LISOLA CHE NON CÈ NAVIGANDO
VERSO LA LIBERTÀ
INDICE
Introduzione
Unisola artificiale per abbandonare lo Stato
Capitolo primo
Qualche passo indietro: la teoria della libertà
1.1 Una filosofia per nuovi coloni
1.2 Policentrismo e concorrenza istituzionale
1.3 Città private e comunità condominiali
1.4 Stato plurale o pluralità di sistemi?
Capitolo secondo
Dalla teoria alla pratica
2.1 Il progetto dellIsola della Libertà
2.2 Un buon auspicio: il caso del Principato di Sealand
2.3 Costruire lIsola della Libertà
2.4 Le opportunità economiche di unisola global
2.5 Vivere nellIsola della Libertà
2.6 La mappa dellIsola della libertà
Appendice Uno sguardo alla narrativa libertaria
Approfondimenti
Introduzione
Unisola viaggiante per abbandonare lo Stato
Freedomland - Terra della Libertà - è lambizioso progetto lanciato da
un gruppo di imprenditori quasi tutti del nord Italia e due scozzesi
capitanati da Giuseppe Quarto, industriale di Brescia.
Si tratta di costruire in acque internazionali unisola galleggiante delle dimensioni
di Montecristo o Filicudi circa 30 Km quadrati che sia a tutti gli effetti indipendenti
dagli Stati attuali.
"L'idea spiega Giuseppe Quarto - è quella di creare un nuovo Stato senza
imposizioni e soprattutto senza governanti. Qualcosa che potrebbe somigliare a un grande
condominio.
Attualmente viviamo continua Quarto sudditi di uno Stato che ci toglie
la metà di quanto produciamo, dobbiamo subire gli arbitrii di funzionari e magistrati che
possono disporre di noi e dei nostri diritti come a loro meglio piace. Tutti gli uomini
politici ci parlano di democrazia ma, in realtà, siamo quasi degli schiavi e
loro sono i nostri padroni.
Dobbiamo sempre tenere a mente, d'altra parte, che il paese più ricco e potente del mondo
contemporaneo (gli Stati Uniti) è nato dalla libera iniziativa di uomini stufi di essere
oppressi che hanno lasciato l'Europa per trovare, oltre Atlantico, quella libertà che
ritenevano sacra e che ha permesso loro di prosperare e costruire un grande paese.
Noi, oggi, siamo chiamati a fare lo stesso. Siamo quindi chiamati ad alzare la testa e a
costruire una società senza parassiti, senza classe politica, senza burocrati.
Fortunatamente ci sono ancora persone culturalmente libere, in grado di riscoprire i
valori dell'autonomia personale e pronte a cogliere le opportunità che anche la nostra
epoca, pur così oscura, è in grado di offrire.
Alcuni uomini come noi, infatti, stanno lavorando al progetto di una nuova città, abitata
da liberi cittadini che rigettano ogni vessazione e si impegnano a vivere rispettando il
prossimo. Una nuova terra, dove ogni uomo sarà libero di disporre liberamente dei propri
titoli di proprietà e dove la sua libertà finirà dove inizia la libertà del vicino.
Una società in cui i politici non pretendano di insegnarci a vivere: senza agenti delle
imposti né uffici IVA, dato che ogni servizio sarà pagato da chi lo richiede e sarà
offerto sul mercato.
È su queste premesse che nasce il progetto dellIsola della Libertà. Unisola
per lasciarsi alle spalle lo Stato.
Quante volte del resto abbiamo desiderato uno Stato diverso da quello esistente... quante
volte abbiamo puntato il dito contro le mille magagne ed i mille disservizi della
pachidermica macchina pubblica... quante volte abbiamo sentito la classe politica e le sue
beghe come distante dalle nostre esigenze e dalle nostre aspettative.
Lo Stato a dire il vero non ci ha mai entusiasmato. Siamo sempre stati molto
riluttanti a riconoscerne la sacralità e la supremazia sulle nostre vite.
Fin da bambini, certo, hanno provato a convincerci che lo Stato è necessario. Necessario
al nostro benessere, alla convivenza civile ed alla nostra stessa sopravvivenza. Ci hanno
parlato del Risorgimento e della Resistenza, della costituzione democratica ed
antifascista e delle magnifiche sorti e progressive che la macchina pubblica
ci riserva.
I politici, gli intellettuali, i cortigiani del Palazzo hanno da sempre cercato di
giustificare con altisonante retorica le pretese dei governanti di controllare i nostri
comportamenti privato e di depredare il nostro portafogli. Le prerogative che lo Stato
rivendica sarebbero, in altre parole, legittime in quanto primariamente orientate al
nostro bene.
Ultimamente peraltro i politici cominciano ad ammettere che in fondo ed in fondo lo Stato
non è tutto rose e fiori... che in fondo non sta andando tutto così bene... si lasciano
sfuggire che il sistema pensionistico così comè non regge... che la legislazione
del lavoro che abbiamo adesso è insostenibile...
Questo avviene perché la classe politica e burocratica ha compreso che gli umori degli
elettori stanno cambiando e che è sempre più difficile convincere i contribuenti della
bontà dello Stato così come lo conosciamo attualmente. In altre parole se
questo Stato comincia ad essere un po screditato, allora basta
prospettare alla gente che questo Stato diventi un altro Stato ed
il gioco è fatto.
Così ci viene detto che la situazione è ancora sotto controllo. Che lo Stato ha in sé
tutti gli strumenti per riportarsi sul sentiero giusto. Uno Stato può essere
riformato: attraverso la democrazia, i partiti, la politica.
La parola riforme è una delle più ricorrenti sulla bocca dei politici per lo
meno dallinizio degli anni Novanta. La stagione delle riforme è
cominciata: quante volte ci siamo sentiti ripetere questa affermazione! Riforma
della istituzioni. Riforma del mercato del lavoro. Riforma del fisco. Riforma della
scuola. Riforma della sanità. Riforma delle pensioni.
Alcune di queste riforme sono finora rimaste solamente degli slogan, buoni per un
volantino elettorale o per una tavola rotonda. Altre i politici ci dicono di averle fatte,
ma francamente ci sembra che per noi non sia cambiato assolutamente nulla. Le tasse non
sono diminuite. Lo Stato mantiene un potere pressoché totale su tantissimi sfere
dellattività umana e continua a controllare in modo asfissiante le nostre vite
dalla culla alla tomba.
I risultati sono evidenti agli occhi di tutti.
Naturalmente i politici hanno sempre pronta una giustificazione sul perché le cose non
sono andate come avevano promesso. Una volte è colpa della congiuntura economica
sfavorevole; unaltra volta invece della necessità di rispettare i parametri per
entrare in Europa; una volta del lievitare del prezzo del petrolio causato
dalla crisi medio-orientale. E quindi ci esortano ad avere pazienza ad accettare
sacrifici in questo periodo di crisi. La pazienza dei popoli, tuttavia, troppe
volte si è rivelata la mangiatoia dei tiranni.
In questo contesto non è difficile rendersi conto di come tutti i miti e le imposture
perpetuati dagli uomini di potere abbiano come unico obiettivo quello di cercare di
nascondere alcuni realtà semplici ma dagli effetti culturalmente sconvolgenti: lo Stato
ha fallito. Le riforme dello Stato hanno fallito. Lo Stato non funziona.
Ed anche se le due maggiori coalizioni politiche continuano a ripeterci che sotto il loro
prossimo governo lo Stato funzionerà, sono sempre meno coloro che sono disposti a credere
nella bella favola statalista secondo cui amministratori pubblici buoni ed interessati
sono in grado di agire per il beneficio della gente comune meglio di quanto potrebbero
fare i singoli di individui se fosse riconosciuta loro la facoltà di essere in pieno
padroni delle scelte fondamentali che li riguardano.
Un numero crescente di persone sta cominciando a comprendere che lo Stato non si riforma e
si sta quindi disaffezionando sempre di più dalla politica, come dimostra anche il
crescente astensionismo di questi ultimi anni.
Ormai a molti è divenuto evidente che non sarà lo Stato a costruire la nostra felicità.
I nostri obiettivi o li realizzeremo da noi con le nostre forze, con il nostro
lavoro, con il nostro impegno oppure non ce li realizzerà nessuno.
Sentiamo dunque il bisogno di riappropriarci delle nostre vite, di sfuggire ai freddi
disegni di pianificatori sociali per i qual non siamo che degli ingranaggi di una
macchina, dei numeri da potere vantare in qualche statistica.
Sentiamo il bisogno di ritagliarci unoasi di libertà, in un mondo in cui purtroppo
la libertà è merce rara ed è proprio in questo contesto che si inquadra la sfida
lanciata dai promotori di Freedomland, lIsola della Libertà.
È una sfida ha per molti versi un sapore pionieristico ed essere pionieri oggi è
probabilmente più difficile di quanto lo sia stato duecento, trecento o quattrocento anni
fa, quando ancora cerano su questa Terra immerse aree disabitate pronte ad
accogliere coloni che sentivano il bisogno di lasciarsi alle spalle i mali della vecchia
Europa alla ricerca di un nuovo emisfero di libertà.
Questi nuovi pionieri del ventesimo secolo la loro terra promessa vogliono
farla emergere dalle acque del mare. Fantascienza? In realtà no. Solo tecnologia. Una
tecnologia già esistente, certamente, anche se costosa.
Non cè nulla di fantascientifico, dunque, in questo programma, ma sicuramente vi
sono molta fantasia, una notevole dose di creatività, non poco coraggio e, soprattutto,
la ferma volontà di innovare il mondo in cui tutti noi viviamo. Se ci riflettiamo un
attimo, tutte queste sono proprio le doti che caratterizzano le menti libere in grado di
fuoriuscire dagli itinerari scontati e preconfezionati e di scommettere su idee nuove. Con
lo spirito di chi crede che il motore della crescita dellumanità non sia
lazione politica ma lintrapresa privata con tutti i rischi e le
responsabilità che essa comporta e che limprenditore si assume.
Capitolo primo
Qualche passo indietro: la teoria della libertà
1.1 Una filosofia per nuovi coloni
Alla base del progetto della Terra della Libertà cè una filosofia politica e
sociale ben precisa. Una filosofia coerentemente liberale libertaria nel senso in
cui questa parola viene usata negli Stati Uniti.
I fondamenti di tale filosofia sono estremamente semplici e possono essere enunciati in
modo altrettanto semplice. Ogni individuo è il solo legittimo proprietario della propria
vita e dei frutti del proprio lavoro. Si rapporta con gli altri individui solamente sulla
base di rapporti volontari e contrattuali che rifuggano luso della forza. Murray
Rothbard, massimo teorico dellanarcocapitalismo, riassume così questo concetto:
Il credo libertario si basa su un solo assioma. Nessuno ha il diritto di aggredire
la persona o la proprietà altrui.
Tutto il resto a questo punto non è che lapplicazione di questo assioma centrale.
Esiste in particolare un solo modello economico che possa essere considerato compatibile
con il principio della non aggressione ed è il capitalismo laissez-faire. Come spiega la
filosofa Ayn Rand, infatti, il capitalismo è un sistema in cui gli uomini si
rapportano gli uni con gli altri non come vittime e carnefici, non come padroni e schiavi,
ma come mercanti, attraverso lo scambio volontario per il mutuo beneficio. E un
sistema in cui nessun uomo può ottenere qualcosa ricorrendo alla forza fisica e nessuno
può dare inizio alla forza fisica contro gli altri.
Il rifiuto di azioni aggressive volte a violare la persona o la proprietà
altrui si concretizza quindi non solamente nel rifiuto che alcuni individui
ricorrano alluso aggressivo della forza come privati cittadini compiendo ad esempio
furti, rapine od omicidi, ma anche nel rifiuto che luso della forza avvenga
attraverso la politica, cioè attraverso le leggi dello Stato.
Così come non è accettabile che il signor Rossi rubi il portafoglio al signor Bianchi
non è ugualmente accettabile che il signor Rossi si serva della politica per fare
approvare leggi che confischino legalmente i guadagni del signor Bianchi.
Il furto, in altre parole, è furto indipendentemente dal fatto che si avallato o meno da
un voto del parlamento.
Se la criminalità privata è un fenomeno tutto sommato marginale con il quale
buona parte dei cittadini possono persino avere la fortuna di non entrare nemmeno a
contatto in tutta la loro vita il sistema statale di tassazione istituzionalizza la
rapina rendendola di dimensioni gigantesche ed incontrollate.
Scrive Lysander Spooner, filosofo libertario del diciannovesimo secolo: il governo,
come un brigante, intima allindividuo: o la borsa o la vita. [...] In realtà il
governo non assalta un uomo in un luogo solitario, non gli si lancia addosso
allangolo di una strada e non gli svuota le tasche puntandogli una pistola alla
testa. Ma non per questo la rapina è meno rapina; ed è molto più vergognosa e
vigliacca.
Per lo meno il brigante accetta su di sé tutta la responsabilità, il rischio e la
criminalità del suo gesto. Egli non pretende di avere un qualsiasi diritto legittimo al
tuo denaro o di avere intenzione di usarlo per il tuo bene. Egli non pretende di essere
qualcosa diverso da un rapinatore.
Il monopolio legale sulluso della forza che lo Stato detiene su un determinato
territorio e la sua conseguente possibilità di rendere legale qualsiasi atto arbitrario
sia approvato dalla classe politica fanno sì che esista una differenza fondamentale tra
lo Stato ed i soggetti economici privati che agiscono nel libero mercato.
Mentre le aziende private si procurano la manodopera sul mercato pagandola a prezzi di
mercato, lo Stato è lunico soggetto che ricorre alla riduzione in schiavitù nella
forma del servizio di leva.
Mentre le aziende devono private si devono conquistare fette di mercato offrendo prodotti
che siano migliori come qualità e come prezzo - di quelli della concorrenza, lo
Stato è lunico soggetto che ha il potere di dichiarare fuori legge chiunque si
ponga in concorrenza con lui.
Evidentemente quello che differenzia le relazioni economiche che vedono in campo
soggetti private - dalle relazioni politiche che vedono in campo lo Stato - è che
le prime si fondano su un contratto libero, mentre le secondo si fondano sulluso
della forza o comunque sulla minaccia delluso della forza.
Uno scambio economico può avvenire solamente in presenza del consenso di entrambe le
parti che lo intraprendono e quindi solamente se entrambe le parti ritengono di trarre da
esso un beneficio.
E solo attraverso la politica, pertanto, che si creano rapporti di sfruttamento in
quanto è esclusivamente lo Stato che ha il potere di obbligare due soggetti economici a
relazioni non consensuali e che quindi almeno una delle due parti non ritiene vantaggiose.
Il potere di coercizione dello Stato è quindi alla base dellinstaurarsi di rapporti
parassitari. In effetti chi riesce ad impossessarsi dellapparato statale viene ad
avere la possibilità di saccheggiare liberamente la ricchezza creata dai produttori.
Tale rapporto di coercizione ovviamente si fonda su un dato fondamentale.
Limpossibilità per chi subisce lo sfruttamento di liberarsi da tale rapporto. In
altre parole la non esistenza di una via di uscita.
Si comprende qui limportanza allora di affermare quel diritto prepolitico che è il
diritto di exit senza il quale non esista garanzia alcuna per lindividuo che non sia
provvisoria, soggetta al potere di revoca di unentità politica superiore.
Il principio è semplice. Gli altri che siano gli interlocutori economici o che
siano i governanti sono incentivati a rispettare i diritti solamente se è concreta
per me la possibilità di andarmene, cioè di cambiare fornitore dei servizi
che mi offrono. Se io invece sono imprigionato in qualche forma di rapporto con
unaltra persona, questa persona viene di fatto ad avere la possibilità di trattarmi
sempre peggio senza che io possa fare niente per limitare la sua arroganza.
La creazione di zone franche quali appunto quella preconizzata dai promotori del
progetto Freedomland significa dunque mettere a disposizione degli individui delle
vie di uscita dallo statalismo e dai rapporti di sfruttamento che esso rende possibili.
I sostenitori del progetto Freedomland non credono, in definitiva, nello Stato così come
lo conosciamo attualmente. Non credono che lo Stato sia dato immutabile della storia, un
dio laico al quale è addirittura immorale pensare di ribellarsi.
Sono altresì perfettamente coscienti del fatto che purtroppo la grande maggior parte
delle persone sentono ancora come necessario lattuale ordine politico statalista. Ed
è la ragione per la quale non credono che in tempi brevi il libero mercato possa imporsi
sulla base di un processo democratico, cioè sulla base della formazione di un consenso
maggioritario nellelettorato attorno ai principi in cui i liberali credono.
Sono coscienti di conseguenza che la maggior parte delle persone non
condivide ancora il loro bisogno di lasciarci alle spalle il sistema politico di oggi e
che quindi guardano in questo momento con sospetto, con paura alle posizioni che il
liberalismo radicale del progetto Freedomland rappresenta.
Ma è doveroso sottolineare che il progetto dellIsola della Libertà un progetto
pacifico. Non si tratta di fondare un esercito od un partito politico. I promotori di
Freedomland non si propongono di governare persone che da loro non vogliono
essere governate. Non vogliamo governare nessuno se non loro stessi. Non cercano in
altre parole il potere sugli altri. Con gli altri con chi starà fuori del
nostro progetto hanno intenzione di relazionarsi secondo una politica di pace e di
libero scambio.
Mercati liberi, quindi, ed uomini liberi.
1.2. Policentrismo e concorrenza istituzionale
I libertari non credono che gli attuali stati nazionali debbano cedere il passo a
superstati europei o magari addirittura mondiali. Guardano con timore alla realizzazione
dellincubo orwelliano di un monopolio della coercizione su scala mondiale.
Credono piuttosto che gli stati nazionali debbano essere superati dal basso e
che sia necessario un processo di devoluzione delle loro attuali prerogative verso entità
politiche geograficamente più piccole e più vicine agli individui comuni.
I liberali credono che una pluralità di istituzioni politiche sia meglio in grado di
assicurare il rispetto dei diritti individuali fondamentali piuttosto che un ordine unico
centralizzato.
Molti politici ed intellettuali - non necessariamente ostili in linea di principio
ai diritti individuali sono convinti che laffermazione di questi diritti nel mondo
possa passare attraverso lazione di entità sovranazionali quali ad esempio
lOnu, i cui poteri meriterebbero pertanto di essere rafforzati.
Si tratta evidentemente di una posizione illusoria. La storia ha insegnato che il modo
migliore di fare trionfare le idee di libertà è proprio quelle di metterle in
concorrenza, affinché linsuccesso di alcuni sistemi si possa misurare sul successo
relativo di altri.
E proprio così, del resto, che è stato sconfitto il comunismo. Non certo grazie ad
una decisione a maggioranza delle Nazioni Unite. Anzi se una trentina di anni
fa lOnu avesse avuto la possibilità di decidere democraticamente
attraverso un voto paritetico degli stati chi vi facevano parte quale dovesse essere il
sistema politico da implementare a livello mondiale, ci sono pochi dubbi che la scelta
sarebbe caduta proprio sul comunismo.
Un contesto di disgregazione politica è in grado di innescare un processo di
concorrenza istituzionale, cioè di competizione tra diverse entità statali.
È abbastanza facile comprendere che se le decisioni più importanti che ci riguardano
vengono prese ad un livello molto vicino a noi supponiamo a livello delle attuali
province allora è estremamente semplice spostarci quando non le condividiamo.
Magari può essere sufficiente spostarsi di poche decine di chilometri ed andare a vivere
in unaltra città in cui si parla la nostra lingua e nella quale non avremo
particolari difficoltà ad integrarci.
Oggi se ci sentiamo oppressi dalle leggi italiane siamo invece costretti ad uno
spostamento molto più grande se intendiamo cercare altre leggi migliori. E siamo
costretti a spostarmi in paesi in cui non si parla la mia lingua ed in cui quindi avremo
sicuramente difficoltà ad essere accettati.
Se ci sentiremo oppressi dalle leggi dellUnione Europea saremo costretti a fuggire a
migliaia di chilometri di distanza, impresa questa veramente ardua.
Il giorno in cui dovesse esistere uno Stato unico mondiale saremo poi privati in modo
assoluto del diritto di exit e non ci sarà più nessuna terra promessa nella
quale potremo trovare la libertà che cerchiamo.
Se un contesto di maggiore disgregazione istituzionale rende più semplice lo spostamento
fisico degli individui che non si riconoscano nelle leggi vigenti in un certo luogo,
ancora più facile risulta lo spostamento dei capitali, grazie al processo di
globalizzazione accelerato dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. È chiaro
quindi che gli investitori tenderanno a spostare i loro soldi in quelle aree dove il fisco
è meno aggressivo e dove minori sono le regolamentazioni che vincolano la legittima
intrapresa privata.
Si instaura di conseguenza un meccanismo di concorrenza che impone agli Stati di essere
più rispettosi della libertà economica per rimanere appetibili per le persone produttive
ed intraprendenti.
Quanto più unarea geografica è politicamente disgregata quanto è in grado
di offrire una pluralità di ordini giuridici e quindi fiscali diversi tanto
maggiore è la possibilità per gli individui ritagliarsi spazi di libertà e tanto minore
è la possibilità per i vari governi di esercitare una reale coercizione su coloro che
vivono nel territorio che essi controllano.
Ordini policentrici quindi hanno sempre garantito una maggiora vitalità culturale ed
economica ed una maggiore vivibilità rispetto ad ordini centralizzati.
Hans Hermann Hoppe, economista di scuola austriaca ed erede intellettuale di Rothbard,
nota come sia stata la struttura quasi anarchica dellEuropa se comparata a
quella della Cina a spiegare il la nascita del capitalismo il cosiddetto miracolo
europeo: gli stati piccoli, in diretta competizione gli uni con gli altri, devono essere
moderati con la loro popolazione per non perdere i loro cittadini più produttivi. E sono
costretti a scegliere il libero commercio anziché il protezionismo.
Secondo Hoppe dobbiamo promuovere lidea della secessione. O più
specificatamente dobbiamo promuovere lidea di decine di migliaia di città
indipendenti del tipo delle stranezze attuali di Monaco, Andorra, San Marino,
Liechtenstein, Hong Kong e Singapore. Questo genererebbe grandi opportunità di flussi
migratori motivati da ragioni economiche ed avremmo un mondo di tanti piccoli governi
liberali economicamente integrati attraverso il libero commercio ed il ripristino
delloro quale moneta di scambio internazionale.
Come scrive Guglielmo Piombini, il minuscolo e florido Principato di Monaco
costituisce la prova che un sistema politico organizzato su basi territoriali limitate, e
funzionante secondo criteri quasi-privatistici, può salvaguardare, meglio di un qualsiasi
Stato-leviatano nazionale, i diritti di libertà e di proprietà dei propri abitanti. Non
ci si deve sorprendere, quindi, della cattiva stampa che il Principato ha sempre goduto
presso i potenti Stati vicini, gelosi di vedersi surclassare da unentità politica
così apparentemente antiquata e pre-moderna. La presenza di Montecarlo, infatti, richiama
alla memoria un periodo storico, il medioevo, in cui non si erano ancora affermati gli
stati nazionali assoluti, estesi e uniformanti, e in cui il panorama politico europeo era
estremamente più pluralista, variegato e differenziato. Da questa profonda ostilità dei
governi europei nascono le frequenti campagne scandalistiche contro il Principato,
raffigurato con lormai noto cliché del covo di evasori miliardari. Le reiterate
dichiarazioni di guerra dellUnione Europea contro i paradisi fiscali
hanno spesso come loro obiettivo la legislazione economico-fiscale monegasca che, grazie
alle sue caratteristiche liberali, è riuscita ad attrarre capitali da ogni parte del
mondo: ricchezze che i famelici governi europei non accettano di veder sfuggire alle
proprie grinfie. E chiaro, in effetti, che la sola presenza di questi piccoli
stati con livelli di tassazione bassa obbliga i paesi confinanti a limitare la loro
voracità fiscale per non rischiare uneccessiva fuga di capitale. Accade così che
la presenza di una zona franca sia doppiamente benefica. Essa non va a vantaggio solamente
di coloro che vi vivono ma anche di chi vive nelle zone confinanti sotto il controllo di
stati più grandi.
La dispersione concorrenziale del potere, che ormai è al centro della riflessione
politica libertaria di questi ultimi anni, mette prepotentemente in discussione il
rapporto stesso che esiste tra Stato e individuo. In presenza di una pluralità di sistemi
giuridici (e quindi di sistemi fiscali) tale rapporto cessa infatti di assomigliare a
quello tra un padrone ed uno schiavo, tra un sovrano ed un suddito e diventa molto più
simile a quello che intercorre tra una società privata di servizi ed un cliente che
conserva in ogni momento la possibilità di cambiare fornitore qualora non sia
soddisfatto dei termini sulla base del quale le prestazioni vengono erogate.
Uno Stato di entità estremamente limitato viene in definitiva ad assomigliare per vari
aspetti ad unazienda privata. Da questo punto di vista è interessante notare come
Mauro Marabini, in una sua recente guida al principato di Monaco, metta in evidenza il
carattere quasi-privatistico delle istituzioni di tale stato con queste parole:
Città-Stato, quindi, ma, non solo, città privata; infatti la città di Monaco può
essere vista come una società per azioni (Grimaldi S.p.a. qualcuno ha scritto) in cui
lazionista di riferimento, il Principe, governa nellinteresse dei soci e in
favore degli ospiti che cerca di attrarre offrendo servizi migliori della concorrenza. E
infatti a Monaco si vive meglio che altrove
chi poi addirittura ci lavora non paga
imposte sul reddito, così come non paga tasse sulla casa e sulla secessione.
Vale la pena di sottolineare, tra laltro, come Marabini osservi che il governo
proprietaristico del principato ha saputo tra laltro assicurare la
perfetta gestione dellambiente e la valorizzazione del territorio molto meglio dei
governi democratici vicini, dato che linquinamento è praticamente inesistente.
Questa osservazione ricorda la nota tesi delleconomista libertario Hans-Hermann
Hoppe, secondo cui un governo privato (cioè il governo monarchico) è in grado di gestire
le risorse del proprio paese con più lungimiranza di un governo pubblico (il governo
democratico), perché i governanti eletti dal popolo hanno un orizzonte temporale
estremamente più breve. Mentre il monarca si comporta come un proprietario interessato a
tramandare le ricchezze del proprio paese in ottimo stato alla propria discendenza, i
governanti democratici assomigliano a degli inquilini con lo sfratto esecutivo, il cui
unico scopo durante i quattro cinque anni di carica è quello di massimizzare in maniera
irresponsabile, a fini elettorali, lo sfruttamento delle ricchezze del paese.
1.3. Città private e comunità condominiali
Lauspicio dei libertari è quello che le appartenenze coatte determinate
dallattuale ordine politico statalista possano essere superate a favore di nuove
forme di aggregazione comunitaria, non coercitive, contrattuali e liberamente accettate.
In un tale ottica è possibile immaginare un modello di società nel quale tutti i servizi
incluse le strade ed i servizi di sicurezza sono gestiti in modo
privatistico.
A tale riguardo è stato coniato il termine privatopia con riferimento ad una
città interamente privata nel quale tutti i beni collettivi territoriali, cioè quelli il
cui uso è confinato allinterno di una certa area geografica sono prodotti in
assenza di Stato.
E niente vieterebbe in teoria di pensare che simili entità possano divenire a tutti gli
effetti indipendenti e sovrane.
I cosiddetti beni collettivi in definitiva non necessariamente devono essere
forniti dallo Stato e parlare di spazi collettivi, pertanto, non deve
necessariamente significare spazi di Stato.
Se ci si pensa i centri commerciali, le navi da crociera e gli alberghi forniscono già
adesso ai clienti sia una serie beni privati che una serie di beni
comuni. Come nota MacCallum esiste una vera e propria analogia tra gli hotel
è le città: lhotel ha le proprie aree pubbliche (le sale) e private (le stanze),
corridoi come strade, la hall come piazza principale, dove si trova il parco municipale,
con le sculture, le fontane e le piante. Il suo sistema di trasporti pubblici è in genere
verticale (lascensore), ma talvolta anche orizzontale (allaeroporto e
ritorno). Come ogni amministrazione cittadina, anche la direzione dellhotel fornisce
lenergia elettrica, lacqua e la pulizia degli ambienti, oltre che servizi
pubblici come la sicurezza e lantincendio. Gli hotel forniscono per i propri clienti
anche occasioni di svago, feste e concerti.
In casi come questi il governo dellarea può essere definito
autocratico, perché tutte le decisioni sono di competenza del proprietario.
Vi può essere però un secondo tipo di comunità privata, dove il governo è
democratico perché proprietari sono i residenti (come nel classico caso del
condominio), o unassociazione da essi composta (ad esempio, per i club), e le
decisioni collettive vengono prese in assemblea con maggioranze più o meno qualificate.
Come osserva Guglielmo Piombini, la presenza di un diritto di proprietà su quello
spazio fornisce al suo titolare (singolo o condominiale che sia) un forte incentivo alla
cura, nel lungo periodo, del proprio capitale. Tale interesse manca invece completamente
negli amministratori pubblici, i quali, non potendo vantare titoli di proprietà, non
possono raccogliere i frutti della propria corretta gestione, né sopportano i danni
futuri delle proprie azioni. Il loro orizzonte temporale è notevolmente più breve,
perché spesso coincide con i quattro o cinque anni della carica. Luomo politico
viene quindi a trovarsi, nei confronti di un bene pubblico, non nella posizione di un
padrone che ha a cuore il lustro e la buona conservazione della proprietà, ma piuttosto
in quella di un affittuario con lo sfratto esecutivo cui non interessa più la
manutenzione del bene. Egli è costretto a spremere al massimo (politicamente
parlando) il bene pubblico prima che la gestione passi ad altri amministratori, i quali a
loro volta si ritroveranno nello stesso circolo vizioso.
Il degrado di molte aree pubbliche delle città è dunque un problema legato alle
inevitabili manchevolezze ed inefficienze della proprietà burocratica, per
sopperire alle quali stanno sorgendo sempre più numerose comunità integralmente
organizzate sulla base di criteri privatistici, talvolta in forma di proprietà singola e
talvolta come proprietà condominiale.
Guglielmo Piombini offre tra laltro un interessante itinerario tra le realtà
esistenti in giro per il mondo che di fato sono assimilabili a città private.
Una di queste è Walt Disney World, la città-divertimento interamente di proprietà della
Walt Disney Company, nata nel 1971 in Florida a sud-est di Orlando. La sua estensione
è circa pari a quella di San Francisco (45 miglia quadrate), ed è visitata più o
meno da 150mila visitatori ogni giorno (30 milioni in tutto lanno, di cui tre quarti
adulti). Le leggi della Florida le garantiscono una autonomia pressoché totale sia dal
punto di vista fiscale che da quello urbanistico, ma a differenza delle città rette da
amministrazioni pubbliche Walt Disney World è unimpresa che vive nella competizione
del mercato, e quindi le è precluso luso della forza per finanziare le proprie
strutture e iniziative. Non potendo ordinare ai propri abitanti di sostenerla, li deve
attirare proprio come un fiore dal nettare prelibato richiama le api spargendo
intorno a sé un invitante profumoi. I visitatori (molti dei quali soggiornano per
più giorni) hanno infatti limpressione di entrare in un luogo utopico assolutamente
perfetto, dove tutto è pulito, tranquillo, amichevole, fantastico. Essi possono girare
per il grande parco naturale; avventurarsi nelle sei diverse ambientazioni del Kingdom
Park; possono ammirare EPCOT, la città supertecnologica del futuro, e, fra un po,
anche Celebration, una cittadina daltri tempi perfettamente riprodotta; possono
assistere a spettacoli nei Disney-MGM Studios. Tutti i servizi, dalla nettezza urbana
allantincendio alla sicurezza sono offerti privatamente; linquinamento è
inesistente; la tecnologia delle comunicazioni, dei trasporti, e delle animazioni è la
più avanzata del mondo (basti pensare che qui esiste il primo sistema telefonico
elettronico interamente basato sulle fibre ottiche); lesenzione dai codici
urbanistici ha permesso lo sviluppo dei più innovativi metodi architettonici.
Un altro esempio di interesse è costituito da Arden, nel Delaware, una tipica forma
di micro-democrazia contrattuale. Le zone residenziali di Arden sono di
proprietà di unassociazione senza scopo di lucro, alla quale i circa 500 abitanti
pagano un affitto. Con tali entrate lassociazione, i cui amministratori vengono
eletti dallassemblea composta dagli stessi residenti, fornisce i beni collettivi di
cui il villaggio necessita, decidendo a maggioranze variamente qualificate.
Arden è una comunità contrattuale fondata intenzionalmente nel 1900 dai seguaci di Henry
George, i quali volevano sperimentare sul campo le sue teorie di finanza pubblica relative
alla possibilità di finanziare i beni pubblici non con le imposte ma con i canoni (anche
se pochi degli attuali abitanti conoscono le motivazioni ideologiche che furono
allorigine della fondazione della comunità). Il senso di appartenenza
allinterno di Arden è comunque molto intenso, dato che molti servizi pubblici,
soprattutto culturali e ricreativi, sono prodotti da volontari senza impiegare il budget
dellassociazione. Tutto ciò fa sì che il valore del terreno ad Arden abbia un
valore di mercato notevolmente superiore a quello di zone similari circostanti.
Il caso di Arden, con la vitalità delle sue attività comunitarie e labbondanza di
beni pubblici finanziati privatamente, rappresenta quindi unulteriore dimostrazione
dellerroneità della tesi secondo cui una comunità contrattuale produce una
quantità subottimale di beni civici rispetto ad una comunità statalizzata
dotata di un governo coercitivoii.
Due quartieri interamente privati sono invece il Fort Ellsworth Condominium e la Sunshine
Mountain Ridge Homeowners Association.
A differenza di Arden, i cui abitanti sono affittuari di unassociazione senza
fine di lucro che possiede tutta la terra del posto, il Fort Ellsworth Condominium di
Alexandria, in Virginia, è un condominio allargato, perchè ciascuna delle
169 famiglie è titolare del proprio appartamento e di una quota della proprietà comune.
La motivazione della sua creazione è quindi esclusivamente commerciale, non ideologica.
Inoltre, a differenza del villaggio di Arden, che è del tutto autosufficiente, i beni
civici offerti da una comunità condominiale inserita in una città sono necessariamente
più limitati. Il condominio di Fort Ellsworth fornisce comunque tutta una serie di
servizi, tradizionalmente di competenza del settore pubblico, quali la sicurezza, la
spalatura della neve, la nettezza urbana, le manifestazioni ricreative, una piscina, campi
da tennis, unarea picnic, un parco, aree per cani, magazzini, una sala
dincontro, e parcheggiiii.
Questi quartieri privati sembrano aver risolto perfettamente tutti i problemi che
assillano gli inferni urbani delle città statalizzate, e non a caso sono il
tipo di agglomerato residenziale che, in tutti gli Stati Uniti, sta registrando la
crescita più alta. Secondo i dati del Community Associations Institute della Virginia,
sono quattro milioni gli americani che vivono i comunità recintate, mentre circa ventotto
milioni risiedono nelle circa 130mila zone governate da una comunità privata (nel 1960
erano meno di 5mila). Cifre destinate a raddoppiare nei prossimi dieci anni.
La Sunshine Mountain Ridge Homeowners Association di Tucson è costituita da
un condominio riguardante circa 250 famiglie, ciascuna delle quali ha acquistato la
casa dalla società immobiliare che ha costruito il centro residenziale, aderendo
contestualmente ad una associazione privata che ha il compito di affrontare diverse
questioni dinteresse comune, e che possiede le strade e le aree verdi. Tutti servizi
pubblici sono anche qui contrattati dallassociazione con imprese private esterne che
provvedono alla sicurezza, allantincendio (la Rural/Metro), alla manutenzione delle
strade, alla cura degli aspetti paesaggistici. Le regole di vita sono molto rigide, e in
caso di vendita dellabitazione anche il nuovo proprietario ne rimane vincolato. Ciò
che conta è però che queste regole non sono imposte da nessuno, ma sono oggetto di un
contratto liberamente accettato nel momento in cui uno decide di stabilirsi nella
comunità condominiale.
Un esempio di cittadina interamente privata è invece Reston, nella contea di Fairfax, nel
Nord Virginia.. Reston è una comunità di 56mila abitanti, tutti facenti parte
dellassociazione dei residenti che possiede le parti comuni della città. E
una comunità intenzionale, essendo stata interamente creata da imprenditori privati nel
1966 su iniziativa di Robert E. Simon, il quale si era proposto lobiettivo di creare
un ambiente urbano a misura duomo. La città è ricca di chiese, scuole,
biblioteche, centri commerciali, tutti finanziati privatamente e senza alcun contributo
governativo; essa è a sua volta decentrata al suo interno in villaggi, condomini e
agglomerati, ciascuno dei quali ha la propria specifica identità. Tutti gli abitanti sono
tenuti a conoscere il Reston Deed, la Costituzione della città incorporata
nei contratti di acquisto della residenza. Nel 1980 i cittadini hanno bocciato con un
referendum la proposta di cambiare le istituzioni della città da condominiali a
municipali, per paura che un governo sovrano si dimostrasse meno efficiente nella
produzione dei servizi pubblici ed eccessivamente esoso dal punto di vista fiscaleiv.
Lelemento della decisione collettiva che è al centro della politica degli
Stati che conosciamo non rappresenta un elemento fondamentale allinterno
delle città private, dove le controversie sono risolte sulla base delle clausole di
contratti liberamente firmate e non invece a colpi di maggioranze.
Va anche detto peraltro che con tutta probabilità tra gli abitanti di una città privata
dei contrasti ideologici particolarmente forti, in quanto perché le aree privatizzate
sono tali per la loro struttura da attirare gruppi di persone omogenei sia dal punto di
vista economico che da quello culturale. Se scelgo liberamente di andare a vivere di
andare a vivere in una certa comunità è perché fondamentalmente mi riconosco nei suoi
costumi e nelle sue leggi.
Difficilmente quindi eventuali decisioni collettive che maturino in simili contesi
potrebbero discostarsi in maniera significativa dalle aspirazioni delle singole persone
che fanno parte di tali comunità.
In ogni caso i poteri politici che potrebbe avere un eventuale consiglio dellisola
dovrebbero necessariamente essere limitati: per molti versi più simili a quelli di
unassemblea di condominio piuttosto che a quelli di parlamenti dei nostri stati
nazionali. È possibile che si accetterebbe di delegare allassemblea il potere di
decidere gli orari ai quali è consentito fare rumore in piazza, ma nessuno certo
accetterebbe di delegare ad essa il potere di effettuare espropri.
Nessuno mai accetterebbe di andare a vivere in un condominio che avesse il potere di
confiscargli arbitrariamente il conto in banca per trasferirlo ad altri condomini sulla
base di un qualche criterio di solidarietà.
La decisione collettiva in una società privata sarebbe un qualcosa di estremamente
diverso rispetto a quello che è adesso nel sistema politico statalista. E molto
interessante a questo proposito la riflessione di Murray N. Rothbard.:
Che cosa sarebbe il voto in una società interamente privatizzata? Non solo il voto
sarebbe diverso, ma cosa più importante a chi importerebbe? Probabilmente
la forma di voto più profondamente soddisfacente per un economista è quello che è
utilizzato nelle società per azioni, dove il voto è proporzionale alla parte di
proprietà del capitale sociale detenuta da ciascuno. Ma ci sono anche, e ci sarebbero,
una miriade di club privati di ogni sorta. È solitamente assunto che le decisioni di club
sono prese sulla base di un voto per ogni membro, ma ciò non è vero. Senza dubbio, i
club meglio gestiti e più piacevoli sono quelli amministrati da una piccola oligarchia
che si autoperpetua e che raccoglie i più capaci ed i più interessati: un sistema molto
piacevole per il membro semplice non votante come per lélite. Se sono un membro
semplice, ad esempio, di un club di scacchi, perché mi dovrei preoccupare del voto se
sono soddisfatto del modo in cui il club è gestito? E se sono interessato alla gestione,
probabilmente mi verrebbe chiesto dalla riconoscente oligarchia, sempre alla ricerca di
membri energici, di entrare a fare parte dellélite che gestisce. E finalmente se
sono scontento del modo in cui il club è gestito posso facilmente lasciarlo ed iscrivermi
ad un altro club o semplicemente formarne uno per conto mio. Questa, naturalmente, è una
delle grandi virtù di una società libera e privatizzata, che si tratti di un club di
scacchi o di una comunità contrattuale di quartiere.
La fuga dagli Stati Nazionali è dunque anche un fuga dalla politica così come è stata
concepita fino ad oggi.
1.4 Stato pluralista o pluralità di sistemi?
Nella diversa valutazione tra libertari e socialisti sulla desiderabilità di una
devoluzione di poteri verso il basso si evidenzia una delle differenze ideologiche più
significative che passa tra i due sistemi di pensiero a cui i due gruppi fanno
rispettivamente riferimento.
I progressisti nelle loro varie tendenze si dicono tipicamente a favore del
pluralismo. Nella loro accezione il pluralismo rappresenta la convivenza di più culture
diverse sotto lo stesso sistema politico. Per un progressista, quindi, qualsiasi cultura e
qualsiasi stile di vita viene visto come eticamente equivalente e tutte le persone (o per
lo meno i maschi bianchi eterosessuali capitalisti) devono accettare tale principio.
La scuola quindi deve essere laica e plurale, cioè deve essere una scuola
unica obbligatoria che sulla base di qualche sistema di quote opportunamente pianificato
dia spazio a tutte le culture o per lo meno a quelle politicamente corrette e gradite
allintellighenzia di sinistra. Deve ospitare tutti i punti di vista (purché
politicamente corretti e graditi allintellighenzia di sinistra) ed educare
alla diversità ed al multiculturalismo.
Chiunque sia portatore di valori politici culturali in dissenso rispetto a quelli dei
capoccioni della scuola pubblica viene immediatamente marcato come un reazionario.
Al contrario della tolleranza progressista, la tolleranza
libertaria non fonda invece le sue basi su un relativismo culturale sulla base del
quale ogni cultura ed ogni punto di vista si equivale sul piano morale. Essa si fonda
invece sul principio di non aggressione sullidea che ciascuno ha il diritto
di decidere della propria proprietà, che ciascuno, in altre parole, è padrone a casa
sua.
Su queste basi il modello monopolista di scuola cosiddetta plurale tanto caro ai
progressisti non è accettabile per chi professi posizioni autenticamente liberali. Il
liberale infatti ad una scuola monopolista preferirà una pluralità di sistemi educativi
diversi in concorrenza tra loro. Molti di questi naturalmente non avranno alcuna pretesa
di essere singolarmente plurali ciascuno inevitabilmente sarà animato
da uno spirito diverso e la libertà dellindividuo utente consisterà nello
scegliere tra i vari possibili quello che lui soggettivamente riterrà più affidabile,
magari più plurale o semplicemente più in linea con i propri valori
personali
Lo stesso dibattito che avviene sulla scuola si verifica ad esempio sulle
telecomunicazioni. I progressisti sostengono una tv pubblica plurale, cioè
che dia spazi secondo unopportuna lottizzazione a tutte le correnti di pensiero
gradite allestablishment. I libertari propendono invece per una pluralità di
televisioni private assolutamente libere di scegliere la loro linea editoriale senza i
condizionamenti di regolamenti statalisti quali la cosiddetta par condicio.
Non è un caso che televisione e scuola due campi fortemente controllato dallo
Stato siano sempre al centro di polemiche politiche estremamente velenosi. La
presenza di un soggetto pubblico finanziato con i soldi dei contribuenti porta
necessariamente a situazioni di conflittualità perché le persone pagano per un
determinato servizio e quindi ciascuno pretende che la linea sulla base della
quale tale servizio sia quella più vicina alla propria cultura ed alle proprie posizioni.
Qualsiasi scelta sia compiuta sulla scuola, da Berlinguer o dalla Moratti, qualsiasi
scelta sia compiuta sulla RAI, da Zaccaria o da Baldassarre, questa necessariamente
scontenterà una parte più o meno vasta della popolazione e che pure rivendica
qualche forma di comproprietà su tali aziende dato che si trova a
dovere pagare balzelli per finanziarlo.
Portando lo Stato fuori dalla scuola o dalla televisione, ed affidando tali settori al
mercato, si depoliticizzerebbe certi temi e verrebbero meno i conflitti che attorno ad
essi si creano. Non è un caso che il settore della stampa, che vede in campo una
pluralità di testate private, non conosce certo le tensioni aspre che attraversano quello
della televisione.
Di giornali in edicola se ne trovano parecchi e ciascuno compie legittimamente le proprie
scelte editoriali indipendentemente dagli altri. Ogni persona ha modo di acquistare quello
che soggettivamente considera il più vicino alle sue esigenze.
Se quindi ciascuno è a modo suo scontento della tv pubblica o della scuola pubblica
malgrado tutte le loro pretese di essere obiettive e super partes
allo stesso tempo ciascuno è tipicamente contento del proprio quotidiano... e se
non lo fosse basterebbe che acquistasse un giornale diverso.
Se esistesse una sola rivista per ogni città o Stato nota Murray Rothbard
quanti conflitti o battaglie vi sarebbero, del tipo: la rivista deve essere
liberale, conservatrice o socialista? Quanto spazio deve dedicare alla narrativa e quanto
al bridge, etc.? Le pressioni e i conflitti sarebbero molto intensi e nessuna soluzione
apparirebbe soddisfacente, dal momento che qualsiasi decisione priverebbe molti individui
di ciò che desiderano e di cui hanno bisogno.
Queste considerazioni possono essere facilmente generalizzate per concludere che,
qualsiasi siano le politiche implementate da uno Stato ed imposte in regime di monopolio
su un territorio di notevole estensione, queste saranno destinate necessariamente a
scontentare una parte della popolazione.
E assolutamente inevitabile che la convivenza forzata sotto un unico governo crei
conflittualità e lotta per il potere.
Occorre in definitiva uscire dallottica secondo cui gli interessi di milioni e
milioni di persone possano essere difesi da un unico governo che pure si sforzi di essere
il più possibile onnicomprensivo, pluralista e tollerante.
Ed entrare invece nellidea liberale di nuove forme di aggregazione comunitaria
contrattuali e liberamente accettate, città private e nazioni per consenso
basate sulla libera scelta di chi vi vive.
Molte di queste città private saranno al loro interno estremamente omogenee e magari
potrebbero essere rette da regole di comportamento estremamente rigorose talora
persino bigotte. Niente vieta ad esempio che un gruppo che una certa città privata sia
retta secondo principi cristiani fondamentalisti. In maniera del tutto analogo niente
vieta che unaltra città scelga di divenire una Mecca della prostituzione e del
gioco dazzardo.
Tutto questo non ci deve turbare più dellesistenza su un treno di scompartimenti
per fumatori e di scompartimenti per non fumatori: ognuno si siede dove preferisce!
Se cristiani fondamentalisti irrispettosi delle libertà altrui e comunità dedite a vizi
privati fossero obbligati a convivere sotto un unico governo inevitabilmente le leggi
prevaricherebbe gli interessi del gruppo che risultasse minoritario oppure si
dovrebbe negoziare una qualche forma di compromesso che scontenterebbe a vari livelli sia
i primi che i secondi.
Un criterio possibile su cui potrebbe edificarsi una città privata potrebbe naturalmente
essere anche quello etnico-nazionale. È il caso ad esempio di Orania, cittadina
sudafricana che si estende su una superficie di 200 ettari e conta 670 abitanti.
Il territorio su cui sorge è stato acquistato nel 1991 da un gruppo di afrikaner, cioè
sudafricani bianchi di lingua afrikaans discendenti dei coloni olandesi ed ugonotti
cacciati dalla Francia quando Luigi XIV revocò leditto di Nantes nel 1685.
Da quando i bianchi hanno perso il controllo dello Stato sudafricano, gli afrikaner non
possono più contare sulla politica per preservare la loro identità etnica, linguistica e
culturale. Ed allora si rivolgono al mercato ed alle possibilità di formare associazioni
libere e volontarie in assenza di coercizione politica. Noi afrikaners non
governeremo più il Sudafrica spiega Prinsloo Potgieter Mi sono
rassegnato a questo, ma non voglio essere governato da altri: voglio lautogoverno.
Orania sarà la nostra Israele, la nostra salvezza.
Il mercato e la proprietà privata quindi come presìdi per le culture minoritarie, quelle
che non hanno la possibilità di preservarsi nei contesti democratici di voto
a maggioranza. Lesatto contrario insomma di quanto sostiene la vulgata no-global
secondo cui il libero mercato sarebbe massificante e culturicida.
Capitolo secondo
Dalla teoria alla pratica
2.1 Il progetto dellIsola della Libertà
Gli organizzatori del progetto Freedomland si propongono di gettare le basi di una
comunità pacifica e libera su unisola interamente artificiale realizzate sulla base
delle più avanzate conoscenze ingegneristiche.
Si tratta evidentemente di un progetto estremamente ambizioso, non solo per la difficoltà
tecnico-realizzative che esso comporta ma anche per i suoi costi sicuramente elevati.
Non vè dubbio alcuno che in linea teorica altre potrebbero essere concepite altre
strategie per determinare la nascita di unentità politica con una presenza statale
nulla o severamente limitata.
Una di queste possibili strategie potrebbe essere quella di cercare di determinare uno
spostamento politico in senso radicalmente liberale di uno di unentità
politico-amministrativa con un certo grado di autonomia interna. Questo spostamento
politico potrebbe essere determinato da uno spostamento di persone allinterno di uno
Stato verso una determinata area. Gli spostamenti interni ad una nazione, da unarea
amministrativa ad unaltra, tipicamente comportano lacquisizione immediata del
diritto di voto nella nuova area in cui si ottiene la residenza.
Unidea meritevole di nota che va in questa direzione è quella del Free State
Project.
Essa prevede che un numero significativo libertari si trasferiscano in uno stato USA di
piccole dimensioni per influenzarne in modo significativo le scelte politiche. Secondo i
promotori il successo del progetto porterebbe a riduzioni nel peso fiscale e nelle
regolamentazioni, a riforme nelle leggi statali e locali, alla fine dei mandati federali
ed al ripristino del federalismo costituzionali, dimostrando così i benefici della
libertà al resto della nazione e del mondo.
Il maggiore limite di tale progetto consiste nel fatto che gli attuali stati USA sono
troppo grandi perché sia realisticamente possibile modificare in modo netto il loro
orientamento politico solamente attraverso spostamenti di popolazione. Basti pensare che
20.000 mila nuovi libertari rappresenterebbero appena il 4% della popolazione del Wyoming
od appena l1,5% della popolazione del New Hampshire, solo per limitarsi a stati
piccoli considerati come target plausibili dal Free State Project.
Unaltra possibile alternativa allidea di unisola artificiale potrebbe
essere lacquisto di unisola naturale già pronta o comunque di un pezzo di
terra attualmente di proprietà di uno Stato magari povero e bisognoso di soldi -
che sia disposto a rinunciare in cambio di denaro alla sua giurisdizione su tale
territorio.
Stavolta non sarebbe necessario lafflusso di centinaia di migliaia, se non di
milioni di freedom lovers verso una determinata area. Anche un numero
estremamente ridotto di persone da poche centinaia a qualche migliaio
potrebbe essere sufficiente per stabilire una società autosufficiente ed a tutti gli
effetti indipendente. Questa ipotesi è stata più volte presa in considerazione negli
ultimi anni da chi più o meno seriamente - ha studiato lipotesi della
creazione di entità politiche nuove ma si è subito dovuta scontrare con la dura realtà
dei fatti. Non esiste nessuno Stato al mondo, per quanto scalcinato, che sia disposto a
vendere a cedere la giurisdizione su una parte anche piccola del suo
territorio, che sia disposto a rinunciare, in altre parole, anche solo in linea di
principio al feticcio della sovranità nazionale.
È abbastanza significativo da questo punto di vista litinerario compiuto dal
progetto Laissez-Faire City. Lidea iniziale spiegava uno dei
promotori Rex Rogers era quella di ottenere in concessione da uno stato
dellAmerica Latina una fetta di terra, nel tentativo di dare vita così ad una
città privata. Il contratto stipulato avrebbe previsto un usufrutto di
cinquantanni, dopo i quali il territorio e le nuove strutture create sarebbero
tornati ad essere di proprietà dello Stato. Nella speranza ironizza Alberto
Mingardi che nel corso di cinque decenni lo stato avesse avuto il buon gusto
di sparire.
Ci siamo rivolti al Cile continua Rogers, ma abbiamo dovuto constatare
che non cerano le condizioni per dar vita al nostro progetto. Dopo una serie di
sopralluoghi, abbiamo concluso che il paese migliore per progetto simile potesse essere il
Perù. E in effetti limpressione che mi diede Fujimori, dopo una serie di colloqui,
fu quella di una persona in perfetta buona fede e sinceramente convinta della superiorità
morale del sistema capitalistico. Tuttavia Fujimori mi spiegò che dare ospitalità a
Laissez-Faire City sarebbe stato troppo compromettente per lui, già bersagliato dalla
sinistra internazionale.
Laissez-Faire City dovette rinunciare al progetto di divenire una città privata e si
accontento di divenire una libera comunità telematica.
Altri comitati dal canto loro hanno sondato, senza migliore fortuna, le possibilità di
acquistare unisoletta negli arcipelaghi delle Marianne o delle Bahamas, mentre Jim
Davidson ha a lungo verificato la possibilità di un insediamento libertario in Somalia,
paese che a seguito di vari eventi politici negli ultimi anni è stato privo di un governo
formale in grado di controllare lintera estensione del suo territorio.
Molte delle iniziative che sono state portate avanti hanno fatto riferimento a Free Nation
Foundation (Libertarian Nation Foundation dal 2001), un think tank la cui missione è
quella di avvicinare il giorno in cui le istituzioni coercitive degli Stati potranno
essere rimpiazzate da istituzioni volontarie basate sul mutuo consenso civile, sviluppando
descrizioni chiare e credibili di tali istituzioni volontarie e costruendo una comunità
di persone che ripongono fiducia in tali descrizioni.
I diversi tentativi effettuati, anche contattando stati poveri e bisognosi di denaro,
hanno purtroppo finora evidenziato che non esiste nessuno Stato al mondo, per quanto
scalcinato, che sia disposto a vendere a cedere la giurisdizione su una parte anche
piccola del suo territorio, che sia disposto a rinunciare, in altre parole, anche
solo in linea di principio al feticcio della sovranità nazionale.
Un pezzo di terra od un isola possono sì essere acquistati ma comunque nellambito
di uno Stato e pertanto soggetti alle legislazione di esso.
Si tratta, evidentemente, di una soluzione insoddisfacente per chi come gli
organizzatori del progetto dellIsola della Libertà è invece alla ricerca di
una via di uscita dalla statualità, per chi desidera creare una comunità nuova realmente
libera da tasse ed imposizioni centraliste.
LIsola della Libertà dovrà quindi essere unisola sovrana, pena il venire
meno non solo di tutte le ragioni ideali che portano alla sua fondazione ma anche della
sua stessa possibilità di sopravvivere economicamente che è strettamente legata alla sua
connotazione di zona franca.
Unisola artificiale galleggiante situata in acque internazionali sarebbe fuori dalla
giurisdizione degli Stati attuali e potrebbe essere a tutti gli effetti indipendente.
Infatti come spiega Rene Kardol che ha condotto degli studi alluniversità di
Amsterdam sullo status internazionale di eventuali isole artificiali secondo la
convenzione di Ginevra del 1958 (Geneva Convention of the High Seas) nessuno
Stato ha il diritto di espandere la sua sovranità sulle acque internazionali. Ciò può
comportare la possibilità per ogni persona o gruppo non statale di edificare strutture on
acque internazionale senza che gli Stati possano compiere azioni contro di esse.
In base alla Convenzione poiché i mari aperti devono essere disponibili per tutte
le nazioni, nessuno Stato può assoggettarne una parte alla propria sovranità. La
libertà dei mari aperti è esercitata sotto le condizioni poste da questi articoli e
dalle altre regole delle leggi internazionale. Ciò comprende, tra le altre cose, sia per
gli stati costieri che per gli altri: 1) la libertà di navigazione 2) la libertà di
pesca 3) la libertà di istallare cavi e conduttore sottomarini 4) la libertà di
sorvolare i mari. Queste libertà e le altre riconosciute dai principi della legge
internazionale, devono essere esercitate da tutti gli stati con rispetto degli interessi
degli altri Stati che esercitino a loro volta la loro libertà sui mari aperti.
Il successivo accordo UNCLOS del 1982 (U.N. Convention on the Law of the Sea) ha peraltro
in parte ristretto gli spazi giuridici aperti dalla Convenzione di Ginevra ad
uneventuale occupazione private delle acque internazionali ma è doveroso notare che
tale accordo non è stato sottoscritto da vari stati ed in particolare dagli Stati Uniti.
Unisola artificiale che aspiri ad un riconoscimento politico-diplomatico da parte
della nazioni esistenti può appellarsi alla risoluzione 2625 dellAssemblea Generale
delle Nazioni Unite fornisce può basi legali per una richiesta di riconoscimento
internazionale dellindipendenza dellisola. Tale risoluzione riconosce infatti
a tutti i popoli il diritto di determinare liberamente e senza influenza esterna il loro
status politico ed a perseguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale.
La formazione di un nuovo stato è peraltro in accordo con larticolo 1
paragrafo 2 della Carta Fondamentale delle Nazioni Unite.
Non ci dovrebbero essere particolari problemi nel rispettare i parametri fissati
dallart. 1 della Convenzione di Montevideo sui Diritti ed i Doveri degli Stati.
In base a tale convenzione uno stato in quanto soggetto di diritto internazionale
deve possedere i seguenti requisiti: a) una popolazione permanente; b) un territorio
definito; c) un governo; d) la capacità di entrare in relazione con gli altri
Stati.
Per popolazione si può intendere unorganizzazione di esseri umani che vivono
insieme come una comunità e la popolazione di uno Stato comprende tutti gli individuo
che, in linea di principio, abitano permanentemente in tale Stato.
Non cè un numero minimo di individui che sia necessario per formare uno Stato.
Nauru ha 8 mila abitanti; Liechtenstein e Monaco circa trentamila; Pitcairn che avrebbe
tutti i requisiti per diventare uno Stato ha appena 92 residenti.
Analogamente non esiste un territorio minimo necessario per formare uno Stato.
Città del Vaticano si estende su mezzo chilometro quadrato, mentre Monaco su due
chilometri quadrati.
Naturalmente per unisola quale Freedomland che nasce su una piattaforma ideale
marcatamente liberale non sarebbe strettamente necessario ottenere un riconoscimento
politico formale.
La massima aspirazione dei sostenitori del progetto Freedomland non è quello di
assicurarsi un seggio allOnu o comunque di compartecipare alla politica
internazionale attraverso la miriade di organismi sovranazionali dei quali fanno capo gli
Stati attuali.
I promotori di Freedomland sono molto meno ambiziosi... e molto più liberali. Quello che
sta loro a cuore e la possibilità per la loro isola di esistere e di operare attività
economiche in modo libero. Un riconoscimento de facto dellindipendenza
di Freedomland è dunque il vero obiettivo, non certo quello di stabilire relazioni
diplomatiche bilaterali con la Svezia e con la Nigeria.
Del resto la repubblica di Taiwan e lo stato turco-cipriota di oggi oppure la Rhodesia ed
il Bophutatswana di qualche anno fa sono solo alcuni degli esempi di Stati privi di
riconoscimento politico ufficiale, ma con unintegrità territoriale de facto
riconosciuta e quindi liberi di operare internamente sulla base delle loro leggi.
Il vero problema quindi sarà quello di assicurarsi che non ci sarà da parte di stati
vicini il tentativo di annettere Freedomland o comunque di ricondurla sotto la
giurisdizione di uno di questi.
Da questo punto di vista esistono precedenti contraddittori, in particolare relativi al
diverso atteggiamento tenuto dal governo olandese e dal governo inglese nei confronti di
stazioni radio installatesi su piattaforme che si trovavano al di fuori delle acque
territoriali, ma allinterno della cosiddetta piattaforma continentale
esterna, una fascia di acque oltre le acque territoriali fino ad una profondità di
200 metri, nella quale si consentono agli Stati costieri determinati diritti di
sfruttamento delle risorse del fondale.
Il governo olandese ha in particolare intrapreso unazione legale contro
lemittente radiofonica Reclame Explotatie Maatschappij forzando la sua chiusura.
Lemittente radiofonica Radio Caroline che irradiava da una base non lontana dalle
coste inglesi non è stata oggetto di azioni unilaterali da parte della Gran Bretagna in
quanto le corti di quel paese hanno sentenziato che tale intervento avrebbe violato la
legislazione sui mari aperti.
Negli Stati Uniti invece una compagnia privata, la Atlantis Development Corporation
(registrata alle Bahamas) aveva cominciato ledificazione di unisola
artificiale per stabilirvi un nuovo paese chiamato Atlantis, lisola dellOro ma
sfortunatamente stavolta fu un uragano a distruggere le installazioni.
Chi è andato davvero molto vicino alla costituzione di uno Stato indipendente è stato
luomo daffari americano Micheal Oliver che allinizio degli anni 70
lanciò un progetto che prevedeva di fare emergere unisola in un sito
dellOceano Pacifico in cui, per la presenza di scogliere subacque, la profondità
delle acque era estremamente bassa. La zona prescelta era collocata a circa 400 miglia a
sud delle isole Figi ed a 260 miglia ad ovest delle isole Tonga.
Nei piani di Oliver cera la costituzione di una città-stato di ispirazione
libertaria in grado di sostenere una popolazione di 30 mila persone. La costruzione
cominciò nel 1971 ed il 19 gennaio del 1972 fu dichiarata lindipendenza della
Repubblica di Minerva. La costituzione di Minerva era fondata sul principio che
lunica funzione legittima del governo è di proteggere i suoi cittadini dalla forza
e dalla frode e che pertanto il governo è limitato a questa sola funzione.
Il re delle isole Tonga percepì la nascita della Repubblica di Minerva come una minaccia
e pose fine allesistenza della micro-nazione invadendola ed annettendola il 21
Giugno del 1972.
2.2 Un buon auspicio: il caso del Principato di Sealand
Durante la seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna una serie di piattaforme militari sul
mare per coordinare il contrattacco in caso di unoffensiva aerea tedesca. Le isole
si trovavano tutte allinterno delle acque territoriali britanniche tranne una,
costruita un po più in là, nelle acque internazionali del mare del nord.
Questisola fu lunica a non essere smantellata dopo il conflitto e fu lasciata
disabitata ed abbandonata a se stessa.
Nellinverno del 1966 un privato cittadino britannico, il maggiore Roy Bates, decise
di trasferirsi con la famiglia nella piattaforma e cominciò ad equipaggiare ed a
ristrutturare lisola. Il 2 Settembre del 1967 Roy Bates proclamò
lindipendenza del Principato di Sealand, issandone la bandiera.
La coraggiosa scommessa di Bates si è rivelata vincente, in quanto lindipedenza di
Sealand è stata nel tempo riconosciuta de facto a più riprese.
Nel 1968 in particolare si è conclusa una causa che era stata intentata contro Bates da
un tribunale inglese. La corte ha infatti dichiarato di non essere competente nel caso in
quanto non poteva esercitare nessuna giurisdizione al di fuori del territorio nazionale
britannico. Dato che la giustizia inglese aveva stabilito che Sealand non faceva parte del
Regno Unito e nessunaltra nazione era interessata a rivendicarne la proprietà, un
nuovo stato era di fatto esistente.
Nel 1975 Roy di Sealand proclama la Costituzione del Principato. Viene inoltre varato un
inno nazionale, vengono coniato francobolli e coniate monete doro e dargento
(il dollaro di Sealand). Sono stati anche emessi passaporti.
Il primo ottobre 1987 la Gran Bretagna decideva di estendere le sue acque territoriali da
3 a 12 miglia nautiche, venendo così a comprendere il territorio del Principato. In
previsione il giorno precedente anche il principe Roy aveva dichiarato lestensione
delle acque territoriali di Sealand a 12 miglia nautiche, venendo così a comprendere
anche aree costiere britanniche. Nessun trattato è stato firmato dalla Gran Bretagna e da
Sealand per risolvere la questione, ma anche stavolta si è giunti ad un accordo di fatto
per cui la Gran Bretagna e Sealand hanno mutualmente riconosciuto la rispettiva integrità
territoriale.
La Gran Bretagna non ha fatto niente per porre Sealand sotto la sua giurisdizione,
trattando il principato a tutti gli effetti come unentità politica indipendente e
sovrana, ed i principi di Sealand non pagano alcuna tassa al Regno Unito per il periodo in
cui risiedono nellisola.
Nel 1999 il principe Roy Bates, in condizioni precarie di salute, ha nominato con un
decreto il figlio Micheal principe reggente.
Nel maggio 2000 la società informatica HavenCo che offre servizi internet ha posto la sua
sede su Sealand, che definisce lunico vero ambiente di libero mercato nel
mondo.
Negli anni numerosi legali indipendenti hanno vagliato le argomentazioni giuridiche a
favore e contro la sovranità di Sealand, riconoscendo in modo pressoché unanime che essa
si fonda legittimamente sul principio dello ius gentium.
In più occasioni gli altri Stati hanno inoltre riconosciuto a Sealand il diritto di
negoziare internazionalmente su argomenti di rilievo per il suo interesse nazionale o
comunque hanno riconosciuto la sua autorità amministrativa sulle attività che si
svolgono allinterno dei suoi confini.
2.3 Costruire lisola della libertà
Il progetto Freedomland così come ideato dai suoi promotori è tecnicamente fattibile dal
punto di vista ingegneristico sulla base della tecnologia attualmente disponibile. Lo
dimostrano ad esempio chiatte di cemento quali il nuovo porto di Montecarlo e l'aeroporto
di Dubai.
Partendo da strutture di quel tipo ed immaginando che alcune di queste costruzioni vengano
saldate tra loro progettare una struttura in cemento armato microcellulare che, come
un'enorme nave, si muova nelle acque internazionali del Mediterraneo ed accolga su di sé
tutto quanto può essere ospitato da un'isola bellissima, moderna, efficientemente
concepita ed organizzata: abitazioni e uffici, villaggi turistici, piccoli porti e
aeroporti, luoghi di svago e di riposo.
I costi realizzativi saranno inutile nasconderlo molto alti.
E possibile stimare, in particolare, che i soli costi di progettazione
dellIsola della Libertà si aggirerebbero intorno ai 15-20 milioni di Euro. Poi si
tratterebbe di passare alleffettiva costruzione dellisola.
Sarebbe soprattutto il primo modulo a risultare costoso si parla di 1 miliardo e
mezzo di Euro per una superficie di 50 mila metri quadri in quanto sarebbe
necessario realizzarlo in cantieri sulla terra ferma con pesanti costi sia di manodopera
che poi di trasporto.
I moduli successivi potrebbero essere invece realizzati direttamente sullisola ed i
costi risulterebbero inferiori ad un decimo di quelli del primo.
Gli organizzatori sono convinti di potere contenere in 5-6 miliardi di Euro la
realizzazione di
unisola di 30 kmq.
Nella prime fasi costruttive i moduli dellisola sarebbero collegati al pavimento
delloceano con cavi di Teflon per impedire loro di andare alla deriva e per
garantire stabilità laterale. Quando lisola diverrà sufficientemente grande,
tuttavia, non tali cavi non saranno più necessari ed anzi si prevede di rendere
lisola in grado di spostarsi in caso di necessità - dotandola di opportuni
motori a idrogeno.
Lenergia elettrica necessaria per provvedere alla fase di realizzazione
dellisola e più tardi al suo funzionamento a pieno regime sarà garantita da
generatori eolici, da generatori fotovoltaici e da generatori basati sul movimento delle
onde del mare. A seconda della profondità del mare nellarea in cui sarà collocata
lisola si potrà pensare anche di ricorrere a generatori basati sulla temperatura
differenziale dellacqua marina. Il vapore creato mescolando acque di temperature
diverse è in grado di far ruotare una turbina che produce corrente elettrica. Generatori
di questo tipo, in grado di produrre centinaia di megawatts, sono già stati sperimentati
con successo in Giappone ed alle Hawaii.
2.4 Le potenzialità economiche di unisola global
La collocazione geografica che viene proposta per lisola della Libertà è in mezzo
al Mare mediterraneo, tra la Sardegna e le isole Baleari. I collegamenti navali con
lItalia, la Francia e la Spagna sarebbero dunque particolarmente semplici ed
estremamente comodi sarebbero anche i collegamenti aerei.
In altri parole non si tratterà del solito paradiso fiscale sperduto nel Pacifico, ma di
una zona franca ad un passo da casa nostra che si presenterà come alternativa realistica
a tanti imprenditori ed investitori tartassati dalle tasse e della regolamentazioni
dellUnione Europea.
Lubicazione renderà particolarmente lisola appetibile anche dal punto di
vista turistico. Un intero quartiere potrà essere pertanto adibito ad ospitare moderni
alberghi ed altre strutture residenziali turistiche con villette, piccoli condomini e
possibilità di multiproprietà.
La sopravvivenza dellisola si giocherà naturalmente sulla sua capacità di attrarre
investimenti, cosa che sarà senza dubbio facilitata dallassenza di imposte sul
reddito. A chi deciderà di stabilirvi la sua residenza od il suo domicilio fiscale sarà
richiesto solamente di pagare spese condominiali. Insomma niente tasse che
colpiscono chi produce per avvantaggiare chi non produce bensì solamente il pagamento dei
servizi offerti dallamministrazione dellisola, come la sicurezza,
lenergia elettrica o la nettezza urbana.
E possibile pensare che banche, assicurazioni ed altre società finanziarie trovino
buone ragioni per stabilire la loro sede sullisola.
Secondo Giuseppe Quarto lisola rappresenterà inoltre unavanguardia per
lindustria informatica ed in generale per tutta lindustria dellalta
tecnologia. Del resto la vocazione per linnovazione è nel DNA di Freedomland, un
progetto che può nascere solamente grazie al progresso raggiunto nei vari campi
dellingegneria.
Unisola pertanto pienamente integrata nella complessa rete delleconomia
globale ed al passo con le più avanzate tecnologie. Freedomland, in definitiva, come
possibile santuario della next economy.
Ma lisola potrebbe divenire anche un centro di primaria importanza per la ricerca in
campo medico, ad esempio in campi quali quelli della bioingegneria, delle sperimentazioni
farmaceutiche e dei nuovi vaccini, dando speranza a tanti malati resi incurabili dalle
regolamentazioni pubbliche oscurantiste.
Proprio un bello schiaffo sarebbe per i tanti politici che da tempo reiterano le loro
richieste di leggi mondiali contro questa o quella sperimentazione non gradita
sulla base di qualche precetto religioso e più spesso di interessi precostituiti
delle lobbies che in questo momento controllano il mercato della medicina e della
farmacologia. Leggi mondiali, sì. Perché i politici non sono così stupidi come si pensa
e hanno capito benissimo che il proibizionismo può funzionare solamente se applicato su
scala gigantesca senza consentire che alcune entità territoriali compiano scelte diverse,
pena il venir meno dellintero impianto.
La libertà di ricerca naturalmente non riguarderebbe solamente il settore sanitario, ma
anche quelli dellagricoltura e dellallevamento. Lontano dalle chiassose
manifestazioni contro gli OGM si potrebbero sperimentare nuove biotecnologie in grado di
aumentare in modo notevole la possibilità di produrre risorse alimentari.
2.5 Vivere nellIsola della Libertà
Giuseppe Quarto ci tiene a sottolineare come lIsola della Libertà sarà
unisola ecologica, nata nella natura ed in simbiosi con essa. Come già
detto, non si userà petrolio ma solo energia pulita ottenuta dal vento, dal sole e dalle
acque del mare, cioè dallambiente in cui lisola si troverà immersa.
Insomma se i vecchi Stati nazionali ci hanno abituato a veri e propri scempi ambientali,
questa nuova isola che nascerà nel libero mercato e per mezzo del libero mercato promette
una notevole attenzione al problema della preservazione del patrimonio della natura.
Guglielmo Piombini, nel libro Privatizziamo il chiaro di luna che ha contributo in modo
fondamentale a fare conoscere nel nostro paese lecologia di mercato, osserva del
resto come solamente il libero mercato e la proprietà privata sono in grado di assicurare
la preservazione dei beni ambientali in quanto come già aveva compreso Aristotele
quello che è di tutti non è di nessuno e nessuno se ne prende cura.
La tragedia dei beni collettivi è che essi sono gratuitamente a disposizione
di tutti e quindi chiunque ha interesse a fruire a più non posso di esse e non esiste
nessun incentivo ad autolmitarsi perché manca un proprietario che sia
interessato a preservare nel tempo il valore di tali beni.
Insomma nel settore pubblico letica che si afferma è banalmente consumare il
più possibile ed al diavolo tutti gli altri.
Evidentemente il mercato viene ad avere un orizzonte temporale molto più lungo di quello
dello Stato e della politica e quindi rappresenta la migliore garanzia per la tutela
ambientale di questo pianeta. Come da sempre sostengono i libertari, la natura crea,
la proprietà conserva;
Freedomland quindi sarà in primo luogo un posto vivibile e con molto verde. Una città a
misura duomo con ampi viali e spaziose piazze-giardino.
I trasporti saranno assicurati da una piccola tranvia che attraverserà tutta lisola
per il trasporto di passeggeri e di merci. Per i trasporti individuali si prevede di fare
uso esclusivamente di auto elettriche.
Lisola disporrà naturalmente di moderni impianti sportivi, incluse piscine, campi
da tennis ed un campo da golf di 9 buche, con annesso driving range, situato nel quartiere
direzionale. Ci saranno inoltre ristoranti, cinematografi, locali da ballo e club
ricreativi sia per i residenti che per i turisti.
Le aree pubbliche o meglio comuni saranno naturalmente tenute in
ordine ed in perfetta pulizia.
Sarà un ricordo lontano il degrado delle nostre città in mano allo Stato, un
degrado che non dipende solamente dalla scarsa attenzione alla preservazione dei beni
culturali ed ambientali, ma anche dalla delinquenza e dal vandalismo reso possibile dalle
politiche di integrazione forzata perseguite dai nostri governanti e dalla proprietà
pubblica delle strade che rende possibile limplementazione di tali politiche
In altre parole i nostri politici espropriano i nostri diritti sulle città in cui viviamo
e consegnano le nostre strade a veri e propri gangsters.
Ovviamente tutto questo non potrebbe avvenire in una città privata come Freedomland.
Evidentemente gli accessi alla città sarebbero controllati. Non potrebbe entrare
chiunque. Non assisteremmo, in altri parole, a flussi migratori senza regole che
riempirebbero la città di mendicanti, lavavetri, vu cumpra o ancora
peggio criminali e spacciatori.
Né tantomeno sarebbero tollerati gli atti vandalici così frequenti nelle nostre città
dove è spesso difficile trovare un muro che non sia stato imbrattato con scritte e
graffiti.
Abbiamo ancora negli occhi, tra laltro, le immagini dello sacco di
Genova, quando in occasione del G8 del 2001 unorda barbarica di no-global si
è riversata nel capoluogo ligure in occasione del mettendolo letteralmente a ferro e
fuoco.
Freedomland apparterrà solamente ai suoi proprietari e nessun politico avrà il diritto
di espropriarla per consegnarla a cortei scomposti e violenti in nome di un qualche
diritto democratico a manifestare.
Sullisola il problema immigrazione sarà gestito sulla base di principi estremamente
semplici e coerenti con il rispetto dei diritti di proprietà: libertà di
accogliere e diritto di escludere. Libertà dunque di accogliere amici, turisti od
uomini daffari, lavoratori, ma anche il diritto sacrosanto di escludere gli
indesiderati ed i malintenzionati.
2.6 La mappa dellIsola della Libertà Guarda la foto
e la descrizione dell'isola
1° La zona è destinata a porto industriale per accogliere le navi merci per ricevere e
spedire.
2° Situata di fronte al porto industriale per accogliere turisti e passeggeri
3° Una piccola tranvia attraverserà tutta l'isola per il trasporto di passeggeri e
merci. Per i trasporti individuali verranno usate solo macchine elettriche, simili alle
macchine utilizzate nei campi da golf.
4° E' una vasta zona destinata a villette e piccoli condomini per i residenti.
5° Moli interni frangiflutti, per dividere dai porti la zona di isole residenziali.
6° Zona industriale e residenziale per i lavoratori delle industrie e dipendenti
portuali.
7° Un moderno aeroporto in grado di accogliere grossi aerei di linea e da carico.
8° Zona per uffici e attività commerciali e finanziarie.
9° Zona residenziale formata da isole con una o due villette. Questo permette ai
residenti di arrivare e partire in tutta riservatezza.
10° Zona residenziale turistica, villette e piccoli condomini.
11° Zona turistica per alberghi e multiproprietà.
12° Zona turistica per alberghi e multiproprietà.
13° Zona per villaggi turistici.
14° Zona direzionale e campo da golf e tennis.
15° Zona turistica per alberghi e multiproprietà.
La frontiera futura il nuovo West - è forse proprio nello spazio. O magari più
semplicemente nel Mar Mediterraneo, a pochi centinaia di chilometri dalle nostre coste, su
unisola chiamata Freedomland.
i Fred Foldvary, Public Goods and Private Communities: the Market Provision of
Social Service, Edward Elgar, Aldershot, 1994, p. 114. In questo libro vengono
studiati approfonditamente molti degli esempi di comunità private che riporteremo in
seguito.
ii ibidem, p. 146.
iii ibidem, p. 154. Una struttura condominiale molto simile, composta da 160 unità, è il
Briarcrest Condominium, costruito nel 1979 a Los Angeles nella parte Nord di Hollywood
(ibidem, p. 162).
iv Fred Foldvary, cit., p. 178. Altre comunità private simili a Reston, ma di minori
dimensioni, sono quelle di Columbia, nel Maryland, Howard County; il Players Club at
Sawgrass in Florida, St. Johns County; la Fords Colony vicino a Williamsburg,
Virginia; The Woodlands nel Texas (ibidem, pp. 186-189). Scritto da Marco Faraci per
LAssociazione culturale Liberi di scegliere Via Voltolina, 30
25124 Brescia
Tel. 030 2421214 Fax 030 3543696 e-mail: isola@liberidiscegliere.org
sito internet: www.liberidiscegliere.org
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