Alex Zanotelli
è nato a Livo (Trento) il 26 agosto 1938, è stato ordinato sacerdote nell'Istituto dei
missionari comboniani nel 1964, dopo aver completato gli studi di teologia a Cincinnati
(Usa). Partito missionario per il Sudan, dopo otto anni viene allontanato dal governo a
causa della sua solidarietà con il popolo Nuba e della coraggiosa testimonianza
cristiana.
Alex Zanotelli, missionario comboniano, profeta del Vangelo. Non in patria, perché
personaggio indigesto, troppo lucido, troppo spesso teso a dire la verità.Ma profeta in
missione: perché vicino ai poveri, scandalosamente portato a dividere con loro fame e
miseria. Uomo di Cristo, orgogliosamente uomo di Chiesa, anche quando con la Chiesa è in
contrasto.
Assume la direzione della rivista Nigrizia nel 1978 e contribuisce a renderla sempre più
un mensile di informazione, nel solco di una tradizione avviata nel 1883 e consolidatasi a
partire dagli anni '50. Il suo programma di lavoro è ben chiaro fin dall'inizio:
"Essere al servizio dell'Africa, in particolare 'voce dei senza voce', per una
critica radicale al sistema politico-economico del nord del mondo che crea al Sud sempre
nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi".
Per quasi dieci anni, Zanotelli ha saputo prendere posizioni precise e imporsi
all'opinione pubblica italiana, affrontando i temi del commercio delle armi, della
cooperazione allo sviluppo affaristica e lottizzata, dell'apartheid sudafricano. È stato
anche tra i fondatori del movimento "Beati i costruttori di pace", con cui ha
condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei
popoli.
Ma proprio per il suo carattere schietto e sincero, ed il suo infaticabile impegno nel
denunciare le ingiustizie di questo mondo e la superficialità di certi ambienti religiosi
nel 1987 - su richiesta di esponenti politici e vaticani - Alex Zanotelli è indotto a
lasciare la direzione di Nigrizia: ma la sua eredità culturale, raccolta dai successivi
direttori e redattori, continua a manifestarsi anche oggi.
Negli ultimi otto anni, il lavoro missionario di Zanotelli si è svolto a Korogocho, una
delle baraccopoli che attorniano Nairobi, la capitale del Kenya. Continuano tuttavia le
sue collaborazioni giornalistiche: con Nigrizia dove da quest'anno ha anche la rubrica
fissa "Sulle strade di Pasqua"; e con la direzione della rivista Mosaico di
Pace, pubblicata da Pax Christi.
SOLO UN PREAMBOLO
Tante volte, carissimi, ho tentato di
stendere queste pagine, ma la vita a Korogocho è talmente tumultuosa e serrata... o è la
morte?
Certamente è una lenta Via Crucis per i nuovi crocifissi della storia: i poveri di
Korogocho sono oggi inchiodati alla croce con oltre un miliardo di altri crocifissi. E noi
siamo convocati dal Dio dei diseredati per staccare questi popoli crocifissi dalla croce:
sono interi popoli, ma sono anche individui che hanno un nome ed un volto. Io vorrei
ricordare con voi i volti di chi vive nei sotterranei della vita e della storia. II mio
"toccare" la loro vita, come il nostro pellegrinare, il nostro sfiorarci e
conoscerci, sono significativi: forse l'uomo esiste proprio nel momento in cui incontra
l'altro. Ed una delle prime cose che ho percepito in baraccopoli è stato il dono della
presenza, o forse è più corretto chiamarla presenza-assenza, di tanti amici.
È una rete misteriosa, quella che lega le nostre vite, ed è una delle cose che mi
portano molto spesso a sentire il Mistero. È incredibile vedere gli incontri che facciamo
nella nostra vita, scoprire quanto sono importanti, capire che di sicuro c'è qualcuno che
tira i fili, anche se non comprendiamo mai il come ed il quando. È un mistero: voi non
comprendete il motivo che vi porta a leggere queste parole, e nemmeno io so perché vivo a
Korogocho. Per me è un mistero che consiste nel condividere le esistenze distrutte dei
poveri, nell'accostare la morte da mattina a sera, perché proprio in questi istanti
dolorosi avviene l'incontro con la vita: i poveri affermano incessantemente la loro voglia
di danzare la vita, di credere che, nonostante tutto, la vita vince.
I visi di giovani, di bimbi e ragazze, di madri, impressi nel mio cuore, sono segni di una
realtà incredibile e disumana: sono nomi e volti che non dimenticherò mai, perché mi
hanno toccato dentro, mi hanno plasmato!
VOLTI
Il volto stupendo, ma tirato e triste di
Wangoi, una ragazzina di diciotto anni: ha perso la sorella, poco più grande di lei,
stroncata dall'Aids dopo una lunga Via Crucis di indicibile sofferenza. Ho assistito a
questa morte, ed è stata una esperienza sconvolgente, è stata soprattutto un'esperienza
di preghiera: ricordo commosso il suo battesimo, gli intensi momenti di Eucarestia, la sua
preghiera sul letto di morte, insieme al suo bimbo: e mai, vi dico, ho sentito un bimbo di
nove anni pregare così l'Abbà, "Ba-Ba", perché salvasse la sua
"Ma-MA" E' spirata fra le nostre braccia. ricordo le lacrime di wangoi il giorno
della sepoltura della sorella. L'ho accompagnata, per dirle la mia solidarietà, l'ho
accompagnata per starle vicino. Piangeva disperatamente. Era rimasta sola, a diciotto
anni, con cinque bimbi a carico: due suoi, tre della morta. Ha tentato di sopravvivere con
il vecchio mestiere della sorella, vendendo changaa, liquore. Ma venderlo era proibito e,
per i continui interventi della polizia, tutto è durato lo spazio di una stagione.
Conseguenza: la fame!
I bimbi iniziarono a fuggire di casa, cercando la fortuna in città, ed un giorno vidi
Wangoi arrivare tutta agitata: "Non ce la faccio più, Alex! - mi disse tra le
lacrime - anche oggi i miei figli sono andati in città per elemosinare. Hanno trovato una
signora che ha dato loro cento scellini a condizione che le lasciassero il bimbo più
piccolo. Diceva che l'avrebbero preso al ritorno!". Cento scellini: poco più di
settemila lire. Ma quando tornarono sui loro passi, i figli di Wangoi non trovarono né la
signora, né il fratellino, che non si è più visto. A Nairobi c'è un grosso mercato di
bambini. Wangoi tentò poi di sopravvivere vendendo carta ai negozietti di Korogocho:
andava in città a comperare dei fogli e li rivendeva nella baraccopoli, da usare come
imballaggi. C'è riuscita per qualche mese, dopo è crollata, non ha avuto più soldi.
Unica via che le restava: andare in città a prostituirsi negli hotel. "Cosa hai da
ridire?", borbottò un giorno quando vide la mia reazione. Ricordo ancora il suo
sguardo mentre me lo diceva: è bastato per farmi tacere. "Io, dimmi, come posso
vivere?": sentii quanto fosse borghese la mia moralità! Forse lei che andava a
prostituirsi era peggiore di noi che la obblighiamo a prostituirsi? Certo, sono solo
domande, ma io non capisco più nulla, davanti a questi poveri rileggo tutto in un altro
modo.
Pochi mesi dopo, quando anche il più piccolo dei figli della sorella era morto di Aids,
Wangoi ritornò incinta. "Voglio abortire - mi disse - non riesco neanche a sfamare i
quattro che ho, non posso permettermene un altro!". Parlava e piangeva, piangeva e
parlava. "Pure Tu, Signore, hai contato i passi del mio triste vagare - lamenta il
salmo 56 - di mie lacrime, l'otre tuo riempi". In seguito passai per la baracca di
Wangoi, e con fierezza mi mise tra le mani un batuffolino: un bimbo stupendo, dai
lineamenti misti, probabilmente nato da una relazione con un turista. Lo cullo a lungo,
pensando a quel versetto del poeta indiano Tagore: "Finché nasce un bimbo, Dio non
si è ancora stufato dell'uomo!".
Il volto triste di Wangoi, a volte percorso da qualche velato sorriso... il volto di
Njeri: "Sono sola! Non ho nessuno, né mamma, né fratelli, né sorelle. Non ho mai
conosciuto mio padre! Sono sola come un cane!". Le metto una mano sulla testa, per
farle sentire che ci sono: "Voglio morire, voglio morire in fretta! Prenderò il
veleno!". Tento di consolarla, e lei mi dice, stringendomi le mani: "Sai, se io
avessi avuto un papà come te, oggi non sarei qui, divorata dall'Aids a ventiquattro anni!
Ma perché non ho avuto la grazia di un papà nella vita? Perché tu l'hai avuto ed io
no?". Piange disperatamente, e come sento vicino, io, il mio papà a Korogocho! Era
da quattro anni che cercavo di fare da spalla a questa ragazza prostituta.
Il giorno in cui seppe che aveva l'Aids, mi disse commossa: "Aiutami a morire con il
sorriso sulle labbra". Una ragazza che viene dalla prostituzione, che non ha mai
avuto a che fare con una Chiesa, o con qualsiasi tipo di esperienza religiosa, viene da me
a dirmi così... questa vita è proprio un mistero, un Mistero ben più grande delle
Chiese. È il Dio dei crocifissi della storia. Njeri, già minata dalla malattia, chiese
il battesimo sul letto di sofferenza, e risorse a vita nuova, ritornò a sorridere ed a
portare la buona novella a molti ammalati di Aids, in tutto il Kenya.
Ma non è facile lottare da soli contro la malattia a Korogocho e, nell'ultimo periodo,
per dimenticare la sua solitudine, si era data al bere. "Confessami, Alex! ", mi
disse un giorno, singhiozzando. La confessai. Poi, sul tavolo della baracca, sotto lo
sguardo di uno stupendo Cristo crocifisso sul Malawi, spezzammo il pane come due
pellegrini diretti ad Emmaus: "Resta con noi, Signore, perché si fa sera!". Per
Njeri era la sera della vita. Quando la rividi, giorni dopo, era alla fine: strinsi tra le
mie braccia quella testa in segno di tenerezza, per farle sentire la mia vicinanza, per
dirle che non era sola! Morì il giorno dopo, all'ospedale Kenyatta, nel cuore della
notte, in solitudine.
Volti, volti di ragazze bruciate, di bimbi... Kasui, una bimba di sette anni, Kimeo, un
bimbo di quattro, figli di una splendida donna, mamma Minoo, stroncata dall'Aids in un
mese di gennaio. Insieme a Padre Antonio avevamo condiviso, con mamma Minoo ed i suoi due
figli, la cena dell'ultimo Natale. Morta la donna, i due bambini sono rimasti con la
sorella Ndinda, di soli quattordici anni: anche lei minata dall'Aids, che l'ha uccisa poco
dopo. La tragedia familiare ha spinto i due bambini, in balia di sé stessi, ad un gesto
folle: Kasui, un giorno, tenendo stretto per mano Kimeo, si è portata sul ciglio del
dirupo che sovrasta il grande acquitrino che divide Korogocho dalla discarica. Tentava di
trascinare nell'acqua il fratellino, e lui si dibatteva, volendo impedirle in tutti i modi
di compiere la pazzia. Furono salvati da una donna che passava di là. Ce li portò a
casa: decidemmo di chiedere alle suore di Madre Teresa se potevano accettarli. Li
accompagnai di persona, tenendoli per mano e scrutando quelle due creature per capirci
qualcosa: ma cosa c'è di così demoniaco a Korogocho, da portare al suicidio due bimbi
che si aprono alla vita? Non dimenticherò mai quei volti di bambini!
Il volto di Wangari, pure lei minata dall'Aids: sposata, con tre bimbi, ad un uomo che
beve e la picchia. Il primo giorno che andai da lei mi disse: "Sono sola! Non ho
nessuno. I miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle, sono tutti morti! E spesso, mio
marito mi dice: fai in fretta a morire, perché possa seppellirti nel cimitero dei
poveri". Tra le lacrime, aggiunse: "Eppure, più mi sono sentita sola e tradita,
più ho avuto fame e sete di Lui. Vorrei il battesimo, Alex. So che Lui mi accoglierà! Ho
sete di acqua viva!". E non era mai entrata in una chiesa. Il suo battesimo fu un
momento di grazia: un po' di forza per continuare la Via Crucis. Un giorno, era alla fine,
malata fradicia, fu buttata fuori di casa, una casa in muratura, ed andò a vivere in una
baracca all'estremità di Korogocho: lei ed i tre bimbi! Nel cuore della notte, la sua
notte, spezzai il pane: "E lo riconobbero allo spezzare del pane".
Volti di donne che pagano sulla loro pelle le assurdità del sistema. Il volto di
Giuliana, abbandonata con tre figli dal marito, sicuro che la moglie avesse l'Aids. Lei
non riuscì più a pagare l'affitto della baracca, ed il padrone la cacciò fuori dalla
stanzetta, con i bimbi e le poche masserizie. Giuliana, già grave, passò una giornata
sulla strada, battendo i denti e sotto shock. Riuscimmo a trovarle a tarda sera un'altra
baracca dove, alla rinfusa, vennero ammassate le sue povere cose. Avevamo deciso, in
quelle convulse ore, di battezzarla: da lungo tempo ce lo chiedeva. Ma vedendola in quelle
condizioni, Giuliana mentalmente era persa, pensammo di far slittare tutto. Eppure, non
era quello il momento giusto? Il segno di un Dio che non ci pianta quando tutti ci
abbandonano?
E riandai alla figura di Agar, la schiava che ebbe un figlio da Abramo, e che Sara
prontamente cacciò di casa. "Agar se ne andò, e si smarrì per il deserto di
Bersabea. Tutta l'acqua dell'otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo
sotto un cespuglio, ed andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d'arco, perché
diceva: "Non voglio vedere morire il fanciullo". Quando gli si fu seduta di
fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo". E' il libro
della Genesi. Agar, figura emblematica di tutte le donne schiave della storia, di tutte le
donne di Korogocho, ed anche di Giuliana, che pochi giorni dopo, abbandonata; moriva in
quella baracca.
Il volto di Martin, uno dei raccoglitori di rifiuti della discarica, stroncato dal male a
sera tardi, davanti alla sua casupola, vegliato durante la notte dalla gente perché quel
corpo non fosse sbranato dai cani. Lo trovai al mattino, ai bordi della strada, adagiato
in mezzo ai rifiuti ed avvolto da uno stuolo di mosche. Tolsi uno straccio nero che lo
copriva, e vidi quel volto tumefatto: lo guardo e lo riguardo, è il volto: del
crocifisso. "Dio mio, Dio mio, Dio mio assente e lontano! Io ti chiamo di giorno e Tu
muto... ed io invece un verme, non uomo, un obbrobrio di uomo, un rifiuto!'. Un rifiuto
tra i rifiuti ai bordi della discarica, a pochi metri dall'acquitrino, a fianco del
"fiume" Nairobi, la città le cui acque puzzano come quel rifiuto fuori dalle
mura di Gerusalemme. Pregai con la gente della discarica per dare dignità a quest'uomo,
che non l'ha mai avuta.
Questo dare dignità ai poveri! Come un'altra sera, quando arrivammo alla baracca di un
giovanotto distrutto dall'Aids: pioveva a catinelle, ed in quella baracca sommersa
dall'acqua non riuscivamo neanche ad entrare. Il soffitto era tutto un buco e, per
ripararsi, Njuguna aveva messo un pezzo di nylon sopra il letto. Ovunque, sputi ed
immondizia: "Ho sete!", fu l'unica cosa che riuscì a dire, e corremmo a
prendergli un bicchiere d'acqua. Volevamo celebrare l'Eucarestia, ma non c'era neanche un
angolo dove mettere il pane. O forse la messa era già celebrata, anche senza pane e vino,
con quel "Ho sete!", e col corpo "spezzato" di quel giovane
abbandonato da tutti, anche dai suoi familiari. Messa dei disperati, "acqua"
della speranza!
Il testo è tratto dal libro I Poveri non ci lasceranno
dormire di Alex Zanotelli Monti Editore Saronno (Va) 1996
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