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COMITATO PER L'AMBIENTE E IL

RISPARMIO ENERGETICO DI BRESCIA

L’Unione europea mette in mora il governo italiano sull’ambiente per l’inceneritore Asm di Brescia

Il 19 dicembre l’Unione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per la terza linea dell’inceneritore Asm di Brescia. Si tratta di un’iniziativa di straordinaria rilevanza sia perché denuncia l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, sia perché riguarda il più grande inceneritore d’Europa, proposto in giro per l’Italia come un modello da imitare. In particolare interviene sulla terza linea, costruita senza preventiva valutazione d’impatto ambientale, destinata a bruciare 250.000 tonnellate di rifiuti speciali in aggiunta alle due linee già in funzione per rifiuti urbani e speciali per un totale di 750.000 tonnellate anno, oltre 2.000 tonnellate giorno (tenendo presente che neppure le precedenti due linee sono state sottoposte a valutazione di impatto ambientale, sfruttando le more del recepimento della Direttiva europea).
Si tratta, con evidenza, di rilievi su questioni fondamentali, come il procedimento autorizzativo, la valutazione di impatto ambientale e l’accesso alle informazioni da parte del pubblico (Direttive 75/442/CEE del Consiglio del 15 luglio 1975, 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985 concernente la valutazione dell'impatto ambientale, 2000/76/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, sull'incenerimento dei rifiuti e 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento).
Asm di Brescia, per evitare la valutazione di impatto ambientale (Brescia è una delle città che vanta una delle più elevate contaminazioni al mondo da PCB e diossine in relazione al “caso Caffaro”), aveva costruito la terza linea dell’inceneritore destinata a bruciare rifiuti speciali e “urbani camuffati da Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti)”, senza alcuna autorizzazione preventiva, confidando di ottenere ad opera compiuta il “silenzio-assenso” della Provincia (com’è avvenuto) in applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt. 31-33 del Decreto “Ronchi” 22 /97, quelle stesse famigerate “procedure semplificate” che erano state oggetto di referendum insieme all’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.
Per rientrare nelle “procedure semplificate” Asm aveva propagandato che la terza linea dell’inceneritore (250.000 tonnellate di rifiuti all’anno) avrebbe bruciato solo “biomasse”, costruendo a tal fine un setto separatore nella vasca di raccolta dei rifiuti, per delimitarla dalle altre due linee già funzionanti dal 1998. In realtà non si tratta di “biomasse”, ma di rifiuti speciali, in particolare pulper di cartiera, cioè rifiuti delle lavorazione della carta da riciclo, Cdr e di altri rifiuti industriali ed agroindustriali importati da tutta Italia.
La decisone dell’Ue non va ovviamente interpretata come una sentenza di condanna, ma neppure come un semplice avviso di garanzia, poiché una prima istruttoria è già stata compiuta: Asm, Comune e Regione hanno già avuto modo di presentare attraverso il governo italiano le loro controdeduzioni, compreso il fatidico “muretto” separatore e l’autorizzazione in semplificata.
Ma, al di là del seguito procedurale, l’iniziativa della Commissione europea assume di fatto un valore dirompente nel contesto della vicenda dell’inceneritore Asm, anche perché i capi di imputazione sono di grande rilievo. Gli sforzi messi in atto da dieci anni per illustrare il modello Asm e proporlo in tutta Italia e l’impalcatura faticosamente costruita per celebrare la bontà ambientale dell’inceneritore sembrano crollare fragorosamente di fronte alle puntuali e qualificate contestazioni giunte dall’Unione europea: non sono serviti due convegni internazionali appositamente convocati per celebrare il megaimpianto; non hanno convinto la “vecchia Europa” gli autorevoli pareri e le sentenze scientifiche dei numerosi docenti universitari che si sono avvicendati per garantire la bontà ambientale dell’inceneritore; non sono neppure bastati gli scienziati invitati da Asm in visita al proprio impianto da ogni parte del mondo per esaltare una macchina tanto portentosa da esserci invidiata perfino dagli Stati Uniti d’America.
In sostanza l’Unione europea, a differenza della Provincia e della Regione, non si è fatta “ingannare” dall’escamotage del setto separatore e dalla favola delle “biomasse” e ha ribadito che la terza linea è un normale inceneritore di rifiuti che in quanto tale abbisogna di un procedimento autorizzativo, con relativa informazione al pubblico e preventiva valutazione di impatto ambientale.
L’acquiescenza ad Asm delle istituzioni locali, Regione, Provincia e Comune, è stata tale che, qualche mese fa, perfino lo stesso assessore all’Ambiente dei Verdi del Comune, sollecitato da alcuni comitati che da anni si battono contro il megaforno dell’Asm, aveva liquidato la valutazione di impatto ambientale come una procedura “dai tempi incerti: sai quando la inizi, non quando la finisci”. In ogni caso, è difficile per Asm, per il Comune e per la Provincia di Brescia sottrarsi ora ad una discussione pubblica vera che azzeri tutto quanto, visto la carenza informativa rilevata dall’Ue, e che affronti finalmente e apertamente il tema di fondo: se, per fare dei “bei soldini”, come dice il Presidente di Asm, abbia senso sul piano ambientale e della tutela della salute dei cittadini, ma anche sul terreno della semplice ragionevolezza, attivare una terza linea di incenerimento di rifiuti, non necessaria, che imporrà a Brescia per decenni l’importazione di milioni di tonnellate di rifiuti, con il carico di emissioni inquinanti e di ulteriori scorie (di cui circa un milione di tonnellate pericolose) da interrare in un territorio già massacrato da un secolo di intensissima industrializzazione.
Il procedimento di inadempimento del diritto comunitario relativo all’inceneritore Asm, se è di gran lunga il più rilevante, non è il solo avviato dall’Unione europea nei confronti dell’Italia in tema di rifiuti. In un comunicato del 24 luglio 2003 la Commissione europea per l’applicazione del diritto comunitario informava di aver avviato procedimenti di infrazione nei confronti dell’Italia in ben sette casi diversi, che ora, con quello a carico di Asm, sono diventati otto. A commento delle decisioni adottate, il commissario per l'Ambiente, Margot Wallström, aveva affermato: "La normativa dell'Ue in materia di rifiuti punta a far sì che i rifiuti non danneggino più l'ambiente e la salute pubblica. Per realizzare questo obiettivo decisivo gli Stati membri devono attuare e rispettare la normativa in materia che hanno approvato"
A ciò si aggiunga un nuovo possibile conflitto tra Unione europea e Stato italiano in relazione agli orientamenti che il Governo sta tentando di far passare nella bozza di DPR ‘recepimento della direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili’, attualmente all’esame del Parlamento italiano, laddove si prevede, all'articolo 15, che i rifiuti, compresa la frazione non biodegradabile, siano ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili, anche se tale parte non biodegradabile dovrebbe essere esclusa dagli incentivi in quanto non in linea con la stessa direttiva 2001/77/CE.
Nel novembre scorso, tra l’altro, la Commissione ambiente dell’Unione europea ha approvato un’importante relazione che dovrebbe tradursi in una risoluzione del Parlamento europeo, in cui denuncia con forza come molti stati membri, fra cui soprattutto l’Italia, non stiano correttamente applicando le direttive europee in tema di rifiuti. La Commissione rileva come, mentre alcuni Paesi hanno realizzato già una raccolta differenziata per oltre il 40%, altri, tra cui l’Italia, sono al di sotto del 10%. Inoltre la Commissione ricorda che il Quinto programma d'azione in materia di ambiente prevedeva la stabilizzazione della produzione di rifiuti nel 2000 al livello del 1985 di 300 kg pro capite, mentre in Italia siamo a 516 kg e nelle realtà più “avanzate” dell’Italia come Brescia, con il suo megainceneritore, siamo ad oltre 700 kg all’anno!
Insomma un’Italia sempre più lontana dall’Europa, che ignora le priorità della riduzione e del riuso e riciclo, e dove la produzione di rifiuti continua ad aumentare, la discarica rappresenta ancora la destinazione primaria, mentre, nelle realtà più “avanzate” come Brescia, al “tutto in discarica” si sostituisce semplicemente il “tutto nell’inceneritore”, magari senza neppure adempiere alle direttive comunitarie.

Brescia 15 gennaio 2003 Marino Ruzzenenti

L’Unione europea mette in mora il governo italiano sull’ambiente per l’inceneritore Asm

La rilevanza della lettera di messa in mora del Governo italiano per le terza linea dell’inceneritore Asm di Brescia è straordinaria sia perché denuncia l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, sia perché riguarda il più grande inceneritore d’Europa, proposto in giro per l’Italia come un modello da imitare, in particolare la terza linea destinata a bruciare 250.000 tonnellate di rifiuti speciali in aggiunta alle due linee già in funzione per rifiuti urbani e speciali per un totale di 750.000 tonnellate anno, oltre 2.000 tonnellate giorno (tenendo presente che neppure le precedenti due linee sono state sottoposte a valutazione di impatto ambientale, sfruttando le more del recepimento della Direttiva europea).
Queste sono le diverse normative comunitarie di cui l’Ue lamenterebbe l’inadempimento:
articoli 9 e 11 della direttiva 75/442/CEE del Consiglio del 15 luglio 1975 sui rifiuti modificata dalla direttiva 91/156/CEE del Consiglio del 18 marzo 1991 (art. 9: 1. Ai fini dell'applicazione degli articoli 4, 5 e 7 tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell'allegato II A debbono ottenere l'autorizzazione dell'autorità competente di cui all'articolo 6. Tale autorizzazione riguarda in particolare: - i tipi ed i quantitativi di rifiuti, - i requisiti tecnici, - le precauzioni da prendere in materia di sicurezza, - il luogo di smaltimento, - il metodo di trattamento; art. 11, possono essere dispensati dall'autorizzazione di cui all'articolo 9 o all'articolo 10: a) gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione e b) gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti: Tale dispensa si può concedere solo: - qualora le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione e - qualora i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di ricupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all'articolo 4.2. Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell'ambiente);
articoli 2 e 4 della direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985 concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997 (art. 2 : 1. Gli stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell'autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell'articolo 4.);
articolo 12 della direttiva 2000/76/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, sull'incenerimento dei rifiuti (art. 12: Accesso alle informazioni e partecipazione del pubblico. 1. Fatte salve la direttiva 90/313/CEE del Consiglio e la direttiva 96/61/CE del Consiglio, le domande di nuove autorizzazioni per impianti di incenerimento e di coincenerimento sono accessibili in uno o più luoghi aperti al pubblico, quali le sedi di istituzioni locali, per un periodo adeguato di tempo affinché possa esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell'autorità competente. La decisione, comprendente almeno una copia dell'autorizzazione e di qualsiasi suo successivo aggiornamento, è parimenti accessibile al pubblico);
articolo 15, comma 1, della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (art. 15, comma 1: Accesso all'informazione e partecipazione del pubblico alla procedura di autorizzazione. 1. Fatto salvo quanto stabilito nella direttiva 90/313/CEE del Consiglio, del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente, gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che le domande di autorizzazione di nuovi impianti e di modifiche sostanziali siano rese accessibili per un adeguato periodo di tempo al pubblico affinché possa esprimere le proprie osservazioni, prima della decisione dell'autorità competente. La decisione, comprendente almeno una copia dell'autorizzazione e di qualsiasi suo successivo aggiornamento, deve del pari essere messa a disposizione del pubblico).
Si tratta, con estrema evidenza, di rilievi su questioni fondamentali, come il procedimento autorizzativo, la valutazione di impatto ambientale e l’accesso alle informazioni da parte del pubblico.
Come è noto, lo Stato italiano avrà due mesi di tempo per presentare le proprie osservazioni. Se l'Italia dovesse continuare a non ottemperare ai propri obblighi e se la Commissione non dovesse modificare il proprio punto di vista a seguito delle osservazioni trasmesse dallo Stato membro in risposta alla lettera di messa in mora, la Commissione emetterà un parere motivato al quale lo Stato membro dovrà conformarsi entro un determinato termine. Se l'Italia non dovesse conformarsi al parere motivato, la Commissione potrà adire la Corte di giustizia.

No alle procedure semplificate

Asm, per evitare la valutazione di impatto ambientale, aveva costruito la terza linea dell’inceneritore destinata a bruciare rifiuti speciali e “urbani camuffati da Cdr”, senza alcuna autorizzazione preventiva, confidando di ottenere ad opera compiuta il “silenzio-assenso” della Provincia (com’è avvenuto) in applicazione delle procedure semplificate di cui agli artt. 31-33 del Decreto “Ronchi” 22 /97e.
Per rientrare nelle “procedure semplificate” Asm aveva propagandato che la Terza linea dell’inceneritore (250.000 tonnellate di rifiuti all’anno) avrebbe bruciato solo “biomasse”, costruendo a tal fine un setto separatore nella vasca di raccolta dei rifiuti, per delimitarla dalle altre due linee già funzionanti dal 1998. In realtà non si tratta di “biomasse”, ma di rifiuti speciali, in particolare pulper di cartiera, cioè rifiuti delle lavorazione della carta da riciclo, e di altri rifiuti industriali ed agroindustriali importati da tutta Italia.
L’Ue ha ribadito che la terza linea è un normale impianto di incenerimento di rifiuti e che come tale deve essere preventivamente autorizzato, nonché sottoposto a valutazione di impatto ambientale con relativa informazione al pubblico.

FALLIMENTO DELLA POLITICA DEI RIFIUTI A BRESCIA AFFARI D’ORO PER ASM E HOPA

Due anni fa, dopo la sospensione per un mese dell’inceneritore da parte del TAR di Brescia, nel documento "I rifiuti a Brescia. Dal business alla tutela dell’ambiente e della salute" denunciavamo i pericoli che rappresentava un inceneritore così sovradimensionato per una corretta gestione dei rifiuti in Provincia di Brescia.

Ora, dopo un primo quinquennio di funzionamento dell’inceneritore, si possono trarre le conclusioni di un’esperienza, quella bresciana, presentata dalla propaganda Asm come modello pilota da proporre all’intero Paese.

1. La malagestione dei rifiuti in provincia di Brescia

Ecco come questo impianto di incenerimento ha pesantemente condizionato la politica dei rifiuti a Brescia: record negativo a livello nazionale per la produzione dei rifiuti pro capite; progressivo aumento della quota di rifiuto indifferenziato; sostanziale blocco della raccolta differenziata che colloca Brescia, con un modesto 26,5%, al penultimo posto della graduatoria regionale; continua importazione di rifiuti da fuori provincia per una quota superiore a quelli prodotti nel Bresciano; rinuncia totale delle Istituzioni locali a qualsiasi ruolo attivo nella programmazione della politica dei rifiuti. Insomma Brescia si è mossa nella direzione opposta rispetto alle indicazioni del decreto Ronchi e di una saggia politica di tutela della salute e dell’ambiente, grazie ad un inceneritore sovradimensionato che ha fame di rifiuti (e quindi di profitti): il fallimento della gestione dei rifiuti è quindi totale e per molti aspetti clamoroso.

[Per questo capitolo ci riferiamo ai dati ufficiali dell’Osservatorio provinciale rifiuti per il 2001(d’ora in poi OPR 2001) confrontandoli con una realtà a noi vicina, politicamente di destra e simile per caratteristiche economico-produttive (il cosiddetto nord-est), la Regione Veneto, utilizzando il quaderno dell’Arpa Veneto La gestione dei rifiuti urbani 2001 (d’ora in poi ORV 2001), che, comunque, non viene proposto come "modello", ma come esperienza significativa.]

1.1. La produzione pro-capite

Il livello di produzione giornaliera pro-capite dei rifiuti a Brescia è nel 2001 scandalosamente elevato: kg 1,566 in provincia (OPR 2001, p. 32) e addirittura kg 1,821 nel comune capoluogo, (nostra elaborazione da OPR 2001, p. 34), rispetto ad una media della Regione Veneto di kg 1,30 (ORV 2001, p. 5) e nazionale di kg 1,34 (Ministero dell’ambiente, La produzione e gestione dei rifiuti urbani. Rapporto 2002, p. 17). Come spiegare il fenomeno? Diverse forse le cause: la comodità incentivante della discarica sotto casa rappresentata dal cassonetto, ma soprattutto la "fame" di rifiuti (ovvero profitti) delle aziende smaltitrici, dell’inceneritore in particolare, che ha favorito il camuffamento di rifiuti assimilabili (attività artigianali, commerciali, anche industriali) conferendoli come urbani. Sta di fatto che Brescia si è collocata ormai stabilmente al poco onorevole ultimo posto della graduatoria negativa delle province lombarde, per produzione pro-capite di rifiuti. (Nel 2000, infatti, Brescia è slittata dal penultimo posto del 1999 all’ultimo, con kg/g 1,51 rispetto ad una media della Regione Lombardia di kg/g 1,33. Cfr. Ministero dell’ambiente, La produzione e gestione dei rifiuti urbani. Rapporto 2002, p. 17) e addirittura al quart’ultimo a livello nazionale per la massima produzione di rifiuti pro-capite (Cfr. Supplemento di "ItaliaOggi" del 14 gennaio 2003, Rapporto 2002 sulla qualità della vita in Italia, Produzione di rifiuti urbani, p. 19), arretrando di due ulteriori posizioni rispetto al 2001 quando era al sest’ultimo posto.

1.2. La raccolta differenziata

Dietro la propaganda ingannevole che qualcuno si diletta ancora a fare, c’è il dato incontrovertibile di una provincia in cui negli ultimi anni la raccolta differenziata è sostanzialmente bloccata, da una posizione di primo piano che occupava meno di un decennio fa. Siamo, a livello provinciale, ad un modesto 26,56% (OPR 2001, p. 8), rispetto ad una media della Regione Veneto del 34,5% (ORV 2001, p. 5) e della Lombardia, per il 2000, del 32%, regione in cui Brescia è collocata al penultimo posto (Ministero dell’ambiente, La produzione e gestione dei rifiuti urbani. Rapporto 2002, p. 17). Non è consolante neppure il dato di Brescia città, apparentemente migliore, al 31,7% (OPR 2001, p. 34), perché nasconde un gonfiamento artificiale della frazione conferita già differenziata dagli esercizi commerciali e artigianali. A questo proposito, qualcuno a costo di apparire ridicolo insiste nell’accreditare il dato dell’ASM (37%), la quale, essendo un’azienda privata, non ha peraltro alcuna autorità in materia (sarebbe come chiedere all’oste se il suo vino è buono). Comunque, se paradossalmente si accettasse ciò che l’ASM suggerisce (conteggiare come raccolta differenziata il ferro che si recupera dalle ceneri a valle del processo industriale di incenerimento e i materiali raccolti e recuperati da privati), la città di Brescia arriverebbe a una produzione pro capite di rifiuti di 2 kg/giorno. Non merita, peraltro, particolari considerazioni la propagandata "operazione 50% di raccolta differenziata" lanciata in un quartiere della città, quello che ospita l’inceneritore: poiché si basa elusivamente sull’aumento del numero di cassonetti collocati in strada, non produrrà altro risultato che un ulteriore aumento del rifiuto urbano, nel quale per comodità molte imprese "camufferanno" i propri rifiuti speciali.

In realtà per un corretto inquadramento della situazione è necessario sempre fare riferimento a valori assoluti e non alle percentuali ed in particolare a quanti rifiuti vengono raccolti senza essere differenziati, come correttamente fa l’Osservatorio Rifiuti della Regione Veneto e come suggeriamo venga in futuro fatto dall’Osservatorio provinciale di Brescia. Infatti, la quantità di rifiuti non differenziati, in termini assoluti, raccolti nel comune di Brescia rimane molto elevata pari a kg 1,244 al giorno per abitante, rispetto ad una media degli altri comuni della Provincia di kg 1,150 (OPR 2001, p. 8) e a kg 0,855 nella Regione Veneto. Comunque, anche considerando il lieve aumento percentuale annuo della raccolta differenziata (circa 2-3%), ciò che risulta grave è che, a partire dal 1995, il quantitativo globale di rifiuti conferiti non differenziati non solo non è stato scalfito, ma è continuamente aumentato (da 431.497 tonnellate nel 1995 a 470.856 nel 2001. Cfr. OPR 2001, p. 31). In Veneto, invece, il rifiuto conferito non differenziato nel 2001 è diminuito del 6,5% rispetto al 2000 (ORV 2001 p. 5). L’esperienza del Veneto è interessante perché dimostra come il sistema di raccolta dei rifiuti con cassonetto produca un aumento dei rifiuti e rappresenti un limite invalicabile per raggiungere quote significative di raccolta differenziata: in 57 comuni con raccolta attraverso cassonetto si raggiunge un massimo di raccolta differenziata del 36,7% con una produzione pro-capite di kg/g 1,36, mentre in 215 comuni (ad esempio Padova 1) in cui si applica il "porta a porta" la raccolta differenziata raggiunge il 57,9% con una produzione pro-capite di kg/g 1,0 (ORV 2001, p. 41).

A Brescia, in conclusione, siamo di fronte negli ultimi anni ad un sostanziale fallimento della raccolta differenziata, evidentemente poco gradita all’inceneritore perché gli sottrae proficuo alimento. Ma quel che è più grave è che a questa situazione ormai tutti si siano adeguati e che non si faccia nulla per invertire la tendenza ("Tanto c’è l’inceneritore che se ne occupa!"), nonostante sia chiaro che Brescia non riuscirà a rispettare neppure l’obiettivo fissato dal Decreto Ronchi (Dlgs 22/97) per il 2003, cioè 35% di raccolta differenziata, poiché con il trend degli ultimi anni a malapena si raggiungerà il 30%. Ovviamente per pudore la stessa Amministrazione provinciale non cita nemmeno più l’obiettivo del 40% per il 2002, fissato dal Piano provinciale rifiuti (Piano provinciale di organizzazione dei servizi per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili della provincia di Brescia di cui alla D. C. R. n. 1343 del 21/02/1995), quello costruito attorno alla favola dell’Asm del "sistema integrato" e del "doppio binario". Del resto, come si è visto, lo stesso Decreto Ronchi viene contraddetto proprio nell’indicazione strategica, cioè la riduzione dei rifiuti.

1.3. L’importazione

Il dato più vergognoso, e completamente oscurato nel dibattito, è quello relativo all’importazione di rifiuti. Di fronte a una produzione provinciale di rifiuti accertata, di 641.239 tonnellate ne smaltiamo più del doppio, tra inceneritore e discariche, ben 1.414.997 tonnellate (Questi dati, per pudore, non sono più pubblicati dall’Osservatorio provinciale e li abbiamo acquisiti con richiesta di accesso agli atti). I rifiuti smaltiti, quindi, nella maggior parte (773.758 tonnellate) sono importati da fuori provincia e vanno a caricare di inquinamento diversi siti del nostro territorio già così disastrato; a questo proposito va sempre ricordato che i rifiuti speciali, contrabbandati furbescamente come "biomasse", provenienti da tutta Italia e bruciati nell’inceneritore, non si volatilizzano, ma si traducano in più di un terzo di rifiuti speciali probabilmente pericolosi (Ministero dellAmbiente, Direttiva 9 aprile 2002, Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2577/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in relazione al nuovo elenco dei rifiuti, p. 29), che vanno a riempire e contaminare qualche buca della nostra "bassa". Che dire? Se non che il territorio bresciano non è degno di essere spremuto dai propri amministratori ed utilizzato come la pattumiera di tutti per quattro soldi (o meglio centinaia di milioni di euro).

In compenso, però, siamo anche esportatori dei rifiuti tossici prodotti dall’inceneritore, circa 15.000 tonnellate di polveri depositate dai filtri. Come fosse un merito, l’ASM ha spiegato ai cittadini bresciani che questi non sono un problema perché li mandiamo in Germania, per la gioia di quelle popolazioni (ignare?) che se li prendono in carico.

La conclusione può quindi essere lapidaria per quanto riguarda la gestione dei rifiuti in provincia di Brescia, rispetto alla propaganda sul "patto ambientalista" di dieci anni fa, quando si trattava di far digerire ai bresciani l’inceneritore e che oggi più nessuno si preoccupa neppure di evocare: fallimento su tutta la linea.

Nel documento già citato di due anni fa, "I rifiuti a Brescia. Dal business alla tutela dell’ambiente e della salute", abbiamo indicato nel dettaglio che cosa si dovrebbe fare in alternativa per una corretta politica dei rifiuti a Brescia e quelle proposte rimangono pienamente valide e confermate anche dall’esperienza che si sta compiendo sul campo in alcune zone del Veneto.

In questi due anni, però, si sono ulteriormente chiariti, i motivi del "nostro" fallimento rispetto alle promesse ed ai progetti del recente passato, ed anche il perché sulla questione rifiuti è sceso il più totale silenzio, anche di buona parte del mondo ambientalista ufficiale.

2. Il "modello Asm Brescia": il rifiuto diventa combustibile

Asm ha costruito un modello basato sulla concezione del rifiuto, non come materia seconda da ridurre all’origine, da riutilizzare, da riciclare, ma come combustibile in quanto contiene frazioni con una percentuale "interessante" di carbonio. Queste frazioni sono però in gran parte le stesse che potrebbero essere ridotte o riciclate. Ma il rifiuto-combustibile non solo comporta un colossale spreco di risorse e quindi ambientale, ma, anche da un punto di vista energetico, non produce quei risparmi di emissioni di gas serra che la propaganda Asm va raccontando.

Il rifiuto-combustibile, invece, è fonte di uno straordinario business e con questo argomento decisivo Asm è riuscita ad allineare sulla sua strategia l’Amministrazione comunale di Brescia di centrosinistra, le Amministrazioni provinciale e regionale di centrodestra, il Governo attuale (ma anche quello precedente): insomma una posizione perfettamente trasversale, che ha fatto proseliti anche in alcuni settori del mondo ambientalista.

2.1. L’inceneritore da impianto per il trattamento dei rifiuti a centrale termoelettrica per fare affari

Con il funzionamento a pieno regime dell’inceneritore è giunta a compimento la trasformazione di questo impianto, originariamente autorizzato per il trattamento dei rifiuti solidi urbani all’interno di una Pianificazione istituzionale della politica dei rifiuti finalizzata alla tutela dell’ambiente: ora è diventato, per volontà di Asm e Comune di Brescia, una grande industria chimico-energetica, classificata insalubre e collocata dentro la città, nello specifico una centrale termoelettrica alimentata da un combustibile "speciale", i rifiuti, ed in particolare da quei rifiuti urbani e speciali, ingannevolmente denominati "biomasse" dall’Asm, che hanno un contenuto di carbonio interessante per la combustione. In questo quadro Asm e Comune di Brescia hanno rovesciato le priorità: da quella della tutela dell’ambiente e della salute si è passati esplicitamente a quella della produzione di energia e di consistenti utili. Conseguentemente Asm, da azienda dei servizi municipalizzati per i cittadini di Brescia, è diventata un’impresa privata, prioritariamente impegnata a livello nazionale e non solo a produrre energia e realizzare business. La quotazione in borsa ha innanzitutto questo significato (oltre a quello di far partecipare alcuni privati all’affare, l’Hopa di Emilio Gnutti innanzitutto) ed è stata preparata dalla precedente sciagurata e "clandestina" decisione della Giunta comunale di installare anche la terza linea dell’inceneritore, portando la capacità complessiva di incenerimento di rifiuti urbani e speciali a circa 700.000 tonnellate anno, circa 2.000 tonnellate giorno, oltre il triplo del fabbisogno della provincia di Brescia, dando vita al più grande inceneritore d’Europa: una mostruosità, se si tiene conto che la megamacchina ha un sistema di trattamento fumi non certo al meglio delle tecnologie disponibili e che quindi emette notevoli quantità di PCB e diossine su un territorio che è fra i più inquinanti a livello internazionale proprio per queste sostanze supertossiche ("Caso Caffaro"). Il tutto ovviamente senza uno straccio di preventiva valutazione di impatto ambientale!

2.2. Il business del rifiuto-combustibile mette tutti d’accordo

Questa impostazione, sposata in pieno da una parte consistente dell’ambientalismo (settori di Legambiente, i "Verdi" bresciani) fa forza, nella propaganda Asm, su alcuni presupposti che vanno esplicitamente discussi:

v L’Italia è carente di fonti energetiche fossili, e comunque la penuria energetica è il tema con cui ci si dovrà confrontare drammaticamente nei prossimi anni. Nei rifiuti urbani e speciali è contenuta una certa percentuale di carbonio che può essere combusta e impiegata per produrre energia, altrimenti sprecata con la collocazione in discarica.

v I rifiuti si riproducono in continuo e quindi vanno considerati un’energia rinnovabile.

v Bruciando i rifiuti si risparmia un’equivalente quantità di combustibili fossili che si dovrebbero impiegare per produrre la stessa energia, mentre si evita l’emissione di gas serra che si determinerebbe comunque con la collocazione in discarica.

E’ interessante notare come attorno a questi assiomi vi sia una convergenza perfettamente trasversale sul piano politico:

- L’Asm di Brescia è apripista a livello nazionale di questa strategia "energetista" per i rifiuti sostenuta senza riserve dalla Giunta comunale di centro sinistra che la controlla, con tanto di assessore all’ecologia dei Verdi; Asm e Comune, tra l’altro, hanno fin dall’inizio utilizzato come principale consulente Paolo degli Espinosa, illustre esponente del Comitato scientifico di Legambiente.

- La Giunta provinciale di centro destra, da quando è entrato in funzione l’inceneritore, ha esplicitamente rinunciato a qualsiasi ruolo di programmazione giungendo con la determinazione del dirigente di settore del 27 novembre 2002 a stabilire che l’inceneritore di Brescia, originariamente autorizzato per 266.000 tonnellate, può bruciare tutti i rifiuti che vuole e che può, sia urbani (e non se ne indicano neppure i quantitativi!) sia speciali. Del resto da tempo ci si è dimenticati di aggiornare il Piano provinciale rifiuti (da farsi entro la fine del 1997) e di por mano all’elaborazione del nuovo, essendo il precedente scaduto a fine 2002. In sostanza, si dice, i rifiuti sono un combustibile, abbiamo un forno che ne può bruciare per mezza Lombardia: il problema è risolto.

- La Giunta della Regione Lombardia, di centro destra, d’altro canto, segue con molto interesse e partecipazione l’esperienza pilota di Brescia (non a caso si è costituita insieme al Comune di Brescia di centro sinistra - una difesa bipartisan! - a fianco di Asm per sostenere che l’inceneritore autorizzato per 266.000 tonnellate di rifiuti ne può bruciare "abusivamente" quasi il doppio!). E sta assecondando in tutti i modi la strategia Asm, anche attraverso una ristrutturazione istituzionale straordinariamente innovativa e perfettamente coerente con l’impostazione di Asm-Comune di Brescia, probabilmente unica a livello nazionale: con la nuova giunta di Formigoni 2 la questione rifiuti è transitata dalla competenza dell’assessorato all’ambiente a quella dell’assessorato all’energia ed alle attività produttive. Il tutto nell’indifferenza del centro sinistra lombardo nonché dell’ambientalismo ufficiale. Sembrerebbe di capire che l’affare rifiuti-energia metta tutti perfettamente d’accordo, per l’appunto un tema bipartisan, come si usa dire.

- Il Ministero dell’ambiente, di centro destra come è noto, dal canto suo, è perfettamente in sintonia con Asm e Comune di Brescia laddove nella recente delibera del Cipe del 5 gennaio 2003, "Linee guida... per la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2010" indica nell’incremento dell’energia elettrica prodotta dai rifiuti solidi urbani e dalle "biomasse" (tra 750 a 1.300 MW) una delle linee strategiche per gestire il problema energetico nazionale all’interno dei vincoli del protocollo di Kyoto. Sulla stessa falsariga la Regione Lombardia che nella proposta di Piano Energetico Regionale intende portare l’incenerimento dei rifiuti al 50 % di quelli prodotti.

2.3. Le "favole" di Asm sulle presunte virtù ambientali dell’incenerimento

La strategia Asm si fonda su punti, da molti considerati come assiomi, ma che sono facilmente confutabili.

Risibile è l’idea di considerare i rifiuti energia rinnovabile. Se in parte può essere accettabile per gli scarti vegetali e legnosi derivati da coltivazioni o forestazioni in grado di ricostituirne i consumi, per il resto dei materiali presenti nei rifiuti non si può dire altrettanto: ad esempio tutte le plastiche derivate dal petrolio il cui incenerimento, in alternativa alla riduzione attraverso il vuoto a rendere, al riuso o al riciclaggio, determina una diminuzione non rinnovabile dello stock complessivo di combustibili fossili. Neppure la normativa europea, del resto, ritiene che i rifiuti siano in toto "fonti rinnovabili": la direttiva Ue sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (n. 2001/77) considera tra queste solo "la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani" (e le plastiche non sono certo biodegradibili). Anche se, in palese contrasto con questa direttiva, il decreto Bersani (in questo, invece, in perfetta sintonia con l’attuale governo di centro destra) considera "rinnovabili", tra gli altri, "la trasformazione in energia elettrica dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali" , quindi tutto il carbonio contenuto nei rifiuti.

Per quanto riguarda poi il bilancio energetico ed ambientale (gas serra) quegli assiomi reggono, in parte, solo se il confronto si fa con la collocazione dei rifiuti in discarica. Infatti, Asm, i professori universitari che di volta in volta vengono ingaggiati dalla stessa, il Comune di Brescia e le varie istituzioni fino al Ministero non si peritano mai di confrontare il bilancio energetico e ambientale dell’incenerimento (e relative emissioni di gas serra) con il bilancio energetico ed ambientale di una coerente politica di riduzione dei rifiuti (abbandono degli "usa e getta", "vuoto a rendere", riuso degli imballaggi...) e di riciclaggio attraverso una raccolta differenziata spinta. Esemplifichiamo con una tipologia di rifiuti diffusa ed "interessante" per il potenziale energetico come gli imballaggi (carta, cartone, plastiche): se questi vengono collocati in discarica, evidentemente rappresentano un puro spreco in termini di materie prime (legno e petrolio, soprattutto) e di emissioni di gas serra; bruciarli per produrre energia, comporterebbe invece un parziale recupero di energia e quindi di Tep di petrolio risparmiati con relative emissioni di gas serra evitate. Ma se questi imballaggi vengono riutilizzati e/o riciclati si ottiene ovviamente un risparmio di materie prime e quindi di energia e gas serra molto più importante. Ed infatti, il decreto Ronchi pone prioritariamente gli obiettivi della riduzione, del riuso e del riciclaggio, riservando all’incenerimento solo ciò che residua e come alternativa alla discarica.

Ma anche sul piano strettamente tecnico e nella "logica Asm", i calcoli della stessa sono del tutto infondati come dimostra con rigore scientifico Marco Caldiroli, perito chimico di Medicina democratica:

"Il meccanismo di calcolo della ASM per quantificare la CO2 "risparmiata" con l'incenerimento dei rifiuti è fondato su due fattori:

a) l'emissione connessa con la cogenerazione cioè l'energia termica prodotta dall'inceneritore viene conteggiata integralmente come "risparmio" di CO2. Basandosi sui valori riportati nella Dichiarazione Ambientale del 1999 di ASM ("Tabelle tecniche") possiamo calcolare questo "contributo" come segue :

- nel 1999 sono stati prodotti complessivamente 518.000 MW di energia dall'inceneritore, di questi 240.200 sono MWt di vapore per cogenerazione;

- nel 1999 si stima una emissione complessiva di CO2 (da combustione, non è chiaro se e come è stato considerato il protossido di azoto N2O da non confondere con gli NOx) di 350.348 tonn, ciò corrisponde a un fattore di emissione di 676 grammi di CO2 per kWh prodotto. Moltiplicando 676 g/kwh per 240.200 MWtermici si otterrebbero 162.303 t/anno nel 1999 di CO2 considerata risparmiata da ASM in virtù della cogenerazione.

b) Al dato di cui sopra viene aggiunto il valore della CO2 "risparmiata" se la stessa quantità di rifiuti (nel 1999 pari a 372.003 tonnellate incenerite da ASM) fosse finita tal quale in discarica. Pur non essendo esplicitati i fattori di emissione di CO2 equivalente utilizzati e se sia stato o meno considerato il recupero energetico del biogas (per le discariche il gas serra principale non è la CO2 come tale, ma il metano che ha un "fattore" serra di 21 volte più potente rispetto al CO2 considerato come 1), utilizzando dei fattori disponibili in letteratura (Enea) questa parte di emissione "risparmiata" varrebbe tra 232.129 tonn (discarica senza recupero del biogas) e 211.297 tonn (discarica con recupero di biogas) in relazione a una quantità di rifiuti pari a quelli inceneriti da ASM nel 1999.

Sommando A+B risulterebbe un valore tra 394.432 e 373.600 t di CO2 risparmiate (il range corrisponde alla discarica con o senza recupero del biogas): infatti ASM dichiara un dato di CO2 risparmiata nel 1999 pari a 383.245 tonnellate, che si pone in mezzo al range sopra calcolato.

Ora, un simile calcolo da parte di ASM non ha un fondamento riconosciuto (non è rintracciabile una fonte autorevole - ovvero internazionale - che dia indicazioni definitive in questo per tutti i paesi aderenti al protocollo di Kyoto). Viceversa, se ad esempio consideriamo la direttiva Ue 2001/77 sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, troviamo che tra queste viene considerata solo "la parte biodegradabile dei rifiuti" (quindi i rifiuti con carbonio fornito da fonti fossili come le plastiche non devono essere considerati fonti rinnovabili).

Tra le diverse proposte per calcolare la CO2 "risparmiata" dall'incenerimento si segnala, infine, quella di De Stefanis (che di proposte ne fa tre, ma verrà qui considerata quella ritenuta più "corretta"). In sintesi questa proposta parte dal presupposto che la parte organica e biodegradabile dei rifiuti costituisce i 2/3 del carbonio ivi contenuto (1/3 di carbonio è da considerarsi non biodegradabile e di origine fossile, ovvero dal petrolio) e quindi solo le emissioni corrispondenti sono "risparmiate" mentre quelle correlabili con l'altro terzo non sono risparmiate. Dopodiché la proposta correla queste emissioni non risparmiate con quelle di una centrale termoelettrica tradizionale per produrre la stessa quota di energia (pertanto, come si vedrà più avanti, è fondamentale il rendimento energetico sia dell'inceneritore che della centrale di riferimento). Applicando questa metodica, nel caso di ASM del 1999, otterremmo un "risparmio" di CO2 pari a 208.448 tonn (in considerazione al rendimento energetico relativamente elevato dell'inceneritore - il 51,1 % - connesso con la cogenerazione di vapore per teleriscaldamento). Questo valore però è valido a partire dal confronto con una centrale termoelettrica tradizionale (si prende come riferimento il "mix" di centrali ex Enel del 1999) con un fattore di emissione pari a 729 g di CO2 per kWh prodotto. Se invece si confronta l'emissione ASM con quella di una centrale termoelettrica a ciclo combinato a gas naturale (in questo senso del tutto valida la "vecchia" proposta di riconvertire almeno in parte l'inceneritore in una centrale di questo genere) il fattore di emissione da porre a confronto sarebbe di 360 g di CO2 per kWh prodotto. In questo caso, sempre con riferimento ai dati ASM del 1999, si avrebbe un "risparmio" assai minore, pari a 40.176 tonn di CO2 (sempre ovviamente ipotizzando che i rifiuti, in alternativa, vadano tutti in discarica).

A sostanziale conferma di quanto sopra dimostrato, si può considerare quanto afferma la stessa Regione Lombardia che, in questo, si discosta notevolmente dalla propaganda Asm: nel "Programma Energetico Regionale - Indirizzi ed obiettivi di politica energetica per la Lombardia", a pagina 58 (tabella 12) si trova una tabella riassuntiva dello stato degli inceneritori autorizzati (anche se in realtà ne hanno aggiunti alcuni che non sono stati autorizzati, ma tant'è). Per quanto concerne ASM si dice che l'impianto ha una potenzialità di smaltimento pari a 485.100 t/anno (!), una energia elettrica prodotta pari a 351.698 MWh, una energia termica prodotta pari a 174.073 MWh, emissioni prodotte dall'inceneritore pari a 160.000 t/a (CO2 equivalenti), emissioni prodotte dal sistema cogenerativo pari a 256.000 t/a (CO2 - quindi queste emissioni non sono "risparmiate" ma solo emesse) e poi si considera (non viene specificato il sistema di calcolo) che le emissioni evitate di CO2 dell'inceneritore ASM sarebbero pari a "solo" 98.000 t/a e non le 383.245 tonnellate dichiarate da Asm (nel 1999).

In conclusione, anche considerando un relativo "risparmio" di CO2 (i valori credibili o meglio corretti, sono quelli intorno alle 40.176 tonn di CO2, per i motivi già detti) occorre poi tener presente, da un canto, quanto potrebbe essere il risparmio di CO2 (e di materie prime) connesso con il riciclaggio, il riutilizzo e/o la riduzione dei rifiuti e, dall’altro, che al "risparmio" delle emissioni di CO2 corrispondono quelle di altri inquinanti (NOx, SOx, CO, polveri, HCl, PCB, diossine, metalli etc) presenti in misura inferiore (a parità di energia prodotta) o non presenti del tutto nel caso di una centrale a gas naturale".

2.4. L’imbroglio delle "biomasse"

Inoltre, su questo piano, si gioca con carte false attorno al tema delle "biomasse". Le "biomasse" fanno parte tradizionalmente del bagaglio ambientalista in campo energetico. Intese in senso proprio, cioè materiali vegetali prodotti da coltivazioni dedicate, si possono considerare effettivamente energia rinnovabile (anche se occorre sempre tener presente che spesso ciò comporta la riduzione di terreno coltivabile per l’alimentazione umana). Un caso esemplare di uso energetico delle biomasse è la produzione in Brasile su larga scala di alcol per alimentare motori a scoppio attraverso la canna da zucchero (ma poi una parte dei brasiliani, come è noto, non ha di che sfamarsi). In questo senso le "vere biomasse" sono state catalogate nella legge italiana dal DPCM 8 marzo 2002 allegato III, , "Individuazione delle biomasse combustibili e delle loro condizioni di utilizzo". Ma vi è anche un uso distorto del termine "biomasse", su cui furbescamente gioca l’Asm, assecondata da una parte di ambientalisti "disattenti": in questa accezione vengono considerati "biomasse" tutti gli scarti e i rifiuti che contengono un certo tenore di sostanza organica, cioè di carbonio e che per questo vengono visti dagli "energetisti" come combustibili; "biomasse" sono quindi i rifiuti urbani e tutti i rifiuti speciali non inerti che contengano una percentuale di carbonio tale da determinare un potere calorifico di almeno 1.500 kcal/kg. Su questo equivoco Asm, non disponendo di sufficienti rifiuti urbani già per le due linee in funzione, del tutto sovradimensionate, ha deciso di importare e bruciare nell’inceneritore circa 150.000 tonnellate annue di rifiuti speciali, ingannevolmente definiti "biomasse", senza alcuna autorizzazione preventiva o deliberazione di alcuna istituzione pubblica locale (Comune, Provincia, Regione).

2.5. L’inceneritore non è alternativo alla discarica, ma alla riduzione dei rifiuti ed al riciclaggio

Da parte di Asm si dice che l’incenerimento sarebbe un’alternativa alla discarica. L’affermazione è anche teoricamente azzardata, perché, come è noto, i materiali che si prestano di più all’incenerimento (legno, cartone, carta, plastica) sono gli stessi che possono essere ridotti alla fonte o destinati alla raccolta differenziata. Ma anche sul piano pratico si verifica che l’inceneritore non è alternativo alla discarica e proprio l’esperienza "pilota" ormai consolidata dell’Asm di Brescia sta lì a dimostrarlo: l’inceneritore ha prodotto, come si è visto, un aumento esagerato della produzione dei rifiuti ed ha sostanzialmente bloccato la raccolta differenziata, limitata essenzialmente a vetro e lattine (non combustibili) e ad un po’ di "umido". La plastica è stata del tutto "affidata" all’inceneritore, mentre la raccolta della carta da anni non viene più spinta e rimane in parte solo per "salvare la faccia" di un glorioso passato di raccolta differenziata (effettivamente, prima dell’inceneritore, l’Asm fu un’azienda all’avanguardia in questo settore). Inoltre, l’inceneritore stesso, grazie anche al suo sovradimensionamento ed alla necessità di importare rifiuti da fuori provincia, invece di eliminare le discariche è destinato ad alimentarne all’infinito con una gran massa di rifiuti speciali, probabilmente pericolosi (circa 200.000 tonnellate anno).

2.6. Brescia, grazie alla smania energetista di Asm, fanalino di coda nel risparmio energetico

Ma dal punto di vista energetico a Brescia vi sono altri dati interessanti da considerare: con il teleriscaldamento (acqua calda recuperata dalla centrale termoelettrica connessa all’inceneritore e distribuita per il riscaldamento delle abitazioni) l’Asm sta spingendo verso la totale eliminazione del gas metano nelle case con la sostituzione delle tradizionali cucine alimentate da questo gas con cucine elettriche ad induzione. La ragione è molto semplice: con l’energia elettrica prodotta dall’inceneritore il ricarico in termini di utili aziendali è molto più elevato che non con il gas (va sempre ricordato che si tratta di una centrale termoelettrica "magica", per la quale il combustibile non è un costo ma un ricavo!).

Ed effettivamente Brescia tende ad un continuo aumento del consumo di energia elettrica pro-capite (nel 2001 raggiunge i 1099 KWh/ab/anno, livello che la colloca al 75° posto nella graduatoria negativa dei consumi delle 103 province italiane, con un arretramento di 3 posizioni rispetto al 2000, quando era al 72° posto. Cfr. Supplemento di "ItaliaOggi" del 14 gennaio 2003, Rapporto 2002 sulla qualità della vita in Italia, Consumo annuo pro-capite di energia elettrica, p. 20), mentre non fa pressoché nulla per il risparmio energetico, come ha denunciato recentemente lo stesso ordine degli ingegneri di Brescia: "La realtà dell’edilizia bresciana è, nel campo del contenimento dei consumi energetici, lontana dai livelli di qualità imposti dalle norme vigenti, e non solo da quelli: dimostra di aver perso buona parte della sensibilità necessaria per ‘ben costruire’ nei confronti dei parametri climatici peculiari della nostra zona" (G. Ziletti, in rappresentanza dell’Ordine degli Ingegneri di Brescia al convegno, "Brescia 1972-2002 – Il teleriscaldamento compie trent’anni", 5 dicembre 2002). Eppure vi sono a Brescia realtà e risorse interessanti, come l’associazione energEtica, che potrebbero offrire un importante contributo in quella direzione.

3. Il sistema di potere che si va costituendo attorno ai "rifiuti-energia"

La trasformazione di Asm in Spa e la quotazione in borsa avviene con l’ingresso di Hopa, la finanziaria presieduta da Emilio Gnutti, che vede crescere al proprio interno, come partner più rilevante, la finanza nazionale vicina ai Ds (Unipol e Monte dei Paschi di Siena) e che appare perfettamente bipartisan, vantando come socio la stessa Fininvest. Gli intrecci tra Asm ed Hopa vengono però da lontano e sembrano preludere ad un legame sempre più stretto che potrebbe sfociare nella completa privatizzazione di Asm energia (come peraltro sta avvenendo con Enel). In questo quadro la "presa" di Asm sulla società bresciana, sui partiti e sulle istituzioni è pressoché totale: ciò spiega il vasto consenso che ha saputo costruire intorno all’ecomostro rappresentato dal megainceneritore.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: come è possibile che a Brescia sia accaduto questo, che si sia installato un mostro ecologico del genere e che soprattutto con estrema protervia il "modello Asm-Comune di Brescia" venga proposto in giro per l’Italia, senza che vi sia un accenno critico?
Ed ancora, come è possibile che questa metamorfosi di Asm sia avvenuta senza che vi sia mai stata una discussione pubblica ed una esplicita deliberazione del Comune di Brescia, del suo consiglio elettivo, dei cittadini, per cui Asm mutasse radicalmente le proprie strategie e finalità?

3.1. Il grande business del rifiuto combustibile

La forza dell’inceneritore più che sull’energia e le emissioni "risparmiate" si appoggia sui colossali profitti che produce. Infatti il vero argomento con cui Asm impone al Comune di Brescia le proprie scelte e cerca di convincere in giro per l’Italia i Comuni e le municipalizzate non è quello energetico o la favola dei vincoli di Kyoto, bensì quello dei profitti straordinari che la "megamacchina" garantisce. Non esiste in Italia, e forse al mondo, un impianto industriale così portentoso. Innanzitutto Asm, pur essendo una Spa, e quindi un’azienda privata in un contesto di libero mercato (tanto celebrato, peraltro, ai nostri giorni!), agisce senza alcuna concorrenza in regime di assoluto monopolio. Inoltre è l’unica industria e centrale termoelettrica per la quale la materia prima, nel caso specifico il combustibile, non è un costo, bensì addirittura un utile. (Tutti gli imprenditori, probabilmente, sognerebbero di gestire una simile impresa).

Infatti, dal punto di vista dei flussi di materia e di energia, questa impresa ha praticamente solo voci positive di entrate, e per l’esattezza ben 6: 1) il combustibile, cioè i rifiuti conferiti pagati circa 100 lire al kg dai comuni, cioè dai cittadini con la tassa-rifiuti (già qui un gruzzolo di 30 miliardi circa di vecchie lire all’anno); 2) quindi un contributo dal Conai per i contenitori riciclati o meglio bruciati (5 miliardi e 900 milioni di lire nel 1999, per l’impianto ASM); 3) un contributo dalla Stato come impianto produttore con "energia rinnovabile" [?!]; 4) le bollette dell’energia elettrica pagate dai cittadini; 5) le tariffe dell’acqua calda distribuita con il teleriscaldamento, pagate dagli utenti e decise discrezionalmente da Asm; 6) dopo l’incenerimento il ferro presente nelle ceneri viene venduto alle acciaierie, ben 5.033 ton. nel 2000.

Insomma si tratta di una formidabile "gallina dalle uova d’oro" che permette all’Asm di realizzare profitti per oltre 100 miliardi di vecchie lire all’anno.

3.2. La privatizzazione Asm nel segno di Hopa e degli affari bipartisan

Capito al volo l’affare, attorno ad Asm si è messo subito in moto un gruppo di potere privato fortissimo, l’Hopa del bresciano Emilio Gnutti, il mago della finanza, l’enfant prodige del "nuovo" capitalismo italiano, che sa moltiplicare i miliardi come gli evangelici "pani e pesci", l’artefice con Colaninno del "capolavoro" Olivetti-Telecom e oggi di nuovo in campo per "salvare" la Fiat, esponente di spicco delle new entry della cosiddetta "razza padana". Finanzieri d’assalto che sembrano aver incantato tutti (ritratti esageratamente celebrativi di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno appaiono sullo stesso quotidiano dei Democratici di sinistra in occasione della "crisi Fiat": Gnutti. Alla guida della Bentley sognando il Lingotto e Colaninno. La ricetta del Ragioniere: soldi, sudore e automobili, "l’Unità", 15 gennaio 2003). Non il vecchio Giorgio Bocca che ben conosce i vizi del capitalismo nostrano: "E tutti anche nel nostro paese avevano sotto gli occhi lo spettacolo pirotecnico di avventurieri della finanza, vedi i pii e morigerati bresciani che si impadronivano di grandi e grandissime aziende senza avere i soldi per comprarle ma con un giro di scatole cinesi a cui ha partecipato anche la nostra sinistra che aveva scoperto anche lei il modo di far soldi tanti e presto anche se la lezione di Mani pulite bruciava ancora" (G. Bocca, "l’Espresso" del 26 luglio 2002). Anche se la magistratura, del tutto "pii e morigerati" non li ha ritenuti se ha condannato per insider trading il 24 giungo 2002 per operazioni legate ai titoli Cmi (Cantieri metallurgici italiani Spa, società del gruppo Falk) Emilio Gnutti ed Ettore Lonati, esponenti di spicco di Hopa (Marco Toresini, Insider trading. Condannati Emilio Gnutti ed Ettore Lonati, "Bresciaoggi", 26 giugno 2002).

Per l’ingresso di Hopa, occorreva, però che Asm si privatizzasse e si quotasse in borsa, operazione che la giunta di centro sinistra del Comune di Brescia ha portato a compimento nel 2002. Ed ecco che, con la quotazione in borsa di Asm, il principale azionista privato che entra in campo e si conquista subito un posto in consiglio di amministrazione è proprio lui, Emilio Gnutti con la sua Hopa. I piccoli azionisti vengono invece guidati a sponsorizzare ed eleggere il prof. Alberto Clò, guarda caso esperto di problemi energetici.

In Hopa, oltre allo stesso Emilio Gnutti, che con la finanziaria di famiglia ne detiene circa il 10% e ne occupa solidamente la presidenza, troviamo alla "sinistra" il vicepresidente Giovanni Consorte, presidente di Unipol, la compagnia di assicurazioni della Lega delle cooperative, presente con circa un 5,19%, affiancata dalla banca Monte dei Paschi di Siena, anch’essa vicina ai Ds, mentre alla "destra" siede l’altro vicepresidente Giuseppe Lucchini, erede dell’omonimo gruppo e figlio dell’ex presidente di Confindustria, Luigi Lucchini, il re dell’acciaio, capofila di un nutrito gruppo di imprenditori bresciani, tra cui il già citato Ettore Lonati, leader nel settore meccanotessile, Pier Luigi Crudele, della Finmatica, l’azienda hi-tec che al suo esordio fece faville sul mercato azionario dei tecnologici e altri; non viene trascurata neppure la finanza "cattolica", presente con la banca Antonveneta e la banca Lombarda, frutto della fusione fra Banca San Paolo (scrigno tradizionale del mondo cattolico bresciano) e Credito agrario bresciano; ma in Hopa troviamo anche la Fininvest, con circa un 5,4%, a completare l’ecumenismo della cassaforte creata da Gnutti, nel segno del pecunia non olet, purché si facciano buoni affari. Infatti sia Fininvest che Mediaset avrebbero ceduto a Hopa le proprie quote in Telecom in cambio di una partecipazione nella finanziaria bresciana. Questo scambio con Fininvest ha permesso ad Hopa di tornare in Telecom con una ragguardevole quota pari a circa il 16% della società di controllo Olimpia (r. e. Così Hopa rientra in Telecom, "Bresciaoggi", 24 dicembre 2002). Un rientro in grande, quello di Hopa nelle telecomunicazioni, che sarà sancito il 25 febbraio con la nomina di Gnutti nel consiglio di amministrazione di Olimpia, la finanziaria di controllo del gruppo che comprende, come è noto, diverse società operative, Olivetti, Telecom, Tim e Seat, nei cui consigli di amministrazione entreranno successivamente uomini Hopa. Questi movimenti hanno sollecitato l’ala sinistra di Hopa ad un maggior dinamismo ed impegno. E’ noto che Hopa è controllata da un patto di sindacato tra la Fingruppo (circa il 30%), espressione della finanziaria di famiglia di Gnutti e di alcuni industriali bresciani, e Unipol, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Lodi, che detenevano circa il 5% ciascuna. Ebbene, proprio Unipol, controllata da Finsoe che a sua volta è controllata dalla Legacoop, vicina ai Ds, unitamente a Monte dei Paschi, controllata dalle amministrazioni saldamente in mano ai Ds della Provincia e del Comune di Siena, sta operando per consolidare la presenza in Hopa della finanza rossa stringendo ancor più l’alleanza con Monte dei Paschi e gli intrecci con la stessa Hopa. Alcune operazioni interessano innanzitutto Monte dei Paschi, il cui processo di privatizzazione, di trasformazione in Spa e di quotazione in borsa porterà all’incorporazione delle controllate Banca toscana, Banca Agricola Mantovana, e Banca 121, facendo scendere il pacchetto azionario di controllo della Fondazione (Amministrazioni pubbliche senesi) al 59%. Ma si prevede che questo debba ridursi al di sotto del 50% e che quindi un 9% sia ulteriormente da affidare ai privati: "il primo nome che circola a Siena è quello di Emilio Gnutti e della sua Hopa ... uno dei nomi più accreditati per occupare una delle otto poltrone del Monte dei Paschi Spa riservate agli azionisti privati" (P. Benassi, Volti nuovi per Monte dei Paschi: in arrivo Gnutti e Caltagirone, "l’Unità", 26 gennaio 2003). Nel contempo Monte dei Paschi stringe i legami con il gruppo Unipol: Mps infatti acquisterà il 13,4% di Finsoe, controllante di Unipol, e salirà così al 39%, mentre Holmo, la finanziaria detenuta al 100% da 29 cooperative ne detiene il 51% e comunque manterrà il 50,2% delle azioni Unipol (Unipol, Mps raddoppia e sale al 39%, "Sole 24 ore", 7 febbraio 2003). Infine Unipol e Monte dei Paschi starebbero aumentando il loro capitale in Hopa di una quota tra il 4,5 ed il 5%, rastrellando partecipazioni di piccoli azionisti, raggiungendo insieme circa il 16% (9% Monte di Paschi e 7% Unipol), collocandosi quindi immediatamente alle spalle di Fingruppo nel controllo di Hopa e ponendosi come partner più rilevante di Gnutti e soci. L’operazione tiene conto anche del fatto che il patto di sindacato di controllo di Hopa scade tra un anno e Unipol e Mps intendono preparasi alla scadenza con una posizione solida all’interno della finanziaria bresciana (M. Tedeschi, Manovre nel salotto Gnutti,: Unipol e Monte Paschi vogliono crescere, "l’Unità", 28 gennaio 2003). In conclusione, Hopa, holding di partecipazioni aziendali, rappresenta sempre più per la finanza nazionale vicina ai Ds il luogo privilegiato delle proprie iniziative in campo industriale e dei servizi, senza peraltro disdegnare in quell’ambito alleanze non solo con la finanza "cattolica", ma neppure con quella targata Fininvest.

3.3. L’Asm e l’Hopa di Gnutti da tempo soci nel business energetico

In questo contesto, l’entrata in Asm di Emilio Gnutti in prima persona assume un significato particolarissimo (Gnutti siede in almeno altri 30 consigli di amministrazione e, per problemi di salute, lui stesso dichiara di limitare la sua presenza ai "posti strategici"): oltre al messaggio inviato alla città di Brescia perché sia chiaro a tutti chi detiene realmente il bastone del comando all’interno dei rapporti di potere della Leonessa d’Italia, la sua presenza in Asm va interpretata come una scelta strategica nell’ambito delle iniziative di Hopa. Gnutti ha capito che il settore delle municipalizzate, della produzione di energia attraverso i rifiuti in particolare, è un settore strategico per il futuro, come le telecomunicazioni (rientro in Telecom), o come le nuove tecnologie biomedicali (e infatti Hopa sta trasformando la propria controllata Snia da azienda chimica, liquidando Caffaro, a multinazionale leader in questo settore). Tra l’altro Hopa si poteva ritenere in qualche modo già rappresentata in Asm, perché il Comune aveva precedentemente nominato fra i 5 membri del Consiglio di amministrazione di sua competenza, Marco Vitale, come proprio rappresentante di fiducia: questi, infatti, è anche membro del consiglio di amministrazione di Snia (controllata da Hopa e proprietaria di Caffaro), contro cui il Comune, tra l’altro, dovrebbe aprire un contenzioso di centinaia di milioni di euro per la bonifica connessa alla vicenda Caffaro (conflitto di interessi?!). Ma l’ingresso di Gnutti era evidentemente previsto da tempo cosicché verrà salutato dal presidente Asm Renzo Capra con lodi eccessive: "Emilio Gnutti è un finanziere di prima classe, dotato di un intuito eccezionale e una grande capacità di fare affari" (C. Cassamali, Intervista a Renzo Capra: "La nostra forza? I piccoli", "Bresciaoggi", 14 gennaio 2003). Infatti, tra Hopa ed Asm Spa, ancor prima della quotazione in borsa, era già in corso una stretta collaborazione nel campo energetico, come maggiori azionisti (rispettivamente 20% e 17%) di Dynameeting S. p. A., società attiva dal 2001 nel trading di energia (I, Rebustini, Asm spa, Gnutti guida gli "altri", "Bresciaoggi", 10 agosto 2002). Inoltre Asm Spa è partner con il 5% di Earchimede, una società nata come "incubatore" dalla partnership tra Accenture ed Hopa, che si è recentemente trasformata in un’azienda specializzata in consulenza strategica e organizzativa di alto livello, presieduta anch’essa da Emilio Gnutti. Questa svolta è avvenuta attraverso un aumento di capitale che ha portato il patrimonio netto a 20 milioni di euro e l’ingresso di nuovi soci che ha determinato il nuovo assetto societario: Hopa, azionista di controllo con il 52,50%, Unipol Merchant con il 14,14%, Accenture e Webegg con il 7,5%, Asm, appunto, con il 5%, e poi Banca Lombarda e Interbanca con quote minori. Inoltre è stato rafforzato lo staff dirigenziale con l’ingresso di professionisti della consulenza strategica con esperienze in multinazionali provenienti da Accenture, come Pierluigi Troncatti, Pier Lamberto Capra [?!], Sandro Orneli, Pietro Antonio D’Alema. I principali settori di attività di "consulenza strategica" sono le utilities (energia, gas, acqua), l’igiene urbana (cioè i rifiuti), i trasporti, le pubbliche amministrazioni locali e centrali, banche ed assicurazioni, telecomunicazioni e media: ad esempio, la ristrutturazione dei trasporti locali di Roma, la costituzione della Holding capitolina dei servizi della stessa capitale, .... (Lucio dall’Angelo, Earchimede: consulenza strategica, nuovi soci, nuova sede, "Giornale di Brescia", 18 dicembre 2002). Earchimede ha tre altre sedi operative, a Milano, a Roma e a Bologna, oltre che a Brescia, in corso Zanardelli 32 (dove hanno pure sede Hopa e l’agenzia bresciana di Interbanca-gruppo Antonveneta; ma, allo steso numero civico - curiose coincidenze bresciane - anche l’ufficio del notaio Bruno Barzellotti, "eminenza grigia" dell’ala moderata dei comunisti ieri e dei Ds oggi, quella migliorista e attenta al "mercato", da tempo immemore consigliere di amministrazione di Asm).

3.4. L’Asm prepara il terreno per l’ingresso di Hopa

Nel contempo Asm, dal canto suo, preparava il terreno al dispiegarsi di questa strategia generale che, con la partnership di Hopa, guarda molto al di là dei confini di Brescia (il suo futuro è nell’alleanza con la spagnola Endesa), privilegiando di gran lunga il settore energetico. Del resto il "padre-padrone" di Asm da quasi quarant’anni (prima come tecnico, poi come direttore ed infine come presidente) è l’ingegner Renzo Capra, formatosi alla scuola Eni, nella gestione della centrale di Gela, "energetista" per vocazione e per passione. Storicamente Asm già negli anni Sessanta aveva definito accordi con altre municipalizzate (Aem di Milano, Agsm di Verona, Aim di Vicenza, Asm di Rovereto) per la costruzione di due centrali termoelettriche al di fuori della provincia di Brescia, una a Cassano d’Adda (Mi) e una a Ponti sul Mincio (Mn). Ma è proprio in occasione della sua trasformazione in Spa e del successivo ingresso di Hopa che si dispiega questa strategia che fa di Asm una delle aziende private più importanti a livello nazionale in questo settore: innanzitutto si è liberata della "palla al piede" del settore trasporti urbani, impegnato in una azzardata operazione di metropolitana leggera fonte di probabili perdite e affidato dal Comune ad una propria Spa, Brescia Mobilità; nel novembre 2000 Asm ha costituito (partecipazione del 30%) insieme all’Aem di Milano e all’Amga di Genova, Plurigas Spa, attiva nella compravendita all’ingrosso di gas; nell’estate del 2001, Asm ha costituito (partecipazione 14,67%), insieme ad Endesa Sa, uno dei principali operatori del mercato spagnolo dell’energia elettrica, ed a Banco Santander Central Hispano, un consorzio (Endesa Holding Italia) che nel luglio 2001 ha acquistato Elettrogen Spa, la prima società di produzione di energia dismessa dal gruppo Enel, costituita da sette centrali; nel settembre 2001, Asm ha rilevato il 20% di Trentino Servizi Spa, società controllata dal Comune di Trento e di Rovereto che, guarda caso, ora si accinge a costruire un inceneritore di rifiuti; nel dicembre 2001 Asm ha sottoscritto il 43,7% di Abruzzo Energia Spa, società deputata alla progettazione, costruzione e gestione di una centrale elettrica turbogas a Gissi (Ch) e nei primi mesi del 2002 Asm ha acquistato il 40% di Metanizzazione Meridionale, società che gestisce la distribuzione di gas in 39 comuni della provincia di Chieti, Campobasso e Isernia; Asm, insieme a International Power di Londra e ad Ansaldo Energia Spa, sta lavorando ad un progetto di grande centrale termoelettrica turbo gas (inizialmente di 1518 MW, poi ridimensionata ad 800 MW) da collocarsi nel comune di Offlaga (Bs), anche se per ora sta incontrando la ferma opposizione delle popolazioni locali, in particolare degli agricoltori.

3.4. Verso la completa privatizzazione di Asm?

In questo quadro non è credibile che Gnutti si limiti ad una partecipazione azionaria in Asm poco più che simbolica, quella detenuta da Hopa, pari al 2,89% (anche se si tratterebbe di sapere quante sono le azioni reali che fanno capo già ora indirettamente alla composita galassia di Hopa, acquistate dai Lonati, dai Lucchini e da altri imprenditori locali, nonché da Unipol, Interbanca, ecc.). Si sussurra che Capra non veda l’ora di aumentare la partecipazione Asm in Endesa Holding Italia e che per questo abbia bisogno di forte liquidità, mentre il Comune arranca con i propri bilanci e soprattutto dovrà preparasi a far fronte al "buco nero" che si profila con l’apertura dei cantieri della metropolitana: potrebbero essere "provvidenziali" allora i "capitali amici" (e... "compagni") di Hopa (Gnutti dichiara di avere in cassa oltre un miliardo di euro), disposti a rilanciare Asm nell’agone della competizione internazionale del mercato energetico ed a correre nel contempo in soccorso del Comune, oberato dai nuovi "imprevedibili" impegni della metropolitana. Siccome la privatizzazione deve procedere per gradi, come la metamorfosi in atto di Asm, senza che nessuno si allarmi, il tutto avverrebbe mantenendo, per il momento, "ben salda" (51%?) la maggioranza azionaria del Comune (non sia mai che si ceda ai privati l’Asm!). Del resto, come pressoché tutti sono stati d’accordo nel privatizzare l’Enel, non si capirebbe perché Asm energia debba rimanere in mano pubblica.

3.5. L’irresistibile capacità di Asm di costruire un consenso quasi "totalitario"

Il fatto curioso è che a Brescia nessuno discuta di quanto sta avvenendo e che il processo in corso sia presentato ed accettato quasi da tutti come ineluttabile. A Brescia, infatti, di fronte ad Asm (e d’ora in poi anche ad Hopa), a differenza delle popolazioni della "Bassa" in lotta contro la megacentrale turbogas, poche ed isolate sono le voci di dissenso; fra i partiti, solo Rifondazione comunista ha eccepito alla decisione di triplicare un inceneritore che era già doppio rispetto al fabbisogno provinciale, con una terza linea che, per le caratteristiche dei rifiuti speciali bruciati, contrabbandati per "biomasse", e per l’inadeguatezza dell’impianto di abbattimento dei fumi (ampiamente superato dalle Migliori Tecniche Disponibili), emetterà notevoli quantità aggiuntive di PCB, diossine, metalli pesanti, ossidi di azoto ed ammoniaca, destinate a ricadere su di un territorio già altamente contaminato (Va ricordato, che in relazione alla passata produzione di PCB da parte della Caffaro, il territorio su cui insistono le emissioni dell’inceneritore è contaminato dai PCB fino a più di 1.000 volte oltre i limiti, da diossine per più di 100 volte oltre i limiti, e non si sa come bonificarlo). Ciò che appare incredibile è che la giunta comunale di centrosinistra, con l’assessore all’ambiente dei Verdi, abbia deciso questo ampliamento, senza neppure consultare il Consiglio comunale, nel gennaio 2002 quando era nota la gravissima emergenza dell’inquinamento da PCB e diossine, che ha fatto di Brescia un caso internazionale ed ha costretto il Sindaco ad interdire l’uso dei suoli ai cittadini per una porzione della città. Il tutto, peraltro, è avvenuto senza la preventiva valutazione di impatto ambientale, per cui Brescia, città straordinariamente inquinata, avrà il più grande inceneritore d’Europa senza alcuna valutazione d’impatto ambientale.

Perché la città di Brescia accetta di buon grado un simile scempio, mentre gli agricoltori della pianura si ribellano e si oppongono tenacemente ad una centrale turbogas, dall’impatto ambientale di gran lunga meno problematico di un inceneritore?

Bisogna riconoscere che anche in questo caso la strategia di Asm è formidabile nel mettere tutti d’accordo e nell’emarginare il dissenso. Innanzitutto fa leva su una tradizione secolare, di servizi offerti ai cittadini con indubbia efficienza, con cui ha costruito l’immagine di un’azienda amica dei bresciani.

Però oggi questo non è più sufficiente nel momento in cui non è più azienda pubblica e municipale di servizi, ma si privatizza e, con la partnership decisiva di Hopa, si trasforma in impresa nazionale proiettata esclusivamente nel business dell’energia.

Innanzitutto è stata sviluppata una grande campagna propagandistica per darsi una facciata "ambientalista": dal logo (l’aquilone azzurro), alla ristrutturazione delle arre verdi nei quartieri ospitanti l’inceneritore, all’educazione "ambientale" nelle scuole, al coinvolgimento come consulenti o con sponsorizzazioni varie di alcuni settori del mondo ambientalista (di Paolo degli Espinosa si è già detto; inoltre la Fondazione Asm, ad esempio, ha promosso il 9 maggio 2002 con l’Università Cattolica un convegno sulla "Città sostenibile"; la stessa ha sponsorizzato un convegno sul fiume Mella promosso da un’importante associazione ambientalista...).

Poi vi è il mondo degli intellettuali e la cultura, particolarmente curati negli ultimi tempi dalla Fondazione Asm: praticamente a Brescia non c’è evento culturale che non sia sponsorizzato da Asm (C. Baroni, Fondazione Asm, dialogo con la città che cambia, "Giornale di Brescia", 19 giungo 2002), senza contare le numerose pubblicazioni e ricerche dalla stessa commissionate.

Ma il consenso si ottiene anche creando lavoro, dando occupazione, garantendo positive relazioni sindacali con i dipendenti (recentemente incrinate con la sola Cgil, dopo la quotazione in borsa), offrendo una miriade di incarichi e commesse a tanti professionisti locali e attraverso l’indotto di quella che sta diventando una delle più grandi industrie bresciane (oltre 1.600 dipendenti).

L’ultimo capolavoro, infine, l’Asm lo compie con la quotazione in borsa, avvenuta il 12 luglio 2002, mimetizzando il decisivo accordo con Hopa dietro la benevola promozione di un azionariato popolare, attraverso l’incentivazione all’acquisto di azioni da parte dei cittadini di Brescia (3.939) e dei propri dipendenti e pensionati (1.382), favorito da un accordo sindacale separato sottoscritto da Cisl e Uil: oltre 5.000 famiglie d’ora in poi vengono legate per questa via alle fortune della "loro" azienda (per ora non premiate, visto che in meno di un anno le azioni hanno perso circa l’8% rispetto alla quotazione iniziale di € 1,85). La stessa Cisl non sarebbe stata ripagata di tanto zelo: alla candidatura per i piccoli azionisti dalla stessa caldeggiata perché socialmente più qualificata (si sussurrava l’ex segretario della Cisl Melino Pillitteri), "sarebbe stata preferita", come si è detto, quella di Alberto Clò, energetista, molto vicino, per formazione e cultura (anche lui proveniente dall’Eni), al presidente Renzo Capra.

Fondamentale inoltre è il mondo politico. L’Amministrazione comunale (quindi indirettamente sul piano dell’immagine oggi i partiti di maggioranza, ma domani potenzialmente quelli attualmente all’opposizione) riceve diverse decine di milioni di euro all’anno dei profitti Asm per dar lustro alla propria attività in favore di cittadini, e ciò acquista un enorme peso in una situazione in cui la finanza locale è strozzata dalla politiche governative. Comunque, nel 2001, sono entrati nelle casse comunali addirittura 60 miliardi di lire, proprio grazie alla performance dell’inceneritore (M. Matteotti, Volano gli utili dell’Asm e il comune incassa 10 miliardi di dividendi in più, "Giornale di Brescia", 20 novembre 2001). Insomma mai come oggi è vero che a Brescia non è il Comune che governa l’Asm, semmai l’Asm che governa il Comune (sicuramente in tutti i settori che le stanno a cuore).

Ma Asm sa bene che le maggioranze possono cambiare: infatti ha partecipato da protagonista ad un convegno tematico di Alleanza Nazionale a Roma nel febbraio 2002 e ha pubblicato un lussuoso libro celebrativo sulla "luminosa carriera" [così! in Asm, "Voi e noi", n. 76, novembre 2001, p. 32] del fascistissimo presidente dell’Asm durante il ventennio, Alfredo Giarratana (M. Zane, Alfredo Giarratana. Un manager dell’energia nelle vicende sociali ed economiche di Brescia e dell’Italia del Novecento, Grafo, 2001), pubblicazione che a Brescia ha sollevato le ferme e indignate riserve del solo avvocato Cesare Trebeschi, ex sindaco democristiano (T. Zana, Chi fu Alfredo Giarratana, "Giornale di Brescia", 23 ottobre 2001). La "cura" particolare nei confronti di An si spiega per il fatto che l’on. Stefano Saglia, bresciano, è il responsabile nazionale per l’energia del partito di Fini. Ma Asm, all’estremo opposto, si preoccupa anche dei Verdi: in cambio del consenso alla terza linea dell’inceneritore l’ASM verserà al Comune "5 € per ogni tonnellata di biomassa [!] bruciata" su un "fondo per iniziative in campo ecologico [!]" (Viene qui riproposta la classica "monetizzazione della salute", per cui il danno non veniva prevenuto, ma risarcito, "trappola" contro cui per decenni si è lottato nei luoghi di lavoro. Oggi, però, si presenta in una nuova edizione aggiornata sotto forma di "monetizzazione della salute e dell’ambiente", ovverosia: faccio un sacco di soldi inquinando l’ambiente, quindi concedo un po’ di spiccioli per qualche buona azione "ecologica": piste ciclabili, parchi, arredo urbano, convegni di educazione ambientale...e così faccio anche contenti i Verdi).

Del resto, in questo Asm è in perfetta sintonia con il suo partner privilegiato Emilio Gnutti che dichiara apertamente: "Per definizione siamo governativi"; e per non far torto a nessuno aggiunge: con Berlusconi "è una frequentazione abbastanza sistematica" e ... "considero D’Alema una persona di talento, di ingegno, un politico di qualità" (G. Bonfadini, Gnutti: mezzo mondo è da comprare, "Giornale di Brescia", 22 gennaio 2003). Insomma, il messaggio è chiaro, gli affari sono affari e stanno per definizione al di sopra delle parti, o meglio in stretto rapporto con tutte le parti.

Ecco perché a Brescia criticare Asm è tabù ed è così difficile far emergere verità tanto semplici e chiare.

Concludendo: attorno a questa vicenda si sono aggrovigliati nodi estremamente complessi che pongono problemi a tutti.

Innanzitutto il tema della democrazia (tema con tutta evidenza non solo bresciano), che presuppone l’autonomia della politica dall’economia, nello specifico da questo grumo di potere fortissimo rappresentato a Brescia da Asm, da Hopa e quindi dall’insieme del mondo imprenditoriale e finanziario locale e non solo.

La vicenda dell’inceneritore è clamorosamente esemplare: le istituzioni locali, consiglio comunale e consiglio provinciale, hanno deliberato circa 10 anni fa la costruzione di un impianto con la capacità di incenerire 266.000 tonnellate/anno di rifiuti e si ritrovano, senza essere state mai più consultate, con una megamacchina triplicata, di oltre 700.000 tonnellate/anno. Chi l’ha deciso?

Questa questione, dell’autonomia della politica dall’economia, nel caso di Asm, significa stabilire se le scelte strategiche dell’azienda siano decise, ad esempio, nel segno del "fare affari" dal "quadriunvirato" Capra, Clò, Gnutti e Vitale (con qualcuno che, magari, si limiti ad una presa d’atto "notarile"), oppure dal consiglio comunale attraverso un dibattito pubblico e trasparente che coinvolga l’intera città e che sappia farsi carico dei bisogni più autentici della stessa secondo le priorità della qualità della vita e della salvaguardia della salute e dell’ambiente.
In secondo luogo la ragione di esistere dell’ambientalismo locale.

L’interrogativo è a questo punto radicale: ha senso una politica ambientalista che prescinda del tutto da una propria strategia autonoma sui temi cruciali dei rifiuti e dell’energia? E quindi può esistere un ambientalismo a Brescia, se non sa marcare una propria netta indipendenza da Asm-Hopa?

Brescia 20 febbraio 2003 Cittadini per il riciclaggio Comitato Ambiente Città di Brescia

COMITATO PER L'AMBIENTE E IL

RISPARMIO ENERGETICO DI BRESCIA

ECONEWS N. 6 del 24 febbraio 2003
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Una news dedicata principalmente a temi "global" o perlomeno non solo italiani, segnaliamo in particolare il documento di GAIA contro la politica proincenerimento della Banca Mondiale e le due sentenze della Corte di Giustizia Europea.

Buon lavoro. I moderatori

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SOMMARIO

1)    La Norma
- Ennesimo rinvio per l'applicazione della tariffa rifiuti TARSU al posto della tassa;
- Sentenze della Corte di Giustizia Europea: 1)gli inceneritori non sono "termoutilizzatori" ovvero non recuperano energia dai rifiuti, 2) il recupero esiste se l'incenerimento dei rifiuti avviene in altri impianti, sostituendo combustibili tradizionali, 3) la Francia condannata perché i suoi inceneritori sono catorci.

2)    Il Sito
-    il sito di GAIA Global Alliance for Incinerator Alternatives;

3)    La lettura
-    "Oltre lo Spreco" di Luigi Mara, Ecoapuano Editore;

4)    Le notizie
-    L'incenerimento dei rifiuti : una questione globale;
-    Le aziende italiane di smaltimento rifiuti diventano globali;
- Perchè ci avete tolto il referendum antiinceneritori ?
-    Acerra: no problem secondo il ministro Matteoli

1) LA NORMA

In attesa del "collegato ambientale" della finanziaria, segnaliamo che la legge finanziaria 2003 ha prescritto l'ennesimo rinvio per l'applicazione della tariffa rifiuti TARSU (in sostituzione della tassa rifiuti).
Come si sà il DLgs 22/97 aveva previsto l'introduzione della tariffa rifiuti (in sostanza un nuovo sistema di far pagare il servizio correlandolo con le quantità di rifiuti effettivamente prodotti da ognuno) tra i sistemi per ridurre la produzione dei rifiuti, a partire dal 1.01.2000.
Con successivi provvedimenti (da ultimo la legge finanziaria 2002) la proroga era divenuta quella segue :

- per i comuni con l'85 % di copertura del costo del servizio, dal 1.01.2003;
- per i comuni con copertura del costo del servizio tra il 55 % e l' 85%, dal 1.01.2005;
- per i comuni con copertura del costo del servizio inferiore al 55 % o con meno di 5.000 abitanti, dal 1.01.2008.

La finanziaria 2003 ha prorogato l'obbligo solo del primo scaglione dal 1.01.2003 al 1.01.2004.
Non cambia l'obbligo di arrivare alla copertura del 100 % del servizio nel primo anno di applicazione della TARSU.

Come da più parti sollevato l'effetto dell'obbligo della copertura totale del costo del servizio (non obbligatorio con l'attuale tassa rifiuti, nel senso che la copertura può essere garantita dal bilancio complessivo di un comune, quindi coperta con altre entrate come l'ICI) da un lato e dall'altro l'applicazione dell'IVA sulla tariffa, comporterà nella prima fase di applicazione ad un incremento dell'esborso dei cittadini che paradossalmente vedrebbero, come risultato dell'applicazione di un atto a favore della riduzione della produzione dei rifiuti, un aumento dei costi soprattutto per i comuni "più furbi" che non provvedono a diminuire altre fonti di entrata (finora utilizzate per coprire i costi della raccolta/smaltimento dei rifiuti, come appunto l'ICI).
Chi vivrà vedrà......

PS Sempre la finanziaria permette ai comuni di attuare dei condoni sui tributi locali (compresa la tassa rifiuti).

ANCORA SULLE NORME :
ALCUNE INTERESSANTI SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA SULL'INCENERIMENTO DEI RIFIUTI

GLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO NON SONO "TERMOUTILIZZATORI" OVVERO NON RECUPERANO L'ENERGIA DEI RIFIUTI

1.. Sentenza n. 458/00 del 13.02.2003 tra la Commissione delle Comunità Europee contro il Granducato del Lussemburgo.

La questione : il Granducato del Lussemburgo era intervenuto contro l'esportazione di rifiuti urbani e assimilati dal Granducato alla Francia per il loro incenerimento in un impianto di incenerimento di rifiuti (a Strasburgo) bloccando l'esportazione ai sensi del regolamento sulla spedizione dei rifiuti all'interno della Comunità (che obbliga a una notifica allo stato di partenza e di arrivo, diversificata a seconda che la finalità dell'esportazione sia il riciclaggio/recupero dei rifiuti o il loro smaltimento).

Di fronte alle denuncie delle ditte interessate, sostenute dalla Commissione Europea, la Corte Europea si è pronunciata a favore del Lussemburgo con una importante massima sulla distinzione tra "smaltimento" tramite incenerimento e "recupero energetico " dei rifiuti (anche se principalmente riferita appunto alla "libertà" di movimento dei rifiuti tra i paesi UE).

La massima

Come è noto la direttiva 75/442 (e successive modifiche) distingue tra "incenerimento a terra" (D10, tra le operazioni di smaltimento) e il "recupero energetico" dei rifiuti (R1, tra le operazioni di recupero) quando la combustione corrisponde alla "utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia".

Secondo la Commissione Europea per qualificare l'incenerimento come recupero energetico dei rifiuti sarebbe sufficiente che "i rifiuti siano utilizzati come mezzo per produrre energia qualora l'operazione produca una eccedenza di energia e una parte sostanziale dell'energia contenuta nei rifiuti inceneriti sia recuperata al fine di essere riutilizzata", in questo caso la "finalità essenziale dell'operazione prevista è di permettere ai rifiuti di assolvere una funzione utile, ovvero la produzione di energia".

La sentenza della Corte ha considerato non corrispondente alla direttiva sui rifiuti tali indicazioni.

Infatti, ritiene che per esserci un "recupero energetico" anzichè uno smaltimento occorrono contestualmente tre condizioni :


1.. che l'energia generata dalla combustione sia superiore a quella consumata durante il processo di combustione (come indicava anche la Commissione);

2.. che l'energia sviluppata sia effettivamente utilizzata "immediatamente nella forma di calore prodotto dall'incenerimento o in seguito a trasformazione in forma di elettricità" (anche questa condizione era sostanzialmente indicata dalla Commissione Europea);

3.. che per "utilizzazione principale come combustibile" debba intendersi che "la maggior parte dei rifiuti deve essere consumata durante l'operazione e che la maggior parte dell'energia sviluppata deve venir recuperata" ovvero "sostituendo una fonte di energia primaria che avrebbe dovuto essere usata per svolgere tale funzione". Se invece "il recupero di calore prodotto dalla combustione costituisce solo un effetto secondario di un'operazione la cui finalità principale è lo smaltimento dei rifiuti" non si è in presenza di una operazione qualificabile come recupero.

Come ha illustrato l'Avvocato della Corte la risposta da cercare è se i rifiuti inceneriti vanno o meno a sostituirsi all'uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per produrre energia, in tal caso vi sarebbe un risparmio di risorse naturali. Viceversa "Nel caso di rifiuti inceneriti in uno stabilimento installato a tale scopo" non viene rispettata quest'ultima condizione in quanto quell'impianto è finalizzato solo a bruciare rifiuti e questi non vanno a sostituire altri combustibili, ovvero "in mancanza di rifiuti disponibili non vi sarebbe incenerimento" ovvero non siamo in presenza di un impianto che utilizza normalmente un combustibile primario ma deve essere rifornito di rifiuti per poter funzionare.

In altri termini un impianto di incenerimento anche se produce energia bruciando rifiuti (come d'obbligo proprio per la normativa europea) non può essere considerato un impianto di recupero energetico, un "termoutilizzatore" per utilizzare una definizione in voga in Italia.

Viceversa, argomenta l'Avvocato, i "rifiuti potrebbero essere oggetto di spedizioni all'interno della Comunità con pochissime restrizioni, il che sarebbe contrario allo scopo del regolamento di fornire un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i quali limitare la circolazione dei rifiuti, al fine di garantire la tutela dell'ambiente".

Come già detto la Commissione Europea è stata condannata in quanto la sua interpretazione estensiva del "recupero energetico" dei rifiuti è in contrasto con le direttive in materia.

Pensiamo che con questa sentenza si sia posta fine (ma per chi scrive non era mai stata messa in discussione) all'annosa querelle sulla denominazione degli impianti di incenerimento di rifiuti, che tali sono e rimangono.

Ad avviso di chi scrive, appare in contrasto con la normativa europea, almeno parzialmente, l'applicazione del DM 5.02.1998 che qualifica come recupero energetico l'incenerimento di rifiuti (CDR e altre tipologie) quando questo avviene in impianti di incenerimento (cioè in impianti realizzati per smaltire rifiuti come sono certamente gli impianti pubblici di incenerimento di rifiuti urbani oltrechè quelli privati per rifiuti di altro genere).

Questo contrasto (purtroppo) non vi sarebbe nel caso in cui l'incenerimento avviene in impianti non realizzati allo scopo di smaltimento (come cementifici e centrali termoelettriche) come vedremo nel commento della successiva sentenza emanata lo stesso giorno.

Sempre ad avviso di chi scrive questa sentenza dovrebbe far meditare (e modificare) la normativa europea ed italiana sulla considerazione dei rifiuti come "fonte rinnovabile" con tutti gli annessi e connessi (leggi considerare l'incenerimento come una forma di risparmio di emissioni di gas serra).

SE IL RIFIUTO O IL CDR NON VIENE BRUCIATO IN UN INCENERITORE MA IN UN ALTRO IMPIANTO, SOSTITUENDO COMBUSTIBILI TRADIZIONALI, VI E' "RECUPERO ENERGETICO", A TALE SCOPO A NULLA VALE UNA QUALSIASI QUALIFICAZIONE DEL RIFIUTO COME COMBUSTIBILE DA RIFIUTO

2) Sentenza n. 228/00 del 13.02.2003 tra la Commissione delle Comunità Europee contro la Repubblica Federale di Germania.

La questione : Alcuni lander tedeschi hanno emanato delle circolari che permettono di qualificare come recupero energetico l'incenerimento dei rifiuti se gli stessi possiedono determinate caratteristiche (potere calorifico, presenza di sostanze pericolose, non miscelazione etc; in modo abbastanza simile all'italiano CDR del DM 5.02.1998). Su tale base la Repubblica Federale di Germania si è opposta alla esportazione in Belgio di rifiuti in un caso già trattati e destinati ad essere direttamente bruciati in cementifici e in un altro caso di rifiuti non trattati da trattare in impianti belgi per poi essere anch'essi destinati alla combustione in cementifici.

La massima

Con le stesse motivazioni di base della sentenza precedente ovvero la "terza" condizione per considerare recupero energetico la combustione dei rifiuti ovvero il fatto che questi vanno a sostituire del combustibile che sarebbe comunque necessario per gli scopi per cui è stato realizzato l'impianto, la Corte ha dato torto alle limitazioni imposte dalla Germania e si è pronunciata per l'assoggettamento della movimentazione nella comunità europea di questi rifiuti come destinati al recupero energetico, nel caso di specie in cementifici, e non alla normativa concernente la movimentazione di rifiuti destinati allo smaltimento/incenerimento.

Questa sentenza ovviamente non ci riempie di gioia in quanto sancisce che l'incenerimento di rifiuti in centrali termoelettriche, in cementifici o in altri impianti di combustione nati per la produzione di energia, è effettivamente "recupero energetico" ed è qualificabile come operazione "R1" con la possibilità di forme semplificate di autorizzazione per tale attività (fortunatamente vi è comunque la direttiva 96/2000 che impone in questo caso - almeno - limiti alle emissioni assai più restrittivi di quelli risultanti dalla applicazione della normativa italiana - il DM 5.02.1998 - siamo sempre in attesa del recepimento di questa direttiva).

In altri termini, in riferimento all'Italia, viene confermato che la combustione di CDR e di altre tipologie di rifiuti in impianti non dedicati alla combustione dei rifiuti ovvero se vi è una sostituzione parziale o totale di altri combustibili comunque necessari per il ciclo produttivo è una corretta applicazione della possibilità di procedure semplificate per tali attività qualificabili come "recupero" di rifiuti.

La sentenza presenta un altro argomento di notevole interesse.

L'opposizione della Germania era fondata principalmente sul fatto che i rifiuti in questione non erano conformi alle circolari dei lander che definivano determinate caratteristiche dei rifiuti per poter considerare la loro combustione come recupero ovvero poter essere esportate con le modalità di notifica semplificate previste per i rifiuti trasportati in altri paesi per il loro recupero.

Queste caratteristiche merceologiche dei rifiuti definite dai lander in questione sono analoghe a quelle che definiscono il CDR italiano e che, costituiscono una delle condizioni, per assoggettare il loro incenerimento a forme semplificate (comunicazione e silenzio-assenso) per l'utilizzo e/o la realizzazione di impianti a ciò dedicati.

La sentenza contesta tale punto in quanto evidenzia che le caratteristiche dei rifiuti non possono essere prese a riferimento per definire la loro combustione come smaltimento o recupero energetico.

Infatti la Corte sottolinea la presenza di diverse normative di stati dell'unione (Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda - ovviamente potevano aggiungere anche l'Italia) che hanno definito ognuna dei criteri diversi con il risultato che "se gli Stati membri potessero liberamente stabilire autonomi criteri divergenti per definire quali operazioni classificare come operazioni di recupero, verrebbe molto limitata" l'applicazione del regolamento sull'import/export di rifiuti ovvero la possibilità dei singoli di stati di opporsi motivatamente alla movimentazione dei rifiuti.

Diversamente se tali criteri (caratteristiche del rifiuto) fossero stabilite a livello comunitario, ma finora - nonostante dei tentativi - non vi è stato alcun accordo tra i paesi europei.

Insomma : la qualificazione di "recupero energetico" da parte dei rifiuti dipende principalmente dalla funzione principale dell'impianto (oltrechè dalla effettività della produzione e utilizzo di energia dalla combustione dei rifiuti) e non da caratteristiche determinate del rifiuto.

Il che significa che tutta la discussione sul CDR non ha alcuna motivazione di essere, con due conseguenze :

1.. chi sostiene la filiera del CDR come forma ottimale di gestione dei rifiuti riceve con questa sentenza una smentita, come pure appare ancora più discutibile la volontà di far uscire il CDR "di qualità" dalla qualifica di rifiuti per dargli quella di combustibile, di cui abbiamo parlato nelle precedenti news ;

2.. di contro si potrebbe aprire (se il legislatore italiano vorrà approfittarne) una spinta per estendere a nuove tipologie di rifiuti da sottoporre al "recupero energetico" con forme semplificate di autorizzazione (cioè a una estensione del DM 5.02.1998 e anche al DM sulle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti pericolosi, di cui si è già parlato, che attualmente non contempla il "recupero energetico").

IN CONCLUSIONE :

1.. VA SOTTOLINEATO CHE ENTRAMBE LE SENTENZE NON HANNO UNA DIRETTA INFLUENZA SULLA NORMATIVA SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI DEI SINGOLI PAESI DELLA COMUNITA' EUROPEA MA UNICAMENTE SULLE ATTIVITA' DI IMPORT ED EXPORT DEI RIFIUTI.

2.. IL SENSO DELLE MASSIME VA NELLA DIREZIONE DA UN LATO DI NON CONSIDERARE L'INCENERIMENTO IN IMPIANTI DEDICATI COME "RECUPERO ENERGETICO", DALL'ALTRO DI APRIRE AD UN MAGGIOR UTILIZZO DELLA COMBUSTIONE DEI RIFIUTI IN IMPIANTI "NON DEDICATI" (CEMENTIFICI E CENTRALI TERMOELETTRICHE IN PARTICOLARE).

LA FRANCIA CONDANNATA PERCHE' I SUOI IMPIANTI SONO DEI CATORCI

3) Sentenza 60/01 del 18.06.2002 della Corte Europea tra la Commissione Europea e la Francia

La Corte ha condannato la Francia in quanto non ha "adottato tutte le misure necessarie e idonee a garantire che l'intero parco degli inceneritori attualmente in funzione in Francia venisse gestito in conformità dei requisiti di combustione fissati dalle direttive" sull'incenerimento dei rifiuti.

La sentenza prende le mosse dalla indagine del Ministero dell'Ambiente francese che nel 1996 aveva evidenziato che 40 impianti di incenerimento francesi (su 75 impianti operativi) con capacità superiore a 6 tonn/ora non rispettavano i limiti fissati per i metalli pesanti, le polveri e le diossine. In particolare sette di questi impianti emettevano quantità di diossine superiori a 10 nanog/mc (100 volte oltre il limite attuale).

Nel 1998 il governo francese riconosceva che 27 impianti di incenerimento non erano conformi alle direttive europee (e alle normative nazionali di recepimento) per le loro emissioni, 9 impianti in particolare emettevano quantità di diossine superiori a 10 nanog/mc.

Questa situazione emergeva dagli studi effettuati a seguito della verifica della pesante contaminazione di prodotti lattiero caseari prodotti nelle vicinanze di questi impianti.

A fine 1999 il governo francese comunicava alla Commissione europea che da 27 impianti non conformi si era passati a 7 impianti non conformi (impianti di Angers, Douchy, La Rochelle, Le Havre, Le Mans, Maubeuge e Rouen).

Le ultime verifiche avrebbero indicato che "solo" 4 impianti erano ancora fuori norma.

Nonostante le pezze messe dal governo francese (chiudendo numerosi impianti fuori norma) la Corte ha condannato la Francia in quanto tali misure sono risultate tardive (di 6 anni rispetto agli obblighi imposti dalle direttive in materia) e ancora incomplete, pertanto "è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 4 della direttiva 89/369 e degli artt. 2 e 4 della direttiva 89/429" ovvero non ha "adottato tutte le misure necessarie e idonee a garantire che l'intero parco degli inceneritori in Francia venisse gestito in conformità ai requisiti di combustione fissati dalle direttive (....) ovvero che si ponesse fine allo sfruttamento di tali impianti in tempo utile".

Una sentenza utile per controbattere tutti quelli che indicano la Francia come un paese "modello" nell'incenerimento dei rifiuti e che pone un serio interrogativo sugli impianti italiani (perlomeno quelli "vecchiotti"), siamo sicuri che siano conformi ? Almeno la Francia ha svolto delle indagini serie sui propri impianti e non ha nascosto le proprie responsabilità.

2) IL SITO WEB

www.no-burn.org 

E' il sito di GAIA Global Alliance for Incinerator Alternatives (sito in inglese) con sede nelle Filippine.
Dal nome si tratta di un network di movimenti nazionali, organizzazioni, comitati locali in particolare di paesi "in via di sviluppo" (Africa, Asia, America, Est Europa) il cui obiettivo è chiaramente indicato anch'esso nella denominazione anche se non si ferma all'opposizione "globale" della pratica dell'incenerimento dei rifiuti ma vuole contribuire alla realizzazione dell'obiettivo "zero rifiuti", testualmente "maximizes recycling, minimizes waste, reduces consumption and ensures that products are made to be reused, repaired or recycled back into nature or the marketplace."

Il sito propone oltre ai riferimenti dei diversi referenti nazionali, documenti su iniziative locali e di carattere generale (va detto che si tratta per lo più di sintesi in spagnolo o in inglese), comunque il navigatore attento e volenteroso può utilizzare il sito come punto di partenza per esplorare i numerosi link associati.
Interessante la sezione "action alerts" che fornisce informazioni sulle iniziative in corso (dalle iniziative contro l'incenerimento di rifiuti tossici in Canada alla proposta di bando dell'incenerimento dei rifiuti nelle Filippine).
GAIA è anche l'ispiratrice del "Global Day of Action against Waste Inceneration" di cui vi è stata la prima "celebrazione" il 17 giugno 2002. Da tenere d'occhio per la prossima scadenza.

3) LETTURE CONSIGLIATE

Anche questa volta accenno a un "vecchio" testo (del 1994) ma sempre utile : si stratta di "Oltre lo Spreco" di Luigi Mara, Ecoapuano Editore.
Si tratta di un testo nato dalla diretta esperienza dell'autore per evitare l'incenerimento dei rifiuti tossici stoccati presso la Farmoplant di Massa Carrara e per indicare tecniche alternative non distruttive per detossificare e anche riutilizzare le sostanze contenute in questi rifiuti.
Da questo obiettivo lo studio si è allargato ad una panoramica sulla situazione generale della produzione di rifiuti in Italia e in altri paesi (i dati sono ovviamente non aggiornati ma le considerazioni sul problema sono attualissime), un capitolo dedicato a un tema poco considerato ovvero l'inquinamento connesso alla gestione dei rifiuti nei paesi dell'est europeo per passare alle problematiche ambientali e sanitarie dei processi di incenerimento dei rifiuti urbani e industriali.
Metà del libro è dedicate alla tecniche alternative all'incenerimento dei rifiuti tossici e nocivi, con dettagli tecnici e dimostrando l'esistenza di brevetti e applicazioni in molti paesi che ridurrebbero grandemente la presunta necessità dell'incenerimento.

Chi è interessato può richiederne una copia (sono le ultime) inviando un messaggio a medicinademocratica@libero.it (costo, spedizione compresa 15,00 euro - per motivi "tecnici" siamo costretti a chiedere un pagamento anticipato con vaglia dando ovviamente le indicazioni necessarie).

4) LE NOTIZIE

- L'incenerimento dei rifiuti : una questione globale

Tra i documenti disponibili sul sito di GAIA (di cui parliamo sopra) vi è l'interessante "Bankrolling Pollution Technology : The Worl Bank Group and Incineration".
Si tratta di un documento del settembre 2002 che fa il punto dei "progetti di sviluppo" della Banca Mondiale con annessi impianti di incenerimento.
Non solo grandi dighe, oleodotti, progetti di estrazione di petrolio e altre nefandezze contro l'ambiente e i diritti delle popolazioni locali, la Banca Mondiale pensa bene nell'esportare il modello economico e di vita dell'occidente industrializzato anche i suoi sistemi di smaltimento dei rifiuti contestati.
Il documento dopo una sintetica rassegna delle ragioni antiinceneritori, illustra il ruolo della Banca Mondiale che, dal 1993, ha apporvato 156 progetti (in 68 paesi) cui se ne sono aggiunti alti 26 nel corso del 2001.
Si tratta di impianti di vario genere (per rifiuti urbani, industriali, ospedalieri, pesticidi etc) che interessano per il 49 % gli stati dell'Africa (nel solo Kenya ben 12 impianti), per il 22 % l'Asia (6 impianti in India e 7 impianti in Turchia), per il 19 % l'america latina
e centrale (8 impianti in Brasile), e il 10 % nella ex Europa dell'Est.
Uno degli aspetti posti in evidenza nel documento è quello relativo alle particolarità dell'applicazioni della tecnologia dell'incenerimento in paesi poveri : realizzazione di impianti che sono poco più di caldaie senza idonei sistemi per permettere la combustione completa dei rifiuti, con limitati sistemi di abbattimento e standard di emissioni più elevate rispetto a quelli occidentali, limitati sistemi di monitoraggio delle emissioni, incognite sulle caratteristiche delle discariche per i residui tossici dell'incerimento, sulla formazione del personale, sulle reali caratteristiche merceologiche dei rifiuti; tutti fattori che rendono ancora più critico l'utilizzo dell'incenerimento in questi paesi.
Il documento si conclude con una serie di richieste di "riforma" dei criteri di approvazione di progetti comprensivi di inceneritori da parte della Banca Mondiale.
Come detto il documento è scaricabile dal sito www.no-burn.org e anche sul nostro sito http://www.inceneritori.org

- Le aziende italiane di smaltimento rifiuti diventano globali (Il Manifesto, 8.02.2003)

Al Cairo la gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti passa ad aziende europee tra cui la romana AMA e la Jacorossi/Giaseno di Perugia. L'articolo evidenzia l'impatto occupazionale sui "zabal" , in pratica i ricercatori di rifiuti che operano - in condizioni certamente antiquate e pessime - la raccolta differenziata dei rifiuti con il sorprendente risultato del 90 % di rifiuti raccolti e valorizzati economicamente con un commercio minuto dei materiali.
Solo una parte degli attuali zabal potrà essere "riciclata" da parte delle aziende che hanno vinto gli appalti, inoltre queste aziende ritengono non interessante economicamente rivendere il materiale riciclabile per cui ci si aspetta la realizzazione di tanti begli impianti di trattamento/separazione con la riduzione della raccolta differenziata e l'incremento dello smaltimento in discarica (che almeno verranno adeguate - si spera - a standard più vicini a quelli europei).
Possibile che non vi possa essere una via "intermedia" in cui la tecnologia più avanzata possa migliorare i risultati "artigianali" ottenuti con le proprie forze ?

- Perchè ci avete tolto il referendum antiinceneritori ?

Il referendum sull'esclusione del combustibile derivato da rifiuti della categoria dei rifiuti speciali è stato dichiarato inammissibile dalla Consulta. Secondo i giudici costituzionali il quesito referendario "trascende i limiti segnati dall'articolo 75 della Costituzione sul necessario carattere abrogativo della richiesta referendaria. Si tratterebbe di un referendum propositivo ma "estraneo all'ambito di determinazione referendaria del corpo elettorale; che oltretutto contiene una falsa prospettiva e ha carattere "ambiguo e contraddittorio perché non è chiaro se il combustibile derivato dai rifiuti, non più classificato rifiuto speciale, sarebbe ricompreso tra i rifiuti urbani ovvero escluso del tutto dalla categoria dei rifiuti".
Questo una sintetica indicazione delle motivazioni che hanno portato alla esclusione del referendum antiinceneritori, sul sito della Corte Costituzionale non è ancora stata pubblica la sentenza nella sua integrità, non appena sarà disponibile potremo commentarla.

ACERRA ? NO PROBLEM SECONDO MATTEOLI (da e-gazette)

"L'impatto ambientale del termovalorizzatore di rifiuti di Acerra è assolutamente modesto, perché l'impianto adotta quanto di più moderno la tecnologia è oggi in grado di offrire per quanto riguarda il controllo del processo di combustione e il trattamento dei fumi e delle emissioni gassose, al punto da consentire livelli di emissione di parecchio inferiori ai limiti di legge. Questo quanto riferito dal ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, nel corso del question time alla Camera. "E' anche previsto", ha proseguito Matteoli, "un efficace abbattimento delle maleodorante generate dai rifiuti in fase di stoccaggio pre-combustione. A ciò va aggiunto che l'impiego del cdr (combustibile dai rifiuti) consente di migliorare sensibilmente la qualità delle emissioni rispetto alla combustione dei rifiuti tal quali". Circa la grandezza del termovalorizzatore, per Matteoli, "la scelta di un unico impianto di grossa taglia è rispondente a un preciso criterio di affidabilità tecnologica dell'esercizio, che nei grandi impianti si avvale di sofisticati e costosi sistemi di monitoraggio in continuo, automazione, sicurezza e gestione che garantiscono l'efficienza non solo energetica, ma anche e soprattutto ambientale dell'impianto". Per quanto riguarda una nuova valutazione dell'impatto ambientale dell'impianto, ha ricordato il ministro, "non mi sembrano sussistere le condizioni per la sospensione dell'inizio dei lavori, poiché tale incombenza, se del caso, non spetta certo al ministro, se i presupposti della sua realizzazione sono avvenuti a seguito di tutte le procedure che il commissario delegato ha messo in essere nell'esaminare e approvare la progettazione dell'impianto che, qualora fosse correttamente realizzato e gestito, non dovrebbe correre alcun rischio di blocchi futuri". "Posso comunque garantire", ha concluso Matteoli, "la costante attenzione del mio ministero per far sì che i cittadini del comprensorio non abbiano a subire alcun danno, ma che, viceversa, potranno usufruire di una rete di un controllo e monitoraggio continuo che li garantisca da ogni pericolo per la loro salute. Immediate le repliche di Greenpeace alle parole del ministro dell'ambiente. "Non è solo quello che esce dai camini degli inceneritori che va monitorato", ha osservato, l'associazione, che chiede lo stop dell'impianto, "ma il livello di metalli pesanti e diossine che si registra nell'ambiente e nel corpo umano". "Il monitoraggio in continuo che si fa negli inceneritori, di cui parla il ministro" , ha concluso Greenpeace "si riferisce solo ad alcuni composti emessi dai camini come ossidi di azoto, zolfo e carbonio, composti inorganici del cloro e del fluoro e polveri totali. Diossine, furani, pcb, ipa e metalli pesanti che sono i composti più pericolosi, vengono monitorati solo periodicamente".

EFFETTO SERRA E CAMBIAMENTI CLIMATICI

Alcuni gas presenti nell' atmosfera generano l' effetto serra, cioè intrappolano il calore irradiato dalla terra impedendone l' uscita nello spazio esterno, come il vetro intrappola il calore in una serra.
Questo fenomeno, normalmente naturale e benefico (senza l' effetto serra la terra sarebbe di almeno 15 gradi C più fredda), sta aumentando di importanza a causa dell' aumento di concentrazione di questi gas (gas ad effetto serra, detti anche "gas-serra") dovuto alle attività umane.
I principali gas ad effetto serra sono : biossido di carbonio( o anidride carbonica, CO2 ), metano, fluorocarburi , protossido di azoto (N2O); anche il vapor d' acqua e l' ozono troposferico contribuisce all' effetto serra.

Il Biossido di Carbonio
La concentrazione del più importante di questi gas, il biossido di carbonio, è aumentata nell' atmosfera da 290 ppm (parti per milione) nel 1880 a circa 370 ppm nel 2001, e continuerà ad aumentare nel prossimo futuro, poichè il biossido di carbonio, insieme all' acqua, è il prodotto finale della combustione dei combustibili fossili (carbone, petrolio e derivati, metano),delle foreste e delle biomasse. I combustibili fossili possono essere considerati depositi di carbonio, formatosi milioni di anni fa ; la loro combustione fa ritornare il carbonio (come biossido) nell' atmosfera, aumentando l' effetto serra.

Il biossido di carbonio si scioglie facilmente in acqua : gli oceani ne contengono enormi quantità, ma l' aumento di temperatura (dovuto all' effetto serra) diminuisce la solubilità del gas in acqua, liberando nuovo gas nell' atmosfera e accelerando il fenomeno.

Quali sono le principali conseguenze dell' effetto serra ?

Non è contestato che l' incremento dell' effetto serra sia dovuto alle attività umane , ma si discute ancora molto sulle sue possibili conseguenze. Gli studi più autorevoli sono stati effettuati per conto dell' ONU dall' IPCC (International Panel on Climate Change); un recente rapporto di questo comitato, di cui fanno parte centinaia di scienziati, (IPCC WGI Third Assessment Report - SPM, pubblicato nel 2001) , sostiene che il mondo si sta riscaldando:

- la temperatura media superficiale globale è aumentata nel 20° secolo di circa 0,6°C.
E' molto probabile che il decennio dal 1990 sia stato il più caldo del secolo, ed il 1998 l' anno più caldo da quando si hanno registrazioni strumentali (dal 1861).

- In base ad un rapporto annuale della NOAA (US National Oceanographic and Atmospheric Administration), basato su ricerche in otto paesi, anche il 2002 è stato molto caldo, secondo solamente solamente al 1998.

-Dati dai satelliti dimostrano una diminuzione di circa il 10% dell' area coperta dalle nevi dalla fine degli anni sessanta. In particolare si stanno ritirando velocemente le nevi e i ghiacciai equatoriali, sulle Ande peruviane e in Africa ( il 33% dei ghiacci del Kilimangiaro è scomparso negli ultimi 20 anni); è diminuito lo spessore del ghiaccio marino dell' Artico nella tarda estate.
- Per quanto riguarda l' Antartide, non è stato evidenziato un riscaldamento di tutto il continente. Tuttavia nell' Antartide Occidentale, ed in particolare della Penisola Antartica (a Sud dell' America Latina), si osservano spesso massicci crolli di vaste aree ghiacciate con formazione di iceberg.

Immagine dal satellite Modis della NASA (Un enorme blocco di ghiaccio, esteso 3250 Km2, quasi quanto la Valle d'Aosta, si stacca dalla piattaforma Larsen B, ancorata alla Penisola antartica, 19 Marzo 2002)

-Il livello dei mari si sta innalzando a causa dell' espansione termica delle acque (causa principale) e del ritiro dei ghiacciai : l' incremento durante il 20° secolo è stato di 20-30 centimetri.

Le proiezioni dell' andamento climatico globale fino al 2100
Le proiezioni dell' IPCC, effettuate con metodi molto migliorati rispetto al passato, indicano forti incrementi della concentrazione di CO2 nell' atmosfera dovute alle attività umane, con notevoli conseguenze climatiche :

-Aumento della temperatura superficiale globale media da 1,4 a 5,8 °C nel periodo 1990-2100 : anche la velocità di riscaldamento dovrebbe aumentare rispetto al 20° secolo.
Il riscaldamento dovrebbe essere più pronunciato in alcune aree del pianeta (parte nord del Nord America, Asia del Nord e centrale).

-Ondate di calore, siccità, suoli più aridi.
-Evaporazione dell' acqua più intensa, con più energia nell' atmosfera : tempeste, tornadi, uragani più violenti e frequenti.
-Continuerà l'innalzamento del livello dei mari: sono possibili erosioni delle spiaggie di sabbia ed inondazioni di popolose aree costiere (delta del Nilo, Bangla Desh) e piccole isole ( in particolare sono minacciati gli atolli del sud Pacifico).
-Più facile trasmissione di alcune malattie infettive, fra cui malaria e febbre gialla

Quanto dureranno i cambiamenti climatici ?
Le emissioni dei gas serra più persistenti (biossido di carbonio, protossido di azoto, perfluorocarburi) hanno un effetto duraturo sul clima : per es., parecchi secoli dopo che avvengono le emissioni di CO2, circa un quarto di esse permane nell' atmosfera.
Dopo una ipotetica stabilizzazione della concentrazione dei gas serra, le temperature medie globali superficiali ed il livello dei mari continuerebbero ad innalzarsi per centinaia di anni , a causa del grande ritardo con cui il profondo oceano segue il cambiamento climatico.

Cosa si ha intenzione di fare contro l'effetto serra ?
Occorre notare che, sulla reale pericolosità del riscaldamento globale, non vi è concordanza di opinioni: alcuni scienziati tendono ancora ad essere scettici ( vedi uno dei siti segnalati);
ad esempio viene sottolineato il fatto che non sia stato dimostrato un riscaldamento di tutto il continente antartico e si evidenziano lacune nei modelli climatici usati dall' IPCC.

Per limitare l' effetto serra sono state suggerite alcune azioni :

- Risparmio energetico ; uso di energia da sorgenti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse) o, fra i combustibili fossili, preferenza al gas naturale rispetto al petrolio o al carbone (la combustione di metano genera meno biossido di carbonio a parità di energia prodotta).

- Eliminazione graduale dei clorofluorocarburi ( vedi pagina sullo Strato di ozono ); riduzione degli altri gas serra

- Riduzione della deforestazione

PROTOCOLLO DI KYOTO

Protocollo di Kyoto Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il Protocollo di Kyoto è un accordo internazionale ambientale. Il protocollo è stato negoziato nel dicembre 1997 da oltre 160 paesi. Indice [mostranascondi] 

1 Termini dell'accordo
2 Paesi aderenti
3 Paesi non aderenti
4 Link

Termini dell'accordo
L'accordo prevede, per i paesi industrializzati, pei i paesi industrializzati, una riduzione delle emissioni inquinanti del 5,2% rispetto a quelle del 1990, nell'arco temporale 2008-2012.

Per entrare in vigore occorre la ratificazione di almeno 55 nazioni (condizione già raggiunta), producenti almeno il 55% delle emissioni di gas serra (condizione non raggiunta).

Paesi aderenti
A seguito della Conferenza di Marrakech (novembre 2001), la settima sessione della Conferenza delle Parti, 40 Paesi hanno ratificato il Protocollo di Kyoto.

Al novembre 2003 i paesi aderenti erano saliti a 120.

Lista dei paesi che hanno aderito

Paesi non aderenti
Tra i paesi non aderenti figurano gli USA responsabile del 36,1% del totale delle emissioni (annuncio fatto nel marzo 2001) e la Russia responsabile del 17,4%, che sembra intenzionata a breve a siglare l'accordo, facendo raggiungere il quorum per rendere il protocollo legalmente vincolante.

Link
Protocollo di Kyoto (http://www.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/docs/protocollo_kyoto_it.PDF)

Il Protocollo di Kyoto

Si tratta di un accordo internazionale, sottoscritto nel 1997 da 84 Paesi, che indica gli obiettivi per la riduzione dei gas ad effetto serra : viene fissata per i paesi industrializzati una diminuzione del 5% in media ( 6,5% per l' Italia) entro il 2012, rispetto ai loro livelli di emissione del 1990.
Poichè l' attuale tendenza è di un aumento notevole delle emissioni, la riduzione del 5% sarebbe un grande risultato ( i Paesi sviluppati dovrebbero ridurre le loro emissioni anzichè incrementarle decisamente ), comunque non sufficiente a fermare l' aumento di temperatura.

Quali gas e quali paesi
L' accordo riguarda sei gas ad effetto serra : biossido di carbonio, metano, protossido di azoto, perfluorocarburi, idrofluorocarburi ed esafloruro di zolfo ; prevede limiti alle emissioni di 39 paesi (quelli relativamente più sviluppati), fra cui, in ordine di emissioni discendente:

USA
Unione Europea (15 paesi)
Russia
Giappone
Canada
Polonia
Bulgaria e altri paesi Est Europei
Svizzera
Norvegia
Nota


I CFC, clorofluorocarburi, non sono menzionati dal protocollo di Kyoto perchè la loro limitazione è già prevista nel Protocollo di Montreal

La regola del 55%
Perchè il Protocollo di Kyoto entri in vigore lo dovranno ratificare almeno 55 Paesi (questa condizione è già stata raggiunta : il trattato è ormai stato ratificato da più di 100 Paesi), purchè le loro emissioni globalmente rappresentino almeno il 55% delle emissioni dei paesi industrializzati del 1990.
Quest' ultima condizione risulta più critica dal momento che gli USA - lo stato che inquina di più l' atmosfera con il 36% di emissioni di anidride carbonica - e l' Australia non ratificheranno il Protocollo, che è stato invece approvato da Unione Europea, Giappone, Canada, Polonia ed altri paesi, che rappresentano insieme il 43,7% delle emissioni del 1990. Perchè il Protocollo vada definitivamente in vigore deve essere ratificato dalla Federazione Russa, che "vale" il 17,4%.

I meccanismi di flessibilità
Per raggiungere gli obiettivi indicati a Kyoto, possono essere utilizzati strumenti che intervengono sui livelli di emissioni di gas a livello locale, nazionale o transnazionale.

Il protocollo prevede tre strumenti :

- Emission trading (commercio delle emissioni) : le foreste piantate dopo il 1990 vengono considerate depositi di carbonio, e vengono riconosciuti crediti che sostituiscono i tagli alle emissioni.
I Paesi relativamente sviluppati possono acquistare e vendere permessi di emissione, per ridistribuire nel modo più economico fra i vari Paesi e fra imprese le quote di emissione concordate.
-Joint Implementation (Implementazione congiunta) e Clean Development (Sviluppo pulito) : Consentono di realizzare la riduzione delle emissioni in Paesi Terzi, dove i costi di abbattimento sono più bassi.

Le misure di flessibilità vengono considerate supplementari rispetto alle azioni domestiche.


Critiche al Protocollo di Kyoto
La critica fondamentale riguarda l' efficacia dell' accordo : perfino una piena implementazione del Protocollo avrebbe un impatto limitato, nonostante i costi elevati; in ogni caso occorre prepararci ad un certo livello di cambiamento climatico.

Una seconda critica viene principalmente dagli USA, ed è relativa al fatto che praticamente nessun sacrificio viene richiesto ai Paesi in via di sviluppo : questo in seguito all' accoglimento del cosiddetto Principio di Responsabilità (secondo cui i Paesi che hanno maggiormente contribuito ai livelli attuali di concentrazione dei gas devono essere i primi a sostenere i costi ed a ridurre le emissioni).

Altre critiche riguardano i meccanismi di flessibilità, che vengono visti con un certo sospetto. Per esempio, essi non considerano "debiti" di carbonio dovuti alla distruzione di foreste esistenti, ma solamente "crediti" per quelle piantate dopo il 1990. Recentemente si è tuttavia formato un mercato spontaneo per i permessi di emissione, soprattutto da parte di industrie Nordamericane.

Alcuni siti selezionati :

Carbon Dioxide Information Analysis Center-Registrazioni storiche del contenuto di CO2 da campioni di ghiaccio e dall' atmosfera

IPCC Intergovernmental Panel of Climate Change, gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico

World Warming in 2002 "near record", BBC News, 10 Aprile 2003

Global Warming , l' organizzazione degli scettici

Global Warming and Climate Change , Environmental News Network, rivista di notizie ambientali on-line

Climate Ark, un portale dedicato ai cambiamenti climatici e all' energia rinnovabile


Il Protocollo di Kyoto ( in Italiano )

The Convention and Kyoto Protocol, il sito delle Nazioni Unite sul Protocollo di Kyoto, con il testo originario

The sky is not the limit: The emerging market in Greenhouse gases Obiezioni ai Clean Development Mechanisms
previsti dal Protocollo di Kyoto; pubblicazione di Carbon Trade Watch

allfonsit@yahoo.it Ultima revisione : Aprile 2003

COMITATO PER L'AMBIENTE E IL

RISPARMIO ENERGETICO DI BRESCIA

 

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