La Filosofia del Daimon Club. Nuovi stimoli per la ricerca e la creatività.
Questa raccolta di articoli, di piccoli
saggi e di varie osservazioni non vuole essere altro che una riflessione culturale sul
mondo della ricerca, dell'università, della scuola e della conoscenza, in pratica
sull'universo della nostra umanità cognitiva e sui mezzi che abbiamo per diffonderla.
Consapevoli con André Breton che il nostro sapere rispetto alla nostra ignoranza è poca
cosa noi vogliamo veicolare con le nostre parole, con le nostre idee e le nostre
iniziative un modo originale, progressista e dinamico di intendere l'educazione e la
diffusione delle risorse intellettive del nostro pianeta. In ogni caso la nostra filosofia
che sta alla base del nostro progetto culturale si rifà all'"etica della
conoscenza" di Monod e si fonda oltre che su una concezione olistica del sapere anche
sulla completa fede nella continua ricerca e nella continua sperimentazione, sola ed unica
possibilità di migliorare le nostre potenzialità e quindi anche la nostra esistenza.
Consapevoli dunque che l'unica cosa che può ormai dare un seppur labile scopo alla nostra
vita non può essere altro che una continua ed interminabile ricerca dei fondamenti
scientifici della nostra realtà noi vogliamo impegnarci affinché tutti si rendano conto
che il sapere, le sue fondamenta e tutti i mezzi per diffonderlo ed ampliarlo devono
essere resi pubblici e disponibili a tutti i cittadini del mondo, è infatti solo in
questo modo che possiamo elevare la qualità della nostra permanenza su questa bizzarra
navicella spaziale. Pertanto deve essere un concetto basilare e consolidato che la scuola,
l'educazione permanente e la ricerca disciplinare ed interdisciplinare devono essere
patrimonio di tutti e devono essere alla base del nostro cammino quotidiano, senza
diventare motivo di scontri politici, economici o peggio ancora marziali. I nostri peggior
nemici sono la nostra ignoranza e la nostra stupidità, insieme e con il contributo di
tutti, dobbiamo cercare di eliminarli. Proprio per queste ragioni nasce e si sviluppa
l'opera di Carl William Brown e del Daimon Club ed è sempre per queste ragioni che i
membri di questa associazione si impegnano affinché questo modo di intendere l'attività
culturale si diffonda sempre più e riesca nel prossimo futuro a coinvolgere in un
progetto via via più articolato ulteriori personaggi e sempre nuove energie.
Da ciò nasce l'idea di un forum nazionale sulla Teoria
della Letteratura, da intendersi ispirato alla concezione dell'arte per il progresso
come la concepiva V. Hugo e meno all'idea di arte per l'arte secondo l'estetica di T.
Gautier, che vuole essere anche una palestra di discussione sulla conoscenza e sulla
didattica, non escludendo ovviamente alcun tipo di letteratura, compreso ovviamente quella
più decisamente e profondamente scientifica e sperimentale.
Facendo largo uso della nostra esperienza creativa largamente rappresentata all'interno
del nostro sito e confidando in tutte quelle realtà sociali ed artistiche che per loro
natura si sentono vicine al nostro modo di pensare e di operare noi vogliamo veicolare il
principio che la ricerca va sviluppata, incrementata ed agevolata affinché tutti possano
essere impiegati in un lavoro proficuo per l'umanità e per il suo miglioramento. In ciò
gli intellettuali, gli studiosi, i ricercatori, i politici, gli economisti e gli
imprenditori devono offrire tutte le loro capacità in modo tale che le nostre migliori
energie ed le fatiche di tutti gli esseri umani non vadano sprecate in lavori inutili e
nocivi.
Per questo invitiamo tutti a collaborare, nessuno escluso, e a prendere parte alle nostre
iniziative e ai nostri progetti, magari ampliandoli e facendone nascere sempre di nuovi.
E' chiaro che se questa nuova filosofia della conoscenza non farà in modo che nel mondo
si possa raggiungere una maggior eguaglianza e maggiori possibilità per tutti, le nostre
speranze saranno fustigate e nello stesso tempo non si potenzieranno i mezzi per aumentare
il nostro sviluppo ed il nostro benessere, ma al contrario si fomenteranno ancora attriti,
contrasti, scontri, guerre ed il mondo regredirà in maniera traumatica. Serve uno sforzo
globale e di tutti gli uomini di buona volontà, dimenticando una volta per tutte il
proprio egoismo, la propria vanità, la propria meschinità, e soprattutto i propri
privilegi.
Con Leopardi noi siamo fin troppo consapevoli che più si sa, più il mondo scema e
perciò vogliamo dare un forte impulso affinché la povertà e la miseria che ancora
animano il nostro pianeta alla fine scompaiano definitivamente.
In tutto questo processo gli artisti possono fare molto, anche perché le loro
personalità, le loro vite così come i loro lavori sono unici e insostituibili. Ma si
deve fare di più. Ci si deve impegnare maggiormente a favore di tutti e non solo a favore
del proprio misero conto in banca.
Ed è sempre partendo da questa complessa idea progettuale che iniziamo in queste pagine a
raccogliere quelli che sono alcuni capisaldi teorici e idealistici della nostra filosofia
che abbineremo per simpatia a quella che già da tempo viene conosciuta e divulgata come filosofia "Hacker". Con questo nostro lavoro noi
pertanto vogliamo sia rendere omaggio a quei personaggi che ci hanno offerto degli ottimi
esempi, sia dare un nuovo impulso a questa corrente di pensiero che a nostro avviso appare
del tutto degna di essere amata e coltivata.
Ed è quindi salutandovi calorosamente che vi invito a prendere parte alle nostre
iniziative, a vistare il nostro sito, a leggere il nostro statuto e a collaborare con noi
per ampliare sempre maggiormente il nostro discorso e raggiungere così un pubblico sempre
più vasto. E per finire ricordatevi sempre che noi non vogliamo creare organi elitari, o
circoli esclusivi paragonabili ad altre entità ben più conosciute della nostra, ma di
certo meno creative, noi vogliamo stimolare tutti gli uomini di intelletto a lavorare ed a
impegnarsi maggiormente per migliorare sempre di più la creatività dell'umanità, senza
pregiudizi, senza stupidi e anacronistici privilegi, e senza escludere nessun settore
delle varie attività sociali, solo così potremo contribuire ad aumentare il nostro
scibile avvicinandoci sempre di più alla nostra amata e sognata "etica della
conoscenza" e solo così potremo costruirci un piccolo posto nella storia della
nostra evoluzione, nella storia del progresso delle nostre idee.
Carl William Brown
P.S. Questo
articolo, così come le idee contenute nei Principi
sintetici della Daimonologia Applicata, o nel Manifesto
del Nuovo Surrealismo, Nichilista ed Umorista, non è da intendersi assolutamente
definitivo, ma come al solito deve essere visto come una forma di Work in Progress
destinato a perfezionarsi e ad approfondirsi nel tempo. In ogni caso tutta l'opera di C.W. Brown, e tutto il lavoro del Daimon Club
vanno intesi in questa accezione di pensiero. Capisco che i nostri sforzi possono sembrare
ai più come un lavoro del tutto vano e magari astruso e privo di senso, ma in ogni caso
ricordo che noi stiamo lottando come al solito contro il tempo, la morte, il dolore e
l'oblio, da ciò deriva la nostra arte e la nostra forza di sopportazione, per chi dunque
non volesse seguire le nostre orme, non c'è evidentemente alcun problema, tra qualche
anno infatti nessuno più saprà che siamo esistiti, che siete esistiti. E allora suvvia,
cosa aspettate, unitevi a noi, fate sentire la vostra voce!
GRIDATE AL
MONDO IL VOSTRO ENTUSIASMO!
Più di 23.000 scienziati nel mondo si sono
impegnati a boicottare le riviste che non renderanno i propri articoli accessibili
gratuitamente su Internet entro sei mesi dalla pubblicazione. Harold Varmus, il biologo
americano, premio Nobel 1989 per la medicina e uno dei promotori dell'iniziativa For a
Public Library of Science, dice: "È una rivoluzione......" E in effetti non si
erano mai viste mobilitazioni come in questi giorni per difendere valori ideali, quelli su
cui si fondano la ricerca, il suo metodo, la sua coerenza e la sua credibilità.
Da sempre infatti il progresso scientifico e la conoscenza si basano sulla circolazione
delle idee, del sapere, dei risultati delle ricerche. Gli esperimenti,, le osservazioni,
le misure fatte dai gruppi di ricerca sono infatti parte integrante del sapere collettivo
dell'umanità e sono validi solo se sono riproducibili da altri scienziati. La loro
pubblicazione è anche una responsabilità per i ricercatori che devono riferirne con la
massima onestà, cercando di tenere a freno le invidie, i pregiudizi, i privilegi
personali, le pressioni aziendali e le varie interferenze. Questo almeno è la teoria
ideale a cui aspirare.
In pratica pubblicare serve anche a farsi una reputazione, a ottenere un posto in un
laboratorio o una cattedra, i fondi per delle ricerche e quindi per del personale. Quindi
esiste un accordo tacito tra l'editoria e i ricercatori che non sono retribuiti per i
propri articoli e nemmeno quando valutano i testi altrui.
Questa valutazione, il processo di revisione e di controllo detto "peer review",
è cruciale per l'affidabilità delle riviste. Infatti le più prestigiose sono quelle che
dispongono per la "peer review" dei migliori esperti e dei più disinteressati.
Infatti non devono approfittare del fatto che ricevono in anteprima i risultati altrui per
appropriarsene, frenarne o impedirne la pubblicazione perché magari essi stessi o dei
loro amici o studenti stanno facendo ricerche nello stesso settore e sono in competizione
con gli autori da valutare. Ovviamente, succede che la tentazione sia troppo forte e
l'ambizione prevalga sul senso del dovere; ogni tanto scoppia uno scandalo (il giro degli
specialisti è piccolo e le cose si sanno presto) e tutti si rimettono in riga fino al
prossimo, ma in generale il sistema funziona. O meglio ha funzionato. Ora è in crisi. Fra
le molte ragioni, tre sembrano decisive. La prima, è legata al giro d'affari. È nata
infatti "la figura dello scienziato imprenditore", come ha scritto Pietro Greco
su Tempo Medico, che ha brevetti, azioni, a volte un'azienda propria. E anche i centri
pubblici e accademici di ricerca sono stati spinti dai governi a diventare imprenditori,
"business-oriented", legati da qualche joint-venture" a società private in
cambio di finanziamenti. Per questi, pubblicare significa aumentare il valore economico
del business.
Nel frattempo (questa è la seconda ragione) una ristrutturazione tipica delmercato
globale ha concentrato le riviste in mano a pochi editori. Un mese fa, il colosso
anglo-olandese Reed Elsevier che pubblica 1200 testate, ha acquistato la Harcourt General
che ne pubblica 500; ora controlla il 20% del mercato. Alcune riviste hanno tirature
minime, ma sommandosi rappresentano un volume d'affari di 10 miliardi di dollari all'anno,
con margini di guadagno da far invidia a Bill Gates. Reed Elsevier dichiara il 35% di
profitti sulle riviste scientifiche rispetto al 20% sulle altre pubblicazioni. La
situazione di questo monopolio consente agli editori di dettare i prezzi a proprio
piacimento: dalla metà degli anni '80, il costo degli abbonamenti fatturati dalle
biblioteche degli enti di ricerca è aumentato del 207%. Brain Research, per esempio,
costa più di 17 mila dollari l'anno. E nonostante enormi incassi pubblicitari, gli autori
e i "peer reviewers" gratuiti, gli editori conservano il copyright sugli
articoli. La pratica finisce così per essere ben diversa dall'ideale ed è questa: le
imprese biotech fanno più pubblicità sulle riviste psecializzate che più pubblicano i
loro scienziati imprenditori. E questi si permettono, forti delle inserzioni che
favoriscono, di infrangere le regole di correttezza e di integrità: per esempio
descrivono il nuovo metodo messo a punto per identificare le forme di una proteina ma non
dicono di possedere l'azienda che sta per metterlo in commercio. O scrivono di aver
sequenziato i geni del topo ma non ne divulgano le sequenze perché lavorano per
un'azienda che le distribuisce a pagamento.
La terza ragione della crisi è internet. In certi rami della fisica, in astrofisica o in
cosmologia - scienze dai risultati non redditizi a breve termine - gli articoli vengono
messi on-line nel momento in cui escono su carta, e spesso ancora prima. Ma secondo Steven
Harnad (New Scientist, 26 maggio 2001), nelle scienze della vita e in molte altre accade
che "Un giovane ricercatore provi a mettere i propri articoli sul web. La rivista che
li ha pubblicati minaccia di far causa a lui e al titolare del suo server per violazione
del copyright. Allora il giovane chiede all'Editore: "Scusi, ma il copyright è
destinato a proteggere gli interessi di chi? "I suoi" risponde l'editore. C'è
qualcosa che non va: i ricercatori regalano il proprio lavoro e in cambio chiedono solo
che sia accessibile ai potenziali utenti, cosa che il web ha reso possibile. Diversamente
da cantanti e musicisti che esigono royalties sulle vendite delle proprie opere e non
volgiono che gli utenti le scarichino gratis, i ricercatori vogliono regalare e non
possono.
Steven Harnad propone un sistema di auto-archiviazione sul sito internet dell'istituzione
dove si trova il ricercatore. Gia esisotno software gratuiti per semplificare la procedura
e sono "interoperativi", cioè rendono i testi e le illustrazioni leggibili da
altri computer, qualunque sia il sistema usato. L'idea è buona ma ottimista: in realtà,
se il ricercatore lavora per un istituto privato può mettere i propri testi on-line ma
sono consultabili soltanto da clienti autorizzati. Un ente pubblico potrebbe impedirglielo
o restringere l'accesso agli utenti dotati di password e quindi preselezionati, per non
avere grane con l'editoria o per non contrariare uno sponsor. Mettiamo che una ricerca
dimostri che un certo farmaco per placare l'agitazione dei bambini crei dipendenza e sia
quindi dannoso. La presenza di quei dati sul sito di un'università potrebbe incitare la
multinazionale che vende il farmaco a essere meno generosa di borse di studio, a non
finanziare un nuovo laboratorio o a non sponsorizzare la prossima conferenza
internazionale sui disturbi infantili dell'attenzione e dell'umore. Esageriamo? Succede
anche di peggio. Nell'aprile scorso, il neurobiologo americano David Healy era atteso al
Centre for Addiction and Mental Health dell'Università di Toronto. Solo che fra il
momento in cui Healy ha firmato il contratto e quello in cui doveva prendere servizio,
erano uscite sue ricerche sulla maggiore incidenza di suicidi fra le persone depresse alle
quali veniva somministrato il Prozac. Il centro in questione era finanziato dalla Eli Lily
(proprio la ditta produttrice del Prozac) e così guarda caso David Healy è stato pregato
di non scomodarsi.
Gli editori dicono che se andassero subito on-line, perderebbero tanto denaro da dover
chiudere. Nicholas Cozzarelli, il direttore dei Proceedings of the National Academy of
Science - glorioso organo dell'Accademia americana delle scienze - non ci crede. Da più
di un anno, i Proceedings sono su Internet dopo quattro settimane e gli abbonamenti sono
calati inizialmente per poi aumentare. Alcuni frequentatori del sito avranno deciso che i
contenuti sono tanto interessanti da meritarsi una lettura più comoda e distesa che
davanti allo schermo del computer, una lettura riflessiva e non solo finalizzata a trovare
i dati che servono al momento. Non ci crede nemmeno Elizabeth Marincola. Dirige un'altra
celebre associazione, l'American Society for Cell Biology che pubblica noti mensili
disponibili su Internet dopo due mesi: nemmeno a lei risulta un calo di abbonamenti.
Gli editori che non vogliono cedere il copyright avanzano argomenti meno rozzi di quello
di non voler rinunciare nemmeno a briciole dei loro 10 miliardi di dollari. Per esempio
che l'accesso gratuito on-line ucciderebbe le riviste di nicchia, pubblicate a fatica da
piccole associazioni scientifiche in piccoli paesi europei. I promotori della Public
Library of Science ci hanno riflettuto; ora, alle associazioni non business-oriented
chiedono di fare il possibile....E prevedono molte accezioni, perché si considerano un
"movimento politico e solidale", non una lobby corporativa. Da scienziati e non
da imprenditori, pensano che l'"archivio permanente della ricerca non debba essere
né di proprietà né sotto il controllo degli editori, ma gestito dai suoi produttori,
disponibile e gratuito per tutti". Solo così "il sapere arriverà anche ai
ricercatori del terzo mondo e negli istituti più poveri". Da scienziati e non da
imprenditori, hanno osservato gli sviluppi degli ultimi anni e hanno deciso di fare la
rivoluzione: altrimenti, dicono, il costo del successo economico potrebbe essere
l'integrità della scienza stessa".
www.publiclibraryofscience.org
per firmare l'appello della Public Library of Science
www.eprints.org www.openarchives.org per prelevare il
software gratuito che consente di creare un archivio "interoperativo" nel
proprio sito istituzionale
www.nofreelunch.org Qui gli
scienziati denunciano gli effetti corruttori dell'intreccio fra ricerca medica ed economia
www.cspinet.or/integrity/database.html
questo è un database dove compaiono, di fianco al nome dello scienziato, i suoi
legami economici forieri di conflitti di interesse.
La ricerca in Italia. Risorse umane: numero
di ricercatori ogni 1000 lavoratori: 3,3 in Italia, 5,7 in Europa.
Dottorato di ricerca. 15000 in Italia 30000 In Europa. Dottori di ricerca per anno: 4500
in Italia, 10000 in Europa.
Risorse Economiche. Spesa in % del PIL: 1,87 in Gran Bretagna; 2,32 in Germania; 2,20 in
Francia; 1,43 in Irlanda; 1,03 in Italia; 0,5 in Grecia.
Di cui per la ricerca di base ('97): 0,50% in Francia di cui lo 0,06 è sostenuta da
privati; 0,42% in Usa di cui lo 0,11 è sostenuta da privati; 0,35% in Giappone di cui lo
0,13% è sostenuta da privati; 0,24% in Italia di cui lo 0,01 è sostenuta da privati.
Spesa in valore assoluto nel 1999 in miliardi di Euro: 42 in Europa (a parità di
popolazione e di PIL) e 11,5 in Italia.
La condizione dei giovani ricercatori in Italia oggi è quella di chi affronta il
dottorato con una borsa di studio di L. 1650000 al mese, senza contributi. Dopo il
dottorato i più fortunati ottengono un assegno di 25 milioni lordi all'anno. I
fortunatissimi alla fine diventano ricercatori, con una paga di circa 2000000 al mese. Il
sistema in Italia li costringe a rimanere a carico della famiglia e del docente di
riferimento fino a 35-40 anni; mentre all'estero l'autonomia finanziaria e di ricerca si
raggiunge molto prima. Per risolvere la situazione basterebbe poco, ma è indispensabile
prendere coscienza della gravità della situazione. Si deve per forza investire nella
ricerca, questo è il messaggio forte lanciato agli organi di governo e ai mass media da
Flaminia Saccà, segretaria dell'ADI (Associazione Dottori e Dottorandi di Ricerca
Italiani). Infatti aggiunge, se è vero che le aziende italiane fanno poco per la ricerca
è anche vero che non si può pretendere che le piccole e medie imprese facciano quello
che non fa lo stato.
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