse Karr, scrittore francese, ha rimarcato, la
proprietà delle idee è una proprietà uguale ad altri tipi di proprietà,
allora le sue violazioni, come le violazioni delle altre proprietà, meritano
la punizione dei criminali, e la sua vita, come quella di ogni altra
properità, dovrebbe essere assicurata contro lo scorrere del tempo. E sorge
il sospetto che la mancanza di coraggio nelle proprie convinzioni possa
essere dovuta a un istintivo sentire di essere nel torto.
Io suppongo che, se fosse possibile, e se fosse mai stato possibile, per un
illimitato numero di individui usare in un numero illimitato di posti la
stessa cosa concreta nello stesso tempo, allora non ci sarebbe potuto essere
nulla di simile all'istituzione della proprietà.
In tali circostanze, l'idea di proprietà non sarebbe mai entrata nella mente
umana o, se vi fosse entrata, sarebbe stata sommariamente lasciata da parte
come un'assurdità tale da essere seriamente considerata solo per un momento.
Se fosse stato possibile per una creazione concreta o un adattamento della
natura risultato dagli sforzi di un singolo, essere usato contemporaneamente
da ogni individuo, inclusi il creatore o adattatore, impedendone la
realizzazione, fino a fissare una legge per prevenire l'uso di una cosa
concreta senza il consenso del creatore o adattatore, e venendo garantiti da
una violazione a uno, tale violazione sarebbe stata benvenuta come una
benedizione per tutti - in breve, sarebbe stata vista come il più fortunato
elemento nella natura delle cose.
La ragion d'essere della proprietà si trova nel fatto (vero) che non c'è
alcuna possibilità, de facto che sia impossibile, nella natura delle cose,
per un oggetto concreto essere usato in differenti posti allo stesso tempo.
Esistendo questo fatto, nessuno può rimuovere da un altro un suo possesso ed
usare la creazione concreta di un altro senza spogliare perciò tutti gli
altri dell'opportunità di usare ciò che è stato creato, e per questa ragione
diventa socialmente necessario, dacchè una società prosperosa si basa
sull'iniziativa individuale, proteggere l'individuo produttore nell'uso
delle sue concrete creazioni proibendo ad altri di usarle senza il suo
consenso.
In altre parole, diventa necessario istituire la proprietà privata nelle
cose concrete.
Ma tutto ciò è accaduto tanto tempo fa che adesso noi abbiamo totalmente
dimenticato ciò che accadde. Infatti, è veramente incerto se, al tempo
dell'istituzione della proprietà, quelli che la fondarono abbiano realizzato
e compreso il motivo che li spingeva.
Gli uomini spesso operano per istinto e senza l'analisi che concorda con la
corretta ragione.
Coloro che istituirono la proprietà forse erano costretti dalle circostanze
inerenti la natura delle cose, senza realizzare la quale, sarebbe stata
stravolta la natura delle cose. Essi non avrebbero istituito la proprietà.
Ma, anche supponendo che avessero compreso a fondo la strada imboccata, noi
abbiamo dimenticato ciò che compresero.
E così è arrivato il momento che abbiamo fatto della proprietà un feticcio ;
che noi consideriamo come una cosa sacra ; abbiamo messo il dio della
proprietà su di un altare come un idolo ; e molti di noi non stanno facendo
soltanto quel che noi possiamo fare per perpetuare il nostro regno nei
limiti della nostra sovranità, ma anzi stanno erroneamente tentando di
estendere il loro dominio su cose ed in circostanze che, nelle loro
caratteristiche-chiave, sono precisamente opposte a quelle in cui si è
sviluppato il potere della proprietà.
Tutto ciò che è da dire, per sommi capi, è che dalla giustizia e necessità
sociale della proprietà delle cose concrete noi abbiamo erroneamente assunto
la giustizia e necessità sociale della proprietà delle cose astratte - che è
la proprietà delle idee - con il risultato di privare di validità, in
un'estensione lata e deplorevole, quell'elemento fortunato nella natura
delle cose, nelle circostanze non ipotetiche, ma reali - cioè,
l'incommensurabile, fruttuosa possibilità di usare le cose astratte da un
qualsiasi numero di individui in un qualsiasi numero di posti e precisamente
allo stesso tempo.
Noi siamo frettolosamente e stupidamente saltati alla conclusione che la
proprietà nelle cose concrete implicasse logicamente quella nelle astratte,
dal momento che, se abbiamo avuto la cura e la perspicacia di fare
un'accurata analisi, noi abbiamo trovato che la vera ragione che detta la
convenienza della proprietà nelle cose materiali rinnega la convenienza
della proprietà in quelle astratte.
Noi vediamo qui un curioso esempio di quel frequente fenomeno mentale, cioè
la precisa inversione della verità da parte di una visione superficiale.
Di più, qualora le condizioni fossero le stesse in ambo i frangenti, e le
cose concrete potessero essere usate da differenti persone in differenti
luoghi in uno stesso tempo, allora, dico io, anche se l'istituzione della
proprietà nelle cose concrete sarebbe in queste condizioni manifestamente
assurda, sarebbe infinitamente meno distruttiva delle opportunità
individuali, e infinitamente meno dannosa al benessere umano, che
l'istituzione della proprietà per le cose astratte.
E' facile vedere che, accettando l'ipotesi che una singola pannocchia sia
continuamente e permanentemente consumabile, da un indefinito numero di
persone disseminate sulla superficie della terra, anche la istituzione della
proprietà nelle cose concrete che assicurerebbe al seminatore di grano
l'esclusivo uso di ciò che cresce nel suo campo non potrebbe, nel fare ciò,
togliere ad altre persone il diritto di seminare altri campi e diventare
coloro che godono esclusivamente dei rispettivi campi ; l'istituzione legale
della proprietà nelle cose astratte invece non solo assicura all'inventore
del vapore l'uso dell'energia che egli ha ora creato, ma allo stesso tempo
toglie a tutte le persone il diritto di inventare loro stesse altre energie
che partano dalle stesse idee.
La proprietà perpetua nelle idee, che è la logica conseguenza di ogni teoria
della proprietà delle cose astratte, per l'essere vissuto di James Watt,
avrebbe fatto dei suoi diretti eredi i proprietari di almeno nove decimi
della ora esistente ricchezza del mondo.
E avrebbe fatto in modo che, in forza della di vita dell'inventore
dell'alfabeto romano, ora tutti i popoli altamente civilizzati della terra
sarebbero gli schiavi virtuali degli eredi di quell'inventore, che è un
altro modo per dire che essi, anzichè diventare altamente civilizzati,
sarebbero rimasti in uno stato di semi-barbarie. Mi sembra che queste due
affermazioni, incontrovertibili dal mio punto di vista, siano in sè
sufficienti a condannare la proprietà perpetua delle idee.
Benjamin Tucker
Indice Forum
NO AL COPYRIGHT
Questo scritto intende inserirsi nell’attuale dibattito su copyright,
copyleft e no copyright, animato da numerosi interventi di esperti di
informatica e recentemente anche da autori di letteratura e saggistica. Per
questo motivo mi limiterò a presentare le ragioni del no al copyright
argomentandone le fondamenta, in dialettica con le altre forme di rifiuto
totale o parziale della protezione del diritto d’autore, rimandando ai siti
segnalati in fondo per ulteriori approfondimenti. Iniziamo da alcuni
chiarimenti sintetici per passare successivamente al vaglio critico di
ciascuna affermazione.
- L’assenza di diritto d’autore in materia di editoria cartacea e telematica
non è: dannosa per l’autore stesso, poiché il copyright non esiste per
tutelare l’autore ma altri soggetti.
- Non è: copyleft, o almeno non necessariamente, perché non è necessario
dotare il proprio lavoro di una speciale licenza per permettere gli usi non
commerciali, basta semplicemente non chiedere il rispetto del copyright, per
uno o più aspetti dello stesso.
- Non è: opera collettiva, o non soltanto. Conta poco ai fini del copyright
il fatto che siano uno o più autori a voler abolire detta norma per i propri
testi, la scelta del no copyright non è scelta collettiva, ma personale.
- Non è open source: perché i meccanismi che sono alla base della
cooperazione informatica per la realizzazione di software sono differenti da
quelli che portano alla realizzazione, anche collettiva, di un libro o di
una produzione artistica.
Molti, alcuni in buona fede, credono che si debbano imporre dei paletti alla
libera circolazione delle scritture e delle idee. Ciò a mio avviso è errato
e per una lunga teoria di motivi tutti facilmente argomentabili, vediamone
alcuni:
1) Chiunque pensi qualcosa lo fa all’interno di una cultura e a partire dal
proprio bagaglio di conoscenze. Cultura e conoscenza derivano dalle idee e
dalle azioni di altri, a prescindere dal diritto d’autore sulle stesse.
Ciascuno deriva da altri il proprio pensiero, anche se indirettamente.
Direttamente derivato, invece, è il bagaglio di strumenti letterari che
l’autore usa nei suoi testi: lo stile, i riferimenti, le citazioni, le
suggestioni che utilizza fanno sempre parte di una tradizione dello scrivere
e del pensare, anche quando l’intenzione è l’abbattimento di questa
tradizione, il riferimento è comunque presente come avversario cui ci si
confronta.
La citazione in particolare è un vero e proprio “furto” autorizzato. Non ci
dovrebbe poter essere copyright di sorta per interviste, antologie, letture
critiche perché il debito nei confronti degli autori coinvolti è troppo
grande per essere eventualmente risolto attraverso il pagamento di pochi
centesimi di royalties. Interpretare le idee di qualcuno è già “rubarle”.
Non che io abbia qualcosa contro questi “furti” s’intende, purché si abbia
l’onestà intellettuale di riconoscerlo.
2) L’autore sa, quando scrive, che le proprie idee saranno lette. La
preoccupazione di qualunque autore onesto non è quella di vendere migliaia
di copie, ma avere dei lettori, meglio se migliaia. A questo scopo l’assenza
di un copyright non è l’assenza di qualcosa, perché l’autore non è affatto
tutelato dal copyright. Il no copyright è una scelta che libera
dall’impostura della “proprietà” intellettuale. Un “diritto” che può
decadere non è tale. È soltanto uno strumento di protezione economica, non
intellettuale. Questo testo, ad esempio, è privo di copyright per usi non
commerciali, ma chiunque, dopo questa pubblicazione, vorrà confrontarsi su
questo tema dovrà, se è onesto, prendere atto delle posizioni espresse in
queste pagine, se non lo fa l’eventuale copyright, che io avessi voluto
applicare, non avrebbe aiutato di una virgola. E tanto meno mi avrebbe
consentito di controllare l’uso di questo scritto da parte dell’editore. Ora
è vero che chiunque può utilizzare questo testo nei modi che riterrà
opportuni, ma non potrà prescindere dal riconoscere al sottoscritto la
paternità dei contenuti, poiché Marco Caponera, quando leggerete questo
testo, lo starà facendo circolare quanto più gli è possibile per far
conoscere le proprie idee mettendole in connessione con quelle di altri.
Il copyright, proseguendo, non protegge l’autore, poiché non riesce a
proteggerlo nemmeno dal proprio editore, primo interlocutore di chiunque
scriva qualcosa che intenda pubblicare. Quando scrissi “Transgenico NO” per
la Malatempora Editrice di Roma, proposi di inserire la dicitura “No
Copyright”, non “copyleft” una definizione post moderna che non amo. Il no
copyright mi da l’impressione di un opposizione a un modello di pensiero
dominante e calcolante, il copyleft mi sembra la concessione di una “grazia”
di cui invito i lettori a fare a meno.
L’editore nel colophon del libro spiegò l’assenza di copyright con la
motivazione che i testi erano frutto di lavoro collettivo. Un po’ per
mettersi la coscienza a posto nei confronti dei testi di altri che aveva
utilizzato in alcuni box d’approfondimento, un po’ per frainteso significato
della scelta ideologica che stavamo facendo. Scrivo questo per dovere nei
confronti di chi lesse quel libro e lo ritenne privo di copyright per i
motivi suddetti, anziché per il fatto che l’autore del 90% del testo non
volesse il copyright. Ricordo però a lato di questo discorso che mi fece un
piacere enorme vedere, in occasione di una presentazione nella città di
Firenze, che gli squattrinati studenti di Filosofia dell’Università erano
tutti presenti, chi con il libro sotto braccio, chi con le fotocopie dello
stesso. Se un autore è onesto ha piacere che le proprie idee circolino, se
non lo è si prepari perché soffrirà le pene dell’inferno, poiché il
copyright non lo tutela in nessun modo.
3) Ma perché non lo tutela? Presto detto: perché la definizione “diritto
d’autore” è demagogica, la definizione corretta sarebbe “diritto d’editore”.
La definizione che emerge, ad esempio, analizzando l’ultima riforma
legislativa italiana in questo settore evidenzia chiaramente come
beneficiario, e fine, della riforma l’editore (o la casa discografica, o
l’azienda di software) e soltanto questo.
Come ogni autore sa bene è difficilissimo sapere dall’editore quante copie
sono state vendute del proprio amato libro. Questo perché, il più delle
volte, il compenso a lui spettante è stabilito in percentuale rispetto al
venduto. Fingere che non si sia venduto è il modo migliore, e più facile,
per frodare l’autore. Ma, qualcuno dirà: l’autore ha un arma infallibile per
verificare i dati di vendita, la SIAE. Certo, la SIAE vende dei contrassegni
agli editori (si usano sempre meno perché troppo cari) da apporre su
ciascuna copia, al fine di verificare ogni passaggio fatto dal libro,
dall’editore al compratore finale. Spesso però accade che nemmeno la SIAE
sia aggiornata sui dati, e quando li ha funge soltanto da base statistica,
non operativa. Sarà l’autore che con i dati SIAE in mano dovrà andare a
rivalersi dall’editore. Il più delle volte, insomma, se non si vuole
interrompere precocemente la carriera di scrittore, si deve fare buon viso a
cattivo gioco, ingoiando il boccone amaro. Il tutto sotto l’austera e
imparziale egida del diritto d’editore!
4) La presente legge punisce chi copia alla stregua di chi trae un utile nel
farlo. Ciò è ridicolo, preferisco essere “derubato” che essere responsabile
di aver mandato in tribunale uno studente perché non aveva i soldi per
comprare un mio libro.
Certo non si può regalare un libro a chiunque ne abbia bisogno, ma
sicuramente si può auspicare fortemente che ciascuno lo fotocopi per sé e
per coloro che possono essere interessati. Questo meccanismo non manderà mai
in crisi il sistema editoriale, non quello basato sulla cooperazione, sulla
calmierazione dei prezzi e sull’antagonismo nei confronti di un modello
politico-economico-culturale, che non appartiene alla maggioranza della
popolazione. Poiché coloro che acquistano un libro di questo tipo sanno che
i propri soldi stanno andando in una direzione “sana”. Purtroppo non
danneggia nemmeno l’editoria di costo elevato (e scarso livello culturale),
perché avere le fotocopie del pregiatissimo cartonato dell’ultimo libro di
Bruno Vespa è poca cosa, e sicuramente il gentile signore che intenderà
acquistarlo per farne omaggio - mai per leggerlo - non troverebbe
vantaggioso per la sua immagine il far dono di un mazzetto di fotocopie.
COPYLEFT
Tra i fautori del copyleft ci sono alcuni critici nei confronti del no
copyright. A mio avviso c’è molta confusione su questi temi e la confusione
è dovuta soprattutto ad un atteggiamento intellettuale. Molti pensano che
anziché puntare il dito si debba “lottare dall’interno”, ma così facendo non
riescono a rendersi conto che hanno iniziato a lottare con le stesse armi e
con le stesse strutture concettuali del potere cui intendevano
precedentemente opporsi o contestare. La struttura delle licenze, propria
del copyleft, ad esempio, rappresenta un’istituzione che intende sostituirne
un’altra, ma la storia ci ha insegnato puttosto bene cosa accade quando a un
potere se ne è voluto sostituire un altro. Gli errori che tale impostazione
corrotta porta con sé sono almeno di due tipi:
- Il primo è la confusione del concetto di “proprietà” intellettuale con
quello ben differente di “paternità” (o “maternità”, fa lo stesso)
intellettuale. Questa distinzione mostra come siano differenti i retroterra
ideologici delle due definizioni: la prima mostra apertamente i suoi legami
con mentalità economicistiche e calcolanti, il secondo invece coglie il dato
di fatto sulla paternità (o maternità) di un opera. Faccio un esempio: se io
oggi volessi inserire in un mio testo, appropriandomene, il concetto di
oltreuomo (meglio noto forse come superuomo) di F. Nietzsche, a rigor di
normativa internazionale in materia di diritto d’autore potrei farlo, poiché
sono trascorsi più di 70 anni dalla morte dell’autore. Ma questo non mi
metterebbe comunque al riparo dall’essere messo in ridicolo da tutta la
vasta comunità dei conoscitori del pensiero di Nietzsche. E dire che io
potrei ritradurre, ristampare, estrapolare dei passi senza che nessuno mi
possa imputare alcunché. Ancora tutto ciò non mi eviterebbe il pubblico
scherno, se non facessi un lavoro all’altezza dell’autore e
intellettualmente onesto. Questo esempio mi pare che illustri meglio di
mille dotte metafore ciò che intendo per paternità e proprietà delle idee.
Se un diritto può decadere allora è evidente che l’intento non è quello di
sancire definitivamente delle protezioni intorno alle opere, ma
semplicemente di garantirne lo sfruttamento economico da parte di chi
detenga il copyright sulle stesse… e più spesso di quanto s’immagini non è
l’autore. La paternità invece ci sarà sempre e sarà sempre dell’autore a
prescindere dalla forma con cui la si vuol tutelare, copyright, copyleft o
no copyright. Il problema della proprietà dell’opera si può risolvere, a mio
modo di vedere, con una semplice formula da anteporre al testo, magari nello
spazio del colophon ed è: no copyright ad esclusione degli utilizzi per fini
di lucro (o commerciali che dir si voglia). Se è chiara la distinzione di
cui sopra allora si potrà capire perché sono inutili lunghe e argomentate
licenze che si pongono l’arduo compito di tutelare qualcosa che non può
essere tutelato, lasciando scoperto qualcosa che può essere invece tenuto in
considerazione.
- Il secondo tipo è la presunzione di aver inventato qualcosa di nuovo.
Mi spiego meglio. Questa epoca - ma forse tutte - è piena di soggetti che
pensano di aver inventato qualcosa, semplicemente perché non informati che
quel qualcosa esisteva già, magari in forme leggermente differenti, a loro
insaputa. Ebbene, i fautori del copyleft sarebbero gli inventori della
condivisione dei saperi, che appunto il copyleft avrebbe liberato dalle
strette maglie del diritto d’autore. La presunta innovazione del copyleft
starebbe nella possibilità di far circolare le idee e di perfezionarle
collettivamente grazie alla possibilità data all’autore di inserire, al
posto del solito copyright, una licenza disegnata ad hoc per consentire
questi usi, generalmente escludendo i fini commerciali. Credo fortemente che
ci troviamo di fronte a soggetti che hanno un retroterra culturalr meramente
informatico, altrimenti non avrei scuse, poiché chiunque sa che ad aver
inventato la libera circolazione delle idee e il reciproco intervento per
migliorarle sono le “culture orali”. Altro che Internet, software e file
sharing, la libera circolazione delle idee esiste da quando l’uomo, e la
donna, hanno iniziato a raccontarsi delle storie vere o di fantasia, poco
conta. Chiunque conosca un Mito o abbia ascoltato il proprio nonno
raccontare storie intorno a un fuoco sa che in ciascun racconto c’è una
parte fedelmente riportata e un’altra fatta propria e rielaborata da chi
racconta, ciò è assolutamente naturale. In tutti i Miti ci sono letture e
interpretazioni che differiscono anche di molto, tanto che ancora oggi si
studiano approfonditamente per svelarne gli intimi segreti. Tutto quello che
oggi contraddistingue la cooperazione informatica o letteraria (questa in
misura certamente minore) è pratica millenaria.
Se si dice che l’open source e il copyleft aiutino a combattere il monopolio
informatico di Bill Gates sono d’accordo, se mi si vuole convincere del
fatto queste forme siano indispensabili per la libera circolazione delle
idee trovo che si stia facendo della demagogia. Insieme questi due tipi di
errore forniscono un’idea distorta e controproducente dell’idea di
protezione, creazione, condivisione e collaborazione intellettuale. Non
vorrei esser apparso pedante nel riportare alla mente addirittura il Mito e
la cultura orale, ma sarebbe ora che non si smettesse di usare le stesse
armi del nemico che si combatte per affermare delle verità che vere non
sono.
Open Source e No copyright
Concludo questo flusso di idee sul tema marcando una distinzione che non
vuol essere una presa di distanza, ma sicuramente vorrebbe essere una
precisazione di merito su cosa è l’informatica e cosa è la letteratura e la
parola scritta. La carta stampata in generale non può, a mio avviso,
acquisire tout court le argomentazioni e gli strumenti che gli avversari del
copyright si sono dati in ambito informatico. Poiché sono due cose
completamente differenti. I programmatori cooperano per realizzare un
software che se realizzato da uno soltanto porterebbe con sé mille difetti e
scarsa utilità. Quindi la collaborazione incentivata e auspicata dall’open
source funziona a meraviglia, molto semplicemente però non è applicabile a
tutti i processi di pensiero e alle forme d’arte.
Il “fine” software è differente dal “fine” saggio, poesia, racconto,
novella, ecc. Non è sufficiente far leggere ad un altro le proprie idee
perché questi le “migliori”, le potrà certamente modificare, ma
difficilmente potrà eliminare dei bug, ammesso che ve ne siano. Diversamente
la logica di molti software definiti “freeware” si avvicina moltissimo alla
logica del no copyright poiché stabilisce chiaramente che l’utilizzo potrà
essere gratuito e libero a patto che il determinato software non venga
utilizzato per fini commerciali, in quel caso spesso è previsto un
pagamento, che se non effettuato genererà una violazione delle clausule per
l’uso. Ma anche qui sono possibili confusioni e vie di fuga.
Fintanto che i software freeware e open source toglieranno mercato alle
multinazionali dell’informatica non potremo che caldeggiare ogni nuova
iniziativa. Se invece si vuole dare una scossa generale a tutto il mondo del
copyright ci si dovrà sedere attorno a un tavolo, anche virtuale, per
discutere di analogie ma soprattutto di differenze, riconoscendo a tutte le
parti in causa autonomia di giudizio e di movimento. Con i “minestroni” non
si affrontano i problemi, al più ci si mette la coscienza a posto. Infine, e
non vuole essere né la sintesi né la morale di questo scritto, auspico che
nel futuro siano sempre più gli autori che decideranno di avere a cuore le
proprie idee e i propri lettori-interlocutori e non soltanto il proprio
portafogli, dicendo NO AL COPYRIGHT.
Marco Caponera
Questo testo è No Copyright per usi non commerciali, e deve sempre esserne
riconosciuta la paternità — come anche i seguenti, dello stesso autore,
utili per ulteriori approndimenti:
-
http://www.lenubi.it/marco_caponera/marco_caponera.php
- “Transgenico NO”
-
http://www.disinformazione.info/comunicazioneincontrollabile.htm
NO COPYRIGHT di Marco Caponera (parte seconda)
L’EDITORE NO
COPYRIGHT
Così come controverso appariva per l’autore, così il copyright appare in
relazione alla figura dell’editore. Precedentemente ho avuto modo di
spiegare come di fatto si avvantaggi più l’editore dell’autore della
presenza della protezione del copyright, ma anche l’editore ha modo di porsi
in una posizione antagonista allo status quo, ma facendo a sua volta una
scelta assolutamente radicale. Infatti, apparentemente violare, liberarsi,
dal copyright costituirebbe un danno per una qualunque casa editrice, ma
così non è.
I due esempi di postilla al no copyright che suggerivo recitavano
rispettivamente: “deve essere citata la paternità dell’opera”: e questa è
evidentemente diretta a favorire la “presenza” dell’autore in relazione allo
scritto; mentre l’altra “ad esclusione dei fini commerciali”: è invece
diretta a escludere lo sfruttamento commerciale dell’opera da parte di
soggetti estranei alla pubblicazione. In questo caso il vantaggio è sì per
l’autore ma anche e soprattutto per l’editore nel vedere tutelato il proprio
lavoro.
Scendendo nel particolare, tempo fa, quando lavoravo part-time presso la
biblioteca della mia facoltà mi capitò di comunicare all’editore di un
bollettino editoriale, il fatto che il loro distributore per le biblioteche,
proprio in virtù dell’assenza totale di copyright della pubblicazione,
provvedeva a inviarne una versione in fotocopia a tutti i propri clienti,
ricavandone un pagamento pieno rispetto alla pubblicazione originale.
Mentre all’editore dell’opera non arrivava che il pagamento di un’unica
copia, quella per realizzare le fotocopie. Questa operazione, a ben vedere,
potrebbe avere anche gli estremi di una truffa poiché le biblioteche
pagavano il prezzo della rivista originale, venendo in possesso di una
semplice fotocopia. Per l’editore invece non può dirsi altrettanto perché
fotocopiare, anche per fini commerciali, quel bollettino era consentito
proprio dalla rinuncia alla tutela del copyright. Questo esempio mi sembra
illustri molto bene quanto intendo dire al proposito.
L’opera libro, o rivista, infatti non è soltanto costruita dal suo
contenuto, ma anche da tutti gli elementi che ne costituiscono la “forma”:
il formato, la copertina, il tipo di carta, il lavoro bio-bibliografico, di
cura, di editing e di impaginazione. Tutti questi elementi caratterizzano
l’opera nel suo complesso e nella sua forma materiale. Il libro, la rivista.
Ora non considerare questo lavoro equivarrebbe a considerare l’editore alla
stregua di un tipografo, e non è così.
La dicitura di cui parlavo, rende possibile qualificare queste attività e la
protezione dell’opera passa significativamente da una protezione limitante
della circolazione delle idee, dentro la logica del diritto d’autore, a una
semplice tutela del lavoro svolto per realizzare l’oggetto libro, fuori da
questa logica ma non per le attività lucrative. I principi che fondano le
due impostazioni ideologiche sono molto differenti. L’importanza ideologica
del no copyright rimane quindi immutata. La possibilità oggettiva di
circolazione anche dell’intero libro anch’essa immutata, viene però impedito
a soggetti estranei di impossessarsi di un guadagno realizzato a danno del
lavoro altrui.
Perché un editore “alternativo” possa affermarsi, non serve il copyright,
che come per l’autore, è soltanto uno specchietto per le allodole che serve
per tutelare ben altri interessi. Per comprendere ancora meglio si deve
ampliare il discorso: il problema vero che ogni editore conosce bene è la
possibilità di avere visibilità mediatica, una distribuzione almeno
nazionale e l’effettiva presenza in libreria.
Faccio un altro esempio sempre legato alla mia esperienza diretta: la casa
editrice per cui curo la collana di saggistica, Le Nubi Edizioni, ha apposto
il no copyright sul mio libro, “La sparizione del reale”. Questo testo,
attualmente risulta essere il più venduto della collana di saggistica –
anche grazie alla bella illustrazione di copertina realizzata da Virginia
Bray, una illustratrice dalle grandi capacità simboliche di interpretazione
del testo – anche in presenza di autori ben più importanti e affermati.
Questo, lungi dal volermi paragonare a filosofi di cui sono semmai soltanto
un allievo, fa emergere un dato importante in questo contesto.
Il libro, indipendentemente dalla copertura del copyright viene acquistato,
in molti hanno deciso di spendere i propri denari per entrare in possesso di
una copia originale del libro e non di una fotocopia. Non solo, lo stesso
titolo verrà tradotto in Portogallo da una casa editrice che stava seguendo
alcune opere pubblicate da Le Nubi Edizioni. Anche qui, senza un editore
controcorrente non sarebbe stato possibile varcare gli angusti limiti di
lingua e nazionali. Senza la visibilità offerta da un sito internet
specializzato nella vendita di piccoli e medi editori, con il quale abbiamo
realizzato una collaborazione, l’editore portoghese non avrebbe conosciuto
la casa editrice. Un circolo virtuoso questo che non è stato per nulla
bloccato dalla assenza di protezione del diritto d’autore.
Con questo intendo anche dire che un progetto editoriale alternativo
(prendendo il termine nell’accezione più ampia possibile) è frutto di una
intenzione precisa e non è un semplice ornamento. Il no copyright non è un
accessorio, fare la scelta del no copyright non può essere di “moda”, né di
“ornamento” ideologico dei propri scritti. Rifiuto la posizione radical chic
di chi “liberalmente” si pone in posizione di superiorità morale nei
confronti del copyright. Il no copyright è, prima un’affermazione, poi un
atto politico, una forma di antagonismo nei confronti di Microsoft, Vivendi,
Sony, RCS, Mondadori ecc… La diffusione conflittuale di idee estranee al
sistema in toto, o in massima parte, è immediatamente atto politico, la
proliferazione delle idee è un passo necessario, gli strumenti sono perfino
ridondanti per lo scopo, ma la loro utilizzazione è spesso contraddittoria o
idealizzata. Avere uno strumento a disposizione e saperlo usare non porta
automaticamente a un risultato utile alla causa. Come saper scrivere non
equivale a scrivere cose intelligenti. C’è bisogno di strumenti, di
“attrezzi” critici, che nascono tali e non lo diventano per caso o per
fraintendimento.
Il conflitto sul diritto d’autore in questo momento volge al peggio, o
almeno così sembra guardando gli accadimenti internazionali. Già stiamo
sperimentando i danni madornali dei sistemi anticopia, ma a breve se non si
riuscirà a imporre un freno questi sistemi, che ora sono facoltativi,
verranno imposti a tutti i produttori di software e musica, coinvolgendo di
fatto anche coloro che sono contrari alla protezione economica dalla copia.
In ambito editoriale della carta stampata, la prima cosa che mi viene in
mente possano fare sarà rendere obbligatorio il bollino SIAE cosa che accade
già per la musica. Non immagino quale possa essere il passo successivo, ma
già a questo punto il copyleft non ci aiuterà più a far apparire belli e
liberi i nostri “contenuti” perché la “forma” che questi avranno sarà fatta
di sbarre e cancelli e non più di carta e inchiostro.
Marco Caponera
Indice Forum
Against Intellectual Monopoly
Michele Boldrin and David K. Levine
DIRITTO D’AUTORE
CONTRO DIRITTO ALLA CULTURA?
La recente diatriba, scoppiata nel web nazionale, tra la Siae e alcuni siti
gestiti da insegnanti, in relazione ad immagini jpeg riproducenti dipinti di
artisti oggetto di copyright, utilizzate in ipertesti didattico-culturali,
senza fini di lucro, ha posto un problema inedito all’attenzione di chi, in
rete, s’era fino adesso limitato a citare le fonti e non a pagare royalties;
un problema che si può riassumere nella seguente domanda: il diritto
d’autore può condizionare il diritto alla cultura libera, offerta a titolo
gratuito e in area pubblica?
La Siae, che sino a ieri era intervenuta là dove poteva constatare usi non
autorizzati di opere musicali, filmiche, editoriali ecc., oggi pensa di
agire anche nel settore delle immagini digitali, siano esse riproduzioni di
dipinti o di fotografie. E non fa distinzioni, quando i materiali sono
pubblici, tra siti culturali e siti commerciali, se non negli importi
dovuti.
Pare che le ingenti perdite causate dalla pirateria informatica, attraverso
cui il mondo intero può impunemente scaricare film, musiche e software,
stiano trovando nei siti amatoriali, dediti alla cultura e all’arte in
particolare, una sorta di insperata compensazione.
Come difendersi da queste interpretazioni così restrittive della legge n.
633/1941 sul diritto d’autore? Come prevenire l’atteggiamento di questo
leone ruggente che da qualche anno s’aggira in rete in cerca di chi
divorare?
Per la Siae infatti ogni webmaster è, ipso facto, un “editore”: è
sufficiente che metta in chiaro i propri files.
Gli unici due modi per non pagare royalties sono o di usare (relativamente
alle immagini) dei link esterni (p.es. il tag iframe), oppure di mettere i
propri elaborati in area riservata, sotto password.
Per la Siae c’è più differenza tra area riservata (accessibile solo agli
iscritti) e area pubblica, che tra sito culturale (senza fine di lucro) e
sito commerciale. La gratuità, nell’uso di immagini protette, è riservata
alla didattica privata, non alla cultura pubblica. Le sue tabelle parlano
chiaro.
Le immagini, anche nel caso vengano pagate, non possono superare i 72 dpi di
risoluzione e un sito amatoriale non può metterne in chiaro più di 50,
altrimenti diventa come i siti intestati a persona giuridica: scuole,
università, musei, biblioteche ecc. (Come poi si possa sostenere che una
jpeg di così bassa risoluzione sia copia fedele di un dipinto di Picasso o
di Kandinsky, questo solo la Siae può saperlo).
Poiché detta società pubblica non ha mai emesso alcun comunicato stampa su
questo suo singolare atteggiamento, gli insegnanti che almeno avrebbero
dovuto essere avvisati in tempo dal loro Ministero, al fine di poter
controllare i loro ingenti archivi di fatto stanno pagando di persona le
conseguenze di un trend che improvvisamente hanno scoperto essere illegale.
Di fatto il diritto d’autore può essere usato contro il diritto alla cultura
offerta a titolo gratuito al mondo intero.
È vero che, in questa fase iniziale, la Siae sta cercando di colpire quei
siti culturali che dispongono di circuiti banner e di ad-sense di Google,
come per voler in qualche modo legittimare il proprio arbitrio.
Ma è anche vero che se nessuno reagisce, sarà una reazione a catena: il web
culturale e artistico, messo in chiaro, inevitabilmente morirà.
Infatti la stragrande maggioranza dei siti amatoriali possiede aspetti
“commerciali” del tutto insignificanti, che non giustificano neanche
lontanamente l’accusa di fare business con l’arte.
Homolaicus.com p.es. ha un circuito banner del tutto gratuito; il
proprietario del sito non ha rapporti diretti con alcun inserzionista di
banner o loghi a pagamento, e non vincola in alcun modo la visione dei
propri ipertesti culturali ad azioni di tipo commerciale. Il ricavato degli
ad-sense di Google copre in maniera assolutamente ridicola le spese
sostenute per gestire un sito generalista di oltre due giga di materiali.
La Siae non transige neppure, in aperta violazione dell’art. 70 della L.
633, sull’uso porzionato delle immagini, asserendo che i diritti vanno
pagati in ogni caso, sia che la jpeg riproduca il dipinto integrale o solo
una sua parte.
Su questo inaudito atteggiamento vi sono già state in Parlamento tre
interrogazioni: due alla Camera (Cardano e Zanella) e una al Senato (Bulgarelli),
e si sono mosse con un’identica petizione due associazioni di docenti:
Anitel e Didaweb.
Ciò che si chiede, fra le altre cose, è una moratoria di almeno un anno,
onde permettere ai docenti e ai webmaster culturali di controllare i loro
archivi sulla base dell’elenco degli artisti che la Siae mette a
disposizione in un file pdf di non facile reperibilità.
Ma la cosa più importante è quella di introdurre nella legislazione italiana
il concetto americano di “fair use”.
Il “fair use” come dice Wikipedia - è un aspetto legislativo, concernente
il diritto d'autore, che stabilisce la lecita citazione non autorizzata o
l'incorporazione di materiale protetto dal diritto d'autore nel lavoro di un
altro autore sotto certe specifiche condizioni.
Le condizioni sono quelle che chiunque dotato di buon senso può immaginarsi:
“promozione del progresso della scienza e delle arti utili".
Un modo molto semplice sarebbe quello di aggiungere alcune precisazioni
all’articolo 70 della L. 633:
È sempre lecito un uso didattico o culturale, formativo o informativo,
parziale o integrale di opere tutelate dal diritto d’autore, alle seguenti
condizioni: che l’opera non venga alterata o modificata in modo da
pregiudicare la paternità del suo autore; che pur in presenza di alterazioni
o modificazioni si possa sempre e comunque risalire all’originale integro;
che lo scopo dell’utilizzo sia manifestamente privo di alcun fine di lucro;
che venga sempre citato il legittimo proprietario dell’opera in oggetto; che
venga riportato, quando necessario, il nome della sede in cui l’opera è
collocata, onde poterla identificare in maniera certa.
È fatto obbligo all’utilizzatore di tali opere indicare che la licenza in
cui intende distribuirle o farle pubblicamente fruire è del tipo copyleft:
“Proprietà Comune Creativa”. Tale licenza ha effetti legali in tutti i paesi
che la riconoscono. Con l’espressione “assenza di fine di lucro” s’intende
che la fruizione integrale dell’opera deve restare assolutamente gratuita e
non può essere in alcun modo vincolata all’utilizzo di qualsivoglia forma di
pubblicità.
Enrico Galavotti
Indice Forum
PETIZIONE PER DEPENALIZZARE IL PEER
TO PEER (P2P)
Firma anche tu la petizione per depenalizzare il
P2P
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi
Al Ministro per l'innovazione e le tecnologie Luigi Nicolais
Al Ministro degli affari europei Emma Bonino
Premesso che:
- il 18/05/2004 la precedente maggioranza, attraverso la conversione in
legge del D.L. n°72 del 22/03/2004, ha modificato la normativa sul diritto
d'autore, e, sostituendo le parole "a fine di lucro" con "per trarne
profitto", ha trasportato nel penale lo scambio via internet, senza scopo di
lucro, delle opere protette da copyright;
- la legge n. 43 del 31 marzo 2005, convertendo in legge il DL n. 7 del 31
gennaio 2005, pur riconsiderando per il solo fine di lucro le sanzioni
previste dall'articolo 171-ter, ha aggiunto all'articolo 171 la lettera
a-bis), rendendo comunque sanzionabile penalmente, seppur con possibilità di
oblazione, per qualsiasi scopo la condivisione tramite reti telematiche
delle opere contemplate dalla legge n. 633 del 22 aprile 1941, mantenendo di
fatto il regime penale.
Considerato che è possibile pensare, per gli aventi diritto, ad un ritorno
economico di quanto viene diffuso attraverso Internet, con sistema più
mirato delle attuali inique tasse sui supporti di masterizzazione ed
hardware, nella prospettiva di legalizzare il P2P;
Chiediamo al PdC Romano Prodi, così come fece il Governo Berlusconi, di
voler proporre al Consiglio dei Ministri un decreto legge che sopprima dalla
lettera A) e B)dell'articolo 171 la parola "DIFFONDE" e abroghi queste due
norme previste dalla legge n. 43 del 31 marzo 2005:
- 3-ter. All'articolo 171, primo comma, della legge 22 aprile 1941, n. 633,
e successive modificazioni, dopo la lettera a) e' inserita la seguente:
"a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di
reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera
dell'ingegno protetta, o parte di essa;".
- 3-quater. All'articolo 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633, e
successive modificazioni, dopo il primo comma, e' aggiunto il seguente:
"Chiunque commette la violazione di cui al primo comma, lettera a-bis), e'
ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima
dell'emissione del decreto penale di condanna, una somma corrispondente alla
meta' del massimo della pena stabilita dal primo comma per il reato
commesso, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato".
Una misura d'urgenza dettata dalla necessità di trovare una soluzione
diversa da quella di criminalizzare milioni di persone. Confidiamo che Lei
voglia recepire questa necessità di popolo e trasformarla in urgenza
dell'agenda di governo.
Chiediamo al Ministro per l'innovazione e le tecnologie, Luigi Nicolais, di
presentare un progetto di legge che, invece di tassare i supporti di
masterizzazione e gli hardware, trovi un accordo tra i provider e la SIAE
per stabilire un canone atto a soddisfare gli autori ed essere accettabile
dal Popolo del P2P (25/30 euro all'anno). Una legge che autorizzi le persone
a divulgare e reperire materiale con la gioia di condividere cultura, saperi
e svaghi senza sentirsi additati come pirati e sciacalli.
Invitiamo inoltre il Ministro Luigi Nicolais, nell'ambito delle audizioni di
commissione, a voler consultare anche i rappresentanti di associazioni e
movimenti che da tempo sulla rete propongono questa forma di legalizzazione
del filesharing e che, in questo modo, tendono a trovare il compromesso di
armistizio con la lobby delle major.
Chiediamo al Ministro degli affari europei, Emma Bonino, di proporre, in
ambito comunitario europeo, una richiesta di revisione della convenzione
universale del diritto di autore, una riduzione dell'anacronistica durata
della tutela sul copyright che dovrebbe essere stabilita in non oltre 20
anni dalla produzione dell'opera. Nell'attuale società 5 anni sono più che
sufficienti per avere un adeguato ritorno economico, quindi prevedere un
rinnovo dei 5 anni per un massimo di tre volte sarebbe una soluzione
adeguata ai tempi in cui viviamo.
http://www.scambioetico.org/petizione/petizione.html
Indice Forum
SCIOPERO CONTRO IL COPYRIGHT
Sciopero degli acquisti durante il mese di MARZO
il Partito - Pirata
Italiano si associa alle iniziative di
SCIOPERO
degli acquisti indetto negli U.S.A. da
Gizmodo nei
confronti della RIAA ed invita pertanto ad astenersi dagli acquisti di brani
musicali o filmati video protetti dalla SIAE per tutto il mese di Marzo.
Le iniziative della SIAE per lo sfruttamento della cultura a beneficio degli
editori piuttosto che degli autori devono essere ridimensionate.
A sostegno di una sensibilizzazione politica sul problema, l'unico modo di
farsi valere, come fruitori, è di toccare i detentori dei diritti, che sono
ormai considerati dinastici, nel portafoglio.
Per il mese di Marzo asteniamoci quindi dall'acquisto di qualsiasi brano
audio/video protetto dalla SIAE.
Ricordiamo inoltre che Grazia Deledda e Luigi Pirandello sono ora liberi
dalle royalty e quindi invitiamo a non versare alcun balzello alla SIAE per
la rappresentazione teatrale delle opere di tali autori che sono finalmente
patrimonio comune di tutta l'umanità.
Alle Associazioni di consumatori chiediamo di aderire all'iniziativa
affinché si possa finalmente dibattere su una più equa ripartizione dei
diritti e dei doveri di chi specula sulla cultura e di chi alla cultura ha
diritto.
http://www.partito-pirata.it/
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SPUNTI E ARGOMENTI DI DIFESA CARL
WILLIAM BROWN VERSUS SIAE
1) La Siae pretende dal sottoscritto il pagamento
dei diritti per l'utilizzo di 19 fotografie di dipinti tutelati dal diritto
d'autore per un periodo di ben 5 anni; in primo luogo non ricordo nemmeno io
che queste foto siano online da tutto questo tempo, ma anche se così fosse
la Siae ha il dovere di tutelare i suoi iscritti e di prevenire l'uso
illecito secondo quanto afferma la Legge 22 aprile 1941 n. 633 aggiornata al
marzo 2005 all’Art. 182 Bis, e quindi non vedo perché non avvertirmi prima
ma aspettare ben 5 anni, in pratica la Siae se vuole proteggere i suoi
associati dovrebbe applicare una vigilanza come fa con gli agenti nei locali
da ballo, nelle feste, e via dicendo. Questo non è evidentemente un
comportamento corretto e richiede quindi un accordo tra le parti, la Siae
non può in pratica impormi le sue regole, i suoi usi e costumi, ma deve
seguire il diritto.
2) In secondo luogo la Siae mi considera un editore, ma io sono un
insegnante, in secondo luogo non sono una persona giuridica, ma sono una
persona fisica, in terzo luogo il sito www.daimonclub.it/art/ dove erano
presenti le fotografie è di mia proprietà e non è intestato a nessuna
associazione, e rappresenta un'attività amatoriale del sottoscritto, in arte
Carl William Brown, senza alcun fine di lucro, a scopo didattico, e con
l’unico fine di divulgare la sensibilità artistica, e di promuovere la
cultura sotto i suoi molteplici aspetti; quindi la Siae stessa non può
arrogarsi il diritto di applicare la tabella che più gli fa comodo, ma anche
in questo caso deve attenersi alle tabelle che rispettano il diritto, ovvero
deve applicare la tabella 7.1 ovvero per i “siti creati da privati (persone
fisiche, non persone giuridiche, a solo scopo amatoriale, con esclusione
quindi di attività professionale e/o scopo di lucro connesse
all’utilizzazione dei siti in questione.) Io non sono infatti contrario alla
legge fintanto che la stessa è in vigore, ma non sono nemmeno favorevole
agli abusi del potere di una qualsiasi associazione gestita in modo del
tutto privatistico. Tanto più che la Siae stessa non può avere tabelle
diverse, ovvero non può avere online delle tabelle e spedirne delle altre,
diverse nelle cifre, e più datate nel tempo. Il fatto che la Siae consideri
le mie pagine web interessanti al pari di siti di università, scuole, musei,
ecc. mi lusinga alquanto, ma non per questo mi deve vedere succube di
decisioni del tutto campate in aria e prese nel più completo menefreghismo
delle leggi esistenti.
3) La Siae inoltre non può ignorare che Internet è un mezzo globale, per cui
digitando nel motore di ricerca Google Italia nella sezione immagini la
parola Magritte per esempio compaiono 25.700 risultati, il che significa che
in ogni pagina del noto motore di ricerca vengono riportate 20 immagini
prelevate da altrettanti siti. La cosa significa che in qualsiasi momento in
ogni parte del mondo una persona qualsiasi può vedere le fotografie dei
quadri dell’artista Magritte. Non vedo dunque perché io che ho creato un
sito amatoriale con pochissime fotografie dello stesso autore dovrei pagare
dei diritti alla SIAE o a qualunque altra persona o società senza prima
essere informato che tali immagini sono coperte da copyright. Da considerare
poi che nella grande rete ci sono tantissime immagini che saranno anche
protette da copyright, ma negli Stati Uniti per esempio, si cerca di
"aggirare il problema" attraverso la legislazione sul "fair use", istituto
prettamente statunitense che prevede la possibilità di utilizzare le
immagini protette da copyright senza autorizzazione del proprietario, questo
però, a determinate condizioni, ossia, per finalità di promozione "del
progresso della scienza e delle arti utili". Un istituto come questo non
esiste in Italia, ma proprio per questo sarebbe opportuno crearlo ed
iniziare ad uniformarsi alla legislazione internazionale. Se poi si
volessero tutelare a tutti i costi le proprie produzioni, grazie alle nuove
tecnologie e ai nuovi software si potrebbe sempre apporre anche la firma
digitale ai files che si intende proteggere, e in questo modo sarebbe chiaro
a tutti cosa si può liberamente usare e cosa invece richiede il pagamento
dei diritti d’autore.
4) La Siae inoltre deve valutare l'uso del materiale coperto da copyright.
Non può pertanto chiedermi per alcune foto di autori surrealisti (19),
inserite in 4 pagine html di una sezione artistica del sito che è in
assoluto quella meno visitata la cifra di quasi 4.000 euro, quando le stesse
immagini sono in ogni istante fruibili da chiunque all'interno di migliaia
di altre pagine su siti di tutto il mondo. Infatti è sufficiente mettere dei
links a risorse esterne al sito italiano e in un attimo, grazie al Fair Use
americano l'utente potrà visionare tutte le foto dei dipinti degli autori
che gli interessano. Morale della favola, il traffico verrà dirottato sui
siti degli altri paesi. In Italia invece continuerà a governare sovrana la
stupidità e la rigidità del nostro sistema che bloccano la creatività e la
crescita delle nostre pagine culturali e quindi al tempo stesso inibiscono
la promozione del nostro territorio, del nostro genio, delle nostre imprese
e allontanano i navigatori stranieri e locali dalla nostra realtà, inutile
dire dunque che la cosa costituisce un gravissimo danno per tutto il paese.
Così mentre in America accanto all'ormai famosissimo Google Map, nasce anche
Google Patents che mette in linea tutti i brevetti, e ancora Google Print,
che poi è diventato Google Book Search il motore di ricerca che indicizza
testi digitalizzati, sia coperti da copyright, sia di libero dominio, e che
promette di creare una piattaforma che sarà per l'editoria digitale ciò che
Itunes è ora per la musica e presto offrirà e-books interi a pagamento, in
Italia si continua a perdere tempo, energia e soldi su delle mostruose
stupidaggini, come ad esempio quella che vede impegnata una mastodontica e
anacronistica struttura come la Siae (commissariata per quattro anni) nel
cercar di raccimolare due soldi ai danni di insegnanti, intellettuali e
operatori del mondo no-profit e a scapito della sensibilità artistica,
estetica ed etica della nostra realtà.
5) La foto scadente di un dipinto non può essere considerata copia o
riproduzione dell'opera, soprattutto se è impiegata senza fine di lucro, per
scopi non commerciali, ma al contrario culturali e divulgativi. In questo
caso l'uso dell'immagine non lede il diritto d'autore, ma ne amplifica il
valore pubblicizzando l'artista in questione. L'immagine digitale di un
opera di Matisse per esempio ha pochissimo in comune con Matisse stesso.
L'immagine digitale per sua natura è un "fac simile" (nella migliore delle
ipotesi) ed è presumibilmente molto poco "simile" per via di ovvi limiti
(numero di colori precisione e fedeltà del fac-simile stesso). Inoltre
l'opera di matisse ha una caratteristica peculiare che consiste nella sua
UNICITÀ essendo un dipinto a mano e quindi essenzialmente irriproducibile.
Dedurre oggi che Matisse volesse o potesse volere limitare la diffusione di
fac-simile digitali della sua opera tramite tecnologie che neppure poteva
immaginare è quantomeno ridicolo, paradossale e forzato! La riproduzione
digitale di un opera di Matisse non conserva praticamente nulla, se non
eventualmente la più o meno approssimata riconoscibile similitudine con
l'originale. È cioè, nella più estensiva delle ipotesi, non un opera o la
sua copia o un suo multiplo, ma un richiamo o un riferimento ad un immagine
in qualche misura simile, ma con forma e sostanza completamente diversi! Si
tratta (ne più e ne meno) di un LINK da un punto di vista logico ed
effettivo! Per vedere l'opera di matisse occorre infatti andare fisicamente
davanti ad essa! Vedere il suo fac simile significa semplicemente vedere una
rappresentazione (dichiaratamente non originale) che la "ricorda" in qualche
modo (in genere piuttosto approssimativo). Mentre questo è utile a spiegare
un concetto o una sensazione che l'autore può avere voluto esprimere è
palesemente molto ma molto diverso dal "fruire" dell'opera in se! Per questo
motivo credo che assimilare un quadro o un opera unica ad un "marchio" (cosa
diversa) o una rappresentazione cui sono associati diritti commerciali o
simili sia improprio, immorale e poco o nulla rispettoso nei confronti
dell'artista che sicuramente aveva ben altri intenti, dato che ha prodotto
un opera UNICA e IRRIPRODUCIBILE!
6) L'articolo 70 della stessa legge aggiunge inoltre che: il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera per scopi di
critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti
giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera. Si tratta infatti di riproduzione
senza alcun profitto e, quindi, sarà l'autore a dover dimostrare che questo
utilizzo dell'opera rappresenta per lui è un danno economico e che sono
stati superati i limiti di tolleranza previsti dal citato articolo 70. Anche
nel caso di alcune fotografie di dipinti di un autore riportate in una
pagina web, se non vi sono finalità di lucro, e se questo non danneggia la
reputazione dell'artista, a mio avviso si tratta di una mera citazione che
non può che dare lustro e fare pubblicità all'artista stesso.
7) Da aggiungere inoltre che una fotografia di un dipinto NON E’ una COPIA
dell’ opera. Anche se l’ articolo 13 della LDA riporta la fotografia fra i
modi di produrre “copie”, questo non significa che qualunque modo sia
adeguato a produrre una copia di qualunque opera, ma semplicemente che per
alcune opere dell’ ingegno (film, composizione fotografiche, testi,
spartiti) la fotografia è un mezzo adeguato per produrre una copia
abbastanza fedele all’originale da permetterne la stessa fruibilità. Per un
dipinto, “copia” può essere soltanto un’ imitazione, più o meno fedele,
eseguita da un altro pittore con tecniche simili: “disegno, pittura o
scultura che riproduce più o meno fedelmente un originale, talvolta a scopo
di contraffazione, o a scopo di esercitazione o di diffusione” (DeMauro). Se
l’art. 87 non elimina il diritto dell’autore dell’opera figurativa a
controllare le riproduzioni ma crea il diritto connesso del fotografo che
riproduce fotograficamente l’opera, questo non toglie che una fotografia di
un dipinto e' sempre e comunque una fotografia e quindi se e' effettuata con
tutti i carismi del caso ed e' idonea alla stampa o ad altre riproduzioni di
qualità può essere considerata una copia dell'opera, e puo' essere tutelata
dai diritti d'autore, se riporta il nome dell'autore o della ditta che l'ha
eseguita, viceversa e' solo una riproduzione senza valore del quadro, che
non può in alcun modo essere considerata lesiva dei diritti dell'autore
stesso, tanto più e a maggior ragione se e' usata senza fini di lucro e per
la divulgazione culturale. In ogni caso, e ribadisco il ragionamento,
essendo una fotografia dell'opera deve comunque essere soggetta a tutti gli
articoli sulle fotografie, infatti l'art. 87 cita testualmente: "sono
considerate fotografie ai fini dell'applicazione delle disposizioni di
questo capo le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita
naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo
analogo, comprese le riproduzioni di opere dell'arte figurativa e i
fotogrammi delle pellicole cinematografiche." e quindi in quanto fotografia
deve assolutamente essere soggetta all'art. 90 che afferma: gli esemplari
della fotografia devono portare le seguenti indicazioni: 1) il nome del
fotografo, o, nel caso previsto nel primo capoverso dell'art. 88, della
ditta da cui il fotografo dipende o del committente; 2) la data dell'anno di
produzione della fotografia; 3) il nome dell'autore dell'opera d'arte
fotografata. L’ art. 90 prosegue: qualora gli esemplari non portino le
suddette indicazioni, la loro riproduzione non è considerata abusiva e non
sono dovuti i compensi indicati agli articoli 91 e 98, a meno che il
fotografo non provi la malafede del riproduttore. Pertanto se non riporta il
nome dell'autore o della ditta che l'ha eseguita, a mio avviso non puo'
essere coperta da copyright. Questa e' la mia interpretazione e non sono il
solo a pensarla così.
8) Le comunicazioni che effettua la Siae devono essere precise, dettagliate
e cortesi e non devono avere lo stile della minaccia o della classica multa
da amministrazione comunale, visto soprattutto che siamo in un ambito
culturale. Invece la Siae , si ostina a fare delle comunicazioni del tutto
incomprensibili, senza alcun dettaglio e dallo stile assolutamente
estorsorio.
9) Non può accanirsi sul lavoro gratuito e divulgativo di insegnanti, che
già sono costretti ad operare in una situazione di notevole indigenza. Tanto
più che così facendo ci sono almeno quattro articoli della Costituzione che
la Siae rischia di violare pretendendo d’imporre royalties a chi in rete fa
solo cultura senza
scopo di lucro.
Art. 4: Se la Repubblica riconosce a ogni cittadino il diritto al lavoro per
concorrere al progresso materiale o spirituale della società, dando per
scontato che tale diritto debba essere remunerato, a maggior ragione deve
riconoscerlo quando tale diritto non viene remunerato. Perché dunque imporre
il pagamento di royalties a chi svolge un lavoro a titolo gratuito?
Sostenere inoltre che il diritto d’autore è un diritto al lavoro anche per
gli eredi degli artisti, significa soltanto sostenere un diritto alla
rendita. E un diritto del genere non può risultare più importante del
diritto al lavoro esercitato in maniera gratuita per il progresso
“materiale” e, nella fattispecie, soprattutto “spirituale” della società.
Art. 9: La Siae si pone contro la Repubblica che promuove lo sviluppo della
cultura e della ricerca scientifica e tecnica imponendo compensi per lo
sviluppo gratuito di detta cultura. E considerando che Internet è una rete
mondiale, essa impedisce tale sviluppo oltre i confini nazionali.
Art. 21: La Siae è palesemente contro il diritto di ogni cittadino di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione.
L’unica eccezione al principio espresso nell’art. 21 dovrebbe essere quella
del plagio, nel senso che non si possono usare opere altrui facendole
passare come proprie. In ogni caso la Siae non può impedire il riutilizzo
libero delle opere altrui, quando in ciò non si ravvisi il reato del plagio
integrale o della parziale alterazione.
Il progresso dell’arte e della cultura è sempre avvenuto e ancora avviene
anche grazie ai reciproci condizionamenti delle opere dell’ingegno umano.
Con l’avvento dell’era digitale la riproduzione di un’opera, in forme
diverse da quelle originali, è divenuta una pratica molto semplice e proprio
per questo motivo molto efficace per la diffusione della cultura.
Qualunque cosa può essere trasformata in “bit”. Impedire un fenomeno del
genere, che esiste in rete dal 1989, anno in cui è nato il world wide web,
significa andare contro la storia e lo sviluppo tecnico-scientifico. L’unica
cosa che si può fare per impedire la violazione del diritto d’autore è
quella di citare la fonte originaria o comunque di dichiarare che la propria
riproduzione è o non è conforme all’originale. Sono i musei, le fondazioni,
gli archivi, le biblioteche ecc. che conservano
gli originali: solo loro possono essere autorizzati a rivendicare un diritto
d’autore quando ciò venga palesemente violato.
Le opere d’arte sono uniche e irripetibili. Qualunque loro riproduzione può
essere tollerata a condizione che si affermi appunto che si tratta di una
riproduzione (integrale o parziale) e a condizione che si specifichi il
luogo ove poter visionare l’opera originaria.
Art. 33: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La
Siae non può obbligare i docenti a mettere in area riservata, sotto
password, le loro produzioni didattiche e culturali, per poter non pagare i
diritti d’autore. La cultura offerta a titolo gratuito deve essere libera e
pubblica.
10) La pretesa della Siae di riscuotere diritti per l’uso culturale
didattico divulgativo di alcune immagini di vari artisti ha creato in rete e
nel territorio varie voci di indignazione che hanno mosso vari siti
scolastici, culturali e di associazioni di insegnanti a raccogliere firme
per cambiare eventualmente la legge o quanto meno per fare in modo che anche
in Italia si adotti come negli Stati Uniti la prassi del Fair Use e
attualmente i firmatari della proposta sono più di 7500, come si può vedere
dal sito www.anitel.it/petizione e a seguito di quanto è accaduto sono state
inoltrate anche varie interrogazioni parlamentari sul diritto d’autore per
esempio ad opera di Giorgio Bulgarelli senatore dei Verdi, della Cardano di
Rifondazione e dalla parlamentare Luana Zanella. Da non dimenticare inoltre
la petizione ondine dell’Associazione AltroConsumo che ha ricevuto più di
10.000 adesioni ed è già stata consegnata ai vari destinatari. Il dibattito
è stato portato anche su molti siti internet e vari giornali, il Sole 24ore
ha pubblicato per esempio un interessante articolo di Roberto Perotti
sull’inadeguatezza del copyright nel tutelare le leggi di mercato, ed è
entrato anche in alcuni consigli comunali come quello di Cesena che ha
sostenuto la petizione ed ha espresso forti preoccupazioni per le eventuali
ripercussioni negative – a fronte di questo precedente a livello nazionale -
nei confronti degli insegnanti telematici autori di siti internet con
preziosi materiali didattici e culturali. Anche secondo il parere di esperti
giuristi come la Prof.ssa Elvira Berlingieri che si occupa di diritto
d’autore e proprietà intellettuale, tutela del software e diritto delle
nuove tecnologie e che è consulente legale presso privati e pubbliche
amministrazioni, oltre ad insegnare “Diritto d’autore e copyright” al master
in e-Medicine dell’Università di Firenze è insomma, necessario un intervento
legislativo che sottragga la questione della didattica (soprattutto online)
all’arbitrio interpretativo dei titolari di diritti o dei tribunali. Di
tutto questo e degli innumerevoli articoli e pubblicazioni a favore di una
libera circolazione delle idee e contro le forme più anacronistiche del
copyright tutti gli uomini di buona volontà ne dovranno necessariamente
tenere conto.
11) L'atteggiamento della Siae contribuisce ad alimentare l'ignoranza
tecnologica, informatica, ed artistica della nostra nazione. Ma in Italia
come al solito il "digital divide" aumenta implacabilmente rispetto
all’Europa. Aumenta insieme agli stipendi, al potere, e alle risorse
finanziarie dei manager di tantissime aziende pubbliche e private che
ostacolano e limitano lo sviluppo del paese e la crescita armonica della
nostra società. Negli Stati Uniti più del 50% delle famiglie ha la banda
larga. La banda larga, non l’ADSL, in Italia invece ci sono zone dove non è
coperto neppure il cellulare. Per non parlare poi dello stato della nostra
ricerca, delle nostre scuole, di tanti nostri ospedali, delle nostre
aziende, delle nostre città, sempre più caotiche e disorganizzate, della
nostra burocrazia e della nostra giustizia, e in mezzo a tutta questa
caotica imbecillità c'è anche chi si perde ancora a chiedere i diritti per
qualche misera foto a bassa risoluzione di autori ormai morti da tempo.
Inoltre il web significa libertà di espressione e se passa il concetto che
gli unici a poter fare critica o cultura sono solo le "testate registrate"
allora qualcuno mi spieghi cosa cavolo è stato inventato a fare il www,
Berners Lee non poteva dedicarsi a qualcosa di più utile? Poteva trovare un
vaccino contro l'AIDS, studiare un po' i tumori, pensare a qualcosa contro
le PM10, contro il surriscaldamento del pianeta o le catastrofi ambientali
che ci travolgeranno.
Certo le cose non sono semplici, infatti in questo settore la concorrenza è
spietata e tutti cercano di garantirsi il più alto numero di utenti,
causando così in parecchi casi la soppressione di molte realtà. E così
operando la Siae sta causando la morte dei nostri siti scolastici,
culturali, didattici, artistici e divulgativi.
12) La Siae, che sino a ieri era intervenuta là dove poteva constatare usi
non autorizzati di opere musicali, filmiche, editoriali ecc., oggi pensa di
agire anche nel settore delle immagini digitali, siano esse riproduzioni di
dipinti o di fotografie. E non fa distinzioni, quando i materiali sono
pubblici, tra siti culturali e siti commerciali, se non negli importi
dovuti. Pare che le ingenti perdite causate dalla pirateria informatica,
attraverso cui il mondo intero può impunemente scaricare film, musiche e
software, stiano trovando nei siti amatoriali, dediti alla cultura e
all’arte in particolare, una sorta di insperata compensazione.
Come difendersi da queste interpretazioni così restrittive della legge n.
633/1941 sul diritto d’autore? Come prevenire l’atteggiamento di questo
leone ruggente che da qualche anno s’aggira in rete in cerca di chi
divorare? Per la Siae infatti ogni webmaster è, ipso facto, un “editore”: è
sufficiente che metta in chiaro i propri files.
Gli unici due modi per non pagare royalties sono o di usare (relativamente
alle immagini) dei link esterni (p.es. il tag iframe), oppure di mettere i
propri elaborati in area riservata, sotto password. Per la Siae c’è più
differenza tra area riservata (accessibile solo agli iscritti) e area
pubblica, che tra sito culturale (senza fine di lucro) e sito commerciale.
La gratuità, nell’uso di immagini protette, è riservata alla didattica
privata, non alla cultura pubblica. Le sue tabelle parlano chiaro.
Le immagini, anche nel caso vengano pagate, non possono superare i 72 dpi di
risoluzione e un sito amatoriale non può metterne in chiaro più di 50,
altrimenti diventa come i siti intestati a persona giuridica: scuole,
università, musei, biblioteche ecc. (Come poi si possa sostenere che una
jpeg di così bassa risoluzione sia copia fedele di un dipinto di Picasso o
di Kandinsky, questo solo la Siae può saperlo). In più la Siae pretende che
gli utenti non siano liberi di scaricare le foto dal sito, ma lo sa la Siae
almeno come funziona un browser di navigazione. Poiché detta società
pubblica non ha mai emesso alcun comunicato stampa su questo suo singolare
atteggiamento, gli insegnanti che almeno avrebbero dovuto essere avvisati
in tempo dal loro Ministero, al fine di poter controllare i loro ingenti
archivi di fatto stanno pagando di persona le conseguenze di un trend che
improvvisamente hanno scoperto essere illegale. Di fatto il diritto d’autore
può essere usato contro il diritto alla cultura offerta a titolo gratuito al
mondo intero.
13) Si dovrebbe poi anche tener conto dei seguenti fatti. In Italia in
questi giorni la Commissione cultura della Camera presenta al governo una
risoluzione per rivedere la legge 633: la commissione ha chiesto alla
Cardano di presentarla (20-03-2007). Al parlamento europeo, sempre in questi
giorni, il relatore della direttiva sulla proprietà intellettuale Nicola
Zingaretti (Ds) è riuscito a introdurre un passaggio assente nella proposta
della Commissione Europea grazie a cui non sarà soggetto al codice penale
chi scarica files dai siti peer-to-peer. Considerando dunque che sono più di
10 milioni gli utenti che ogni giorno in tutto il mondo utilizzano servizi
peer to peer per scambiare file musicali, grafici, testuali e
cinematografici, non si vede come la Siae possa pensare di fare l'interesse
dei suoi associati o il proprio andando contro i principali artefici del
mondo culturale tra i giovani, ovvero gli educatori della scuola. Si pensa
forse poi che incrementando le circa 10.000 cause intentate nel 2006 in 18
paesi diversi contro i singoli downloader si possa risolvere il problema, o
non si otterrà invece in questo modo un drastico calo nella vendita dei cd
musicali, come è avvenuto oltre oceano, dove nei primi tre mesi del 2007 il
mercato americano ha subito una riduzione del 20 per cento nelle vendite di
questi supporti e grazie a questo trend molti negozi di dischi hanno chiuso
la propria attività.
14) La Siae contro la scuola e gli studenti. Incuriositi, in parte
appassionati. Ma in generale un po' ignoranti. Figli della nazione con il
più alto numero di beni culturali al mondo, i giovani italiani hanno con
l'arte un rapporto controverso. E il problema - emerge da una ricerca
presentata a Roma dal Fai (Fondo per l'ambiente italiano) - è prima di tutto
a scuola, con programmi limitati e poche ore di storia dell'arte. L'indagine
esamina la fascia tra i 15 e i 24 anni: il 38% (un terzo dei ragazzi) si
dichiara disinteressato all'arte. Emerge un 41% di "appassionati" e un 21%
di "abbastanza interessati". Da aggiungere inoltre che la storia dell'arte è
materia di insegnamento soltanto in alcuni istituti, tipo i licei e le
scuole professionali d'arte o di grafica, per gli allievi di tutti gli altri
istituti e per i loro insegnanti trattare tematiche di questo genere e' a
dir poco proibitivo, infatti i libri di italiano per esempio sono privi di
testi e di immagini che riguardano appunto la storia dell'arte italiana ed
internazionale e su internet la legislazione vigente in Italia sul diritto
d'autore e la prassi della Siae che pretende soldi anche da quei docenti che
vogliono fare cultura a livello gratuito non consente a nessuno di creare
ipertesti sui più grandi artisti che hanno fatto grande la storia dell'arte
negli ultimi decenni. Alcuni musei hanno persino diffidato la libera
enciclopedia Wikipedia dal pubblicare immagini inerenti delle opere d'arte
contenute nelle loro sale. Risultato, la storia dell'arte viene ignorata
dalla stragrande maggioranza dei nostri studenti e persino dei loro
professori e questo contribuisce inevitabilmente ad impoverire la nostra
sensibilità e le nostre potenzialità umane, sociali, sentimentali ed
artistiche. Da aggiungere inoltre che proteggere eccessivamente le
informazioni e le immagini riguardanti la storia dell'arte, ma non solo, può
infatti bloccare o inibire la conoscenza e quindi la libera concorrenza e di
fatto creare una società sempre più ingiusta e squilibrata.
15) L’anacronismo della Siae. L'uragano Google si abbatte sui media. La
Viacom osserva preoccupata la capacità di penetrazione presso il pubblico
giovanile di YouTube (che a Google appartiene) e la denuncia per violazione
di copyright. Ma sono invidiosi anche Rupert Murdoch, Yahoo e Microsoft.
Oggi Google ha una capitalizzazione di mercato di 145 miliardi di dollari,
più di TimeWarner, Amazon e Yahoo combinate. Le novità più significative
vanno nella direzione delle televisioni. Si sta sperimentando per esempio un
sistema automatizzato per cpmprare e collocare gli spot televisivi. Con la
consueta abilità nel maneggiare gli algoritmi, Google incrocia i dati
sull'identità, le preferenze, le attenzioni di chi ha cliccato certi
argomenti, e di conseguenza manda gli spot adatti al potenziale cliente.
Google quindi sta contribuendo a cambiare il paradigma di base della
comunicazione pubblicitaria, e cioè la diffusione a pioggia indefinita di
messaggi verso la generalità. Per quanto riguarda invece i libri e Google
Book Search in particolare c'è da precisare che non tutti gli editori
italiani lo temono. Il motore di ricerca americano propone oggi agli editori
di digitalizzare le loro pubblicazioni e sottoscrivere un accordo che le
renda accessibili sulla rete. All'editore spetta poi decidere in che misura:
si va dal 20% al 50% dell'opera. L'utente così può sfogliare il libro e
decidere poi se procedere o meno all'acquisto. Per i testi di narrativa è
l'ideale e Alberto Castelvecchi, dell'omonima casa editrice romana, ha
scelto di affidare a Google tutto il suo catalogo affermando: "Per noi è
tutta pubblicità". In più con questa tecnica e la stampa on-demand sarà
possibile anche rendere disponibili i libri più vecchi e oggi praticamente
introvabili. Inutile dire che alla fine questo modello di vendita sarà
quello più accattivante e più gradito, sia per i lettori, e naturalemente
sia per gli editori.
16) La Siae contro la crescita culturale e le nuove tecnologie.
Il libero accesso alle informazioni significa partecipazione, democrazia,
uguaglianza e quindi crescita culturale, sociale e scientifica di tutta la
nostra umanità
Carl William Brown
Il web 2.0 non è ancora per tutti, infatti i concentti che sono alla base di
questa nuova grande rivoluzione sono ancora troppo complessi o comunque
limitati a sistemi o a capacità di banda larga che ancora non hanno tutti.
Tuttavia la "consumerizzazione" è l'unica e principale tendenza che andrà a
modificare l'It nei prossimi dieci anni. L'effetto di questa tendenza è che
oggi si parla di consumer to business e di citizen to government e non più
viceversa. Il 35 % di utenti occidentasli fa uso di home banking, le vendite
al dettaglio online sono arivate all'8% del totale e presto raddoppieranno.
La "consumerisation" porterà quindi a nuove forme di relazione digitale
attraverso nuovi linguaggi ed esperienza avanzate; nuovi modi di operare che
per i cosidetti "Knowledge worker" si trasformano in maggiore produttività
quotidiana grazie a servizi e strumenti innovativi di search, di
messaggistica istantanea, di Voice over Ip (Skype), di podcasting, di
networking peer-to-peer, di video (youtube) e di nuovi contenuuti (wiki). Il
ruolo dell'It secondo Peter Sondergaard, capo della ricerca di Gartner,
appartiene al passato e le aziende devono imparare a rivedere il modello,
lasciando più libertà d'azione e maggiori responsabilità agli utenti. Sempre
secondo Sondergaard occorre infatti concentrarsi sul valore di cui l'It
necessita per supportare meglio il business e la creatività e le capacità
d'uso degli utenti digitali sono, in tal senso, risorse non più
trascurabili. Contro questa filosofia, si schierano invece i detentori dei
vecchi diritti d'autore. Per esempio in America le radio che trasmettono
musica online in streaming sul web non scaricabile d'ora in poi dovranno
pagare un ammontare fisso per ogni canzone ascoltata da ogni utente, una
cifra di 0,00011 di dollaro, una somma non grande ma che può comunqnue
inibire la crescita delle radio online, e soprattutto di quelle di nicchia.
Questa è la vecchia politica del Copyright Royalty Board che ha tra le altre
cose previsto un raddoppio delle royalties entro cinque anni. Queste radio
che consentivano l'ascolto in streaming senza permettere il download, si
ponevano in un certo senso come alternativa alla pirateria, ed ora molte di
queste saranno costrette a chiudere, anche se secondo molti osservatori
questa decisione si risolverà in un boomerang per le case discografiche
perché in questo modo i potenziali compratori di musica legale avranno meno
occasioni per conoscere nuovi brani. Quindi in questo nuovo mondo di
internet e del web 2.0 il labirinto dei diritti d'autore è intricato non
solo per gli utenti, ma anche per i detentori. Ogni decisione infatti può
avere delle ripercussioni imprevedibili, come finire di danneggiare e
penalizzare un diritto quando si agisce invece con l'intenzione di
proteggerlo.
Secondo Luca de Biase Internet, con l'interdipendenza delle sue componenti e
l'innovatività delle sue tecnologie è infatti un sistema che si comprende
meglio sfruttando la teoria del caos che non pensando in termini lineari.
Quello che stupisce secondo il nostro autore a questo punto non è però la
quantità di novità che internet non cessa di generare, ma il fatto che
grandi aziende dotate di manager capaci e di uffici legali competenti non
abbiano ancora compreso appieno le conseguenze di questa nuova complessa
realtà.
Carl William Brown
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