Sono nato a Palermo, dove ho conseguito la
laurea in filosofia, risiedo a Brescia dove insegno nelle scuole secondarie
superiori. Ho pubblicato nel 1997 con la casa editrice Libroitaliano E.I.
un volume di liriche dal titolo ‘Mirtilli’ e altre raccolte di poesie
inserite in diverse antologie tra cui All’insegna della nuova poesia. Tra le
altre cose ho ottenuto una segnalazione di merito al Concorso Inedito
L’Espresso nel 1987; una menzione d’onore con medaglia al premio letterario
‘Ugo Foscolo’ indetto nel 1991 organizzato dalla rivista Interferenze di
Brescia; finalista al premio letterario ‘Il club degli autori’ 1996/97.
IL CIELO
Prima voce: percepisco qualcosa di diverso.
Seconda voce: si! discordante, forte e penetrante, eco di olezzi, essenze.
Prima voce: così bianco e sottile, si spande e si innalza in ampie volute.
Seconda voce: in gran quantità, lì, luce e brillantezza, involuzioni forse
un uomo?
Voci: non può che essere una nuova presenza.
Colline. Nuvole spruzzate, flessili fra un cielo sbiancante. Ora che sono
qui mi accorgo dell’utilità di questo viaggio; ritorno ai luoghi che hanno
segnato una particolarità, una infusione di certezze, uno stillare
impertinente.
Questa idea è come l’aurora mi trascina e mi copre, l’afferro e mi sfugge.
Adesso mi confronto: gli arbusti e quei sassi poco cambiati, appena
alterati, io invece tanto, serve a rinvigorire il passato, ad obliare il
futuro. Questa essenzialità mi ristora, il cerchio dell’alveo deforme,
prosciugato ed eppure non siamo fuori stagione, chissà.
In queste prime ore del mattino rivivo. Nel suo intero svolgersi mi mantengo
a livelli efficienti e nonostante una certa energia mi spinge verso
l’azione cerco di mantenermi in armonia, per il resto sollevo lo sguardo
verso le prime linee vellutate dei raggi solari, nel mio tendere verso la
bionda luce eosica, venature unicrome in cui guardare libero da qualsiasi
impellenza - parte di tutto - perdermi e fluttuare, rimestare tutt’intorno
la consistenza ignea affinchè possa rinascere.
Mi circonda un’aria appena stemperata dal mutevole refrigerio notturno,
prima che l’astro ne arroventi la sostanza, un inibito vento distende le
variazioni termiche, nonchè i percettibili odori.
Mi inoltro in una strada dismessa, si insinua tra terreni incolti, casupole
dai muri segnati dall’abbandono, dall’imperizia dei mutamenti generazionali.
Intorno pochi animali, lenti i loro movimenti e incerta la mia
concentrazione nel seguirli, nell’adombrare un interesse, una mediata
partecipazione.
La strada prosegue salendo per la collina, lieve gobba di una figura
imponente che artiglia supina le radici della terra, l’origine dei
cambiamenti vitali. Da su, l’altro versante è più colorato, gli alberi
frammisti a numerosi macchioni di rovi, cespugli di agave; mi avvio per il
pendio. Qui mi sono comuni persino gli anfratti, i muretti di pietra,
vecchie coperture, che costruivo per svago; allora la natura mi sembrava più
linfatica, adesso il transitare degli eventi la rendono più distratta.
Cammino, la strada si slarga formando emicicli, ai lati alcune pietre
lastricate e inclinate formano delle rudimentali seggiole, mi appoggio.
L’aria mi dà ebbrezza, adesso quasi entusiasmo, so che in fondo sono
tranquillo e apertamente compiaciuto della mia stessa pienezza.
‘Ric! - oh! - Riiic!?’ un richiamo come lo sciabordio di un gorgheggio
subito eclissato: fuggente, mi giro per vedere... da lontano soprarrivano
voci coriacee, acute di bambini in comitiva. Mi avvicino, un pensiero mi
turbina: le sue e le mie reazioni, bisogna essere diplomatici. Nella sua
espressione non so quali sentimenti si alternino.
‘Come va? belli ancora i tuoi occhi.’ lei sorridente.
‘E quando ho in più?’ mi risponde.
‘Che importa.’
‘Quante esperienze in comune con te.’ si ferma e mi chiede
‘Cosa hai fatto?’
‘Ho cercato di scoprirmi, di studiare, di cercare…’
‘Ci sei riuscito?’
‘Una cosa per la quale gioisco consapevolmente è l’incanto del primo
approccio, lo svelamento del non conosciuto, la conservazione accesa
dell’esperienza, l’equilibrio tra ciò che so e quel che devo ancora sapere.’
La guardo intensamente tentando un abbraccio, lei rimane un po’ perplessa,
l’accarezzo, attraverso gli occhi i nostri corpi si infiammano di immediata
passione, di subitaneo amplesso.
‘Prima di ritornare insieme vorrei avere del tempo per riflettere,
distendermi ed esser sicura di te’ dopo mi dice pensierosa ed assorta.
‘So di amarti e sono pronto a dividere con te la mia vita’ ribadisco.
‘Per me è ancora presto, conclude lei andandosene decisa, sono rimasto solo
con le mie idee.
Candido. Striscia di terra. Sotto le colline e l’ultima corda degli
Appennini, oltre distesa del mare, omogenea nello spazio aggettante. Siamo
vicino ad un ciglio pronunciato alto sul Pollino, ombrato, rapace curioso ci
guarda e vola, mi rimbalza la potenza di un presente lanciato lontano con
uno sforzo mediato. Perlaceo. Sostanza alida, di là due querce controluce.
El avanza con una prudente espressione, quasi freddamente disattento, folate
di vento tiepido.
‘Un fulgente fendente è stata la mia giovinezza: un attat diversificato,
ampliato da uno slancio fuocato, rubino e tinnulo, presente nella
superficie, nell’interiore e nel fantasma del mio vivere. Di inoltrarmi
nelle novità, di fermarmi nelle esagerazione, sentire il più possibile la
mia vox - si interrompe per eseguire dei movimenti con le braccia - osserva!
in questo momento le correnti aeree confluiscono soporose, iperlucidi soffi
termici - dappertutto in questa società non trovo...’ finisce voltandosi
verso di me.
Il giorno è sereno. Sulla volta celeste appaiono riflessi i segni
dell’arcano, premoniscono e trasmettono la loro essenza, la loro iskra di
speranze. Lui è eccitato come un curioso elfo, ma non si turba, la sua
placidità da calcolatore, il suo contegno ermetico ai più chiarissimo agli
iniziati, gli consentono di trasformare le formule geometriche - frazioni
infinitesimali - in chiavarde cosmiche per accedere alla mèta.
Il triangolo, il cerchio, il quadrato, i fumi: la piana architettura per
approdare al contatto con l’archetipo, l’essere e l’ente.
Sono poco lontano e vedo i suoi eterei consulti la sua consolazione, dopo
diverse prove e con tanta perseveranza adesso questa costanza fa scaturire
l’esatta interpretazione per gestire la forza mistica evocata.
Ancora un momento di inazione... quel giorno e quel momento, lei abbastanza
bella mentre la seguivo con lo sguardo interlocutorio, forse con la
spontaneità di una tacita intesa.
La sua reazione è stata istintiva, la mia centripeta, dermica; ci siamo
avvicinati al mercato mentre con Ofelia e Os provano a prendere, scegliendo,
le primizie degli ortaggi; già conoscevo Os e quando lui poi me la presentò
ne rimasi quasi incantato: le ho regalato dei fiori di campo e quella
mattina fresca e pulsante dei primi risvegli primaverili divenne ancor più
elettrizzante per me. Abbiamo inziato a frequentarci tanto, amore e
passione lo alternavamo agli studi, all’erudizione
Quando poi... - intendo un mutamento, pur essendo fermo, il terreno sotto i
piedi sembra briciole sferule che girano quel tanto da farmi rimanere
meravigliato.
‘ Guarda – la meraviglia della libertà - Ric ‘ la voce di El mi perviene
dolciastra, gli sono quasi accanto quando in maniera inspiegabile inizia a
sollevarsi, emette un filo di voce mista a sibili e incredibilmente come
sospinto da una corrente ascensionale comincia a roteare nell’aria –‘
l’estasi nella libertà , vieni!’ mi chiede di seguirlo; la sua richiesta mi
scuote e mi fa rimanere bloccato, El uccello umano, trasfuso nella bionda
luminosità, felice nella sua entelechia, ha realizzato il suo dono della
levitazione.
Respiro più forte, ansante, faccio alcuni passi, la terra sembra prudermi e
tento di balzare nell’aria, non ci riesco.
El continua ad avvilupparsi su e pian piano si allontana, faccio qualche
movimento proprio là dove prima lui si trovava e mi investe una calda
sensazione di leggerezza e intorno l’abbagliante solidarietà della luce
dorata, per un istante mi appare la possibilità che con un solo salto possa
raggiungere El il quale dall’alto continua ad incitarmi; faccio per alzarmi
in volo per un po’ ci riesco che subito la mia pesantezza me lo impedisce.
Sono disteso sul terreno: mi sento stretto in questo corpo, però ancora
batte forte il desiderio di andare oltre.
A vederla camminare sulle linee irregolari dei lontani monti, fra i resti
del castello medievale, circondata negli abbracci plurimi dei colli e più
vicino della lavanda, spostarsi controvento, discreta e morbida fra
l’atmosfera satura di liricità, scintille di aura magnetica, mi viene in
mente l’immagine ondeggiante dei marosi, del perenne rifluire che
confondono la sua sagoma. La mia impressione si smuove di poco, si concede
finalmente all’insieme osservandola: una sensazione diffusa di distacco,
curiosità si accentua quando mi avvicino.
Le linee del suo volto, in passato lisce, sono ora alterate da una accennata
rugosità dei pensieri, dalla pesantezza dei muscoli; ma è nei suoi occhi che
l’esistenza ha lasciato tracce indelebili, quella luce tiepida e vaga è
sostituita dall’instabilità dello sguardo, capzioso e affannoso, alla
ricerca ossessiva di un qualcosa che, trovato, si invola subito verso altro.
E’ abbronzata da un sole pallido e mielato; non mi appare stanca, anzi, mi
colpisce di lei il deciso profumo che ha scelto, forse come desiderio di
rinascere, uno svelamento di frutti maturi; un attimo.
‘Ric, ti ho tanto pensato ‘ si ferma guardandomi a lungo.
‘Come stai? Oh...’ le stringo le mani affusolate, belle; ‘Ida, sei
sciupata.’ continuo cercando di carpire una qualche risposta; ci guarda il
paesaggio con le sue fragranze sottili e tutto sembra così vellutato.
Si incammina verso il muretto di cinta, la seguo.
‘Sono stata parecchio da sola e anche in compagnia di Ofelia mi ha aiutato
molto.’ Si distrae, il suo viso diventa radioso ‘Tu non sei cambiato
affatto.’
Sembra all’acme di una emozione, poi indugia, indaga: Riprende ‘No! sei
dimagrito un pò.’ Lascio che mi invada e aspetto in silenzio.
‘Ho avuto modo di cercare, meditare lo studio che andavo facendo e anch’io
ti ho pensato’ infine espongo. Facciamo qualche passo scendendo giù verso
la valle, siamo tranquilli.
‘Quando tempo è passato.’ interrompe lei come se domandasse.
‘Trascorre solamente il modo di vedere se stessi, le cose, i giudizi su
qualcosa.’ rispondo; dopo un pò ci fermiamo. Provo una inspiegabile
leggerezza anche lei sembra abbia una sensazione particolare; ci accostiamo
lungo i bordi di un sentiero tra la boscaglia rigogliosa, ritembriamo i
nostri respiri e ci rilassiamo. Osservo gli arbusti, i cespugli arruffolati
dentro cuscini di erba soffice; tendo il corpo in un arco sobrio. Ci sediamo
fra briciole di pietre, raccolgo dei rami secchi e delle stoppie per
accendere un piccolo fuoco, non ci sono pericoli nè divieti, nel suo archè
fluttuante dilatiamo le percezioni...flogisto fumigante.
Adesso nella lux ignea ci abbracciamo teneramente come due petali di rose
in boccio, lei poi è animata da un sussulto ‘Ora che ci siamo rivisti - mi
dice con una dolcezza nuova - vorrei starti vicino, realizzare quel
desiderio che invano ho finora cercato’. Ho capito, la rivedo come era in
passato e come è ora, mi scruto a fondo dentro il cuore e ne ricevo una
inequivocabile risposta.
‘Ida guardiamoci bene nell’anima, sai che ti amo.’
Così dimentichiamo qualche incomprensione del passato, qualche antagonismo,
le insofferenze e l’orgoglio che sembravano muri invalicabili.
Una imperiosa forza ci attrae e siamo tranquillamente presi dal suo vortice,
scossi dalla tenaglia del nostro abbraccio tanto da inumidirci il viso:
ritrovo il mio cielo limpido e il senso dell’aria: la conquista dell’amore,
la riappropriazione della nostra integrità.
Lentamente scendiamo verso la vicina spiaggia, mano nella mano strette.
Nel frattempo ci sorprende il crepuscolo, un sereno tramonto.
Un sole fiammante s’impone in un orizzonte quieto, non c’è un filo di vento;
uno spettacolo non solo per gli occhi, seduti guardiamo cercando di toccare,
di entrare dentro la bella eternità che ci sta davanti: ed è un incanto.
MOMENTI DENSI
“Corro, mi accompagna una fresca e limpidissima giornata
contornata da un sole abbagliante,
vado verso una collinetta smeraldina. Corro e raggiungo la cima, esausto ma
felice cado sull’erba.”
Mi scuoto, sono sul divano nel soggiorno i vapori del sogno svaniscono, è
proprio necessario un po’ perdersi, ma con la fermezza per poi ritrovarsi.
Ho ridimensionato i miei vagabondaggi, in cinque anni ho visto e assaporato
abbastanza, con i miei amici ogni tanto ci sentiamo siamo lo stesso in
contatto, faremo comunque se ci sarà occasione qualche breve viaggio.
Sono ritornato nella mia città, nella casa dell’iniziazione e ripenso con
dolcezza a quel periodo, quanti ricordi, nello zaino abiti sporchi e laceri.
Sto con Ida, lei fa qualche lavoretto mentre io fatico a trovarlo.
Campanello. Apro la porta “Ida, Ida “ chiamo la mia compagna che sta salendo
le scale; “Ida…” insisto ancora un poco, ma transitano altre persone. Oltre
la finestra si estende la nebbiosità fredda e inerte, questa mattina è
passata veloce anche se non l’ho vista, oggi si è rivelato uguale a ieri o a
domani. Ma sopra la mensola vedo un biglietto “Mio caro Ric sono andata con
Betti a lavorare al supermercato, ti amo.”
Viviamo infarciti di disillusione e di disincanto. Non completamente però o
per precisione non così fino in fondo. Poiché prima della profondità,
dell’oscurità più fitta, fari di speranza possono accendersi, possono
dilatarsi. In assenza di un lavoro fisso e continuo ne ho uno saltuario,
ciclico, lo stesso è per Ida. E’ il livello del limite, della marginalità, i
nostri trent’anni sono inquieti e il futuro è incerto. Mi sdraio sul divano
in parte logorato, accendo la tv per evitare di pensare, per respirare
nuvole d’aria. Fa molto freddo, le coperte non bastano e la stufa rimane
fredda. Distendo le gambe sopra un cuscino rilassandomi…
“Cerco di correre, c’è penombra e inoltre c’è il grande manto di neve che
sommerge tutto, non è alta, ma quanto basta per appesantirmi il passo. Vado
più veloce. Cerchi tremolanti di luce multicolore interrompono il buio; nel
cielo lampi rossi e cupi, echi bizzarri di voci lontane. Corro. Ma nel
girare l’angolo lo scivolo è accompagnato da un grido.” “Ric! Ric! - mi
sento scosso – sono le ventuno, uhh! quanto freddo che fa, ti senti male?”
la voce mielata di Ida è il mio risveglio, la mia distrazione. Mi racconta
le ultime cose successe con poche incertezze e senza errori. Dopo mangiamo
pochi alimenti e andiamo a letto. Le ho detto del ricorrente sogno. E se il
senso notturno mi indicasse qualcosa, mi suggerisse una via? E se c’è un
rapporto con il presente, chissà?
L’alba ci ha raggiunto abbracciati, fuori fa meno freddo, ma il cielo rimane
pallido. Il caffè d’orzo con del pane ci rianima. Oggi non lavoro,
l’impiegato dell’ufficio ieri mi aveva detto che telefonerà ‘il prima
possibile’ per cui dovrò aspettare qualche giorno. Ida vuole andare da sua
madre che sta poco bene. L’aiuto da parte dei nostri genitori è molto
limitato poiché a loro volta vivono con pensioni minime. Precedo Ida “Vado a
fare una passeggiata” le dico uscendo. Il cielo è attraversato da un vento
moderato che smuove l’aria fresca facendo alternare numerose nubi. Furtivo
fa capolino un sole freddo. Vado sul viale. Poi il ponte. I giardini. Inizio
a fare il percorso inverso quando improvvisamente dalle scure nuvole inizia
a cadere la pioggia. Prima piano poi aumenta l’intensità. Allungo il passo,
poco lontano so di un bar. Corro ansimando verso il locale. Mi precipito
dall’altro lato della strada, ormai bagnato entro dentro, mi seggo su una
sedia, stremato ma contento di aver evitato altra acqua.
Il bar fa anche da ricevitoria dell’enalotto e di altri giochi. Guardo i
numeri e le varie combinazioni e sebbene non è la prima volta rimango lo
stesso affascinato. Non sono un giocatore. E se qualche volta gioco si
tratta di somme minime: anche perché la fortuna è rimasta bendata per me.
Però la sua campana può lo stesso rintoccare. Il caso e sua sorella fortuna
potrebbero anche allearsi per me. Decido di far corrispondere i numeri con i
ricorrenti sogni e giocarli al super enalotto. Eventualmente, come accade,
avrò perso pochi soldi, ma se vincessi sarebbe una supercascata di denaro.
Ritiro e conservo accuratamente la ricevuta nel portafogli. Ritornando verso
mezzodì a casa sento dentro uno slancio positivo, un’aria fiorita mi
circonda e la mia visione getta più ponti sopra le cose.
Faccio un giro più lungo. Lambisco il quartiere bene della città. Le
villette linde con ampio giardino, i dipinti liberty e floreali sulle
facciate. L’accuratezza dello stile nelle porte, nelle finestre. Le ricche
rifiniture complessive le esaltano. Quando il bello sposa la comodità nasce
l’esclusività.
Certo che avere molti soldi comporta dei vantaggi. Possono condurre alla
felicità e questa verso la tranquillità e la sicurezza. Amministrarli può
diventare un problema. Ho saputo di molte persone che, pur vincendo notevoli
somme, alla fine sono rimaste povere e indebitati per la imperizia e
improvvisazione nella gestione della vincita: sono state maldestre. Due
miliardi di lire alzano il livello di qualità della vita; e di molto.
Dopo l’acquisto di una bella casa, una parte servirebbero per il
mantenimento e un quarto per investimenti vari. Non avremo più l’obbligo e
lo stress di lavorare. Eh! si, il lavoro. So che da sempre per la società
più povera esso è stato necessità e dolore, creatività e frustrazione. Lo è
ancora oggi; forse di più. Vi si insinua il virus della competizione,
l’ansia della produzione, l’analisi delle prestazioni. Intrighi per
compiacere il superiore. Si spengono i miei pensieri arrivando vicino casa.
Entro e trascrivo i numeri giocati sull’agenda, così per abitudine come per
altre cose. Passano due giorni, ne manca un altro per l’uscita dei numeri.
Stanotte la temperatura è notevolmente diminuita e questa mattina il cielo
opaco offusca la visibilità. Dopo aver pranzato esco. Vado al lavoro. Ecco!
Fiocchi bianchi, larghi, con velocità alterna cadono distratti e vagolano
timidabondi sopra gli oggetti. Starnuto e tossisco. Ida avrà freddo? Si
coprirà glielo raccomandato. Dei passeri inseguono petali di neve disegnando
linee e vortici; alcuni batuffolini sono rosei altri celestini sembrano
zucchero la cui filatura si snoda e si rompe, si dilunga e svanisce.
Dopo aver finito di lavorare, sono già le venti, ritorno verso casa. La neve
continua a cadere a tratti più deboli. Circa cinque centimetri è alta
l’impronta lasciata dalle mie scarpe e mi lascia una sensazione di levità,
di sospensione… Faccio un giro più breve per strade secondarie, vicino alle
catapecchie, ai ritrovi di fortuna, non è la prima volta che lo faccio.
Voglio arrivare a casa il più presto possibile e rifugiarmi nelle braccia
della mia Ida. Giro l’angolo per imboccare il penultimo tratto di strada,
quando in un attimo da dietro un’automobile in sosta sbuca un uomo che mi
punta una pistola intimandomi di consegnargli il portafogli e l’orologio.
Sorpreso e impaurito esito un attimo. L’altro insiste con fare minaccioso
così sono costretto a darglieli buttandoli verso i suoi piedi. Li raccoglie
e fugge velocissimo tenendomi un po’ inchiodato con lo sguardo e con la
pistola.
Tento di inseguirlo, ma non vedo più nessuno. Come la terra da un terremoto
improvviso e forte sono scosso. Mi riprendo. A casa racconto il tutto a Ida
la quale mi rassicura e mi tranquillizza, ma non le dico del biglietto del
superenalotto, che insieme a pochi soldi e alla patente ora sono nelle mani
del ladro. Transita la notte fra mille amarezze e turbamenti.
Il mattino seguente mi sveglio raffreddato. Non è niente di particolarmente
grave. Ida deve andare al lavoro e io rimango a casa a riposarmi. Volevo
andare al commissariato per denunciare il furto, ma sono obbligato a
rimandare a domani. Ha smesso di nevicare e la bianca lanuggine aleggia
intorno. Fuori fa meno freddo, ora è migrato dentro il mio cuore. Leggo
qualcosa, guardo la tv e cerco in vari modi di distrarmi, così arriva sera,
l’uscita del sorteggio dei numeri.
Vorrei non saperli, ma la curiosità mista a scetticismo mi spingono per
vederli. Prendo l’agenda.
La sorpresa è da mozzafiato, ho indovinato cinque numeri e la somma
aggiudicata è più di cinque miliardi di lire. Stento a crederci, ma è vero.
Ho dentro una miscela di gioia e tristezza. Il controllo di nuovo dei numeri
me ne da una ulteriore conferma, ma, fondamentale, non ho la ricevuta:
svuotato!!!
Vado alla polizia e faccio la denuncia, cerco negli occhi dell’agente un
appiglio che mi convinca che possono acciuffare il ladro, ‘se sapremo
qualcosa glielo comunicheremo’ è la sua sbrigativa risposta e a me non resta
che ritornare nella tetra casa.
Passo tutta il giorno nervoso e a contare i colori di tutte le imprecazioni.
Domani andrò al negozio, racconterò tutto; anche se credo ci sia poco da
fare, in genere è la sola ricevuta che fa fede, sono amareggiato. Più avanti
troverò l’energia per raccontarlo a Ida. La prossima volta starò più
attento, forse il destino o la fortuna rivolgeranno su di me il loro
insondabile sguardo.
GAMMA – ANIMAE PORTA
L’ambiente è pianeggiante,
anche se sullo sfondo si intravedono colline nivee, mi circonda un chiarore
diffuso, non abbagliante ma intenso, trasparente non so indovinarne la
sorgente; il clima è tiepido, un odore dolciastro lo circuisce. Vi sono
delle sfere sole e a gruppi che si muovono come se stessero ondeggiando
lentamente sul piano, altre più veloci si sollevano dirigendosi verso l’alto
attaccandosi a grandi insiemi simili a grappoli di uva. Ogni sfera dal
diametro di circa due metri, ha un colore diverso, toni e sfumature
svariate. Altre vanno verso il basso coperto da una nebbiolina dorata. La
lunga quiete silenziosa è alternata da un do ampio riverberato. Guardo con
grande meraviglia e attenzione, mi avvicino a qualche sfera, su una
superficie risaltano i tratti essenziali del viso umano: sopracciglie,
occhi, naso e la linea della bocca. Altre sfere sono completamente lisce
come bolle di sapone.
Frattanto nell’alto molti erano i grappoli di sfere che si muovevano, alcune
composte di pochi aggregati, altri più numerosi simili a nuvoloni, errano
oscillanti un po’ verso il basso, o verso l’alto scomparendo nel cielo
candido. Una di color viola mi passa proprio vicino , la consistenza del
tocco è morbido, ha un piglio placido, penetrante e misterioso, sento che mi
scava dentro, per questo mi percepisco nudo, disarmato. Un’altra dal colore
indaco ha un atteggiamento serio e interrogante che mi fa quasi svenire;
un’altra dal sorriso amaranto è ammiccante, fugace come se dovesse
promettermi qualcosa di piacevole e gradevole. Al do si sostituisce con lo
stesso modo un si breve, echeggiato. Dove sono il suolo e stabile per un po’
di spazio, il resto svanisce incerto, in una dimensione di dissolvenza.
Parlo con una di esse, di me con poche frasi, mimo qualche idea dell’amore,
della vita, faccio qualche domanda alla bolla più vicina, ma essa non si
differenzia, non si turba e non cambia la sua espressione, passa oltre;
insisto con delle altre, ma l’esito è come prima. Ogni tanto qualcuna di
esse si sgonfia e si disperde emettendo un soffio lieve ,argentato e
ovattato. Scruto intorno la magica realtà, mi siedo per terra e consumo un
breve spuntino.
Le bolle svolano incuranti di me e anche se sono stato ben notato questo non
muta il loro essere. Vorrei prenderne qualcuna, però ad ogni tentativo
scivolano inafferrabili. Sto ad osservarle come dei rosei fiori, come degli
elisir spirituali. Il tesoro di Sertis può essere qui, sotto questi vapori
aurei, ma loro coprono e scoprono il suolo e questo non mi rassicura
nell’iniziare a cercarlo.
Ma poi con un indicibile rammarico cerco d’intorno il quarto varco
rettangolare, faccio un po’ di fatica poiché il brusio delle sfere me lo
impedisce e loro si interpongono discrete al mio cercare; ecco l’ho trovato.
Prendo il foglietto vi sono segnate linee, sinusoidi, radici cubiche,
trattini, numeri e algoritmi disegni geometrici, mappe interstellari, inizio
a elencare quanto sopra e alla fine un sabbioso vento caldo mi investe e
dopo mi ritrovo rotolando su un bel prato verde.
DELTA – COR INSULA
Sono quasi nudo, solo mi
resta il marsupio con lo strap sollevato, che in parte copre i genitali;
l’aria è confortevole, pulita e diafana,la temperatura sui venticinque gradi
facilita il movimento, la vita. Sono frastornato dai luoghi che ho visto,
tanto che a volte la realtà era un incubo e un incubo nel sogno.
Cammino per esplorare la folta vegetazione, più avanti una cima svetta come
un obelisco. Dopo aver memorizzato bene il luogo per poi ritornarci,
oltrepasso un ruscello, vi scorrono delle acque celestine, chiare, ho sete,
l’assaggio è gradevole per cui ne bevo per dissetarmi. Alcune specie
d’alberi somigliano a quelle che conosco altre meno, il torrente sfocia in
una laguna cristallina e da qui posso osservare il mare suppongo anche se
può trattarsi di un lago. I frutti negli alberi sono abbondanti con forme
strane a spirali, a croce, alcuni gocciolano di un liquido vischioso simile
al miele; il terreno fertile non coltivato, ovunque la flora è rigogliosa,
qua e là animali bizzarri e inoffensivi sbirciano e volano nell’ambiente.
Una specie di verme volante mi transita vicinissimo molto veloce. Lucenti
insetti roteano ronzando fra l’erba smossa dai miei passi. Improvvisamente
mi appare davanti un cane con gli occhi di lumaca , orecchie d’asino e
croste sulla pelle, indugia un po’ e poi va via. Anche un posto come questo
è ideale per nascondere un tesoro, se avrò tempo lo cercherò. Dopo una curva
stretta, oltre il sentiero,scorgo un gruppo di persone alcune giovani altre
più mature, dalla pelle un po’ scura, altre più chiara: stanno facendo
l’amore in varie posizioni, con ritmo alternato con un piacere sereno e
intenso, vedendomi rimangono un attimo perplessi.
Un giovane mi invita a unirmi a loro, mi sento attratto, indugio , ma infine
vado a mescolarmi con loro nel rapporto erotico, nell’estasi fluida.
Dopo raggiungiamo due abitazioni scavate o ricavate su pareti calcaree,
ampie, gradevole, su un piano, composte sembra di varie stanze con molti
ripiani in pietra.
I due, che dopo l’amore mi accompagnano, dialogano tra loro, il primo dopo
esce e scompare, l’altro rimane a farci da muta compagnia. Non ci si intende
con la lingua, ma sorridiamo ed è già un buon augurio. Ho fame e ne mimo i
contenuti, l’altro resta disorientato e mi indica l’orizzonte, sorride e mi
fa cenni di attendere.
Sciami di piccoli uccelli striduli ruotano dalla stanza allo spiazzo
antistante. Mi sporgo verso fuori, qui sono sistemate delle amache che
oscillano dai rami di alberi simili a pini, intorno panche di canne e
stuoie, poi tronchi di albero per sedie. Faccio qualche passo fra semplici
cose e noto che non c’è una cucina, né dispensa con scorte o altro che possa
assomigliare a del cibo. Mi invita a seguirlo, fuori si distende sulla
stuoia a prendere il sole e mi gesticola con eleganza di fare lo stesso, in
alto il sole sta tramontando verso ovest. Dopo qualche ora va via
salutandomi. Non mi resta altro che aspettare; il crepuscolo accresce
l’oscurità, quando da est intravedo del chiarore, ecco!!!! prima che il buio
sia più diffuso e totale nasce un’altra alba di là, un nuovo sole dirompe
nel cielo limpido irradiando di nuovo la luce e il calore: resto
meravigliato e assorto contemplo la particolare bellezza della situazione.
Il luogo del giorno perenne. Vado tra gli alberi alla ricerca di qualche
frutto. Ne prendo uno dall’apparenza gradevole, però il sapore è aspro e
acidulo che mi scoraggia a mangiarlo. Dovrò assaggiarne altri. Rieccoli
tornare con dei cenci per me, insieme ad un’altra persona dall’atteggiamento
pensante e taciturno. Tuttavia non ci si intende. Le difficoltà linguistiche
necessitano di una paziente gradualità nell’apprendimento, nella mediazione
reciproca. Ci vorranno dei mesi, ma ciò non mi impensierisce, anzi la
curiosità nel conoscerli mi dà vigore.
Diversi giorno siamo andati a nuotare nella laguna, mi hanno accennato che
per loro è una attività preferita, oltre allo stare al sole, all’amore di
gruppo, la danza, piccoli sport; ci siamo divertiti parecchio tra i pesci
bizzarri,coralli e un’infinità di forme coloratissime. Intanto ci si
intende, abbiamo sviluppato un vocabolario minimo di parole, i primi due si
chiamano Xn e Be, l’altro Zi ed è quest’ultimo che ha mostrato maggiore
disponibilità e collaborazione.
Dopo due mesi iniziamo scoprirci.
“Da dove vieni?” mi interpella Zi
Gli racconto tutto, con pause e ripetendo alcuni passaggi, lui resta ad
ascoltare assorto e attento, ma non riesce a capire quale magia o scienza mi
abbia potuto far arrivare a Cor, il nome del luogo. Ho conosciuto altri
coriani, sono pressappoco tutti uguali magri e dal torace e pancia più
sottili della specie umana di circa cinque centimetri.
“Parlami di voi?” gli chiedo con desiderio.
“Siamo accoglienti, pacifici e semplici – inizia Zi – in questo ampio posto
la natura ci ha concesso una vita molto lunga e priva di affanni. Siamo
tutti uguali e liberi.”
Poi gli faccio una domanda che conservavo da parecchio tempo, ma che non ho
fatto per non sembrare invadente
“Come mai vi vedo mangiare poco?”
“La nostra principale alimentazione è la luce dei soli,un po’ d’acqua,
qualche altra piccola cosa e il respiro dell’aria tersa, solo questo ci è
necessario. Viviamo in piccole comunità sparse intorno nelle ampie
isole.”Risponde con sicurezza Zi.
“ Dio? nei villaggi non ci sono chiese” riprendo io.
“Non c’è bisogno di queste cose qui, la natura ci ha concesso tutto e basta
così. Non abbiamo ambizioni e non vogliamo cambiare.
Un giorno Zi mi accompagna nel luogo dove i coriani raccolgono le più belle
pitture e sculture, alcuni fogli recano delle semplici poesie tra le quali
Balla o miraggio
Le tue mosse son carezze
Il tuo ondeggiar è velluto
Balla o sognante
I tuoi gesti son crissandri
E i tuoi piedi alati
Balliamo o awish
Ti vedo ballare bene ancora- anche se
La musica è finita da tempo.
Altre raffigurano con toni pastello paesaggi, fantasie, linee e punti. Le
sculture sono decisamente originali, capricci di ragni, dischi roteanti,
colonne ricamate…
“L’amore, gli affetti?” ogni tanto riprendiamo le nostre discussioni
“Qui chi vuole e può genera da sé pochi figli, questi poi è aiutato da altre
persone in piccole comunità affettuose e solidali.” Zi parla e penso di
essere nel posto che ho spesso ho voluto,desiderato.
E’ ormai parecchio tempo che sono qui e dopo aver visitato i luoghi più
vicini ho concluso della sostanziale uguaglianza dei suoi abitanti e la loro
agreste innocenza consapevolezza.
Arriva il momento della danza, una ventina di persone,accompagnate dal suono
di bongos e campane tubolari di legno , iniziano a ballare girando in tre
cerchi ciascuno in una direzione diversa, alternando ora un po’ piano ora
più veloce il movimento; mi unisco a loro con leggerezza e gioia.
Zi inizia a cantare con voce modulata, sinuosa, un motivo melodico e
accattivante, all’apice di una serie di note struggenti ci abbandoniamo nel
dolce rifugio dell’amplesso condiviso, infine il riposo ci giunge gradito.
Un giorno, al crepuscolo Xn mi chiama “Andiamo sulle colline ci sono i
segnali di fuoco!” insieme a Zi e Be saliamo per un sentiero comodo con
parecchi tornanti e in breve raggiungiamo la cima alta circa quattrocento
metri. Dopo aver accatastato della legna e dei rami secchi e meno secchi Be
vi dà fuoco. Attorno e lungo il cerchio dell’orizzonte nelle sommità delle
altre colline una trentina di falò bruciano, l’insieme simile a tanti
piccoli vulcani è uno spettacolo tranquillo e profondo: ci sediamo in
silenzio intorno al fuoco fin quanto la legna brucia, e fin quanto il nuovo
sole appare.
Per adesso non ho trovato nessun tesoro e ci rinuncio, questo era una esca e
penso che il ‘tesoro’ fosse la lezione dei coriani.
Con grande sgomento pur avendolo molto cercato non sono riuscito a trovare
il quinto foglietto, mi ricordo il colore bianco giallognolo senza nessun
segno, ho pensato che fosse scritto con inchiostro simpatico, ma adesso non
ce l’ho. Sono andato tante volte a vedere il varco finale, guardare intorno
però non ho trovato nulla: è silenzioso come una sfinge. A Cor mi trovo
bene, gli abitanti sono miti, il clima, il paesaggio sono ideali per come
avrebbe potuto essere l’Eden, ma penso a Ida a Luc, agli altri amici; li
penso con nostalgia e bisogno, stati d’animo che mi introducono alla
malinconia. Se ci saranno altri mezzi per poter ritornare li cercherò; Zi al
riguardo è stato dubbioso, la tua coscienza ti convincerà a rimanere qui con
noi e non vorrai più lasciarci, concluse sorridendo .
Leggi un
altro racconto di Benedetto Demmi, oppure sfoglia
Oltre gli orizzonti, uno dei suoi libri già pubblicati.
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