COSTI  INDUSTRIA ENERGIA E PETROLIO

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COMITATO PER L'AMBIENTE E IL RISPARMIO ENERGETICO DI BRESCIA


Il petrolio costa ora più o meno intorno ai 70 dollari al barile. Tuttavia un "barile" contiene ben 158 litri di petrolio, e facendo una semplice divisione ci accorgiamo che un litro del prezioso greggio viene a costare 0,443 centesimi di euro e quindi in dollari ancora meno. Poi chiaramente c'è da considerare la raffinazione per produrre benzina, gasolio e via dicendo. Alla fine del processo industriale e della commercializzazione quindi un litro di benzina viene a costare 0,20 euro negli Emirati Arabi e ben 1,4 euro nella nostra ricca Italia (sic!!!)

In Italia poi, a fronte di un debito pubblico enorme e di un'incapacità per niente inferiore, i nostri amministratori sono i meglio pagati d'Europa e ogni fine mese incassano il triplo dei loro omologhi francesi e il doppio di inglesi e tedeschi. Gli intellettuali invece, come i professori universitari, guadagnano appena un terzo dei loro colleghi americani e comunque anche molto meno di un semplice portaborse alle prime armi, ma certamente molto di più di tutti i loro poveri colleghi del mondo della scuola, della ricerca e dell'industria!! (Manager esclusi ovviamente!!)

Oro nero/ Il petrolio vola ai massimi. E' nuovo record storico: 75,42$ Venerdí 07.07.2006 13:31

Il petrolio vola ai massimi Nuovo record storico: 75,42$  Continua la corsa dell'oro nero. A New York, i future hanno raggiunto la quotazione record di 75,42 dollari al barile: due cent in più del precedente massimo dello scorso 5 luglio. A spingere verso l'alto il prezzo è stata la forte domanda negli Stati Uniti in vista della stagione degli uragani. Oltre alle tensioni in Medio Oriente e Corea del Nord. E' il prezzo piu alto di sempre

Gli uragani infiammano l'oro nero. A New York, i future hanno raggiunto la quotazione record di 75,42 dollari al barile: due cent in più del precedente massimo raggiunto lo scorso 5 luglio. A spingere verso l'alto il prezzo dell'oro nero è stata la forte domanda negli Stati Uniti in che teme proprio l'arrivo della stagione dei tornado. Non solo: ad accelerare la corsa anche le le tensioni in Medio Oriente e Corea del Nord. E' il prezzo piu alto di tutti i tempi. A rischio la crescita economica.


Sono i trasporti a far volare la richiesta di petrolio. Nei consumi, sono in testa gli Usa, che bruciano un quarto del petrolio mondiale (più di Ue e Giappone messi insieme)
La Bp avverte: per ogni barile prodotto ne consumiamo due. La Chevron consiglia i clienti di prepararsi
alle nuove energie. I petrolieri tolgono i limiti all'estrazione.
Il picco del petrolio? Forse ci siamo: la produzione di greggio potrebbe essere arrivata al suo massimo storico e c'è il rischio che d'ora in poi non faccia altro che scendere. Scienziati ed economisti ne parlano da decenni, dal 1956, per la precisione, quando il geologo americano Marion King Hubbert predisse che l'estrazione del petrolio negli Stati Uniti sarebbe cresciuta fino al 1970 per poi diminuire irrimediabilmente. Ci azzeccò: il picco fu raggiunto nel '71. Ma la conferma non arrivò dai geologi, quanto dai cartelli dei petrolieri. La Texas Railroad Commission, incaricata di controllare la produzione, diede infatti a tutti il permesso di pompare al massimo, perché una volta raggiunto il picco non ha più senso mantenere le quote. La stessa cosa, ma su scala planetaria, è accaduta qualche settimana fa: nella riunione dell'Opec, a inizio giugno a Caracas, i paesi membri dell'organizzazione sono stati autorizzati a produrre alla massima capacità.
«Questo significa che siamo ufficialmente al picco» dice Ugo Bardi, professore d1 chimica all'Università di Firenze e rappresentante italiano dell'Aspo (Associazione per lo studio del picco del petrolio, www.aspoitalia.net). «Da qui in poi ci aspettiamo una caduta della produzione». E non la pensano così solo piccoli gruppi di studiosi. Anzi, il segnale più
allarmante arriva dalla più ottimista delle forme di comunicazione, la pubblicità, almeno nei paesi anglosassoni. La Bp ( Beyond Petroleum, oltre il petrolio) avverte che per due barili consumati ormai se ne scopre solo uno nuovo. La Shell ribadisce che trovare petrolio è sempre più difficile e costoso. La Chevron consiglia addirittura i suoi clienti di prepararsi al cambio del sistema energetico. Per alcuni tutto questo è solo il frutto di una furba strategia di marketing , volta a giustificare i prezzi alti del combustibile. Per altri, invece, le multinazionali dell'energia stanno assumendo un atteggiamento più responsabile di fronte all'arrivo del "picco del petrolio", dopo il quale la produzione non riuscirà più a stare dietro a una domanda sempre crescente. Oggi gli spostamenti di auto, navi, e aerei per il trasporto di persone e merci in tutto il mondo richiedono che ogni giorno si possano bruciare 13 miliardi di litri di petrolio a basso costo. Fino a quando durerà?

In Italia, dove sl consumano circa 1,8 milioni di barili di greggio al giorno (un barile vale 159 litri), se ne parlerà Il 18-19 luglio a Pisa, in un convegno organizzato proprio dall'Aspo. Tra i relatori, il geologo Jeremy Legget, autore di Fine Corsa (Einaudi, pp. 387, 15,80 euro). «Non c'è la minima possibilità che fra il 2008 ed il 2012 l'aumento di produzione petrolifera riesca a compensare sia l'esaurimento delle riserve, che la crescita della domanda», dice Legget. Ecco dunque il «picco del petrolio», a essere ottimisti, di qui a 2-6 anni. Il mondo è in riserva, per usare il titolo di un altro libro sul tema, scritto da Giovanni Battista Zorzoli e Guglielmo Ragozzino (Franco Muzzio, pp. 167, 14 euro). «Se l'economia per ora sembra reggere bene a prezzi del petrolio alti» dice Zorzoli «è anche perché parte di quanto paghiamo ai paesi produttori di greggio ci torna indietro come investimenti e acquisti. Ma non è detto che si possa sopportare un prezzo del barile che potrebbe presto arrivare a 100-120 dollari». Insomma, l'attuale fase di prezzi alti, secondo l'Aspo, sarebbe il primo segnale che, di fronte ad investimenti sempre più grandi, si hanno ritorni di produzione petrolifera sempre più scarsi.
Per fortuna, però, non tutti vedono la situazione così nera. «Gli esperti dell'Eni e del Cambridge Energy Research Associates, ritengono che di petrolio ci sia ancora grande abbondanza e che il picco produttivo arriverà non prima di venti, trent'anni», dice Edgardo Curcio, dell'Associazione italiana economisti per l'energia. «Per loro l'attuale fase di prezzi alti dipende dal fatto che negli anni Novanta il greggio costava così poco da scoraggiare investimenti nella ricerca. Inoltre, da qualche decennio, per ragioni politiche, le zone più ricche di greggio, come Iran, Iraq o Arabia Saudita, non sono raggiunte da investimenti e tecnologie avanzate. Adesso che la domanda di petrolio è schizzata in alto, trainata da Cina e Usa, la capacità produttiva mondiale, per rimettersi in moto ha bisogno di tempo e di una robusta iniezione di capitali e tecnologie». Secondo questi esperti l'attuale crescita annua del 20 per cento degli investimenti in ricerca e produzione dovrebbe ripristinare entro il 2010-2015 un'adeguata capacità di riserva, facendo scendere i prezzi.
Proprio nella tecnologia sono riposte le speranze di chi non vuole rimanere a secco. Si sta cercando di sviluppare, per
esempio, sistemi che permettano di sfruttare un giacimento fino all'ultima goccia. Quando si scava un pozzo, il greggio schizza fuori spontaneamente, perché tenuto sotto pressione, dall'acqua sotto di lui e dal gas sopra. Ma dopo aver estratto il 15-20 per cento del greggio la pressione finisce e il petrolio residuo, che ancora impregna la roccia porosa, sarebbe destinato a rimanere sottoterra per sempre. Così entrano in gioco tecniche di «recupero assistito» sempre più raffinate. In comune hanno il concetto di base: ripristinare la pressione perduta, iniettando sotto terra, a seconda delle varie situazionì, acqua, anidride carbonica o la parte più densa del petrolio stesso, in modo che il greggio sia espulso dai pori e arrivi nei pozzi. In alcuni casi si inietta anche vapore, che ha il vantaggio ulteriore di scaldare il petrolio, rendendolo meno denso.
È anche grazie questi sistemi se paesi come gli Usa sono riusciti a prolungare di qualche decennio la vita delle proprie riserve petrolifere, visto che permettono di estrarre fino al 50-60 per cento del petrolio esistente sottoterra. Il problema è che costano e consumano energia, rendendo meno conveniente, dal punto di vista economico, l'estrazione del petrolio ed il bilancio energetico del suo utilizzo.
Stesso problema per il petrolio «non convenzionale», quello proveniente da fondali marini a più di 500 metri di
profondità o estratto da sabbie impregnate di bitume. Già ora sta aiutando a mantenere costante la produzione, ma è molto costoso. All'inizio dell'era del petrolio, per ogni litro di greggio consumato in ricerca e produzione, se ne ricavavano cento. Oggi per il petrolio «convenzionale» il rapporto è sceso a 15 a l. E nel caso dei petroli «non convenzionali» supera di poco quell' 1 a 1 che renderebbe del tutto inutile la loro estrazione. Ricavare petrolio dalle sabbie bituminose, implica per esempio l'uso di enormi quantità di metano e acqua, per produrre il vapore necessario alla sua estrazione.
«L'unico modo per stare al passo« spiega il geologo del Cnr Davide Scrocca «sarebbe quello di scoprire ogni anno grandi giacimenti e metterli rapidamente in produzione. Ma l'ultima scoperta di un grande giacimento, quello da dodici miliardi di barili di Kashagan, nel Kazakistan, risale al 2000. Dopo di allora si sono trovati solo "pesci piccoli". Certo, si potranno ancora scoprire giacimenti minori, intorno a quelli già noti, sfruttare quelli nelle profondità marine o nelle zone artiche, ma sarà petrolio costoso da estrarre e difficile da portare sui mercati. Occorre prepararsi, come stanno facendo Islanda, Svezia o Germania, che già lavorano a sistemi energetici no oil. Quando, scendendo dal picco, scivoleremo verso un modo senza petrolio, loro avranno una marcia in più.  Alex Saragosa Il Venerdi di Repubblica

Veicoli Elettrici

Vantaggi. L'elettricità può provenire da fonti diverse, anche rinnovabili. Non emettono inquinanti, ne CO2. Svantaggi. La concentrazione energetica delle batterie è minore rispetto al petrolio. Prestazioni scarse.

Carburanti artificiali

Vantaggi. Ricavati da metano o carbone, hanno caratteristiche identiche al petrolio. Svantaggi. Per produrli occorre denaro, molta energia e inquinamento. derivano da combustibili fossili, quindi limitati e sempre più costosi.

Biocarburanti

Vantaggi. Sono molto simili ai derivati del petrolio, ma inquinano assai meno. Sono già ben testati e largamente in uso. Svantaggi. Per coltivarli serve energia, quindi la loro resa energetica totale è piuttosto modesta.

Idrogeno

Vantaggi. Può provenire da tante fonti diverse, anche rinnovabili. Non inquina ne produce CO2. Svantaggi. Difficile da immagazzinare, ha resa bassissima, mentre le celle a combustibile sono ancora delicate.

Metano

Vantaggi. I motori a metano sono in uso da decenni e sono meno inquinanti di quelli a petrolio. Svantaggi. Il metano è comunque una fonte fossile, costosa e anch'essa limitata, esattamente come il petrolio.


Prezzo del greggio alle stelle ,e dirigenti iperpagati di J. Alex Tarquinio

Convocati nell'autunno scorso davanti a una sottocommissione del Senato degli Stati Uniti per spiegare i profitti record del loro settore industriale, cinque alti dirigenti di grandi compagnie energetiche hanno dichiarato con voce unanime di non aver potuto esercitare alcun controllo sui prezzi, stabiliti dai mercati globali del petrolio. Lee R. Raymond, all'epoca presidente e amministratore delegato della Exxon Mobil, ha perfino rievocato i tempi, negli anni Novanta, quando le compagnie energetiche stentavano ad andare avanti per il record dei prezzi bassi raggiunti dal petrolio. "La gente deve capire che noi lavoriamo per un settore industriale di beni per il consumo che ha i suoi alti e i suoi bassi", ha detto.
Ma ora che le società energetiche rivelano i bonus di fine anno accordati nel dicembre scorso - appena un mese dopo l'udienza - è evidente che molti alti dirigenti non si sono. fatti molti scrupoli di accettare pagamenti record, anche
se basati su profitti generati dai medesimi alti prezzi del petrolio per i quali dicono di non poter fare nulla.
Raymond ha ricevuto un pacchetto di compensi del valore di 140 milioni di dollari l'anno Scorso, comprendente contanti, azioni, opzioni e un piano pensíonistico. Secondo una dichiarazione fatta di recente per procura dalla Exxon alla Commissione per il controllo della Borsa e dei titoli, ha ancora diritto a ricevere azioni, opzioni e pagamenti a lungo termine per, un corrispettivo di altri 258 milioni di dollari.
Il 31 dicembre ha lasciato la Exxon ed è andato in pensione. Alcuni esperti di compensi trovano strano che il premio sia stato concesso poco prima della pensione, visto che le azioni vincolate sono considerate uno strumento per trattenere all'interno delle società i dirigenti più importanti e far sì che restino concentrati sul lungo termine.
Ray R. Irani, direttore generale dell'Occidental Petroleum, l'anno scorso ha ricevuto circa 63 milioni di dollari nel complesso, con un aumento di oltre il 50% rispetto all'anno precedente. Nel corso degli ultimi tre anni, Irani ha messo in tasca più di 135 milioni di dollari, quasi tutti in opzioni e azioni vincolate. "Abbiamo visto numerosi amministratori delegati di società energetiche trascinati davanti al Congresso per spiegare gli aumenti eccessivi del prezzo della benzina", dice Patrick McGurn, dell'Institutional Shareholder Services, di Rockville, nel Maryland. "E adesso pare proprio che un bel po' degli utili in eccesso siano finiti a Ray Irani."
Lo stipendio dei dirigenti nell'industria energetica non può essere legato a un sistema di rilevazione preciso, per esempio le dimensioni della società, ma pare che una costante vi sia: i dirigenti del settore energetico sono retribuiti molto di più dei colleghi che lavorano in società altrettanto importanti di altri settori. John P. Surma Jr., amministratore delegato di U. S. Steel, per esempio, l'anno scorso ha ricevuto una retribuzione di 6,7 milioni di dollari; Alain J. P. Belda, di Alcoa, che produce alluminio, 7,5 milioni. Mentre John G. Drosdick, amministratore delegato della Sunoco - società petrolifera con utili assimilabili a quelli di U. S. Steel e Alcoa - ne ha ricevuti quasi 23.
Paul Hodgson, ricercatore della Corporate Library,una società di ricerche di Portland nel Maine, dice che le società energetiche spesso giustificano gli alti stpendi affermando che atrimenti non riuscirebbero a trattenere i dirigenti di talento. Tuttavia questo "è del tutto illogico", dice, perché società come la Kinder Morgan ne fanno "benissimo a meno". Richard D. Kinder, presidente e amministratore delegato della Kinder Morgan, una società di prodotti petroliferi di Houston, riceve uno stipendio annuale di un solo dollaro, senza bonus; senza opzioni e senza azioni vincolate. I suoi entroiti derivano dai dividendi delle azioni della Kinder che egli ha accumulato in quanto co-fondatore. Kinder dice che bonus troppo robusti e fringe benefit vistosi non si addicono alla cultura della Kinder Morgan, i cui stipendi hanno un tetto massimo di 200.000 dollari l'anno.


CARBURANTI Sfondata la soglia di 1,4 euro al litro: è emergenza  La verde ci manda in rosso  Il ministro Bersani assicura: inizia il monitoraggio dei listini

ROMA. ITALIA. Gli italiani si mettono al volante per l’esodo estivo con la benzina che sfonda per la prima volta la soglia di 1,4 euro al litro. Un rincaro che porta il costo di un pieno di un’auto di media-grande cilindrata a oltre 70 euro, l’11% in più rispetto allo scorso anno, e che pone l’Italia sempre più ai vertici del caro-carburante in Europa. La situazione non può che allarmare il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, che assicura un attento monitoraggio del comportamento dei petrolieri, da tempo accusati dai consumatori di essere rapidi nei rialzi e non altrettanto pronti nelle riduzioni.
A mettere mano al listino sono stati i marchi Api e Ip, dove la benzina senza piombo costa da oggi 1,409 euro al litro: l’aumento rispetto a ieri è di 0,010 euro. Gli altri principali marchi restano invece al di sotto di questa nuova soglia psicologica, fermandosi tutti (tranne la Erg, a 1,394) a 1,399 euro. Anche il gasolio mette l’acceleratore, anche se con 1,229 euro di Api e Ip non sfonda il massimo di 1,245 segnato il 6 maggio scorso. Tutte cattive notizie per chi deve mettersi in viaggio in questi giorni e che, su autostrade e tangenziali, come anche in alcune località di villeggiatura più disagiate dal punto di vista dei rifornimenti, troverà prezzi ancora più alti in virtù dei differenziali di prezzo previsti.
Secondo l’Adusbef, infatti, in alcune isole e in Campania e Molise (regioni dove sono in vigore differenziali decisi dagli enti locali in seguito ai tagli dei trasferimenti nazionali per la sanità) i prezzi già sfiorano 1,5 euro al litro. Insomma, ai prezzi attuali, calcola l’associazione, un pieno di 50 litri di benzina costa 7,5 euro in più rispetto allo scorso anno.
Su altri differenziali si interroga invece Bersani, preoccupato per il divario di prezzo tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione europea: «Si può riconoscere - ha spiegato il ministro nel corso della trasmissione Radio anch’io - una forbice con i prezzi europei in ragione della struttura della rete, ma deve essere quella e, se possibile, deve diminuire, non può aumentare». A guardare i dati presenti sul sito del ministero, in effetti, si vede che in Italia il prezzo al consumo è del 14% superiore rispetto alla media Ue e che nel giro di un anno il divario è per l’appunto aumentato, da 0,168 a 0,173 euro al litro. Anche sul fronte del prezzo industriale le cose non vanno benissimo: in Italia è del 5,5% superiore al resto d’Europa. «Per capire meglio come vanno le cose - ha quindi detto Bersani - stiamo mettendo insieme un osservatorio sui prezzi e dando un’occhiata a come si comportano i petrolieri». Il Codacons chiede quindi all’Antitrust di prendere «immediati provvedimenti cautelativi contro queste enormi differenze di prezzo tra Italia e Ue, accertando le speculazioni legate ai prezzi dei carburanti, che puntualmente si impennano alla vigilia di ogni esodo».
A pesare sui prezzi, in ogni caso, è ovviamente il caro-petrolio, con il record di 78,40 dollari fatto segnare nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, in concomitanza con il riacutizzarsi degli scontri in Medio Oriente.


La Cina investe in Nigeria

E' solo l'ultimo investimento in ordine di tempo. Ma è tra i più grandi mai realizzati finora da Pechino. Forse il più grande nel continente africano. Sono quattro i miliardi di dollari che la Cina investirà in Nigeria. Un fiume di denaro destinato alla costruzione di varie infrastrutture. La contropartita è, naturalmente, il petrolio. Nella fattispecie il diritto di prelazione su quattro licenze per lo sfruttamento di altrettanti blocchi petroliferi. La notizia è stata confermata da Tony Chukueke, responsabile del Dipartimento Risorse petrolifere nigeriane.
L'ennesima conferma di quanto il colosso asiatico,nel tentativo di soddisfare la sua economia energivora, abbia eletto l'Africa il terreno di caccia ideale per gli approvvigionamenti. Non andando troppo per il sottile sul fronte della trasparenza, investendo in aree a rischio e in paesi accusati di violare i diritti umani. Infatti nonostante gli sforzi del Governo, la Nigeria resta uno dei Paesi più corrotti al mondo. E rischiosi. Da metà febbraio la guerriglia nel Delta del Niger sta sottraendo quasi il 25% della produzione petrolifera. Ironia della sorte, l'annuncio del maxi-affare arriva il giorno dopo che la Exxon Mobil ha ritirato il personale non essenziale dei suoi impianti situati nell'area orientale del Delta. Non troppo distante da due dei blocchi petroliferi oggetto dell'accordo. Agli occhi di Abuja, la Cina è l'investitore ideale. Soddisfa le richieste e dispone di un invidiabile portafoglio di liquidità. L'accordo prevede che Pechino acquisterà la quota di controllo nella grande raffineria di Kaduna. La benzina è uno dei tasti dolenti dell'economia nigeriana, incapace di coprire il fabbisogno. Così come l'elettricità. Che, quando c'è, funziona a singhiozzo. Pechino si impegnerà inoltre a costruire una centrale elettrica e una ferrovia. Senza contare l'opportunità di creare un mercato di sbocco per le sue merci. Così come è stato fatto in Angola, Mozambico e Sudan. Salgono così a 6,7 i miliardi (2,7 sono già stati pagati dalla major Cnooc per la quota di un giacimento) che la Cina sborserà in pochi mesi.


Possibili cause dell'aumento del petrolio. Costi record per la guerra in Iraq. Gli Stati Uniti, secondo le stime di un centro di ricerca indipendente, nel solo 2006 spenderanno 94 miliardi di dollari. Il Conflitto potrebbe diventare più oneroso di quello del Vietnam (550.000 miliardi di dollari in cifre attualizzate).

I Numeri dell'Iraq Spese in Miliardi di dollari:

anno 2003 48
anno 2004 59
anno 2005 81
anno 2006 94

Le spese in miliardi di dollari attualizzati per le altre guerre:

Guerra Civile (1861-1865) 69
Guerra delGolfo (1990-1991) 85
Prima Guerra Mondiale (1917-1918) 212
Guerra in Iraq (2003-2006) 282
Guerra di Corea (1950-1953) 373
Guerra in Vietnam (1964-1972) 549


Efficienza energetica L'Italia perde ancora colpi Col petrolio a più di 70 dollari il nostro sistema si allontana dai vertici. di Antonio Cianciullo Affari e Finanza di Repubblica 24 aprile 2006

E' un campanello d'allarme che suona con insistenza. Un'insisitenza crescente per i danni diretti che per la malattia di fondo che il sintomo segnala: la scarsa capacità reattiva e progettuale. Nonostante il petrolio abbia sfondato il tetto dei 70 dollari a barile, il sistema italiano continua a perdere colpi rispetto alla concorrenza sul fronte strategico dell'efficenza energetica. SEcondo il rapporto ambiente Italia 2004, per ogni milione di euro di Pil prodotto in Italia si consuma il 50% in più ripsetto alla Danimarca, il 28% in più rispetto all'Austria, il 14% in più rispetto all'Irlanda, l'11% in più rispetto alla Germania.
Un quadro che ha spinto la confindustria a reagire. Pasquale Pistorio, vicepresidente con delega per l'innovazione e la ricerca, ha aperto un pressing basato su un premio alle aziende più capaci d'innovazione e su una serie di incontri con gli imprenditori per mostrere i vantaggi pratici dell'efficenza sia in termini di bilanci che di Know How e brevetti.
E' un tema di grande importanza, ma dobbiamo onestamente riconoscere che finore la risposta non è stata entusiasmante, racconta Paolo Annunziato, direttore del settore ricerca e innovazione di Confindustria. Su un ciclo di 25 incontri organizzati su quattro temi - uso efficente delle tecnologie digitali, gestione totale della qualità, efficenza energetica e internazionalizzazione - solo due volte gli imprenditori direttamente interessati hanno chiesto di parlare di energia. Scontiamo un ritardo che rischia di comportare un danno complessivo per il sistema di produzione italiano, ma abbiamo anche la capacità potenziale dir eagire recuperando rapidamente. E le storie di successo delle nostre aziende lo dimostrano. Il caso più evidente è la St guidata proprio da Pasquale Pistorio: investendo il 17% all'anno in ricerca e sviluppo, il colosso della microelettronica è riuscito ad ottenere un utile netto, riferito al solo settore delle innovazioni in campo ambientale, pari a 140 milioni di dollari nel 2004. Ma anche aziende di dimensioni più modeste, ad esempio la Robur di Benito Guerra, vincitrice di uno dei premi della Confindustria sull'innovazione, hanno ottenuto prestazioni di rilievo: la Robur riesce ad esportare in Cina, Giappone e Corea sistemi per scaldare e raffreddare gli ambienti grazie all'efficienza energetica delle tecnologie brevettate.
E la Faam di Monterubbiano, in provincia di Fermo, restando attaccata alle sue radici marchigiane, è stata la prima azienda europea a ottenere la certificazione Emas nel settore degli accumulatori e oggi vende macchine elettriche a Barcellona come a Zurigo e ha aperto una joint-venture in Cina.
A fronte della pattuglia d'eccellenza delle industrie che continuano a conquistare brevetti e mercati, si allarga però la palude di un consumo energetico che a, a parità di prodotto, comporta un costo energetico crescente. Anche se in alcuni campi, ad esempio la produzione di energia elettrica, ci sono ampie fasce in controtendenza, l'andamento complessivo del sistema Italia è sconfortante. Basta una carrellata sui siti specializzati per avere gli ultimi aggiornamenti. Su www.qualenergia.it il fisico federico Butera ricorda che, mentre un'abitazione che si scalda con 15 chilowattora per metro quadrato non è più un caso eccezionale, la media europea resta oltre dieci volte più alta e il costo energetico per metro quadrato delle case italiane è doppio rispetto alla media europea.
Inoltre, come nota il Presidente dell'Associazione Italiana Economisti dell'Energia Edgardo Curcio su www.quotidianoenergia.it, il settore terziario (che va dal commercio al credito, dalla pubblica amminstrazione alle scuole) è quello che dal 2000 in poi ha registrato il maggior tasso di incremento dei consumi energetici, con una crescita del 16% l'anno. Uno spreco diffuso e generalizzato, che vede nel condizionamento una voce d'importanza crescente. Ed è impressionante notare come per tenere freschi i clienti le banche spendano una quantità di petrolio percentualmente comparabile a quella utilizzata dai supermercati per tenere freschi i formaggi: nel setore del credito la voce climatizzazione, riscaldamento e condizionamento pesa per il 47,6 per cento dei consumi elettrici; ai supermercati la refrigerazione e conservazione degli alimenti costa il 54,9% dei consumi elettrici.
"Il primato italiano in termini di efficienza energetica vacilla sempre più", nota Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, il cartello delle imprese impegnate in campo energetico. "Tra il 1990 e il 2000 la nostra intensità energetica è migliorata solo del 2% a fronte di un miglioramento medio europeo pari al 10%. Ma se le politiche di efficienza venissero spinte arrivando ad una riduzione di 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno al 2015, nei dieci settori che abbiamo analizzato si otterrebbe un fatturato pari a 52 miliardi di euro, con un incremento del 65% rispetto alle entrate dello scenario tendenziale."


LA PRODUZIONE MONDIALE DI ENERGIA SFIORA I 12 MILIARDI DI TONNELLATE EQUIVALENTI DI PETROLIO. Un TEP equivale a 16 MWh.

Il mondo e la fame di energia: un conflitto non necessario tra atomo e fonti rinnovabili

La corsa dei prezzi petroliferi e la perenne instabilità politica del Medio Oriente - alla quale bisogna aggiungere ora i sussulti dell’America Latina - hanno riportato alla ribalta il nucleare. Ogni volta che il costo dell’energia si avvicina al punto di rottura si registra un rinnovato interesse per le fonti alternative.
Finora l’attenzione si è concentrata in prevalenza sulle fonti rinnovabili - acqua, vento, sole, biomasse, maree - ma si fa strada sempre più frequentemente l’idea che il nucleare non è poi così brutto come lo si dipinge. La stretta energetica e i rischi incombenti sull’economia modificano la percezione del fenomeno e, dopo un lungo periodo di ostracismo, si torna a parlare del nucleare come di un’alternativa possibile.
Oggi la produzione mondiale di energia sfiora i 12 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio. Nel 2020 se ne produrrà un terzo in più, ma intanto i consumi potrebbero crescere ad un ritmo ancora più sostenuto. Ad esempio si ritiene che da qui al 2030 il fabbisogno di energia elettrica raddoppierà. Come potremo soddisfare questa voracità? Nonostante i continui miglioramenti nello sfruttamento delle fonti rinnovabili, il loro contributo resterà ancora per molto tempo poco più che marginale. Il nucleare rappresenta invece un’alternativa reale perché già oggi soddisfa il 16% della domanda mondiale di elettricità e ancor più ne potrà soddisfare domani.
Il paese che più di tutti ha puntato sul nucleare è stata la Francia (i suoi impianti producono più del 70% dell’elettricità che, sia detto per inciso, viene esportata anche nel nostro paese che ha chiuso le sue centrali come se il rischio nucleare si arrestasse alle frontiere e non fosse invece un pericolo globale). Seguono con percentuali un po’ meno sostenute il Belgio (circa il 60%), l’Ucraina e la Svezia con il 50%, seguite da Giappone, Corea del Sud, Germania, Spagna, Regno Unito e Usa, la cui produzione supera la media mondiale, mentre India e Cina sono ancora agli inizi.
Attualmente nel mondo sono in funzione 441 centrali, altre 24 sono in costruzione e 66 sono allo stato di progetto (di queste, 30 verranno costruite in Cina nei prossimi nove anni). I tre quarti degli impianti sono concentrati nel nord del pianeta dove la domanda di energia è più elevata, la tecnologia ben padroneggiata e i capitali disponibili (128 si trovano in America, 136 in Europa occidentale, 70 in Russia e nell’Europa orientale).
A 20 anni dal disastro di Cernobyl ci si chiede: possiamo fidarci del nucleare? I suoi detrattori si fanno forti dei rischi imponderabili che si corrono in caso di incidenti come quello accaduto nell’antiquata centrale sovietica; i suoi sostenitori ribattono che la tecnologia è molto progredita, che la fame di energia rischia di travolgere l’economia e di creare tensioni fra i grandi consumatori, che non esistono forme di energia che non alterino in qualche modo gli equilibri naturali del pianeta.
Tutti hanno la loro parte di ragione, ma ce l’ha soprattutto chi invita a non aspettarsi miracoli dal nucleare. «Per rimpiazzare un quarto della produzione mondiale di petrolio, sarebbero necessari 2.000 reattori simili a quelli attualmente in funzione», e gli investimenti raggiungerebbero i 3.000 miliardi di euro. Un traguardo non a portata di mano. Per questa ragione, nel 2020 l’87% della produzione mondiale di energia sarà rappresentata da carburanti fossili. Il che non dovrebbe scoraggiare dall’intensificare le ricerche perché, prima o poi, gas e petrolio si esauriranno e se non ci saremo preparati per tempo potrebbero scatenarsi conflitti inimmaginabili.
Giovanni Vigo

DISCORSO DI AHMADINEJAD AD UN VERTICE ECONOMICO A BAKU

L’Iran: «Nucleare su scala industriale»

Ahmadinejad ieri a BakuBAKU (Azerbaijan) - Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha dichiarato a Baku che il suo Paese vuole giungere a una produzione di combustibile nucleare - per uso civile - «su scala industriale». «Abbiamo intenzione di continuare la nostra attività sulla base del diritto internazionale e sotto controllo Aiea, fino a che non riusciremo a produrre combustibile nucleare su scala industriale per le nostre centrali», ha detto Ahmadinejad in un discorso scritto a un vertice economico regionale che si è svolto ieri nella capitale dell’Azerbaigian.
Il testo, consegnato alla France Presse, è la traduzione ufficiale del suo intervento al summit dell’Organizzazione di cooperazione economica. «Alcuni piccoli tiranni cercano di interferire in maniera insolente negli affari interni di altri Paesi (...) e organizzazioni internazionali sotto l’influenza delle superpotenze hanno perduto la loro funzione principale», ha aggiunto Ahmadinejad, secondo cui prevale il principio di «due pesi e due misure». Il presidente ha elogiato il programma nucleare iraniano - che per l’Occidente cela l’intenzione di sviluppare l’atomica - definendolo «una grande realizzazione per tutta la regione e per il mondo islamico». «Il nostro progresso serve la pace e non minaccia un solo Paese», ha aggiunto.


ENERGIA Per la costruzione del reattore di terza generazione Epr  Enel-Edf, alleanza nucleare. Alla società italiana verrà ceduto il 15% della produzione.

L’accordo Enel-Edf punta alla realizzazione di nuovi impianti
ROMA

EdF e Enel sarebbero ormai vicini alla firma dell’accordo che prevede una partecipazione dell’operatore italiano al progetto Epr, il reattore nucleare della terza generazione che ha avuto il via ufficiale alla sua costruzione in Francia. L’Ad di EdF, Pierre Gadonneix, ha dato infatti per «conclusa l’intesa con Enel anche se ancora il protocollo d’accordo non è stato ratificato».
Nel commentare in un’intervista al quotidiano Le Figaro l’esigenza e la redditività del nucleare, Gadonneix ha dichiarato che EdF, alla luce «del ritorno in forze del nucleare dovuto alla sua capacità di sostituirsi al petrolio» ha deciso di «restare sola ai comandi» del programma Epr, rifiutando l’offerta di numerosi operatori di associarsi. «Abbiamo semplicemente concluso un accordo con Enel, che stipula che il 12,5% della produzione del primo Epr gli sia consegnata» ha detto Gadonneix ricordando i termini concordati dal protocollo d’intesa. «In cambio - ha sempre ricordato l’ad di EdF - Enel finanzierà l’equivalente del 12,5% dell’investimento globale di 3,3 miliardi». L’altroieri il cda di EdF ha dato il via libera alla costruzione dell’Epr sul sito di Flamanville. Il lancio definitivo sarà dato dopo il benestare dell’Autorità della sicurezza nucleare. Secondo la tabella di marcia di EdF, il prototipo dovrebbe essere operativo nel 2012. Se l’Epr di Flamanville sarà all’altezza delle attese, EdF prevede di costruire un’altra decina di reattori verso il 2015, in tempo per la sostituzione prevista nel 2020 delle 19 centrali attuali che sono dotate complessivamente di 58 reattori. Secondo Gadonneix «la difesa dell’indipendenza energetica» della Francia «implica la scelta del nucleare». E intanto inizia con un trimestre complessivamente positivo il 2006 di Enel, spinto soprattutto dalla generazione elettrica che ha visto, a livello nazionale, una forte crescita di margini, prezzi e volumi di quantità prodotte, e dalle attività internazionali.
Queste le previsioni degli analisti che si aspettano per i risultati del primo trimestre del gruppo elettrico, che saranno comunicati al mercato il prossimo 11 maggio, una crescita dell’Ebitda attorno ai 2 miliardi (crescita attorno al 6% confrontata con il dato pro-forma perchè il dato del primo trimestre 2005 di 2,5 miliardi incorporava ancora Wind e Terna), l’Ebit a 1,5 miliardi mentre il consensus per l’utile netto è atteso sugli 800 milioni (a fronte di un risultato 2004 di 768 milioni).


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