COMITATO PER L'AMBIENTE E IL
RISPARMIO ENERGETICO DI BRESCIA
Il petrolio costa ora più o meno
intorno ai 70 dollari al barile. Tuttavia un "barile" contiene ben 158 litri
di petrolio, e facendo una semplice divisione ci accorgiamo che un litro del
prezioso greggio viene a costare 0,443 centesimi di euro e quindi in dollari
ancora meno. Poi chiaramente c'è da considerare la raffinazione per produrre
benzina, gasolio e via dicendo. Alla fine del processo industriale e della
commercializzazione quindi un litro di benzina viene a costare 0,20 euro
negli Emirati Arabi e ben 1,4 euro nella nostra ricca Italia (sic!!!)
In Italia poi, a fronte di un debito pubblico enorme e di un'incapacità per
niente inferiore, i nostri amministratori sono i meglio pagati d'Europa e
ogni fine mese incassano il triplo dei loro omologhi francesi e il doppio di
inglesi e tedeschi. Gli intellettuali invece, come i professori
universitari, guadagnano appena un terzo dei loro colleghi americani e
comunque anche molto meno di un semplice portaborse alle prime armi, ma
certamente molto di più di tutti i loro poveri colleghi del mondo della scuola,
della ricerca e dell'industria!! (Manager esclusi ovviamente!!)
Oro nero/ Il petrolio vola ai massimi. E' nuovo record
storico: 75,42$ Venerdí 07.07.2006 13:31
Il petrolio vola ai massimi Nuovo record storico: 75,42$ Continua la
corsa dell'oro nero. A New York, i future hanno raggiunto la quotazione
record di 75,42 dollari al barile: due cent in più del precedente massimo
dello scorso 5 luglio. A spingere verso l'alto il prezzo è stata la forte
domanda negli Stati Uniti in vista della stagione degli uragani. Oltre alle
tensioni in Medio Oriente e Corea del Nord. E' il prezzo piu alto di sempre
Gli uragani infiammano l'oro nero. A New York, i future hanno raggiunto la
quotazione record di 75,42 dollari al barile: due cent in più del precedente
massimo raggiunto lo scorso 5 luglio. A spingere verso l'alto il prezzo
dell'oro nero è stata la forte domanda negli Stati Uniti in che teme proprio
l'arrivo della stagione dei tornado. Non solo: ad accelerare la corsa anche
le le tensioni in Medio Oriente e Corea del Nord. E' il prezzo piu alto di
tutti i tempi. A rischio la crescita economica.
Sono i trasporti a far volare la richiesta di petrolio.
Nei consumi, sono in testa gli Usa, che bruciano un quarto del petrolio
mondiale (più di Ue e Giappone messi insieme)
La Bp avverte: per ogni barile prodotto ne consumiamo due. La Chevron
consiglia i clienti di prepararsi
alle nuove energie. I petrolieri tolgono i limiti all'estrazione.
Il picco del petrolio? Forse ci siamo: la produzione di greggio potrebbe
essere arrivata al suo massimo storico e c'è il rischio che d'ora in poi non
faccia altro che scendere. Scienziati ed economisti ne parlano da decenni,
dal 1956, per la precisione, quando il geologo americano Marion King Hubbert
predisse che l'estrazione del petrolio negli Stati Uniti sarebbe cresciuta
fino al 1970 per poi diminuire irrimediabilmente. Ci azzeccò: il picco fu
raggiunto nel '71. Ma la conferma non arrivò dai geologi, quanto dai
cartelli dei petrolieri. La Texas Railroad Commission, incaricata di
controllare la produzione, diede infatti a tutti il permesso di pompare al
massimo, perché una volta raggiunto il picco non ha più senso mantenere le
quote. La stessa cosa, ma su scala planetaria, è accaduta qualche settimana
fa: nella riunione dell'Opec, a inizio giugno a Caracas, i paesi membri
dell'organizzazione sono stati autorizzati a produrre alla massima capacità.
«Questo significa che siamo ufficialmente al picco» dice Ugo Bardi,
professore d1 chimica all'Università di Firenze e rappresentante italiano
dell'Aspo (Associazione per lo studio del picco del petrolio,
www.aspoitalia.net). «Da qui in poi ci aspettiamo una caduta della
produzione». E non la pensano così solo piccoli gruppi di studiosi. Anzi, il
segnale più
allarmante arriva dalla più ottimista delle forme di comunicazione, la
pubblicità, almeno nei paesi anglosassoni. La Bp ( Beyond Petroleum, oltre
il petrolio) avverte che per due barili consumati ormai se ne scopre solo
uno nuovo. La Shell ribadisce che trovare petrolio è sempre più difficile e
costoso. La Chevron consiglia addirittura i suoi clienti di prepararsi al
cambio del sistema energetico. Per alcuni tutto questo è solo il frutto di
una furba strategia di marketing , volta a giustificare i prezzi alti del
combustibile. Per altri, invece, le multinazionali dell'energia stanno
assumendo un atteggiamento più responsabile di fronte all'arrivo del "picco
del petrolio", dopo il quale la produzione non riuscirà più a stare dietro a
una domanda sempre crescente. Oggi gli spostamenti di auto, navi, e aerei
per il trasporto di persone e merci in tutto il mondo richiedono che ogni
giorno si possano bruciare 13 miliardi di litri di petrolio a basso costo.
Fino a quando durerà?
In Italia, dove sl consumano circa 1,8 milioni di barili di greggio al
giorno (un barile vale 159 litri), se ne parlerà Il 18-19 luglio a Pisa, in
un convegno organizzato proprio dall'Aspo. Tra i relatori, il geologo Jeremy
Legget, autore di Fine Corsa (Einaudi, pp. 387, 15,80 euro). «Non c'è la
minima possibilità che fra il 2008 ed il 2012 l'aumento di produzione
petrolifera riesca a compensare sia l'esaurimento delle riserve, che la
crescita della domanda», dice Legget. Ecco dunque il «picco del petrolio», a
essere ottimisti, di qui a 2-6 anni. Il mondo è in riserva, per usare il
titolo di un altro libro sul tema, scritto da Giovanni Battista Zorzoli e
Guglielmo Ragozzino (Franco Muzzio, pp. 167, 14 euro). «Se l'economia per
ora sembra reggere bene a prezzi del petrolio alti» dice Zorzoli «è anche
perché parte di quanto paghiamo ai paesi produttori di greggio ci torna
indietro come investimenti e acquisti. Ma non è detto che si possa
sopportare un prezzo del barile che potrebbe presto arrivare a 100-120
dollari». Insomma, l'attuale fase di prezzi alti, secondo l'Aspo, sarebbe il
primo segnale che, di fronte ad investimenti sempre più grandi, si hanno
ritorni di produzione petrolifera sempre più scarsi.
Per fortuna, però, non tutti vedono la situazione così nera. «Gli esperti
dell'Eni e del Cambridge Energy Research Associates, ritengono che di
petrolio ci sia ancora grande abbondanza e che il picco produttivo arriverà
non prima di venti, trent'anni», dice Edgardo Curcio, dell'Associazione
italiana economisti per l'energia. «Per loro l'attuale fase di prezzi alti
dipende dal fatto che negli anni Novanta il greggio costava così poco da
scoraggiare investimenti nella ricerca. Inoltre, da qualche decennio, per
ragioni politiche, le zone più ricche di greggio, come Iran, Iraq o Arabia
Saudita, non sono raggiunte da investimenti e tecnologie avanzate. Adesso
che la domanda di petrolio è schizzata in alto, trainata da Cina e Usa, la
capacità produttiva mondiale, per rimettersi in moto ha bisogno di tempo e
di una robusta iniezione di capitali e tecnologie». Secondo questi esperti
l'attuale crescita annua del 20 per cento degli investimenti in ricerca e
produzione dovrebbe ripristinare entro il 2010-2015 un'adeguata capacità di
riserva, facendo scendere i prezzi.
Proprio nella tecnologia sono riposte le speranze di chi non vuole rimanere
a secco. Si sta cercando di sviluppare, per
esempio, sistemi che permettano di sfruttare un giacimento fino all'ultima
goccia. Quando si scava un pozzo, il greggio schizza fuori spontaneamente,
perché tenuto sotto pressione, dall'acqua sotto di lui e dal gas sopra. Ma
dopo aver estratto il 15-20 per cento del greggio la pressione finisce e il
petrolio residuo, che ancora impregna la roccia porosa, sarebbe destinato a
rimanere sottoterra per sempre. Così entrano in gioco tecniche di «recupero
assistito» sempre più raffinate. In comune hanno il concetto di base:
ripristinare la pressione perduta, iniettando sotto terra, a seconda delle
varie situazionì, acqua, anidride carbonica o la parte più densa del
petrolio stesso, in modo che il greggio sia espulso dai pori e arrivi nei
pozzi. In alcuni casi si inietta anche vapore, che ha il vantaggio ulteriore
di scaldare il petrolio, rendendolo meno denso.
È anche grazie questi sistemi se paesi come gli Usa sono riusciti a
prolungare di qualche decennio la vita delle proprie riserve petrolifere,
visto che permettono di estrarre fino al 50-60 per cento del petrolio
esistente sottoterra. Il problema è che costano e consumano energia,
rendendo meno conveniente, dal punto di vista economico, l'estrazione del
petrolio ed il bilancio energetico del suo utilizzo.
Stesso problema per il petrolio «non convenzionale», quello proveniente da
fondali marini a più di 500 metri di
profondità o estratto da sabbie impregnate di bitume. Già ora sta aiutando a
mantenere costante la produzione, ma è molto costoso. All'inizio dell'era
del petrolio, per ogni litro di greggio consumato in ricerca e produzione,
se ne ricavavano cento. Oggi per il petrolio «convenzionale» il rapporto è
sceso a 15 a l. E nel caso dei petroli «non convenzionali» supera di poco
quell' 1 a 1 che renderebbe del tutto inutile la loro estrazione. Ricavare
petrolio dalle sabbie bituminose, implica per esempio l'uso di enormi
quantità di metano e acqua, per produrre il vapore necessario alla sua
estrazione.
«L'unico modo per stare al passo« spiega il geologo del Cnr Davide Scrocca
«sarebbe quello di scoprire ogni anno grandi giacimenti e metterli
rapidamente in produzione. Ma l'ultima scoperta di un grande giacimento,
quello da dodici miliardi di barili di Kashagan, nel Kazakistan, risale al
2000. Dopo di allora si sono trovati solo "pesci piccoli". Certo, si
potranno ancora scoprire giacimenti minori, intorno a quelli già noti,
sfruttare quelli nelle profondità marine o nelle zone artiche, ma sarà
petrolio costoso da estrarre e difficile da portare sui mercati. Occorre
prepararsi, come stanno facendo Islanda, Svezia o Germania, che già lavorano
a sistemi energetici no oil. Quando, scendendo dal picco, scivoleremo verso
un modo senza petrolio, loro avranno una marcia in più. Alex Saragosa
Il Venerdi di Repubblica
Veicoli Elettrici
Vantaggi. L'elettricità può provenire da fonti diverse, anche rinnovabili.
Non emettono inquinanti, ne CO2. Svantaggi. La concentrazione energetica
delle batterie è minore rispetto al petrolio. Prestazioni scarse.
Carburanti artificiali
Vantaggi. Ricavati da metano o carbone, hanno caratteristiche identiche al
petrolio. Svantaggi. Per produrli occorre denaro, molta energia e
inquinamento. derivano da combustibili fossili, quindi limitati e sempre più
costosi.
Biocarburanti
Vantaggi. Sono molto simili ai derivati del petrolio, ma inquinano assai
meno. Sono già ben testati e largamente in uso. Svantaggi. Per coltivarli
serve energia, quindi la loro resa energetica totale è piuttosto modesta.
Idrogeno
Vantaggi. Può provenire da tante fonti diverse, anche rinnovabili. Non
inquina ne produce CO2. Svantaggi. Difficile da immagazzinare, ha resa
bassissima, mentre le celle a combustibile sono ancora delicate.
Metano
Vantaggi. I motori a metano sono in uso da decenni e sono meno inquinanti di
quelli a petrolio. Svantaggi. Il metano è comunque una fonte fossile,
costosa e anch'essa limitata, esattamente come il petrolio.
Prezzo del greggio alle stelle ,e dirigenti iperpagati di
J. Alex Tarquinio
Convocati nell'autunno scorso davanti a una sottocommissione del Senato
degli Stati Uniti per spiegare i profitti record del loro settore
industriale, cinque alti dirigenti di grandi compagnie energetiche hanno
dichiarato con voce unanime di non aver potuto esercitare alcun controllo
sui prezzi, stabiliti dai mercati globali del petrolio. Lee R. Raymond,
all'epoca presidente e amministratore delegato della Exxon Mobil, ha perfino
rievocato i tempi, negli anni Novanta, quando le compagnie energetiche
stentavano ad andare avanti per il record dei prezzi bassi raggiunti dal
petrolio. "La gente deve capire che noi lavoriamo per un settore industriale
di beni per il consumo che ha i suoi alti e i suoi bassi", ha detto.
Ma ora che le società energetiche rivelano i bonus di fine anno accordati
nel dicembre scorso - appena un mese dopo l'udienza - è evidente che molti
alti dirigenti non si sono. fatti molti scrupoli di accettare pagamenti
record, anche
se basati su profitti generati dai medesimi alti prezzi del petrolio per i
quali dicono di non poter fare nulla.
Raymond ha ricevuto un pacchetto di compensi del valore di 140 milioni di
dollari l'anno Scorso, comprendente contanti, azioni, opzioni e un piano
pensíonistico. Secondo una dichiarazione fatta di recente per procura dalla
Exxon alla Commissione per il controllo della Borsa e dei titoli, ha ancora
diritto a ricevere azioni, opzioni e pagamenti a lungo termine per, un
corrispettivo di altri 258 milioni di dollari.
Il 31 dicembre ha lasciato la Exxon ed è andato in pensione. Alcuni esperti
di compensi trovano strano che il premio sia stato concesso poco prima della
pensione, visto che le azioni vincolate sono considerate uno strumento per
trattenere all'interno delle società i dirigenti più importanti e far sì che
restino concentrati sul lungo termine.
Ray R. Irani, direttore generale dell'Occidental Petroleum, l'anno scorso ha
ricevuto circa 63 milioni di dollari nel complesso, con un aumento di oltre
il 50% rispetto all'anno precedente. Nel corso degli ultimi tre anni, Irani
ha messo in tasca più di 135 milioni di dollari, quasi tutti in opzioni e
azioni vincolate. "Abbiamo visto numerosi amministratori delegati di società
energetiche trascinati davanti al Congresso per spiegare gli aumenti
eccessivi del prezzo della benzina", dice Patrick McGurn, dell'Institutional
Shareholder Services, di Rockville, nel Maryland. "E adesso pare proprio che
un bel po' degli utili in eccesso siano finiti a Ray Irani."
Lo stipendio dei dirigenti nell'industria energetica non può essere legato a
un sistema di rilevazione preciso, per esempio le dimensioni della società,
ma pare che una costante vi sia: i dirigenti del settore energetico sono
retribuiti molto di più dei colleghi che lavorano in società altrettanto
importanti di altri settori. John P. Surma Jr., amministratore delegato di
U. S. Steel, per esempio, l'anno scorso ha ricevuto una retribuzione di 6,7
milioni di dollari; Alain J. P. Belda, di Alcoa, che produce alluminio, 7,5
milioni. Mentre John G. Drosdick, amministratore delegato della Sunoco -
società petrolifera con utili assimilabili a quelli di U. S. Steel e Alcoa -
ne ha ricevuti quasi 23.
Paul Hodgson, ricercatore della Corporate Library,una società di ricerche di
Portland nel Maine, dice che le società energetiche spesso giustificano gli
alti stpendi affermando che atrimenti non riuscirebbero a trattenere i
dirigenti di talento. Tuttavia questo "è del tutto illogico", dice, perché
società come la Kinder Morgan ne fanno "benissimo a meno". Richard D. Kinder,
presidente e amministratore delegato della Kinder Morgan, una società di
prodotti petroliferi di Houston, riceve uno stipendio annuale di un solo
dollaro, senza bonus; senza opzioni e senza azioni vincolate. I suoi
entroiti derivano dai dividendi delle azioni della Kinder che egli ha
accumulato in quanto co-fondatore. Kinder dice che bonus troppo robusti e
fringe benefit vistosi non si addicono alla cultura della Kinder Morgan, i
cui stipendi hanno un tetto massimo di 200.000 dollari l'anno.
CARBURANTI Sfondata la soglia di 1,4 euro al litro: è
emergenza La verde ci manda in rosso Il ministro Bersani
assicura: inizia il monitoraggio dei listini
ROMA. ITALIA. Gli italiani si mettono al volante per l’esodo estivo con la
benzina che sfonda per la prima volta la soglia di 1,4 euro al litro. Un
rincaro che porta il costo di un pieno di un’auto di media-grande cilindrata
a oltre 70 euro, l’11% in più rispetto allo scorso anno, e che pone l’Italia
sempre più ai vertici del caro-carburante in Europa. La situazione non può
che allarmare il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, che
assicura un attento monitoraggio del comportamento dei petrolieri, da tempo
accusati dai consumatori di essere rapidi nei rialzi e non altrettanto
pronti nelle riduzioni.
A mettere mano al listino sono stati i marchi Api e Ip, dove la benzina
senza piombo costa da oggi 1,409 euro al litro: l’aumento rispetto a ieri è
di 0,010 euro. Gli altri principali marchi restano invece al di sotto di
questa nuova soglia psicologica, fermandosi tutti (tranne la Erg, a 1,394) a
1,399 euro. Anche il gasolio mette l’acceleratore, anche se con 1,229 euro
di Api e Ip non sfonda il massimo di 1,245 segnato il 6 maggio scorso. Tutte
cattive notizie per chi deve mettersi in viaggio in questi giorni e che, su
autostrade e tangenziali, come anche in alcune località di villeggiatura più
disagiate dal punto di vista dei rifornimenti, troverà prezzi ancora più
alti in virtù dei differenziali di prezzo previsti.
Secondo l’Adusbef, infatti, in alcune isole e in Campania e Molise (regioni
dove sono in vigore differenziali decisi dagli enti locali in seguito ai
tagli dei trasferimenti nazionali per la sanità) i prezzi già sfiorano 1,5
euro al litro. Insomma, ai prezzi attuali, calcola l’associazione, un pieno
di 50 litri di benzina costa 7,5 euro in più rispetto allo scorso anno.
Su altri differenziali si interroga invece Bersani, preoccupato per il
divario di prezzo tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione europea: «Si
può riconoscere - ha spiegato il ministro nel corso della trasmissione Radio
anch’io - una forbice con i prezzi europei in ragione della struttura della
rete, ma deve essere quella e, se possibile, deve diminuire, non può
aumentare». A guardare i dati presenti sul sito del ministero, in effetti,
si vede che in Italia il prezzo al consumo è del 14% superiore rispetto alla
media Ue e che nel giro di un anno il divario è per l’appunto aumentato, da
0,168 a 0,173 euro al litro. Anche sul fronte del prezzo industriale le cose
non vanno benissimo: in Italia è del 5,5% superiore al resto d’Europa. «Per
capire meglio come vanno le cose - ha quindi detto Bersani - stiamo mettendo
insieme un osservatorio sui prezzi e dando un’occhiata a come si comportano
i petrolieri». Il Codacons chiede quindi all’Antitrust di prendere
«immediati provvedimenti cautelativi contro queste enormi differenze di
prezzo tra Italia e Ue, accertando le speculazioni legate ai prezzi dei
carburanti, che puntualmente si impennano alla vigilia di ogni esodo».
A pesare sui prezzi, in ogni caso, è ovviamente il caro-petrolio, con il
record di 78,40 dollari fatto segnare nella notte tra giovedì e venerdì
scorsi, in concomitanza con il riacutizzarsi degli scontri in Medio Oriente.
La Cina investe in Nigeria
E' solo l'ultimo investimento in ordine di tempo. Ma è tra i più grandi mai
realizzati finora da Pechino. Forse il più grande nel continente africano.
Sono quattro i miliardi di dollari che la Cina investirà in Nigeria. Un
fiume di denaro destinato alla costruzione di varie infrastrutture. La
contropartita è, naturalmente, il petrolio. Nella fattispecie il diritto di
prelazione su quattro licenze per lo sfruttamento di altrettanti blocchi
petroliferi. La notizia è stata confermata da Tony Chukueke, responsabile
del Dipartimento Risorse petrolifere nigeriane.
L'ennesima conferma di quanto il colosso asiatico,nel tentativo di
soddisfare la sua economia energivora, abbia eletto l'Africa il terreno di
caccia ideale per gli approvvigionamenti. Non andando troppo per il sottile
sul fronte della trasparenza, investendo in aree a rischio e in paesi
accusati di violare i diritti umani. Infatti nonostante gli sforzi del
Governo, la Nigeria resta uno dei Paesi più corrotti al mondo. E rischiosi.
Da metà febbraio la guerriglia nel Delta del Niger sta sottraendo quasi il
25% della produzione petrolifera. Ironia della sorte, l'annuncio del
maxi-affare arriva il giorno dopo che la Exxon Mobil ha ritirato il
personale non essenziale dei suoi impianti situati nell'area orientale del
Delta. Non troppo distante da due dei blocchi petroliferi oggetto
dell'accordo. Agli occhi di Abuja, la Cina è l'investitore ideale. Soddisfa
le richieste e dispone di un invidiabile portafoglio di liquidità. L'accordo
prevede che Pechino acquisterà la quota di controllo nella grande raffineria
di Kaduna. La benzina è uno dei tasti dolenti dell'economia nigeriana,
incapace di coprire il fabbisogno. Così come l'elettricità. Che, quando c'è,
funziona a singhiozzo. Pechino si impegnerà inoltre a costruire una centrale
elettrica e una ferrovia. Senza contare l'opportunità di creare un mercato
di sbocco per le sue merci. Così come è stato fatto in Angola, Mozambico e
Sudan. Salgono così a 6,7 i miliardi (2,7 sono già stati pagati dalla major
Cnooc per la quota di un giacimento) che la Cina sborserà in pochi mesi.
Possibili cause dell'aumento del
petrolio. Costi record per la guerra in Iraq. Gli Stati Uniti, secondo le
stime di un centro di ricerca indipendente, nel solo 2006 spenderanno 94
miliardi di dollari. Il Conflitto potrebbe diventare più oneroso di quello
del Vietnam (550.000 miliardi di dollari in cifre attualizzate).
I Numeri dell'Iraq Spese in Miliardi di dollari:
anno 2003 48
anno 2004 59
anno 2005 81
anno 2006 94
Le spese in miliardi di dollari attualizzati per le altre guerre:
Guerra Civile (1861-1865) 69
Guerra delGolfo (1990-1991) 85
Prima Guerra Mondiale (1917-1918) 212
Guerra in Iraq (2003-2006) 282
Guerra di Corea (1950-1953) 373
Guerra in Vietnam (1964-1972) 549
Efficienza energetica L'Italia perde ancora colpi Col
petrolio a più di 70 dollari il nostro sistema si allontana dai vertici. di
Antonio Cianciullo Affari e Finanza di Repubblica 24 aprile 2006
E' un campanello d'allarme che suona con insistenza. Un'insisitenza
crescente per i danni diretti che per la malattia di fondo che il sintomo
segnala: la scarsa capacità reattiva e progettuale. Nonostante il petrolio
abbia sfondato il tetto dei 70 dollari a barile, il sistema italiano
continua a perdere colpi rispetto alla concorrenza sul fronte strategico
dell'efficenza energetica. SEcondo il rapporto ambiente Italia 2004, per
ogni milione di euro di Pil prodotto in Italia si consuma il 50% in più
ripsetto alla Danimarca, il 28% in più rispetto all'Austria, il 14% in più
rispetto all'Irlanda, l'11% in più rispetto alla Germania.
Un quadro che ha spinto la confindustria a reagire. Pasquale Pistorio,
vicepresidente con delega per l'innovazione e la ricerca, ha aperto un
pressing basato su un premio alle aziende più capaci d'innovazione e su una
serie di incontri con gli imprenditori per mostrere i vantaggi pratici dell'efficenza
sia in termini di bilanci che di Know How e brevetti.
E' un tema di grande importanza, ma dobbiamo onestamente riconoscere che
finore la risposta non è stata entusiasmante, racconta Paolo Annunziato,
direttore del settore ricerca e innovazione di Confindustria. Su un ciclo di
25 incontri organizzati su quattro temi - uso efficente delle tecnologie
digitali, gestione totale della qualità, efficenza energetica e
internazionalizzazione - solo due volte gli imprenditori direttamente
interessati hanno chiesto di parlare di energia. Scontiamo un ritardo che
rischia di comportare un danno complessivo per il sistema di produzione
italiano, ma abbiamo anche la capacità potenziale dir eagire recuperando
rapidamente. E le storie di successo delle nostre aziende lo dimostrano. Il
caso più evidente è la St guidata proprio da Pasquale Pistorio: investendo
il 17% all'anno in ricerca e sviluppo, il colosso della microelettronica è
riuscito ad ottenere un utile netto, riferito al solo settore delle
innovazioni in campo ambientale, pari a 140 milioni di dollari nel 2004. Ma
anche aziende di dimensioni più modeste, ad esempio la Robur di Benito
Guerra, vincitrice di uno dei premi della Confindustria sull'innovazione,
hanno ottenuto prestazioni di rilievo: la Robur riesce ad esportare in Cina,
Giappone e Corea sistemi per scaldare e raffreddare gli ambienti grazie
all'efficienza energetica delle tecnologie brevettate.
E la Faam di Monterubbiano, in provincia di Fermo, restando attaccata alle
sue radici marchigiane, è stata la prima azienda europea a ottenere la
certificazione Emas nel settore degli accumulatori e oggi vende macchine
elettriche a Barcellona come a Zurigo e ha aperto una joint-venture in Cina.
A fronte della pattuglia d'eccellenza delle industrie che continuano a
conquistare brevetti e mercati, si allarga però la palude di un consumo
energetico che a, a parità di prodotto, comporta un costo energetico
crescente. Anche se in alcuni campi, ad esempio la produzione di energia
elettrica, ci sono ampie fasce in controtendenza, l'andamento complessivo
del sistema Italia è sconfortante. Basta una carrellata sui siti
specializzati per avere gli ultimi aggiornamenti. Su www.qualenergia.it il
fisico federico Butera ricorda che, mentre un'abitazione che si scalda con
15 chilowattora per metro quadrato non è più un caso eccezionale, la media
europea resta oltre dieci volte più alta e il costo energetico per metro
quadrato delle case italiane è doppio rispetto alla media europea.
Inoltre, come nota il Presidente dell'Associazione Italiana Economisti
dell'Energia Edgardo Curcio su www.quotidianoenergia.it, il settore
terziario (che va dal commercio al credito, dalla pubblica amminstrazione
alle scuole) è quello che dal 2000 in poi ha registrato il maggior tasso di
incremento dei consumi energetici, con una crescita del 16% l'anno. Uno
spreco diffuso e generalizzato, che vede nel condizionamento una voce
d'importanza crescente. Ed è impressionante notare come per tenere freschi i
clienti le banche spendano una quantità di petrolio percentualmente
comparabile a quella utilizzata dai supermercati per tenere freschi i
formaggi: nel setore del credito la voce climatizzazione, riscaldamento e
condizionamento pesa per il 47,6 per cento dei consumi elettrici; ai
supermercati la refrigerazione e conservazione degli alimenti costa il 54,9%
dei consumi elettrici.
"Il primato italiano in termini di efficienza energetica vacilla sempre
più", nota Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, il cartello delle
imprese impegnate in campo energetico. "Tra il 1990 e il 2000 la nostra
intensità energetica è migliorata solo del 2% a fronte di un miglioramento
medio europeo pari al 10%. Ma se le politiche di efficienza venissero spinte
arrivando ad una riduzione di 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica
all'anno al 2015, nei dieci settori che abbiamo analizzato si otterrebbe un
fatturato pari a 52 miliardi di euro, con un incremento del 65% rispetto
alle entrate dello scenario tendenziale."
LA PRODUZIONE MONDIALE DI ENERGIA SFIORA I 12 MILIARDI DI
TONNELLATE EQUIVALENTI DI PETROLIO. Un TEP equivale a 16 MWh.
Il mondo e la fame di energia: un conflitto non necessario tra atomo e fonti
rinnovabili
La corsa dei prezzi petroliferi e la perenne instabilità politica del Medio
Oriente - alla quale bisogna aggiungere ora i sussulti dell’America Latina -
hanno riportato alla ribalta il nucleare. Ogni volta che il costo
dell’energia si avvicina al punto di rottura si registra un rinnovato
interesse per le fonti alternative.
Finora l’attenzione si è concentrata in prevalenza sulle fonti rinnovabili -
acqua, vento, sole, biomasse, maree - ma si fa strada sempre più
frequentemente l’idea che il nucleare non è poi così brutto come lo si
dipinge. La stretta energetica e i rischi incombenti sull’economia
modificano la percezione del fenomeno e, dopo un lungo periodo di
ostracismo, si torna a parlare del nucleare come di un’alternativa
possibile.
Oggi la produzione mondiale di energia sfiora i 12 miliardi di tonnellate
equivalenti di petrolio. Nel 2020 se ne produrrà un terzo in più, ma intanto
i consumi potrebbero crescere ad un ritmo ancora più sostenuto. Ad esempio
si ritiene che da qui al 2030 il fabbisogno di energia elettrica
raddoppierà. Come potremo soddisfare questa voracità? Nonostante i continui
miglioramenti nello sfruttamento delle fonti rinnovabili, il loro contributo
resterà ancora per molto tempo poco più che marginale. Il nucleare
rappresenta invece un’alternativa reale perché già oggi soddisfa il 16%
della domanda mondiale di elettricità e ancor più ne potrà soddisfare
domani.
Il paese che più di tutti ha puntato sul nucleare è stata la Francia (i suoi
impianti producono più del 70% dell’elettricità che, sia detto per inciso,
viene esportata anche nel nostro paese che ha chiuso le sue centrali come se
il rischio nucleare si arrestasse alle frontiere e non fosse invece un
pericolo globale). Seguono con percentuali un po’ meno sostenute il Belgio
(circa il 60%), l’Ucraina e la Svezia con il 50%, seguite da Giappone, Corea
del Sud, Germania, Spagna, Regno Unito e Usa, la cui produzione supera la
media mondiale, mentre India e Cina sono ancora agli inizi.
Attualmente nel mondo sono in funzione 441 centrali, altre 24 sono in
costruzione e 66 sono allo stato di progetto (di queste, 30 verranno
costruite in Cina nei prossimi nove anni). I tre quarti degli impianti sono
concentrati nel nord del pianeta dove la domanda di energia è più elevata,
la tecnologia ben padroneggiata e i capitali disponibili (128 si trovano in
America, 136 in Europa occidentale, 70 in Russia e nell’Europa orientale).
A 20 anni dal disastro di Cernobyl ci si chiede: possiamo fidarci del
nucleare? I suoi detrattori si fanno forti dei rischi imponderabili che si
corrono in caso di incidenti come quello accaduto nell’antiquata centrale
sovietica; i suoi sostenitori ribattono che la tecnologia è molto
progredita, che la fame di energia rischia di travolgere l’economia e di
creare tensioni fra i grandi consumatori, che non esistono forme di energia
che non alterino in qualche modo gli equilibri naturali del pianeta.
Tutti hanno la loro parte di ragione, ma ce l’ha soprattutto chi invita a
non aspettarsi miracoli dal nucleare. «Per rimpiazzare un quarto della
produzione mondiale di petrolio, sarebbero necessari 2.000 reattori simili a
quelli attualmente in funzione», e gli investimenti raggiungerebbero i 3.000
miliardi di euro. Un traguardo non a portata di mano. Per questa ragione,
nel 2020 l’87% della produzione mondiale di energia sarà rappresentata da
carburanti fossili. Il che non dovrebbe scoraggiare dall’intensificare le
ricerche perché, prima o poi, gas e petrolio si esauriranno e se non ci
saremo preparati per tempo potrebbero scatenarsi conflitti inimmaginabili.
Giovanni Vigo
DISCORSO DI AHMADINEJAD AD UN VERTICE ECONOMICO A BAKU
L’Iran: «Nucleare su scala industriale»
Ahmadinejad ieri a BakuBAKU (Azerbaijan) - Il presidente iraniano Mahmud
Ahmadinejad ha dichiarato a Baku che il suo Paese vuole giungere a una
produzione di combustibile nucleare - per uso civile - «su scala
industriale». «Abbiamo intenzione di continuare la nostra attività sulla
base del diritto internazionale e sotto controllo Aiea, fino a che non
riusciremo a produrre combustibile nucleare su scala industriale per le
nostre centrali», ha detto Ahmadinejad in un discorso scritto a un vertice
economico regionale che si è svolto ieri nella capitale dell’Azerbaigian.
Il testo, consegnato alla France Presse, è la traduzione ufficiale del suo
intervento al summit dell’Organizzazione di cooperazione economica. «Alcuni
piccoli tiranni cercano di interferire in maniera insolente negli affari
interni di altri Paesi (...) e organizzazioni internazionali sotto
l’influenza delle superpotenze hanno perduto la loro funzione principale»,
ha aggiunto Ahmadinejad, secondo cui prevale il principio di «due pesi e due
misure». Il presidente ha elogiato il programma nucleare iraniano - che per
l’Occidente cela l’intenzione di sviluppare l’atomica - definendolo «una
grande realizzazione per tutta la regione e per il mondo islamico». «Il
nostro progresso serve la pace e non minaccia un solo Paese», ha aggiunto.
ENERGIA Per la costruzione del reattore di terza generazione Epr
Enel-Edf, alleanza nucleare. Alla società italiana verrà ceduto il 15% della
produzione.
L’accordo Enel-Edf punta alla realizzazione di nuovi impianti
ROMA
EdF e Enel sarebbero ormai vicini alla firma dell’accordo che prevede una
partecipazione dell’operatore italiano al progetto Epr, il reattore nucleare
della terza generazione che ha avuto il via ufficiale alla sua costruzione
in Francia. L’Ad di EdF, Pierre Gadonneix, ha dato infatti per «conclusa
l’intesa con Enel anche se ancora il protocollo d’accordo non è stato
ratificato».
Nel commentare in un’intervista al quotidiano Le Figaro l’esigenza e la
redditività del nucleare, Gadonneix ha dichiarato che EdF, alla luce «del
ritorno in forze del nucleare dovuto alla sua capacità di sostituirsi al
petrolio» ha deciso di «restare sola ai comandi» del programma Epr,
rifiutando l’offerta di numerosi operatori di associarsi. «Abbiamo
semplicemente concluso un accordo con Enel, che stipula che il 12,5% della
produzione del primo Epr gli sia consegnata» ha detto Gadonneix ricordando i
termini concordati dal protocollo d’intesa. «In cambio - ha sempre ricordato
l’ad di EdF - Enel finanzierà l’equivalente del 12,5% dell’investimento
globale di 3,3 miliardi». L’altroieri il cda di EdF ha dato il via libera
alla costruzione dell’Epr sul sito di Flamanville. Il lancio definitivo sarà
dato dopo il benestare dell’Autorità della sicurezza nucleare. Secondo la
tabella di marcia di EdF, il prototipo dovrebbe essere operativo nel 2012.
Se l’Epr di Flamanville sarà all’altezza delle attese, EdF prevede di
costruire un’altra decina di reattori verso il 2015, in tempo per la
sostituzione prevista nel 2020 delle 19 centrali attuali che sono dotate
complessivamente di 58 reattori. Secondo Gadonneix «la difesa
dell’indipendenza energetica» della Francia «implica la scelta del
nucleare». E intanto inizia con un trimestre complessivamente positivo il
2006 di Enel, spinto soprattutto dalla generazione elettrica che ha visto, a
livello nazionale, una forte crescita di margini, prezzi e volumi di
quantità prodotte, e dalle attività internazionali.
Queste le previsioni degli analisti che si aspettano per i risultati del
primo trimestre del gruppo elettrico, che saranno comunicati al mercato il
prossimo 11 maggio, una crescita dell’Ebitda attorno ai 2 miliardi (crescita
attorno al 6% confrontata con il dato pro-forma perchè il dato del primo
trimestre 2005 di 2,5 miliardi incorporava ancora Wind e Terna), l’Ebit a
1,5 miliardi mentre il consensus per l’utile netto è atteso sugli 800
milioni (a fronte di un risultato 2004 di 768 milioni).
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