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ALLE SOGLIE DEL 2000 Illumina la mia vita, come i raggí del tuo sole fanno cantare la superficie delle acque. Qualche mese. Solo qualche mese ed entreremo nel terzo millennio. Con quali obiettivi e con quali criteri operare per l'epoca nuova? Da dovunque si guardi l'interrogativo non è di facile soluzione perché vi confluiscono i perché del nostro tempo, dalla crisi dei valori a quella ecologica, dall'in~ flazione all' integrazione sociale, alla salute e via via...Avviandoci allora in tempi sempre più stretti verso l'ignoto della telematica col rischio sempre più massiccio della crisi occupazionale e con l'aumento dell' anzianità, quale equilibrio tra libertà personale e tecnologia, tra iperindustrializzazione e tutela della natura, tra scambi sempre più vertiginosi e solitudini angoscianti? E le paure sono certo grandi perché l'incognita sul futuro ce lo fa inconsapevolmente delegare a chi ha responsabilità nella gestione della cosa pubblica (politici, economisti, sindacalisti ...) e ci fa aspettare la verifica delle proposte protetti nel guscio privato. Ma un mondo nuovo a misura d'uomo ha bisogno dello sforzo di ciascuno di riorganizzare la propria esistenza personale su ben più profonda dignità e di arricchire il tempo della propria vita collaborando per la dignità della propria famiglia e dei gruppi in cui è inserito perché, se è pur vero che mali giganteschi opprimono l'era contemporanea arrivando a toccarci fisicamente, (inquinamento, razzismo, droga, corruzione ...) è anche vero che l'essere umano è spinto dall'istinto di conservazione e dall'istinto alla felicità: si tratta di recuperare il senso della vita arricchendo i rapporti umani inariditi dalla solitudine e da una quotidiana aggressiva competitività. E da questa solitudine e competitività viene una sfida alla capacità formativa degli educatori del nostro tempo che non sono più soltanto i genitori e la scuola ma la società tutta nel suo stesso modo di essere. Non quindi la sfida tecnologica o politica o economica, ma quella formativa è la sfida su cui si gioca il destino dell'essere umano, perché essa investe il problema della cultura alla radice affrontando il problema basilare dell'essere umano: imparare ad essere. Ma questo certo va calato nelle nostre famiglie, nelle nostre campagne, nei nostri paesi, nelle nostre città dove mali antichi e moderni, primo fra tutti la lontananza da Dio, sfociano in un diffuso e insostenibile malessere causa di ulteriori disagi e solitudini. Non ha senso affermare che il mondo appartiene all'uomo ed è una sua espressione, se poi manca la riscoperta di quegli scambi umani immediati e diretti che superano la massificazione per la valorizzazione di quei rapporti personali che assicurano fiducia e autenticità. Mai l'età media della vita dell'uomo è stata così alta e così triste la vecchiaia, mai così tanti strumenti per difendere la vita e così offese alla vita, mai così sviluppati gli strumenti di comunicazione e così alta la solitudine. Certo, con occhio attento alle risse politiche, alle corruzioni pubbliche, al degrado di certi ambienti, allo scempio della natura, ai nuovi razzismi, ai delitti di mafia e delinquenza e a quanto riempie ogni giorno le pagine dei quotidiani, queste riflessioni appaiono figlie dell'utopia. Eppure solo salvaguardando il valore della persona si salva quello della comunità. Preparare l'uomo per il domani è un impegno culturale che coinvolge tutti per fronteggiare l'impatto con gli inevitabili aspetti negativi, valorizzando ogni germe di positività per la costruzione della vita futura. Solo infatti la collaborazione di tutti può muovere alla costruzione di un nuovo mondo per l'uomo e di un nuovo uomo per il mondo. ... SULLA FELICITA' "Felicità è non fare sempre ciò che
si vuole, ma volere sempre ciò che si fa " scrisse Tolstoj e, molto più
poeticamente, un Anonimo: 'Felicità è un campo di papaveri e il gorgheggio di un
usignolo. ~ sapere per chi splendono e perché canta". Ma cos'è mai la felicità?
Nella storia della nostra formazione familiare, scolastica e religiosa, l'uso del termine
"Felicità" è praticamente inesistente: si prospetta ai bambini prima e ai
giovani poi, serenità, maturità ed equilibrio da conquistare con la realizzazione di
obiettivi che si giocano nel privato (bravi bambini o ragazzi e poi bravi padri o madri) e
nel pubblico (bravi studenti e poi cittadini e lavoratori). Esperienza comune forse a
tutti gli adulti e che si allargava dall'attuazione di desideri e progetti privati, alla
realizzazione di una certa serenità e pace comune; come dire che la somma delle singole
serenità private e "pace in famiglia" portava alla serenità e pace collettiva.
Parlava di felicità solo l'educazione religiosa, ma riferendosi unicamente
all'ultraterreno o, su ben altre sponde, la consueta fine di ogni favola (o telenovelas)
con l'immancabile "e vissero felici e contenti" come espressione che
riconfermava, caso mai ce ne fosse bisogno, l'identificazione felicità = realizzazione
del sogno d'amore. E l'irrompere massiccio dei mass-media e della pubblicità nella nostra
vita - e soprattutto in quella delle giovani generazioni - ha però finito per
identificare la felicità sempre più con la conquista di appagamenti che non riguardano
più le emozioni, gli stati d'animo, l'essere, bensì gli oggetti posseduti,
1'avere". Dalla metà degli anni '70 una enorme quantità di libri e convegni hanno
trattato in America Settentrionale il tema della felicità e i risultati di una famosa
inchiesta hanno rilevato che il 90% degli americani si dichiara felice, che vuol dire:
avere denaro e poter comprare, avere il successo professionale, sapersi accontentare,
avere una bella famiglia, andar d'accordo con gli altri e perfino dedicarsi al
volontartato, consapevolezza del proprio altruismo. Vien da pensare che tutto questo
considerarsi felici sia più un atteggiamento esteriore che un vero stato d'animo, più
una sorta di autogratificazione collettiva che vera realizzazione di sé. Non conosciamo
dati che ci dicono se quanto e perché gli italiani si sentano felici, né se intendano o
vivano la felicità come valore; è innegabile comunque l'importanza di una riflessione su
questo tema che, proprio perché tocca l'intimo e il privato di ciascuno di noi, coinvolge
valori e attese che vanno poi ad incidere sulla vera qualità della vita; e sta qui allora
il perché dei risultati di una ricerca condotta dalla Oxford University in vari paesi del
mondo che ha invece evidenziato come l'umanità ha dedicato più soldi e impegno a capire
l'infelicità e a guarirne piuttosto che a capire in cosa consista nella vita di tutti i
giorni la felicità. Il mito dei consumi, ha detto a chiare lettere l'inchiesta, non dà
felicità, ma non la dà neppure il successo professionale, troppo spesso raggiunto
attraverso un costo elevatissimo, pagato proprio a scapito dei bisogni affettivi, più
privati e più struggenti. E forse allora ha ragione Trilussa: "C'è un'ape che si
posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne va... tutto sommato la felicità è una
piccola cosa". Si, ma unicamente affrontando il mistero della vita nelle piccole e
grandi cose, sapendo di non esaurirlo o contenerlo mai se non abbandonandosi a quella
certezza in Dio che da sola rende fruibile e vivibile la vita.
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