AFORISMI DI CARL WILLIAM BROWN
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AFORISMI CONTRO IL POTERE E
L'AUTORITÀ. Ovvero contro la stupidità.
di CARL WILLIAM BROWN
(Tratto dal libro Aforismi contro il potere e l'autorità della stupidità)
PREFAZIONE
Contenuto, stile e intenti del libro.
Se l'ipotetico lettore dovesse trovare queste pagine iniziali troppo noiose,
complicate o inutili, può sempre saltarle e passare direttamente agli
aforismi, del resto si sa, tutto è utile, ma niente è necessario; inoltre si
può anche ritornare sui propri passi in un momento successivo, sempre che
non sia troppo tardi, evidentemente!
Il Buddha disse: " Vidi una casa. Bruciava....dentro c'era gente....Uno mi
chiese, mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia, che tempo facesse,
se non piovesse, per caso se non tirasse vento, se un'altra casa ci fosse e
così via. Senza dare risposta, usci di là ".
L'importante è dunque uscire, andarsene da una situazione infelice e se non
è possibile uscire, si deve protestare e se non è consentito protestare o
ribellarsi allora bisogna necessariamente distruggere. Distruggere per
creare, come diceva appunto Eliot; cominciamo dunque col diventare
responsabili della nostra condizione e poi vedremo il da farsi (1).
Certo il problema non è di facile soluzione anche perchè come diceva Orwell:
" Finchè non diventeranno consapevoli non si ribelleranno, e fino a che non
si saranno ribellati non potranno diventare consapevoli" (2). In ogni caso,
è proprio perchè permangono ancora delle serie difficoltà, che è stato
scritto questo libro e altri ne seguiranno.
J.G. Fichte, come molti altri filosofi del resto, condivideva l'idea che
"... solo la libertà è il primo, immediato oggetto di un sapere: ovvero, il
sapere comincia solo dall'autocoscienza" (3). Ecco un buon punto di partenza
per rendere l'uomo accorto del suo stato di abbruttimento. E' ovvio che
molti preferiscono non avere l'onere della responsabilità (ciò è chiaramente
meno impegnativo) e così si affidano alla guida degli stupidi che, proprio
grazie alle loro deficienze, sono ben felici di assumere il comando di
questa nichilistica nave di folli, più volgarmente conosciuta col nome di
terra, o per gli amanti di Voltaire, "cesso dell'universo" (4).
Tutti gli abitanti del pianeta sono in qualche modo obbligati ad ubbidire
all'autorità di qualcheduno, la società umana è infatti una piramide
gerarchica, tutti abbiamo dei capi, dei comandanti, dei direttori, dei
tutors, dei consiglieri, degli aguzzini, dei rompicoglioni; tutti dobbiamo
sottostare al potere, alla legge, alla norma, alla convenzione, alla
tradizione, nessuno è in effetti libero, e anche il più autonomo degli
individui deve comunque sottostare al dominio della stupidità, anche il più
ricco e potente deve inchinarsi al volere dell'imbecillità, alla crudeltà
della regina dell'universo, anch'egli è infatti suddito e schiavo della
dittatura dell'ignoranza.
Sin dai tempi più remoti, l'ignoranza è in realtà il peggiore dei mali e ciò
venne riconosciuto sia da Aristotele sia dal Buddha e questo è ancor oggi un
parere largamente condiviso, per lo meno da tutti coloro che hanno un minimo
di buon senso.
Questo libro è dunque una specie di trattato (il primo di una serie
piuttosto copiosa, che ne comprende diversi altri), di manuale, di
vademecum, di saggio, di testo sacro, elaborato con l'intento di aiutare
l'uomo, tutti gli uomini, nessuno escluso, a contrastare il tremendo potere
e l'immensa autorità della stupidità. E' un testo di rivolta ed il suo
spirito, come diceva Camus (5), sta nella protesta dell'uomo contro la
condizione dell'uomo, soprattutto, aggiungo io, dell'uomo stolto.
Un libro, dunque, per aiutare il prossimo a rimanere sveglio, attento,
vigile e magari farlo diventare più consapevole (Beata inconsapevolezza
umana, recitava il Carducci); un libro che stimoli il lettore a meditare, a
riflettere e che contemporaneamente lo faccia anche arrabbiare o che
comunque lo convinca che oggi più che mai sono valide le parole di un
profeta come M.L. King che esortava: "Vi supplico di essere sempre
indignati", indignati per le ingiustizie del mondo, sdegnati per la nostra
stupida condizione di sofferenti animali di un universo senza senso.
Purtroppo non è così semplice riuscire nell'intento, perchè come si sa
l'uomo è abituato ad essere stupido, e l'abitudine, come ci insegnano
Koestler, Lorenz (6) e tanti altri filosofi (il termine va inteso in senso
lato, e si riferisce a tutti gli studiosi di ogni disciplina che amano il
sapere in generale), è una brutta bestia; è la prima forma di memorizzazione
e permane quasi indelebile nella mente della specie; si deve quindi
disabituare l'uomo alla stupidità, indurlo a rinunciare a questa tradizione,
che costituisce la componente statica e più deleteria della nostra cultura,
cultura dell'imbecillità ovviamente.
Il compito è senz'altro estremamente arduo, quasi una missione impossibile,
anche perchè la stupidità è così familiare alla stragrande maggioranza degli
individui che nella realtà finisce per diventare invisibile; la sua
percezione viene offuscata, lentamente sfuma, si dissolve e non viene più
avvertita. A complicare la situazione subentra anche il vezzo di considerare
stupide tutte le cose che eccedono la propria comprensione e poiché la
comprensione dell'uomo è molto limitata, ne risulta che il panorama che ci
si presenta non è altro che una terra desolata (vedi T.S. Eliot) colma di
stupidità.
Se è pur vero che di certo a questo mondo non c'è niente e che tutto ha un
valore molto relativo, ipotetico e convenzionale, è altresì altrettanto vero
che l'arroganza umana conduce gli esseri viventi a credere proprio il
contrario e cioè che a tutto c'è una spiegazione, che alla fine tutto andrà
per il meglio e che il nostro buon Dio in un modo o nell'altro ci salverà.
Avendo dunque appreso in passato la divertente lezione di Voltaire e del suo
Candido (7), impegnato a sopravvivere nel migliore dei mondi possibili, ho
voluto, seguendo il suo esempio, dare corpo a delle critiche, a delle
osservazioni, a delle riflessioni che consentissero di non dimenticare e di
non eludere o peggio ancora di non emulare la stupidità del reale e al
contempo stimolassero in qualche modo gli individui a combatterla, anche
perchè ribellarsi è giusto, è possibile e per di più gratifica e da un senso
alla nostra esistenza. (Lotto dunque sono, è uno dei tanti meccanismi
psichici di difesa che non negano, che non rimuovono, che non sublimano, ma
che divertendosi nella tristezza cercano di migliorare il mondo).
Forse è tragico dover ammettere la propria condizione, la propria impotenza,
il nostro orgoglio lo vieta, ma d'altronde se non si fa lo sforzo, si è
inevitabilmente relegati a rimanere nel limbo dell'inconsapevolezza e questo
di certo non aumenta la nostra sensatezza, né tanto meno la nostra
spensieratezza.
Per questo ho cercato di colpire la stupidità in tutte le sue
manifestazioni, di attaccarla su tutti i fronti. Contemporaneamente ho fatto
anche in modo di far arrabbiare tutti coloro che sono quotidianamente
vittime della stessa, con l'evidente scopo di indurli a rifiutare la loro
passiva condizione di sudditi del tremendo e tirannico regno
dell'imbecillità.
"Essere libero", evidentemente non vuol solo dire "poter scegliere", ma
anche "saper scegliere" ed è proprio per questo che ho deciso di scrivere,
per consigliare a scegliere, a voler fortemente la scelta giusta, a saper
fare la scelta giusta, ovviamente secondo la mia ricetta, seguendo la mia
visione del mondo, affidandomi agli insegnamenti di tanti studiosi, ma non
certamente di tutti. Oh, sicuramente tante cose sono già state dette, ma
siccome nessuno ascolta, dobbiamo ritornare indietro e ricominciare, come
sostiene A. Gide, e poi c'è anche da dire che come ci ha suggerito Pascal,
le buone massime ci sono già, ma si devono applicare e dunque non è un
lavoro inutile cercare di ripeterle, magari cambiando la forma, lo stile, e
divulgandole convincere la gente, persuaderla a tramutarle in concreti gesti
comportamentali e non solo a sfoggiarle come abili esercizi di fatua
retorica. In questo l'opera letteraria trova appunto la sua ragione
d'esistere.
Come il poeta tragico secondo l'arte è anche comico (Socrate nel Simposio di
Platone), così anche lo scrittore deve colpire sia gli stupidi che
comandano, sia coloro che non si ribellano, magari senza odiarli, ma
costringendoli a vedere, a diventare consapevoli, ed è appunto in questa
operazione che la tragedia diventerà commedia e le forze in gioco,
sommandosi, daranno una risultante umoristica.
"Scrivo commedie per convincere gli altri alle mie idee." diceva G.B. Shaw e
la volontà di descrivere, di analizzare il mondo in cui siamo immersi con
l'intento di diffondere sapere, osservazioni, rimandi, sberleffi, battute e
un indomito desiderio di conoscere, di apprendere, di studiare, di leggere,
con la recondita speranza di avvicinare gli altri alle proprie opinioni è da
sempre l'intento di ogni buon scrittore, che perlomeno si auspichi che le
sue opere costituiscano il pretesto per un dialettico e vantaggioso
confronto di punti di vista.
La scrittura dona poi l'illusione di essere vivo, di servire a qualcosa, e
serve comunque a consolare sia l'autore sia gli eventuali lettori; offre la
speranza che le parole diventino fatti, e che le azioni seguano i pensieri,
serve inoltre a far divertire qualcuno e a far arrabbiare qualcun'altro e
oltre ad essere un buon aiuto per affrontare il male di vivere, offre anche,
ad un prezzo del tutto irrisorio, l'occasione di passare il tempo, di
ucciderlo, di ripercorrerlo in avanti e all'indietro, e ciò, a mio modesto
parere, non mi sembra poco.
E così ho iniziato ad abbozzare la teoria, poi eventualmente seguirà la
pratica, mia o di altri, poco importa. (La protesta armata è poca cosa
rispetto alla protesta ideologica e allo spettacolo di una cultura che si
rinnova e pervade tutto l'universo e consente che le cose maturino, quando i
tempi finalmente saranno maturi.) Il libro si propone dunque di sviluppare,
non la verità, che come ci hanno insegnato Nietzsche e gli altri è
illusoria, ma, la capacità di riconoscere la stupidità, il che mi sembra già
un buon punto di partenza.
La scelta dello stile e del modo di esprimersi, visto la mia forma mentis e
la mia visione filosofica della vita, non poteva che essere indirizzata
verso una modalità di espressione breve, che risultasse incisiva e
sintetica, in pratica una scrittura molto concentrata, col preciso scopo di
lapidare in quanti più modi possibile il potere e l'autorità, vale a dire la
stupidità. La decisione di scrivere aforismi (Chi sa scrivere aforismi può
fare a meno di scrivere saggi, diceva K. Kraus), motti di spirito,
riflessione succinte, massime, definizioni e sentenze, esprime anche la
volontà di spogliare la scrittura di tutte quelle parole inutili che oggi
giorno riempiono la nostra vita, è un modo per tornare o se preferite per
giungere all'essenza. Tale formula si presta inoltre a molteplici giochi
verbali, e impiegando tutte le tecniche della retorica consente di
raggiungere un'alta figuralità e rappresentatività del discorso, che a loro
volta consentono al testo di avvicinarsi alle intuizioni della poesia e alle
critiche polemiche della satira e dell'umorismo. E' inoltre fuor di dubbio
che questa formula consente al lettore di esercitarsi parecchio da un punto
di vista linguistico-filosofico e gli permette dunque alla lunga di
migliorare notevolmente le proprie conoscenze culturali e le proprie
capacità espressive.
Questa letteratura ricorda e risale a quella delle origini, la cosiddetta
letteratura sapienziale, che sin dall'antichità ha raccolto il fior fiore
dell'esperienza e dei consigli dei saggi, da Confucio e Lao-tzu, dal Buddha
ai testi biblici, da Ippocrate e Epicuro, e passando attraverso Bacone,
Erasmo, Swift, Pascal, La Rochefoucault, Chamfort, Vauvenargue, Lichtenberg,
Flaubert è giunta fino ai moderni Nietzsche, Wittgenstein, Adorno, Kraus,
Beirce, Cioran, Canetti e molti altri. È talvolta la letteratura delle opere
religiose, della Bibbia e del Corano, delle parabole e degli “exempla” a
carattere didattico, che esprimono la saggezza e la sentenziosità di
pensatori come Socrate, Eraclito, Epitteto, e Seneca o di arguti popolani
che inventano magari proverbi e detti destinati a durare nei secoli. E' la
letteratura che rende immortali certi autori come Aristofane, Shakespeare,
Molière, Goethe, Wilde o Shaw che grazie alla loro abilità linguistica ed ai
loro raffinati giochi verbali hanno reso sublime l'uso della parola. E'
anche la letteratura dei manuali come il Kamasutra e costituisce inoltre la
parte più saliente dei romanzi e delle opere teatrali di ogni epoca.
La forma di espressione breve che acquista il carattere di sentenza e di
critica morale riveste anche molta importanza nelle raccolte di favole, si
ricordino ad esempio quelle di Fedro, di Esopo e di La Fontaine o in tempi
più recenti le splendide poesie di Trilussa. L'aforisma, che da Ippocrate in
poi racchiude delle verità generalizzate o presunte tali, stretto parente
delle citazioni e delle massime, ha infarcito ogni tipo di letteratura ed ha
dato luogo a vere e proprie raccolte che, oltre a brillare di luce propria,
hanno consentito ad altri scrittori di arricchire le proprie opere ed il
proprio stile.
In tempi più recenti i libri di massime hanno consacrato alla gloria
letteraria molti autori, e le riflessioni brevi sono diventate il modo di
espressione favorito dai filosofi più innovatori, oltre che il mezzo
preferito di tutti quegli scrittori che, come me, non amano parlare a
vanvera e sprecare fiato per arricchire la pletora di stupidaggini che
inquinano il mondo delle lettere e dei mass media in generale, ma amano al
contrario veicolare idee, commenti, riflessioni, critiche ed invettive. Come
ben sottolinea Federico Roncoroni (8), "l'aforisma (il nome deriva dal greco
aphorismos e significa definizione) infatti è una frase che compendia in un
breve giro di parole il risultato di precedenti riflessioni, osservazioni ed
esperienze, dunque è qualcosa di più di una semplice definizione, è un
perfetto meccanismo espressivo che, in equilibrio tra eleganza e sostanza di
pensiero, a metà strada tra il gioco di parole e la massima filosofica,
aspira a divertire e a far riflettere....nella sua apparente semplicità mira
ad avere un massimo di densità concettuale in un minimo di brevità
formale....concilia insomma la ricchezza del significato con la concisione
del significante." Come si vede è dunque proprio il contrario della prolissa
letteratura di quelli che non hanno niente da dire.
Molti sono anche gli scrittori italiani che nel corso dei secoli hanno
coltivato il genere, da Leonardo a Galileo, da Campanella a Vico, da
Beccaria a Leopardi, da Dossi a Longanesi, per continuare con Marchesi,
Flaiano, Gervaso, Bufalino, Ceronetti, Sgalambro, Bellocchio, Quinzio,
Pontiggia fino a Busi (9) per citarne solo alcuni e per non citare poi tutti
quelli che ne hanno curato delle raccolte. Forse come sosteneva Flaubert è
proprio giunto il momento di dare all'arte il valore delle scienze esatte e
la sinteticità delle definizioni aforistiche ci ricorda appunto da vicino la
brevità delle formule fisiche o delle regole matematiche. La produzione
artistica diventa così la testimonianza di un'osservazione oggettiva della
realtà e del comportamento umano e quindi prova sperimentale della stupidità
del più pernicioso essere vertebrato.
La grande caratteristica morale degli autori di frasi brevi sembra che sia
proprio racchiusa nel genere aforistico che si presta ad entrare in società
con l'intento di debellare i sofismi, l'ipocrisia e la tirannide della
stupidità umana. (persino Napoleone amava racchiudere i suoi principi in
frasi sentenziose). Il genere facilita infatti la diffusione dei concetti,
delle idee chiave, delle concezioni basilari che si spera abbiano per lo
meno un po' di buon senso. Prendendo di mira la realtà più vasta e globale,
queste frasi si prestano ad essere lette ed assimilate in tutto il mondo
proprio perchè aspirano ad essere di una qualche utilità a tutti gli uomini
della terra, che non dovrebbero mai dimenticare di ricordarsi che: "Chi va
in giro a persuadere la gente che non è così ben governata come dovrebbe,
non mancherà mai di ascoltatori attenti e benevoli.", come si auspicava
forse troppo ottimisticamente il nostro Richard Hooker.
La forma breve ricorda altresì l'invettiva, lo psogos, spesso velata, ma
chiaramente rancorosa e come diceva Amleto è l'anima del motto di spirito, è
la sostanza del motto cinico di Freud che apre le porte alla spiegazione
psicologica e filosofica dell'umorismo, tecnica che al pari della satira,
anche se in modo più intellettualmente sofisticato, attacca il potere e le
sue false pretensioni al rango, che devono chiaramente essere eliminate ed
abbattute. (10)
L'umorismo dell'attività psichica più elevata (si vedano a questo proposito
Il Motto di Spirito di Freud ed il suo saggio sull'umorismo.) ed arguta non
ama le differenze tra il mondo ideale e quello reale e cercherà quindi di
denunciarle (come fecero a loro tempo gli autori satirici, romantici,
surrealisti ed esistenzialisti.) smascherando la falsità dei comportamenti e
dei buoni proponimenti, sostituendo ai conflitti delle guerre sanguinose e
violente quelli dell'intelligenza per riuscire finalmente a far emergere il
buon senso. L'umorismo che si avvicina alla scienza e alla religione in
quanto non si ferma davanti a nulla, ma cerca anzi di abbattere qualsiasi
dogma per poter così creare le condizioni più favorevoli per sconfiggere
appunto il virus più pericoloso che insidia le nostre esistenze, vale a dire
il virus della stupidità.
Quell'umorismo che ama la brevità, per Shakespeare anima della saggezza,
proprio quella brevità che spinse Nietzsche ad affermare: "La mia ambizione
è di dire in dieci frasi quel che chiunque altro dice in un intero libro."
(11) Forse è proprio pensando a questa brevità che Voltaire affermava: "...alcune
righe di alcuni autori valgono di più di intere biblioteche." o che faceva
pensare a George Mikes (a cui tra l'altro questo libro è anche dedicato) di
non poter mai raggiungere una vera e propria gloria letteraria, ma che in
certi casi consente però di ottenere una vasta diffusione ed un certo
apprezzamento tra il pubblico dei lettori, come dimostrano per esempio i
libri di Gino e Michele. (12)
La brevità dell'aforisma rimanda sempre ad un contesto più vasto, in quanto
le sue parole sono quasi sempre connotanti e ci obbligano necessariamente
alla riflessione intellettuale. Oltre a ciò, tale forma di scrittura
consente una rapida lettura dei testi, e questa è una caratteristica
fondamentale se anche Calvino oserà dire che proprio la rapidità sarà uno
dei valori del prossimo millennio (13), rapidità che serve appunto a svelare
l'ovvio prima che sia troppo tardi.
I grandi aforismi anche se riaffermano cose già note le dicono comunque in
maniera ignota e sorprendente (infatti come ci insegna N. Chomsky, da un
numero finito di lettere, si può creare un numero infinito di frasi, proprio
come accade con i geni) e non dimentichiamo in ogni caso di ricordare che
come recita Ippocrate: "La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione
fuggevole, l'esperienza fallace, il giudizio difficile."
Sperando di poter essere di qualche aiuto, o almeno di dilettare il
volenteroso lettore, vorrei inoltre, prima di concludere questa prefazione,
scusarmi con quei credenti che trovassero qualche battuta un po' troppo
volgare, ma voglio rassicurare loro che non è assolutamente mia intenzione
offendere l'eterno, anche perchè per me non esiste, e quindi avvertirli che
ogniqualvolta si trovi nei miei scritti la parolina "Dio", è preferibile
interpretarla come il Dio creato dagli uomini, e dunque poco affidabile,
cattivo e per alcuni addirittura anche già morto.
Ora voglio concludere augurandomi che la letteratura, e quindi a lungo
andare anche i miei libri, possa contribuire a far si che, come auspicava
Francesco Orlando citando Freud (14), "...gli uomini connettano a tal punto
la loro vita a quella degli altri, in modo da riuscire ad identificarsi tra
loro così intimamente, che l'accorciamento della durata vitale propria
risulti sormontabile.", e si distrugga quindi la stupida angoscia creata
dalla concezione antropocentrica che a fatica tollera l'idea di una nascita,
di uno sviluppo e di una morte inappellabile.
Ecco perchè in ultima analisi i miei libri si possono considerare di natura
filosofica, in quanto come diceva Montaigne la filosofia deve insegnare a
morire e quando uno ha imparato a morire, e quindi non teme più la morte, ha
anche imparato a non servire più, ed è diventato così un uomo libero, libero
da ogni cosa, e soprattutto dalla stupidità, pronto quindi a combattere
contro ogni forma di potere, di schiavitù e di conformismo verso tutti gli
abusi dell'autorità.
Carl William Brown
Note:
1) Per quanto riguarda alcune di queste idee potete leggere: A. Camus L'uomo
in rivolta, Mondadori, Milano, 1956 V. Mathieu La speranza nella
rivoluzione, Armando, Roma, 1992
A.O. Hirschman Lealtà, defezione, protesta, Bombiani, Milano, 1982 F.
Alberoni Genesi, Garzanti, Milano 1989
2) G. Orwell 1984, Mondadori, Milano, 1950 (?)
3) J.G. Fichte La missione del dotto, Mursia, Milano, 1987
4) Che la terra sia governata dalla stupidità, dall'ignoranza, dal non senso
e dall'assurdo è una tesi che cerco a più riprese di dimostrare in tutti i
miei scritti.
5) Si vedano L'uomo in rivolta, op. cit. e dello stesso autore Il Mito di
Sisifo, Bompiani, Milano, 1947
6) A. Koestler L'atto della creazione, Ubaldini, Roma, 1975 K. Lorenz Tutte
le opere
7) Voltaire Candide ou l'optimisme, Hachette, Paris, 1980
8)F. Roncoroni Il libro degli aforismi, Mondadori, Milano, 1989
9)Per gli scrittori italiani di aforismi dal duecento all'ottocento si veda
il testo a cura di G. Ruozzi Scrittori Italiani di Aforismi, Mondadori,
Milano, 1994; per gli altri autori si vedano le rispettive opere.
10)Si veda a questo proposito il testo Sorriso e riso di F. Ceccarelli,
Einaudi, Torino, 1988
11) F.W. Nietzsche Opere Complete, Adelphi, Milano, 1977
12) Si vedano a questo proposito i piccoli libri di Gino e Michele, Matteo
Molinari Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano vol. I, II e III,
pubblicato il primo da Einaudi, Torino, 1991 e gli altri da Baldini e
Castoldi, Milano 1992 e 1993.
13) I. Calvino Lezioni Americane
14) F. Orlando Per una teoria freudiana della letteratura, Einaudi, Torino,
1973
INTRODUZIONE
(Fondamentale la lettura)
I°) ALCUNE DEFINIZIONI
"Una causa piccolissima che sfugge alla nostra attenzione determina un
effetto considerevole che non possiamo mancare di vedere.",diceva il
matematico francese Henri Poincaré; a questa affermazione certamente non
priva di fondatezza dobbiamo però, purtroppo, aggiungerne anche un'altra,
infatti vi sono cause maestose, che sfuggono all'attenzione della
maggioranza della popolazione del pianeta e che pur producendo effetti
catastrofici non preoccupano più di tanto la specie che continua
imperterrita il suo cieco peregrinare. Il mio intento sarà dunque quello di
rischiarare un po' le tenebre e di gettare un po' di luce nei meandri della
nostra stupidità.
La scelta del titolo che recita appunto Aforismi contro il potere e
l'autorità, ovvero contro la stupidità, individua immediatamente i
macroscopici responsabili del nostro malessere esistenziale e le somme cause
delle gravi problematiche che assillano il nostro pianeta e vediamo subito
il perchè cominciando a ricordare o a spiegare, per chi non ne avesse idea,
cosa sono appunto il potere e l'autorità o meglio la stupidità. (Questo è
solo il primo di una serie di almeno una trentina di libri che, con vari
stili e impostazioni diverse, affrontano il problema in tutti i suoi
aspetti.)
Senza un'analisi un po' approfondita le similitudini possono sembrare
arbitrarie, gli accostamenti ed i paragoni indecenti, ma dopo aver valutato
a fondo la questione le tesi sostenute appariranno del tutto lecite e non
prive di fondamento.
Ormai da molto tempo l'uomo vive in società "organizzate", si fa per dire
ovviamente, dove l'ordine politico è alla base delle istituzioni e delle
ideologie necessarie a mantenerne e ad ampliarne l'assetto civile; or bene,
il potere è uno dei primi elementi fondamentali di tale ordinamento, ed è
dunque il cuore della politica, ma poiché la politica pervade ogni cosa, il
potere risulta quindi essere l'elemento costitutivo della nostra esistenza.
(al potere, all'autorità, così come alla stupidità saranno dedicati in
seguito vari testi generali e varie ricerche particolari).
Il potere perciò è, come ci insegna Weber :" La possibilità di far valere
entro una relazione sociale anche di fronte ad un'opposizione, la propria
volontà, quale che sia la base di questa possibilità." (1); oppure in
contesti più estesi, il potere può essere interpretato alla maniera di
Parsons come: "La capacità di una società di mobilitare le proprie risorse
in vista di determinati obiettivi." e ancora "Il potere è anche la capacità
di prendere e far valere decisioni che sono vincolanti", il potere è dunque
per Parsons qualcosa di simile al denaro, è una specie di risorsa, è insomma
la capacità che ha un sistema di "Far fare le cose”(2); si potrebbe inoltre
continuare fornendo una marea di definizioni (quasi tutti i filosofi hanno
scritto sul potere e l'autorità) ed analizzando le varie diramazioni del
potere, quali ad esempio il potere legislativo, giudiziario, esecutivo,
economico, dell'informazione e via dicendo, ma per il momento fermiamoci qui
e passiamo al concetto di autorità.
Sempre Weber definisce l'autorità come la "possibilità di trovare
obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato
contenuto.", dunque l'autorità può essere concepita come una forma di potere
legittimato ed istituzionalizzato che assume varie tipologie; Weber la
classifica in tre categorie e cioè: L'autorità carismatica, quella
tradizionale e infine quella razionale-legale. L'autorità carismatica è
fondata sulla devozione, l'ammirazione e la fedeltà ad una persona o ad una
entità che si crede dotata di qualità superiori, quasi soprannaturali, (leaders
carismatici sono stati per esempio: Confucio, Buddha, Cristo, Gandhi, Hitler,
Mussolini, ecc); l'autorità tradizionale è basata sulle tradizioni ed i
costumi, sulle convenzioni e le abitudini, sulla prassi e la passività;
l'autorità razionale-legale poggia sull'esistenza di regole prestabilite e
su determinate posizioni formali ritenute fondamentali per il vivere sociale
e stabilite via via dagli organi competenti di governo, abbiamo così
l'autorità giudiziaria, legislativa, burocratica, militare, ecc. ecc. (3).
Queste denominazioni sono tratte da quella disciplina che viene comunemente
chiamata sociologia (4), ma già da molto tempo prima negli ambiti letterari
e filosofici l'idea di tali concetti era piuttosto chiara e veniva
logicamente espressa con più abilità linguistica (in questo si nota appunto
la differenza tra la letteratura, la filosofia e la più recente sociologia);
Shakespeare ad esempio nel suo King Lear (5) vede l'autorità come un
"cagnaccio", "un cane che è obbedito nelle sue funzioni, quand'è in carica."
Avendo fatto ricorso al linguaggio metaforico di un grande artista come il
poeta e drammaturgo inglese, scommetto che la spiegazione comincia ad
acquisire dei tratti più nitidi e significativi.
Se dunque all'interno dei gruppi sociali il potere e l'autorità fossero
servite per il bene dell'uomo e per la sua felicità, non ci sarebbe alcunchè
da ridire, e l'idea del comando sarebbe indiscutibilmente positiva ed il
"capo" o "i capi", i moderni "boss", cioè coloro che hanno potere e autorità
sarebbero al servizio di coloro che li obbediscono e che magari li hanno
anche nominati, e questo proprio in virtù delle loro qualità ben
particolari. In veste di individui superiori alla normalità, essi agirebbero
quindi nell'interesse generale e la specie umana ne trarrebbe indubbi
vantaggi; questa era la bella idea di Senofonte (6), un filosofo greco, da
cui deriva la teoria del potere come servizio, purtroppo però le cose non
stanno proprio così e senza indugi vediamo anche il perchè.
Perchè in primo luogo il potere, l'autorità e quindi tutti coloro che sono
investiti del comando non agiscono nell'interesse generale, già questo
sarebbe un motivo sufficiente per contestare e criticare i "capi", ma c'è di
più, non solo non agiscono nell'interesse generale, ma sembra proprio che il
più delle volte si comportino nei modi più assurdi ed inconcepibili e
riescano quindi a difondere il male, il dolore e l'infelicità sulla faccia
della terra, magari giustificando il loro operato come la suprema via da
percorrere per raggiungere il "sommo bene".
Per tale ragione la mia tesi, già peraltro enunciata da innumerevoli
pensatori, dai quali io ho appreso e ai quali darò spazio e voce nelle mie
differenti opere, è che la suprema forza che condiziona tutto l'apparato
umano, e perchè no, universale, sia la stupidità, che può assumere forme e
valenze molto diversificate a seconda di chi la osserva e la descrive; ad
esempio viene indicata come il male o il maligno, come follia o assurdità,
come corruzione o ingordigia, come peccato o crimine, come dolore o
disperazione, come arroganza, saccenteria o prepotenza, come avarizia,
avidità o inconsapevolezza, come preghiera o sacrificio, come ingratitudine
e falsità come morte e infelicità , come ribellione, delitto e castigo, come
potere o autorità e via dicendo.
E' dunque ovvio che l'unione del potere e dell'autorità con la stupidità
costituisca un coktail micidiale, una terna vincente e diabolica che non
promette all'uomo niente di buono.
Questa è dunque la premessa, ma cerchiamo di argomentare meglio il discorso
con l'aiuto di quei famosi pensatori che più volte nel corso della storia
hanno fatto sentire il loro accorato grido d'allarme.
Parlando della stupidità, in una conferenza tenuta a Vienna nel 1937, Robert
Musil (7) dice una cosa molto saggia: "....non so cosa sia. Non ho scoperto
nessuna teoria sulla stupidità con cui accingermi a salvare il mondo. Anzi,
entro i confini della riservatezza scientifica non ho trovato neppure una
ricerca specificatamente dedicata alla stupidità, e nemmeno nello studio di
argomenti analoghi ho trovato il minimo accordo sulla definizione del suo
concetto."; l'autore tedesco ha ragione, è praticamente impossibile sapere
cosa sia la stupidità, ma noi cercheremo di fare del nostro meglio, di
andare più in là, e consapevoli di poter vedere anche quelle cause che
sfuggono al genere umano, cercheremo di elaborare proprio una teoria della
stupidità, cercheremo insomma di spiegare cos'è.
Aiutati dalla nostra fantasia e dal concetto fisico di punto di vista, che
stava particolarmente a cuore anche ad Einstein (8), inizieremo ad osservare
quali sono le ripercussioni della sua triste presenza tra gli esseri viventi
e da lì cercheremo di dedurre tutte le considerazioni e le spiegazioni che
ci consentiranno a sua volta di classificarla, di riconoscerla, di
combatterla e perchè no, alla fine, di eliminarla. Questo è dunque un lavoro
che meriterebbe quantomeno la creazione di una Associazione per la ricerca e
la lotta contro la stupidità, (ma evidentemente da parte dei vari stati e
dei loro governanti non c'è molto interesse a favorire questo tipo di
ricerche), un virus che dalle origini dell'uomo sta imperversando
incontrastato ampliando sempre di più il suo raggio d'azione.
In tempi più recenti lo storico C.M. Cipolla (9) ci offre un piccolo, ma
significativo, contributo e in un suo libricino dal titolo - Allegro, ma non
troppo - arriva addirittura ad enunciare delle leggi fondamentali della
stupidità, che a suo dire sarebbero: "1) Sempre ed inevitabilmente ognuno di
noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione; 2) La
probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi
altra caratteristica della stessa persona; 3) Una persona stupida è una
persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza al
contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una
perdita."Cipolla sostiene anche che la stupidità sarebbe determinata
geneticamente da madre natura e questo lo porta considerevolmente vicino
alla mia tesi che considera appunto la stupidità una caratteristica innata
dell'universo e della materia stessa.
Applicando queste sue leggi al contesto sociale, Cipolla, da buon
economista, afferma che l'intera società subisce forti perdite e si
impoverisce enormemente a causa dell'operato degli stupidi, che vengono
quindi considerati dallo studioso, molto, ma molto pericolosi.
Il testo in questione non è che risolva interamente i nostri dilemmi o i
nostri interrogativi di fondo, ma ci aiuta tuttavia a fare un passo avanti
importante nella comprensione del fenomeno, infatti a pagina 65 leggiamo:
"Il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida
deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra
i burocrati, generali, politici e capi di stato si ritrova l'aurea
percentuale di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di
danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione
di potere che occuparono, (od occupano). Al proposito anche i prelati non
vanno trascurati."
E abbiamo così trovato in queste considerazioni una riprova ed un sostegno
alle ricerche che il sottoscritto intende dedicare alla malefica triade,
vale a dire al potere, all'autorità e alla stupidità. Il teorema tuttavia si
va complicando, in quanto non è gioco forza che i potenti siano stupidi, a
meno che non si consideri la questione da un punto di vista morale e non si
parta dalla concreta verità che la società è basata su dei privilegi
concessi ad alcuni e negati contemporaneamente a tutti gli altri, vale a
dire, a meno che non si assuma proprio il punto di vista che guarda caso
adotteremo noi.
II°) POTERE E AUTORITÀ; FOLLIA O STUPIDITÀ ?
Forse senza il potere della stupidità, o se preferite senza l'autorità della
follia l'uomo non sarebbe neanche venuto al mondo, ed è perciò che come ben
sottolinea Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della follia (10), il panorama
occupato da questa divinità è universale. Seguendo lo scritto di Erasmo ci
convinciamo che l'uomo, da sempre alla ricerca della felicità e del
benessere, non può far altro che agire sotto il controllo della follia,
perchè solo così può riuscire nel suo intento, ma tale postulato è
certamente sarcastico e l'intento è ovviamente morale e satirico. Tuttavia
però ne risulta una verità quasi incontrovertibile, e cioè che tutta
l'umanità agisce in preda alla stupidità , e naturalmente chi può agire di
più, vale a dire chi può comandare e far agire, è di conseguenza
necessariamente più stupido e quindi più pericoloso per il bene comune della
specie.
Il mondo è dunque in mano agli stolti, come si legge nel Talmud, l'antico
testo ebraico ed è anche normale che sia così, perchè è la legge della
natura, vale a dire, il più grande mangia il più piccolo, il più stupido
governa sul meno stupido, il più forte comanda sul più debole e questo
delirio di onnipotenza, di continua ricerca del dominio conduce l'essere
umano ad instupidirsi, come sosteneva appunto il nostro Nietzsche.
Tutto ciò porta gli uomini a commettere bestialità atroci e sin dalle
origini della nostra storia ne abbiamo prove innumerevoli. Con l'ausilio
dell'inganno e della menzogna, nonchè della forza, alcuni individui hanno
sottomesso alla loro schiavitù milioni di altre persone, tanto che, per
citare un dato, tra il II° secolo a.C. ed il II° secolo d.C. su 60-70
milioni di abitanti dell'intero mondo mediterraneo, non più di due milioni,
vale a dire il 3% della popolazione potevano considerarsi effettivamente
liberi. Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e le folli manie di grandezza
dei governanti hanno lastricato il cammino umano di innumerevoli guerre.
"Dal 1496 a.C. al 1861 d.C. per esempio, leggiamo in Davien, si sono avuti
227 anni di pace e 3357 anni di guerra....nei tre ultimi secoli sono state
combattute in Europa ben 286 guerre. Dall'anno 1560 a.C. all'anno 1860 d.C.
furono conclusi più di 8000 trattati di pace destinati a durare per sempre;
la loro durata media di validità fu di due anni." Carty ed Ebling scrivono
ancora : "dal 1820 al 1945 ben 59 milioni di uomini sono stati uccisi in
guerre o altri conflitti mortali". (11) e si potrebbe continuare
all'infinito, citando i due conflitti mondiali del novecento, lo sterminio
nei lager nazisti dove furono atrocemente eliminati più di cinque milioni di
ebrei, le deportazioni nei Gulag siberiani dei dissidenti russi del periodo
comunista, le guerre etniche e via dicendo, ma non è tutto. La guerra non è
altro che il culmine della sofferenza umana, la quale è in ogni caso sempre
ben alimentata anche nei periodi di pace dai soprusi, dagli abusi che i
potenti infliggono ai più deboli ed ai più saggi e qui basta pensare a tutte
le persecuzioni religiose, alla crocifissione di Cristo, o alla condanna di
Socrate, all'imprigionamento di spiriti liberi come Campanella, alle
persecuzioni degli eretici e ai roghi sui quali persero la vita filosofi
come Giordano Bruno, o ai processi durante i quali scienziati come Galileo
Galilei furono costretti ad abiurare le proprie teorie o allo sfruttamento
economico di milioni di individui in ogni parte della terra e si potrebbe
non finire mai.
L'evidenza dei fatti sembra innegabile, l'umanità è schiava della stupidità
e la follia è la sovrana dei nostri peggiori nemici, ma a proposito di
nemici, ancora una volta troviamo una tragica affermazione nelle parole di
un grande illuminista come D. Diderot: "I nemici hanno abitato da sempre i
templi, i palazzi e i tribunali, tre ricoveri donde sono uscite le miserie
della società." Addirittura i sovrani del passato, con tutti i loro
guerrieri e cavalieri, con i loro oratori e poeti adulatori capaci di
diffondere soltanto una marea di menzogne, si definivano tali niente meno
che per autorità divina, e grazie a questa favola hanno continuato a
perpetrare per secoli e secoli le più orrende malvagità.
Nonostante tutto ciò, sin dall'antichità si è anche cercato di giustificare
questo miserevole stato di cose e così vari pensatori si sono prodigati per
spiegare il reale stato della nostra condizione: Eraclito per esempio arrivò
a dire che la guerra è comune a tutto e la lotta è giustizia, tutte le cose
nascono e muoiono attraverso la lotta. La guerra è madre di tutte le cose,
di tutti re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa
schiavi e gli altri liberi (12). Col passar del tempo Eraclito ha trovato
dei sostenitori e si è giunti a Shakespeare che affermava: "La guerra uccide
più cornuti di quanto non la pace generi uomini." (13) o Marinetti che nel
suo manifesto futurista (14) esaltava la guerra come sola igiene del mondo o
l'ideologo nazista Von Bernardi che dichiarava:" la guerra è una necessità
biologica....decide in modo biologicamente giusto, poiché le sue decisioni
poggiano sulla vera natura delle cose", oppure Lord Elton che nel 1942 in
pieno conflitto mondiale asseriva tranquillamente: "La guerra, per quanto la
possiamo odiare, è ancora il fattore supremo del progresso evolutivo." e
anche l'antropologo Keith sosteneva: "La natura fa prosperare il suo
frutteto sfrondando e potando, la guerra è il suo falcetto potatore; non
possiamo fare a meno dei suoi servizi." (15).
Dunque sembra proprio che avessero ragione i futuristi a considerare la
guerra come sola igiene del mondo, peccato però che non sia ancora riuscita
ad eliminare il vero parassita della terra; l'uomo consciamente o
inconsciamente continua a servirsene, dimostrando così la sua natura duale,
sadica e masochistica e dando come sempre alla stupidità lo scettro assoluto
del potere incontrastato.
Come vedremo anche in seguito la guerra è comunque in ogni caso una
sanguinosa lotta per il potere, per il dominio, è l'egoistica ricerca
dell'autorità e della ricchezza, è la sete di territori e di controllo
sull'operato umano dei nostri simili, è praticamente una malattia del corpo
e della mente, è una patologia dello spirito che non sembra destinata a
guarire, a questo proposito non si dovrebbe infatti fare troppa fatica a
ricordare per esempio i conflitti medio-orientali, la guerra del Vietnam o
quella della ex-Iugoslavia per non parlare dei conflitti in Ruanda, Somalia,
Afghanistan, Curdistan e via dicendo.
In ogni occasione vi sono dunque dei comandanti che decidono della sorte di
altri uomini , delle milizie o masse informi che non esitano ad obbedire.
Obbedire all'autorità è infatti la condizione necessaria affinché il potere
possa venire esercitato ed è anche la condizione indispensabile perchè la
stupidità possa esercitare il suo governo o meglio ancora la sua tirannide.
Mi sembra dunque impossibile non sostenere che le società di ogni tempo si
sono basate sul conflitto, ed è per questo che alcuni studiosi, tra cui Marx
e più tardi Dahrendorf, hanno elaborato proprio una "teoria del conflitto"
che tra le altre cose ci spiega anche che la struttura sociale è basata sul
dominio di alcuni gruppi da parte di altri; come vedete nulla di nuovo sotto
il sole.
Forse dev'essere proprio così, qualcuno deve comandare, deve condurci, il
rischio però è che ci conduca allo sfacelo, alla catastrofe, e ci faccia
giungere all'apocalisse tra i dolori più laceranti ed atroci. Arrivati a
questo punto c'è un'osservazione di un certo rilievo che può aiutarci a
capire molte cose; Federico II° di Prussia (anche i governanti talvolta
sanno riconoscere la stupidità), un potente sovrano, non c'è dubbio, una
volta esclamò: "Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno più
rimarrebbe nelle mie file." e questa breve e sarcastica frasetta ci spiega
dunque che i potenti hanno bisogno, per portare a termine i loro nefasti
progetti, di gente fedele e ossequiosa che, per paura o per denaro li segua
ciecamente nelle loro folli imprese di conquista e di sterminio; ma allora
non sono solo i potenti che non hanno cervello, come ipotizza Hugh Freeman
nel suo libro Le malattie del potere (16), ma a quanto pare sono anche i
loro seguaci ad avere qualche problema.
Certamente il mondo ha bisogno di azione, per progredire deve essere
dinamico e a questo proposito Freeman cita John Maynard Keynes, il famoso
economista, il quale dopo lunghe frequentazioni dei leader politici si era
convinto che :"Il mondo non potrebbe mai essere guidato dagli
scettici.....inclini a sospendere il giudizio.... l'origine dell'azione va
ricercata nell'ignoranza profonda e nella follia." Tutto sembra collimare
con le mie tesi iniziali ed è perciò che oggi più che mai mi appare
rivelatoria la storiella dei pesciolini.
In un suo celebre esperimento, Erich von Holst tolse ad un pesciolino della
specie dei Cabacelli la parte anteriore del cervello, dove sono situate
tutte le funzioni di gruppo. Konrad Lorenz ci racconta l'accaduto. "Il
cabacello senza cervello anteriore, vede, mangia e nuota come uno normale,
l'unico particolare aberrante nel comportamento è che non gliene importa
niente se esce dal branco e nessuno dei compagni lo segue. Gli manca quindi
l'esitante riguardo del pesce normale che, anche se desidera nuotare con
tutta l'intensità in una determinata direzione, già dopo i primi movimenti
si volta verso i compagni e si lascia influenzare dal fatto che alcuni lo
seguano e quanti. Di tutto questo al compagno senza il cervello anteriore
non gliene importa assolutamente niente; quando vedeva qualcosa da mangiare
o se per qualsiasi altra ragione voleva andare da qualche parte, nuotava via
con decisione, ed ecco, l'intero branco lo seguiva. L'animale senza testa
era diventato appunto, per via del suo difetto, il capo indiscutibile."
(17).
Se leggiamo l'esperimento come una metafora letteraria ne deduciamo che come
già più volte abbiamo sostenuto la stupidità e la follia sono in massima
parte presenti nei potenti, e dunque ne risulta che chi comanda praticamente
risulta essere senza una parte di cervello, il guaio però è che nelle
comunità umane anche chi obbedisce e segue l'autorità non sembra averne
molto di più.
La sicurezza del potere, come ci ricorda Leonardo Sciascia, si fonda
sull'insicurezza dei cittadini, e così la loro ignoranza frammista alla loro
codardaggine fa si che gli individui che hanno meno scrupoli, più malvagità
e meno senso morale, praticamente i più egoisti e intraprendenti conducano i
loro simili verso il baratro dell'infelicità.
L'istinto di morte che pervade la nostra specie, come aveva rilevato
giustamente Freud (18) , è anch'esso associabile al dilagare della
sofferenza, del masochismo e dell'imbecillità, infatti chi più ha paura di
morire più cerca di sopravvivere e tale spinta all'autoconservazione non fa
altro che riaffermare sempre di più la valenza mortale della specie umana.
Eros contro thanatos dunque. Questa tesi è condivisa tra gli altri da Norman
Brown (19), e da un altro grande antagonista del potere, vale a dire Elias
Canetti che nella sua opera Massa e Potere (20) sostiene che il potere
significando appunto autoconservazione sia necessariamente stupido e
violento, poiché non esiste istinto di conservazione che non abbia una
tendenza aggressiva. D'accordo con Canetti sembra essere anche Arno Gruen
che in un suo saggio afferma: "Chi si è votato al potere non avvicinerà mai
i suoi simili su un piede di parità quantunque a voce dichiari il contrario:
per costui, i rapporti con gli altri sono definiti soltanto in termini di
potere o di debolezza, ed egli stesso deve accumulare potere il più
possibile per diventare invulnerabile e dimostrarsi tale." (21).
Dunque il potere significa contemporaneamente autorità e violenza, vale a
dire ancora una volta follia e stupidità. Questa tesi viene ulteriormente
ribadita da Barbara Tuchman che nel suo libro sulla guerra intitolato La
marcia della follia scrive: " La follia è figlia del potere (vi ricordo che
per Erasmo la follia era figlia del denaro). Noi tutti sappiamo che il
potere corrompe. Siamo meno coscienti del fatto che esso genera follia; che
il potere di decidere spesso provoca la latitanza della riflessione (22).
III°) DISOBBEDIENZA, PROTESTA E RIBELLIONE. GLI
ANTIDOTI CONTRO LA MALATTIA DEL POTERE.
"Le generazioni peggiorano sempre più. Verrà un tempo in cui saranno
talmente maligne da adorare il potere; il potere equivarrà a diritto per
loro, e sparirà il rispetto per la buona volontà. Infine quando l'uomo non
sarà più capace di indignarsi per le ingiustizie o di vergognarsi in
presenza della meschinità, Zeus lo distruggerà. Eppure, persino allora, ci
sarebbe una speranza, se soltanto la gente comune insorgesse e rovesciasse i
tiranni che la opprimono."
In queste parole del mito greco sull'età del ferro troviamo una strana
premonizione, infatti sin dai tempi più antichi l'uomo ha capito che per
ottenere giustizia, dopo che i terrestri avevano conosciuto il potere e la
stupidità, ci si sarebbe dovuti ribellare. Da allora la storia del genere
umano oltre che dalle guerre e dallo sfruttamento è costellata anche da
innumerevoli sommosse e ribellioni. Dalle rivolte più o meno efficaci degli
schiavi greci e romani, tra i quali spicca il famoso nome di Spartaco, alle
proteste successive dei contadini, alle critiche dei filosofi e dei
letterati, alle varie guerre d'indipendenza per liberarsi dagli invasori
stranieri, alle vere e proprie rivoluzioni per eccellenza, come quella
inglese di O. Cromwell del 1649, quella americana del 1776, quella francese
del 1789, quella russa del 1917, quella cubana del 1959, per citarne solo
alcune tra le più note.
Ci sono voluti migliaia di anni affinché gli individui che costituiscono la
base della piramide sociale conquistassero un po' di libertà e conferissero
alle loro esistenze una dignità accettabile, ma ahimé questo si è verificato
soltanto in alcuni luoghi del pianeta, mentre ancora pietose rimangono le
condizioni della stragrande maggioranza della popolazione terrestre.
Come ha giustamente rilevato E. Fromm :" Esattamente come il mito giudaico
di Adamo ed Eva (che cogliendo la mela disubbidiscono al volere divino e
commettono il peccato originale che li obbliga a confrontarsi con l'asprezza
della vita terrena, ma li rende al tempo stesso liberi e responsabili delle
loro azioni) quello ellenico di Prometeo concepisce la civiltà umana basata
tutta quanta su un atto di disobbedienza. Rubando il fuoco agli dèi,
Prometeo pone le fondamenta dell'evoluzione umana. Non ci sarebbe storia
umana senza il "delitto" di Prometeo. Il quale, al pari di Adamo ed Eva, è
punito per la sua disobbedienza; ma Prometeo non si pente, non chiede
perdono. Al contrario, afferma orgogliosamente di preferire "essere
incatenato a questa roccia che non essere il servo obbediente degli dèi"
(23).
La follia e l'imbecillità hanno asservito milioni di uomini per edificare i
loro monumenti e mantenere i loro vizi, perciò i grandi movimenti
rivoluzionari della storia, primo fra tutti il cristianesimo, hanno lottato
fino al martirio per diffondere idee di giustizia, di uguaglianza, di
fratellanza e di libertà, ma sono alla fine sempre stati sconfitti da sua
maestà la stupidità, che ha sempre fatto del suo meglio, e ogni qualvolta
veniva scacciata dal trono dei vecchi governanti si insediava nella testa
dei nuovi paladini del benessere universale che potevano così continuare
nella più fastosa tradizione; i dissidenti venivano emarginati, si
costituivano nuove gerarchie, nuovi sudditi, nuovi padroni e nuovi schiavi.
In questo modo è anche accaduto che persino i seguaci di una delle filosofie
più umanitarie che mai siano state elaborate, vale a dire il cristianesimo,
riuscirono a scatenare le guerre più feroci e le persecuzioni più crudeli.
Con la Riforma protestante dei primi anni del XVI° secolo (praticamente
un'altra rivoluzione) e le forti critiche di Lutero nei confronti della
corruzione e dell'ipocrisia della chiesa si inaugurò un'altra epoca in cui
il denaro ed il capitale si sposano con la religione e diventano il segno
della predestinazione divina al successo terreno e alla beatitudine eterna
(24). Mentre la chiesa predica la povertà e si veste di ori passano i secoli
e le disuguaglianze sociali vengono solo in minima parte mitigate, tanto che
restano sempre valide le parole di Platone: "Tieni conto che la grande
ricchezza e l'estrema povertà rendono l'uomo infelice in quanto l'una
produce lusso, pigrizia e moti rivoluzionari, e l'altra grettezza, lavoro
scadente e moti rivoluzionari (25).
Ecco perchè ai potenti sono sempre serviti dei deterrenti per sedare
pericolose eventuali rivolte, e questi furono realizzati grazie all'oppio
anestetizzante della religione prima e dei mass media in seguito, alla forza
degli eserciti prima e della polizia poi, e alla rigidità delle leggi e
delle pene. Così l'autorità e la divina stupidità riuscirono ancora a tenere
a bada il desiderio di felicità e lo spirito di libertà dell'intera umanità.
Gli esseri umani aspirano sì alla fratellanza, all'uguaglianza, all'amore e
alla giustizia, ma vi è sempre stato qualcosa che ha impedito la
realizzazione di tutto questo e visto che "non si riusciva a fortificare la
giustizia, si giustificò la forza." (26).
La guerra di tutti contro tutti continuava, la chiesa cercava di rafforzare
i suoi dogmi e la sua morale, le leggi dei governanti e dei nobili facevano
il resto. Ogni azione dei benestanti era intesa ad asservire la plebaglia,
ma si sa "Finché vi saranno dei miserabili vi sarà all'orizzonte un'immagine
che può diventare un fantasma e un fantasma che può divenire Marat" come
scrisse V. Hugo. A poco a poco la gente comune, grazie all'impegno di vari
filantropi acquisì una maggiore coscienza, capì che le leggi non erano altro
che stratagemmi per conservare ricchi privilegi e che la morale cristiana
non era altro che una favola per imporre determinate volontà ai sudditi del
regno (27).
Anche nell'ambito intellettuale si cominciò a demistificare l'autorità e a
denunciare le varie favole create ad hoc per istupidire la folla; si cercava
insomma di rendere chiaro che :
" E il primo di tutti i rimedi contro la tirannide, ancorché tacito e lento,
egli è pur sempre il sentirla; e sentirla vivamente i molti non possono,
(benché oppressi ne siano) là dove i pochi non osino appien disvelarla."
(28). Perchè il vero guaio è proprio lì, al potere vi erano degli stupidi,
che distillavano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di
pochi anni addietro e la grande massa, anch'essa sotto l'influsso della
facente funzione terrena della stupidità, vale a dire l'ignoranza, un po'
per forza e un po' per amore li seguivano.
Molta acqua è passata sotto i ponti e nelle società moderne industrialmente
e culturalmente avanzate, si fa per dire, le cose sono leggermente
migliorate. Gli insegnamenti dei grandi pensatori sono serviti a qualcosa,
ma i problemi rimangono. "Forse l'intero genere umano è diventato nevrotico
per effetto del suo stesso sforzo di civiltà" diceva Freud (29) e capita
così che non appena l'uomo riesce a liberarsi da un'idea o da un'autorità
che lo opprime ne inventa subito un'altra per riuscire a stare ancora male
come prima, o magari anche peggio.
Praticamente ogni misfatto non è che la fine di un nuovo principio e benché
per fare qualcosa di giusto si debba sbagliare molo, nulla vieta di supporre
che la nostra specie sia succube di qualche sadico e infimo progetto. Nel
frattempo l'etica continua a predicare invano e la stupidità fa il suo corso
travolgendo ogni buon proponimento. Probabilmente, come credevano anche
Popper, Lorenz, Monod, e altri illustri pensatori, non esiste una legge del
progresso che spinga necessariamente l'umanità verso il meglio, ragion per
cui ci si deve arrangiare.
Certo la preoccupazione maggiore consiste nell'ipotesi che l'uomo, come
sostenevano Freud, Reich, e altri, sia per natura masochista, voglia cioè
tramutare le sua sconfitte in vittorie e da qui trarne magari anche piacere
e godimento; è ovvio che questo complicherebbe di non poco la situazione.
Negli ultimi trecento anni si sono infatti avute più rivoluzioni che nei
venti secoli precedenti, ma al contempo se "gli inferiori si ribellano per
poter essere uguali, gli uguali si ribellano per poter essere superiori"
come ci insegna Aristotele (30) e dunque ne deriva una lotta senza fine che
porta l'uomo da una parte a temere la morte e dall'altra a desiderare di
sopravvivere a tutti gli altri, ad avere cioè sempre più potere. (Come
avevano già ben intuito Canetti e altri, vedi note 11, 16, 17, 20, 21.)
Accade così proprio quello che aveva descritto Freud:" L'uomo vede nel
prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un
invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttare la forza
lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza il suo
consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a
farlo soffrire, a torturarlo, a ucciderlo." (31). Al masochismo generale
della specie si associa ovviamente anche il sadismo degli individui e perciò
leggiamo ancora in Freud: "Venendo alle restrizioni concernenti soltanto
determinate classi della società, troviamo in esse condizioni aspre, sempre
del resto apparse tali. C'è da attendersi che le classi neglette invidino ai
più fortunati i loro privilegi e facciano di tutto per sbarazzarsi del più
di privazioni loro imposto. Dove ciò non è possibile, si affermerà
all'interno di tale civiltà un malcontento durevole, in grado di condurre a
pericolose ribellioni. Ma se una civiltà non ha superato lo stadio in cui il
soddisfare un certo numero di suoi partecipi ha come presupposto
l'oppressione di altri suoi partecipi, forse della loro maggioranza (com'è
il caso di tutte le civiltà attuali) è comprensibile che gli oppressi
sviluppino un'intensa ostilità contro la civiltà, da essi consentita con il
loro lavoro, ma dei cui beni ricevono una parte insufficiente......(32)
Coloro che non permettono dunque una rivoluzione pacifica, renderanno dunque
inevitabile una rivoluzione violenta, ebbe a dire in seguito J.F. Kennedy e
così visto che la stupidità è universale si auspicherebbe che anche la
ribellione diventi un'efficace legge cosmica.
IV°) DAL CAOS DELL'ASSURDO ALLA STUPIDITÀ
CONTEMPORANEA.
J.P. Sartre diceva che il XX° secolo è il secolo del non sapere, come sempre
perciò l'origine di tutti i mali va ricercata nell'ignoranza, nella follia e
nella stupidità, ma tali entità non sono comunemente circoscrivibili, in più
la loro natura più profonda ci è sconosciuta, ragion per cui è un po'
difficile che si riesca a capire i loro segreti.
Il caos dunque ritorna o forse non se n'è mai andato e così l'unico modo per
cercare di colmare i nostri dubbi è quello di affidarci all'assurdità del
reale: "L'assurdo non è né dentro l'uomo, né dentro il mondo, ma dentro la
loro presenza comune. Nasce dalla loro antinomia. E' per il momento il loro
unico legame.", in questi termini si esprimeva A. Camus nel suo Mito di
Sisifo (33). Il filosofo francese, da buon intellettuale come Sartre, visto
la condizione umana, inciterà all'azione e inviterà a coltivare un pensiero
modesto cioè liberato dall'ignoranza e dalla pretesa all'infallibilità, che
si liberi al tempo stesso dall'egoismo, dall'ingiustizia, dallo schiavismo e
dalla miseria. Si delinea così l'etica della rivolta e Camus appunto nel suo
libro L'uomo in rivolta (34) scriverà che :" La rivolta nasce dallo
spettacolo dell'irragionevolezza, davanti ad una condizione ingiusta e
incomprensibile.......la rivolta genera appunto le azioni che si chiede di
legittimare, in quanto l'uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò
che è." e ancora "L'uomo in rivolta non preserva niente, poiché pone tutto
in gioco.", praticamente Camus giunge al paradigma "Mi rivolto, (lotto)
dunque siamo" ed è in questo senso che "dobbiamo pensare Sisifo felice"
poiché si può e si deve passare da una rivolta solitaria al riconoscimento
di una comunità di cui bisogna condividere le lotte.
Queste sono certamente tutte belle parole, ma dobbiamo anche fare i conti
con quello che ci offre tutti i giorni la realtà politica e sociale del
nostro pianeta. La continua ricerca del progresso e della felicità stanno
conducendo l'uomo della civiltà avanzata sull'orlo della catastrofe, ma
ovviamente dovremmo rendercene conto.
Le moderne democrazie hanno sostituito le vecchie catene delle monarchie del
passato con lacci invisibili ma ugualmente resistenti e dunque le magie
dell'autorità che si trasforma in autoritarismo della stupidità sono sempre
più subdole e raffinate. Le nazioni più industrializzate e quindi più
potenti militarmente ed economicamente sfruttano e lasciano vivere in
miseria, quando non muoiono di fame, i due terzi della popolazione
terrestre; le grandi multinazionali industriali e finanziarie non guardano
più in faccia l'uomo e l'unica legge che conta è quella dell'arricchimento
più sanguinario, del profitto, del mercato, della massima produzione, della
competizione più sfrenata, della sopravvivenza e del potere, con l'ulteriore
aggravante della qualità totale, si, ma della stupidità.
Dopo che alcuni popoli hanno lottato per secoli allo scopo di ottenere uno
standard di vita accettabile, un modello più o meno concreto di Welfare
State, l'avidità dei potenti è riuscita ad instaurare un nuovo schiavismo in
ogni parte del globo, inducendo i lavoratori dei paesi più poveri a produrre
quasi gratuitamente ,e senza alcuna considerazione per i loro diritti più
elementari, merci di ogni tipo; i capitali non hanno più alcuna frontiera e
in un attimo possono mettere in ginocchio gli abitanti più deboli della
terra; essi si nutrono di sangue umano e consentono ai potenti di
riappropriarsi di tutta la loro più atavica e perfida arroganza.
Un quinto della popolazione mondiale ormai inebriata dalla droga del consumo
e del successo spreca l'80% della produzione globale, l'inquinamento del
pianeta sta arrivando alle stelle, tutti i paesi sono impegnati in una corsa
sfrenata per battere la concorrenza e si giunge in nome del dio denaro a
commettere ancora una volta, com'è nella più antica tradizione, i crimini
più stupidi e insensati. I signori della guerra economica ormai dominano il
mondo, così persino nelle zone con la più antica cultura ispirata alla
saggezza buddhista ci si strangola di lavoro pur di incrementare il prodotto
interno lordo e pur di esportare a basso prezzo per conquistare i mercati,
insomma pur di rovinarsi l'esistenza.
I capitani d'industria hanno sostituito i capitani di ventura, gli operai i
soldati degli eserciti votati al massacro, la ricerca del denaro quella
dell'immortalità e così chi è dominato dalla fissazione del potere e dal
bisogno di conquistarlo non fa altro che esibire un vuoto interiore talmente
grande da far dubitare persino che l'uomo non sia altro che un automa
impazzito creato da un'insaziabile e malefica potenza.
Il panorama mondiale sta diventando sempre più bizzarro, la mostruosa
crescita demografica fa somigliare la specie umana ad un inarrestabile
tumore maligno che ha colpito la terra e la sta distruggendo impietosamente.
Nei paesi meno progrediti lo sfruttamento degli operai, bambini compresi, è
atroce; in India per esempio i capannoni dove la gente lavora sono chiusi
dall'esterno per evitare assenteismo e garantire una morte atroce in caso di
disgrazia; in questi luoghi le vite umane si comprano a prezzo di mercato,
tre o quattro dollari al giorno se va bene, niente contributi, niente
assicurazioni, niente di niente, solo bestialità.
Il modello di successo con tassi di crescita a due cifre e con il costo del
lavoro ridotto quasi a zero per resuscitare la pratica dello schiavismo puro
sta per essere esportato in tutto il mondo, soprattutto nei paesi
dell'ex-impero sovietico, dove le alternative più decenti a questo brutale
asservimento sono la prostituzione per le donne e la criminalità per i
maschi. Nessun accordo internazionale previsto dal Gatt per evitare lo
sfruttamento viene rispettato e i paesi occidentali ormai in preda ad una
crescente disoccupazione, che precede lo spettro della recessione, se
vogliono competere non possono fare altro che adottare gli stessi metodi o
sperare che un cataclisma, non importa di quale genere, distrugga l'altra
metà del pianeta.
C'è da aggiungere che anche nelle grandi città occidentali o nei paesini
degli stati più ricchi non è comunque semplice vivere decentemente; in
alcune zone la criminalità, che del resto è l'industria con il maggior
fatturato mondiale, rende l'ambiente del tutto simile ad un girone infernale
dove la gente di buona volontà sconta le pene della moderna stupidità
globale.
Il sistema non è mai stato così labile, al tempo dei greci si poteva al
massimo distruggere una civiltà, ma oggigiorno il rischio è quello di una
distruzione totale del nostro pianeta. Come denuncia E. Severino il mondo
capitalista si è separato dalla totalità sociale e non teme neanche più il
proprio annientamento, infatti: "Se il resto del mondo esisteva anche quando
le cose che incominciano ad essere erano ancora un niente, e continuerà ad
esistere anche quando le singole cose torneranno ad essere niente; ciò vuol
dire che tra ogni cosa e tutte le altre cose del mondo non esiste alcun
legame necessario, e che dunque l'azione dell'uomo scioglie legami che erano
già sciolti, divide cose che erano già divise o che stanno insieme con la
disponibilità o la vocazione ad essere divise." (35) e così grazie
all'ontologia greca si può giustificare anche il gioco al massacro più
crudele. E tutto questo forse per voler ad ogni costo creare un Nuovo Mondo,
magari come quello descritto da A. Huxley (36), un mondo cioè esclusivamente
dominato dagli automi e dagli apparati tecnologici, un mondo che ha ormai
perso ogni suo residuo di umanità.
La scienza si separa sempre più dall'unità totale e ricerca in branchie
sempre più specifiche separate e l'uomo ormai non è diventato che la cavia
dei potenti della terra. Certo, come hanno recentemente sostenuto Popper,
Kuhn, Feyerabend (37) e altri non esiste una verità assoluta, il lavoro
scientifico deve cercare di smentire le teorie su cui si basa per
progredire, per avanzare; il sapere del passato serve solo come trampolino
di lancio per elaborare sistemi più complessi, il modello ideale dunque non
esiste o perlomeno è la trasmissione continua di modelli precedenti; ma
siamo comunque sicuri di stare andando nel verso giusto ?
Ormai il mondo è una falsità unica, una grande idiozia e l' autorità di
questo ne è più che mai orgogliosa; gli unici a cui da carta bianca sono gli
scienziati, perchè questi devono essere liberi, come sosteneva appunto P.K.
Feyerabend che affermava: "Gli scienziati lavorano meglio se sono al di
fuori di ogni autorità, compresa l'autorità della ragione.", ma non è così,
loro la ragione la seguono ed è forse per questo che ci condurranno alla
rovina, infatti come ammoniva K. Marx (38) gli uomini geniali sbagliano
genialmente e possono provocare danni terribili. Per progredire bisogna
dunque violare il metodo, come ci ha insegnato Feyerabend, ma non in questo
modo, non violando la dignità umana.
Ma la stupidità ordina la rincorsa all'arricchimento, e l'adorazione del
denaro e l'uomo si fa incastrare, tanto che il giudizio severo di K. Lorenz
recita: "Accanto alle ali dell'argo (è un uccello che sviluppa così tanto le
sue ali da non riuscire più a volare), il ritmo lavorativo dell'uomo
civilizzato occidentale (ora anche orientale) è il prodotto più stupido
della selezione intra-specifica. La fretta in cui s'è intestardita l'umanità
industrializzata è in effetti un buon esempio di evoluzione non funzionale,
dettata esclusivamente dalla concorrenza fra appartenenti alla stessa specie
(39).
Tali ammonimenti sembrano però essere assai vani, in quanto i signori
controbattono: "Nel lungo periodo saremo tutti morti." e allora avanti. Fior
di civiltà sono decadute, perchè dunque non dovrebbe decadere anche la
nostra? Ma è proprio per questo che i signori del potere hanno paura e la
paura fa brutti scherzi e allora bisogna tutelarsi conquistando sempre più
ricchezza e autorità, nella folle illusione di sopravvivere per sempre.
" A cavallo della frontiera fra Stati Uniti e Messico c'è una grande fascia
di officine di montaggio, la Maquiladora, che funziona a livelli
ottocenteschi: vi lavorano bambini e bambine a salari irrisori e senza
alcuna protezione. Maquiladora è un grande successo commerciale che riempie
i tecnocrati di soddisfazione." scrive il canadese J.R. Saul nel suo libro I
Bastardi di Voltaire (40), ed è proprio così, i veri padroni del mondo sono
ormai gli industriali, i tecnocrati, i finanzieri, sono loro i veri tiranni.
Essi si alleano poi con i politici e con i burocrati per dominare e
sottomettere gli uomini ordinari, ed è proprio per tale ragione che creano
eroi in grado di impersonare il potere agli occhi della gente, in modo tale
da governare, attraverso leggi che più gli fanno comodo, tutto il sistema.
Concedendo alcune piccole, false ed irrisorie libertà individuali, che non
influenzano del resto minimamente la loro dittatura, procedono indisturbati
nel loro patetico progetto di asservimento planetario, e la gente li lascia
fare, alcuni dirigenti e piccoli impiegati perchè riescono a guadagnare
qualcosa dal losco affare e tutti gli altri perchè sono evidentemente troppo
deboli per reagire contro il mostro dai mille tentacoli.
La corruzione è la prassi più collaudata, come pure l'addomesticamento delle
masse attraverso i mass media, grazie cioè ai sicofanti del potere, come li
chiama B. Russel (41). Gli individui vengono spersonalizzati, svuotai della
loro dignità e delle loro capacità critico-dialettiche, in modo tale da
avere persone completamente deresponsabilizzate e programmate per essere
sempre pronte ad ubbidire passivamente, pena l'esclusione dal benessere,
dalla corte, dai privilegi ed il temuto ingresso nel tunnel del fallimento
sociale, psichico, morale ed economico.
Si creano così individui angosciati, intrappolati in una sfrenata corsa
verso l'imbecillità, alieni che fanno comodo ai gerarchi proprio in quanto
non sanno riflettere e quindi non costituiscono un pericolo concreto. Sono
in primo luogo i persuasori occulti della pubblicità, della televisione, dei
giornali a contribuire splendidamente a tale deplorevole progetto, fanno
credere ai consumatori di fruire del piacere del benessere, agevolando così
lo svuotamaneto di significato della nostra comunità. La massa si muove
dunque sempre più irrazionalmente seguendo gli istinti più elementari, e
risulta quindi sempre più uniformemente agglomerata e conformista, sempre
più alienata e controllata dai detentori del potere economico e politico.
Dunque siamo in pesenza di una società sempre più ad una dimensione, come
sosteneva H. Marcuse (42), dove il potere riesce a sopprimere le personalità
individuali ottenendo così una ferrea organizzazione, con una rigida
divisione del lavoro, in cui ogni uomo deve chinare il capo e obbedire
pedissequamente, riuscendo così a fruire solo della sua stupidità, perchè a
questo è stato abituato sin dalla nascita.
In conclusione ci troviamo a vivere in un mondo praticamente spaventoso; un
mondo dove le coscienze sono eterodirette, dove imperversano la moda e le
modelle, i calciatori ed i presentatori, i cantanti e i giornalisti, i
politici e i delinquenti, i giudici e le ballerine, un mondo in cui questi
personaggi guadagnano miliardi e miliardi, dove l'affarismo, la corruzione,
le connivenze, il nepotismo, la criminalità e l'evasione fiscale dominano
incontrastati e dove le persone, oltre che ad essere manovrate come
marionette, vivranno sempre più in miseria. Un mondo dove ogni governo
preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle,
interpretarle, impedirle, sospenderle, aggirarle od anche solo eluderle
godendo al tempo stesso della più sicura impunità.
" E quindi, o questo infrangi-leggi sia ereditario, o sia elettivo;
usurpatore o legittimo; buono o tristo, uno o molti, a ogni modo, chiunque
ha una forza effettiva che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo
ammette, è tirannide; ogni popolo che lo sopporta è schiavo." come
ammoniscono le parole sempre moderne dell'Alfieri (43). E alla tirannide c'è
un solo rimedio, la ribellione.
Benchè la speranza risulti troppo spesso sorella della povertà, non dobbiamo
neanche dimenticarci che essa è pur sempre l'ultima a morire; per esempio,
in America, patria delle grandi contraddizioni, sta emergendo un movimento
che intende vietare la permanenza dei politici nelle loro cariche elettive,
ma questo non cambia poi molto la sostanza dei problemi, in quanto morto un
papa se ne fa un altro e in questo modo il papa è comunque sempre in carica
e allora dobbiamo nuovamente affidarci ai letterati che forse ci propongono
situazioni più metaforiche, ma che hanno al tempo stesso una maggiore
valenza significativa. Per esempio, un processo che aiuterebbe a raggiungere
una forte autonomia potrebbe essere la "Decapitazione dei capi", un'idea
tratta da un libro di I. Calvino (44) dove si propone un nuovo modello di
società, cioè un sistema politico basato sull'uccisione rituale dell'intera
classe dirigente a intervalli di tempo regolari.
Questa sarebbe di certo una soluzione molto più funzionale al miglioramento
della vita civile, in quanto interromperebbe effettivamente l'avidità di
potere, l'arroganza ed i progetti dell'autorità, la vanità della stupidità.
Certo la procedura sembrerebbe un po' troppo categorica, ma è ora che l'uomo
capisca che "dobbiamo smetterla con l'abitudine della deferenza verso i
grandi uomini" come suggeriva K. Popper (45) poiché "A rovinare l'uomo è il
servilismo, il conformismo, l'ossequio, non l'aggressività che è
nell'ambiente più che dentro di noi." (R.L. Montalcini).
Un 'altro metodo è quello di diffidare sempre dello stato, "lo stato
infatti, come avvertiva Nietzsche, è il più freddo di tutti i mostri. Esso
mente freddamente. Dalla sua bocca esce questa menzogna: Io sono lo stato,
sono il popolo." Ci si deve insomma rivoltare alle eliteés del potere che
governano senza che il cittadino possa minimamente influenzare le loro
decisioni e la rivolta non deve nascere solo dagli oppressi, ma deve nascere
anche dallo spettacolo dell'oppressione di cui sono vittime gli altri (46).
E' pertanto obbligatorio attaccare l'addomesticamento perchè:
"L'indottrinamento non è incompatibile con la democrazia, anzi è la sua
stessa essenza. In uno stato totalitario poco importa ciò che pensa la
gente. Ma in una democrazia è fondamentale sapere che cosa pensa la gente,
orientarla e condizionarla ricorrendo alla fabbrica del consenso, alle
illusioni necessarie." Ecco un potere, anzi il potere contro cui si
scagliano intellettuali come N. Chomsky o K. Popper.
E' fuori discussione che per migliorare il mondo e rendere tutti i suoi
abitanti più sereni si dovrebbero servire le vittime del potere e non il
potere stesso. Ma ciò sembra ancora lontano da venire. Ricordiamoci comunque
che anche l'uomo di potere per potente che sia non è un Dio e anche lui deve
soggiacere alla volontà di un'autorità molto più potente di lui, vale a dire
deve soggiacere alla vanità della stupidità.
La lotta deve quindi giustificare l'esistenza e la disobbedienza ne deve
diventare l'arma per eccellenza. Ed infine amerei concludere con una piccola
citazione biblica che si addice magnificamente ai ciarlatani del pensiero e
ai ricchi adulatori (della stupidità) che dovrebbero interpretare queste
frasi come un'atavica ed imperitura condanna: "Guai a voi, o ricchi, perchè
avete già la vostra consolazione! Guai a voi che siete satolli, perchè
patirete la fame! Guai a voi che accumulate casa a casa, campo a campo,
tanto che non c'è più posto per gli altri, e tenete occupata tutta la terra
per voi soli. " Perchè Allah è grande e vi punirà.
P.S. Questa non è
che una piccola introduzione al progetto di ricerca di natura
artistico-filosofica che comprenderà diversi libri di aforismi e di saggi
tutti indirizzati contro il potere e l'autorità della stupidità. E' ovvio
che nel prossimo libro ci inoltreremo più a fondo in queste tematiche e gli
aspetti della questione ne risulteranno quindi sempre più evidenti. Alla
fine della ricerca che sfrutterà tutte le indagine precedentemente svolte
dai migliori pensatori della storia, si comprenderà più chiaramente la
natura filosofica e letteraria della stupidità, e le mie teorie vi
illumineranno in modo tale che anche per voi, così come ora per me, il
potere e l'autorità non avranno più segreti e nemmeno vi potranno
infastidire più di tanto, perchè sarete sicuramente in grado di difendervi
egregiamente e sarete
in ogni caso in grado di lottare e di mettere in difficoltà il nemico molto
meglio di prima, anche perchè avrete meno paura, infatti è sempre molto
difficile spaventare chi non ha paura di morire, o chi ha magari già provato
a morire.
Carl William Brown
Note:
1) M. Weber Economia e società, Ed. Comunità, Milano, 1961
2)T. Parsons Sistema politico e struttura sociale, Giuffrè, Milano, 1975
3) Vedi nota 1
4) Si vedano per esempio:
N.J. Smelser Manuale di sociologia, Il Mulino, Bologna, 1987
L. Gallino Dizionario di sociologia, Utet, Torino, 1978
N.Bobbio, N.Matteucci,G. Pasquino Dizionario di politica,
Utet, Torino, 1983
M. Prélot Storia del pensiero politico, Mondadori, Milano, 1975
5) W. Shakespeare Re Lear, Rizzoli, Milano, 1963
6) Senofonte I memorabili di Socrate .........
7) R. Musil Sulla stupidità e altri scritti, Mondadori, Milano, 1986; si
veda anche dello stesso autore L'uomo senza qualità,
Einaudi, Torino, 1957
8) A.Einstein, L. Infeld L'evoluzione della fisica, Boringhieri,
Torino, 1965
9) C.M. Cipolla Allegro ma non troppo, Il Mulino, Bologna, 1988
10) Erasmo da Rotterdam Elogio della follia, Mursia, Milano, 1966
11) Si veda l'introduzione di G. Celli al libro di K. Lorenz
L'aggressività, Mondadori, Milano, 1986; si veda inoltre anche il testo di
E. Fromm Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano, 1975
12) G. Giannantoni I presocratici, Laterza, Bari, 1969
13) Si vedano: A.L. Zazo Aforismi sul gran teatro del mondo, Mondadori,
Milano, 1992
L. Brioschi Massime per governanti, Guanda, Parma, 1992
M. Miner e H.Rawson (a cura di) Dictionary of Quotations
from Shakespeare, Penguin, London, 1995
14) F. Grisi I futuristi, Newton Compton, Roma, 1990
15) Si veda la nota 11
16) H. Freeman Le malattie del potere, Garzanti, Milano, 1994
17) K. Lorenz L'aggressività, Mondadori, Milano, 1986
18)Si veda di S. Freud Al di là del principio del piacere, Boringhieri,
Torino, 1975
19) N.O. Brown La vita contro la morte, Adelphi, Milano, 1978
20) E. Canetti Massa e potere, Adelphi, Milano, 1981 e Potere e
sopravvivenza, Adelphi, Milano, 1974
21) A. Gruen La follia della normalità, Feltrinelli, Milano, 1994
22) B. W. Tuchman La marcia della follia, Mondadori, Milano, 1985
23) E. Fromm La disobbedienza e altri saggi, Mondadori, Milano, 1982
24)Si veda di M. Weber L'etica protestante e lo spirito del capitalismo,
Rizzoli, Milano, 1991
25) Platone La Republica in Tutte le opere, Sansoni, Milano, 1993
26) B. Pascal Pensieri, Newton Compton, Roma, 1993
27) Si veda F. W. Nietzsche Opere complete, Adelphi, Milano, 1977
28) V. Alfieri Della Tirannide in Prose politiche a cura di P. Cazzani,
Asti, Casa d'Alfieri, 1951
29) S. Freud L'avvenire di un illusione. Si veda nota 31
30) Aristotele La politica, Laterza, Bari, 1960
31) S. Freud Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri,
Torino, 1971
32) Vedi nota 31
33) A. Camus Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano, 1947
34) A. Camus L'uomo in rivolta, Mondadori, Milano, 1956
35)E. Severino Il declino del capitalismo, Rizzoli, Milano, 1993
36) A. Huxley Il nuovo mondo, Mondadori, Milano, 1935
37) Si consulti a questo proposito un buon dizionario filosofico,
un'enciclopedia filosofica o un manuale di filosofia del '900.
38) D. McLellan Guida a Marx, Rizzoli, Milano, 1977
39) Si veda la nota 17
40) J.R. Saul I bastardi di Voltaire, Bompiani, MIlano, 1994
41) B. Russel Elogio dell'ozio, Tea, Milano, 1990
42) H. Marcuse L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967
43) Si veda la nota 28
44) I. Calvino Prima che tu dica pronto, Mondadori, Milano,...
45) K. Popper La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma, 1973
46) Si veda la nota 34
AFORISMI DI CARL WILLIAM BROWN |