Renato Rovetta ha
pubblicato parecchi libri tra i quali ricordiamo: L'occupazione delle fabbriche a Brescia
- 1920; Brescia Sessanta, Brescia Ottanta, Scritti Clandestini, Scritti Satirici e via
dicendo. Per un'intera bibliografia vi rimandiamo al sito ufficiale dello stesso autore www.bresciablob.com Per questa presentazione noi
abbiamo scelto due testi che sono estremamente attuali e costituiscono per ogni cittadino
un vero motivo di seria riflessione.
I NUOVI DUPLICANTI
Arazzi indonesiani, marmi, tappeti persiani. Nel suo
ufficio di Corso Cavour 10, l'ex ministro Gianni Prandini, sociologo una tantum, ma
sociologo della Bassa, non di razza, ha dichiarato a Giuliano Ferrara durante
lultima vigilia elettorale: "La mia è unesperienza democratica, e la
rivendico...io rappresento quelli che alle banche chiedono il credito per intraprendere e
lavorare, non quelli che le trattano come cosa propria". Anche quelli che tra poco
vedremo intraprendere e lavorare ai fianchi chiunque sia più debole di loro...
Lopinione di chi scrive è che l'ex ministro Prandini, di certi risvolti di questa
storia che stiamo raccontando, sappia poco o nulla, se non per sentito accennare, così
come nei documenti giudiziari vi è un accenno di mamma Beatrice a "un tale che
penserebbe di affittare la casa a un ministro bresciano, che adesso vive a Roma":
Come si direbbe a scuola: il ragazzo, Gianni, è abbastanza intelligente, rispetto ai
compagni di classe e di congrega, per non scivolare su una buccia di banana da pochi
quattrini (pochi per modo di dire, si intende).
Abbastanza intelligente, e anche abbastanza insofferente a certi eccessi, a certi
personaggi del suo staff, se esagerano. Limpressione, anzi, è che il ministro alla
prima buona occasione, e questa lo è nella sua vergogna, se ne leverebbe volentieri molti
di torno, proprio come lapprendista stregone della parabola.
Come si è notato durante le recenti vicende della Loggia, Gianni Prandini, appena annusa
laria, è uno dei pochi che ha il coraggio di azzerare i suoi adepti, riciclandone
sempre di peggiori, ma questo si scopre sempre troppo tardi, al riciclaggio posteriore.
Daltronde, il senso fortemente simbolico dellalleanza formata nel suo
tentativo di scalata alla Associazione calcio Brescia era proprio quello di darsi una
nuova rispettabilità, di entrare nel salotto buono bresciano della finanza e della
imprenditoria edile più affermata. Si sa comè finita, nel nulla: ma nessuno,
proprio nessuno, tranne Giorgio Sbaraini, sterilizzato in ventiquattresima pagina, ha
denunciato la gravità del fatto che per la prima volta a Brescia "si è celebrato un
intreccio tra politica, affari e sport...una filosofia da mani sulla città, lontana dal
nostro costume", anche se tutti lhanno percepita come tale nella città
omertosa. E allora lui ci riprova e: o li scavalca o li distrugge. E intanto si amplia e
si diffonde il disegno della città piccola nella provincia granda, le strade grandi, gli
squilibri faraonici venturi, che gratificano e assediano una città progettualmente sempre
più piccola. Città dalla testa di nano su un gigante di opere pubbliche e di relativi
accaparramenti. E di nuovi mutanti.
In principio era il modesto portaborse, che guizzava ai piedi di un ministro, suo
maggiordomo. Poi venne un nuovo tipo di affarista di una nuova economia basata sulla
consulenza del lavoro altrui e degli interessi propri. Entrambi, fattisi omologhi a
medesima immagine e somiglianza, misero al mondo per clonazione il faccendiere: stessa
faccia, stesso ruolo, stesso mostro, che iniziò il sacco dellurbe. E questa è la
nuova forma dellintreccio politica e finanza.
Le nuove genti faccendiere, che lasceranno soltanto un ricordo della Brescia, città da
primati, città apostolica, Arcadia amministrativa e produttiva dItalia, dai tanti
settori manifatturieri fervidi. E tutti, rurales, figli e nipoti di rentiers agrari, che
moltiplicano ricchezze di tipo automatico, parassitario, e novi homines urbani, che li
fagocitano scambiando prebende e clientele, le appartenenze e non le competenze, peones
assatanati di favori e parvenu famelici di carriere e arricchimenti facili, di avidità
ingorda, tutti, senza alcuna distinzione di città e campagna, corrono a dilaniarsi verso
2.000 miliardi di opere pubbliche, verso quella che si profila socialmente e politicamente
come una disintegrazione da Basso Impero. Matrice socio-genetica
dellautoriproduzione? La piccola borghesia rapace. Virtù cardinale ostentata? La
furbizia. Vocazione? A fregare gli altri in un impulso irresistibile, in una tentazione
satanica da peccato originale.
Certo, il fastidio un po snob, un po razzista, la puzza sotto il naso
dellestablishment grande borghese, elitario, cattocalvinista, gli fa da controcanto
nella sua sprezzante volgarità classista, pavida, crepuscolare, e magari comincia ad
accomunarli negli affari perchè pecunia non olet, ma non scambiamo uninvasione
plebea, una decomposizione sociale di truppe ricche e fiere di furbizie, senza morale né
principi, non spacciamo le armate sciamanti della subcultura condotte dai tribuni di
passaggio, per una rivolta democratica particolarissima, di un popolo speciale.
Quelli che intraprendono e lavorano e trattano come cosa propria le loro banche...
Facilmente visualizzabili e televisivamente visibili nei trenta secondi magistrali su una
tipica cena prandiniana, apparsi nel filmato di "Profondo Nord" di Gad Lerner
dedicato a Brescia. Camerieri in bianca livrea, maschere strazianti dimportazione
dal peggior divertimentificio. Zoom atroci su due pasticci precotti. Blob atroci sui tipi
umani più emblematici, locchio febbrile sul cibo come a divorare tutto il possibile
esistente senza mai comunicare con gli altri, le sintonìe misteriche che li fanno muovere
allunisono, le donne dimitazione meneghina rampante, malpitturate,
malconfezionate, che scimmiottano la metropoli con risultati estetici e culturali da
grottesco felliniano.
E lassù, sul palco regale di questa messinscena, l'ex ministro del Buon Gusto,[9] paterno
e benigno, pacioso e benedicente, che dispensa saluti e sorrisi, e raccoglie
ringraziamenti e congratulazioni, una vita perdutasi nell "animus delendi"
nemici ed ex amici, uomo di governo per hobby, grande uomo di affari se ne avesse il
tempo, secondo una sua autodefinizione compiaciuta.
Il vero pericolo - ha scritto un sociologo di razza, Alessandro Cheula, uno che fa analisi
in proprio, originali, e rifiuta lorecchiologia di quelli che origliano gli schemini
e i luoghi comuni logori suggeriti anche alle firme nazionali dai soliti informatori
locali - il vero pericolo che pesa sul futuro di questa, come di altre città laboriose,
non è quello di essere governati dai mediatori della politica, ma dai mediatori degli
affari senza etica e respiro.
Aggiungiamo che gli attuali tecnoprofessionisti della politica periferica fanno soltanto
mediazioni politiche al ribasso, degne di una sottonomenklatura da bordello, flaccida di
furberie beote, di stupidità truce, nullità che dobbiamo sorbirci tutti i giorni nelle
loro dichiarazioni riprese pari pari dai media locali e da una stampa "di
servizio" allo stesso livello, senza lombra di una critica, conforme a
conformismi viscerali, resa vanesia, notarile, dagli elogi miserandi di ritorno e di
scambio, ed ecco la Brescia del 2000, che raggela.
E lopposizione? Lopposizione ondivaga un giorno, si consocia laltro,
ligia al senso del reale che la distrugge. Forse in attesa di cavalcare gli eventi,
nellandazzo generale, nessuno segnala questi nuovi fenomeni, ad eccezione delle
dure, coraggiose diagnosi di Piergiorgio Ferrari, segretario pidiessino, o del pathos
etico e di una scherzosa metafora calcistica di Paolo Corsini, che, capogruppo del PDS in
Consiglio comunale,[10] ha accennato alla "zona mista o sporca, alla Galeone,
costruita sulle azioni Prandini-Gervasoni". Anche l'ex direttore di Bresciaoggi,
Piero Agostini, oggi compianto, in un fondo politico eccellente dai toni elevati del
miglior Scalfari, aveva attribuito a Prandini, in politica, "un istinto quasi
animalesco, una irriducibilità più che testarda, una determinazione persino
feroce". Voce nel deserto, comunque, voce solitaria in quel deserto che è anche il
suo giornale, afflitto da una sorta di schizofrenia, pugnace qualche volta l'ex direttore,
cautelose tutte le altre pagine.
Eppure, Prandini può prendersi persino il lusso di maramaldeggiare da permaloso al primo,
minimo dissenso, querelando Agostini e Tiziano Zubani di Bresciaoggi per "preconcetta
ostilità nei suoi riguardi, querela simile a quellaltra contro la "verde"
Anna Donati, che avrebbe "leso la sua identità personale", ultimi ritrovati
giuridici chissà dove codificati, come se il diritto al dissenso non rappresentasse il
principio superiore della Costituzione e della democrazia. Ma contro-querelatelo, perdìo,
al suono dei suoi stessi miliardi richiesti in risarcimento e della sua stessa mancanza
assoluta di senso del ridicolo, che cerca di annientare il sorriso disinteressato e
lumore buono dalla faccia della terra; ma attiratelo in una due, tre, cento querele
carnevalesche finchè non si disvela una macchietta e non la pianta; ma immortalate le sue
querele in uno spasso epocale, trovate un punto di equilibrio nel Circo Barnum odierno dei
diffamati & querelati, invece di star lì paralizzati come mummie, altrimenti che ci
sta a fare la libertà costituzionale di stampa, di ricerca, di indagine, di denuncia, di
critica? Le libertà, piccole questioni insignificanti, distrazioni prive di un qualsiasi
interesse concreto, che non saltano in mente neppure per un attimo a un ex ministro della
nostra Repubblica democratica, cui nessuno ha chiesto di dare le dimissioni dopo
iniziative tanto illiberali.
Ed è lui, che simbolicamente rappresenta la Brescia di quelli che intraprendono e
lavorano ai fianchi: la Brescia, che ora val la pena di descrivere dal vivo in alcuni suoi
tipici rappresentanti, pensiero e azione di alcuni seguaci di Gianni Prandini, saldamente
piazzati nel quartier generale di Corso Cavour 10.
Da Scritti clandestini (2 edizioni, giugno 1993)
LAVVOCATO CIARLATANO
Di rinforzo alla operazione globale arrivano poi certi testimoni programmati come robot
senza un palpito spontaneo, addestrati come scimmiette a mimare sempre le stesse frasi,
gli stessi fatti, pochi, ma non chiari. Eccelle in questa provvida mansione la peggio
umanità che possa capitare di incontrare. In Tribunale non si dovrebbero trovare
registrate senza fiatare le accuse infamanti contro persone non presenti, senza che quelle
persone abbiano modo di replicare. In Tribunale ci si dovrebbe aspettare che un presidente
o un pubblico ministero avvertano il testimone del fatto che sta varcando il delicatissimo
confine tra la testimonianza tesa al perseguimento della verità e la diffamazione.
Testimonieranno alcuni, in un crescendo di livore e di ignominie, che il figlio, Fabrizio,
brutalizzava, drogava, rapinava la mamma, e se ne augurava la morte, e non si troverà uno
straccio di magistrato, che avrà alcunché da obiettare né in processo né in sentenza.
Che faresti tu, lettore, se ti infangassero sotto cotanto livore? Pensaci bene. Guardami
in faccia. Come anticipo, nella tua infinita bontà, risponderesti almeno con degli
"Scritti satirici". Chiederesti pronto soccorso a Rovetta. E poi di livore sarei
pervaso io, uomo di pietas, di satira e di sdegni, stando a quel che dicono certi legali,
i ruffiani della neutralità forense ufficiale, gli struzzi dalle teste perse e disperse
sotto le loro equidistanze pusillanimi e oscure, pur di far quadrato attorno ai loro pari,
fasulli e uguali in quella "mise" nera, cimiteriale: pronti a offrirsi e a
ricambiarsi cento alibi quando cadono in errori clamorosi e irrimediabili ai danni del
cliente, pronti a lanciare cento insulti contro gli errori infinitesimali di chi sta fuori
dal loro ambiente greve di reciproca boria e lentocrazia.
Cè, tra i testimoni, una tale Luciana Masserdotti, massaggiatrice, dama di
compagnia, poliedrica, la "dark lady della storia" scrivevo in forma anonima in
Brescia Novanta quando procedevo con i piedi di piombo, che è un vero e proprio vulcano
di menzogne. Avete mai visto in Tribunale come i testimoni, quelli sinceri, si agitano
come sui tizzoni ardenti nel timore di dire, senza accorgersene, qualche bugiola? Questi
del processo di via Grazie, congrega dei cialtroni dellinsulto, invece, si
sbizzarriscono nelle versioni più immonde in gran disinvoltura. Forse avvertono (o
vengono avvertiti dallaria che tira in Tribunale) che il clima, latmosfera
sono a loro favore. Tantè vero che possono procedere imperterriti.
Anche le galline sanno che la massaggiatrice ha introdotto Fornari da mamma Beatrice, che
i tre conversavano amabilmente al caminetto in riunioni da circonvenzione, ma lei non
esita a negare. "Fornari lho conosciuto tramite la signora". "Mai
partecipato alle riunioni". O meglio. In camera, in privato, mai; al caminetto, in
pubblico, sempre. Poi cade in un delirio sensazionale tra il silenzio dei giurati
celebranti il raptus.
Testimone - La signora mi diceva sempre che aveva paura che il figlio la drogasse, e che
una sera aveva il braccio tutto nero e che era stato il figlio a farla diventare nera, lui
e il marito.
Pres. - Queste sono cose che la signora Sorlini riferiva a Lei?
T. - Non la signora Sorlini, la "Rosamunda"...
Forse sta sbavando. Angelica tace. Sostituiamoci al p.m. e alla presidente. Fabrizio va
dalla "Rosamunda" (solito nome darte multiuso per i testimoni a rischio).
La "Rosamunda" resta di sasso e va su tutte le furie:
"Incredibile. Non ho mai detto niente a quella lì. Fabrizio non ha mai alzato un
dito contro la mamma. La verità è che lha sempre rispettata, non ha mai tolto il
rispetto alla mamma..."
Contraddizioni in termini e falsità impudenti di questa Masserdotti. Follie in libertà
incontrollata recitate tranquillamente. E che quereli pure. Mi raccomando di querelare
anche le galline.
Potevano pur chiederle alla maniera di Vittorini se la dama dei misteri era convivente con
Fornari, se dormiva nella sua camera, se aveva un rapporto sentimentale, se aveva rapporti
sessuali, se gli faceva i massaggini sotto lorecchio e se e se e quantaltro
per curiosare. Niente. Noblesse oblige dovuto alle professioni e alle classi neppure tanto
alte di una massaggiatrice falsa e di un falso commercialista.
Soltanto un testimone, un amico di Cassano, teste anguillesco, teste braccato dal fuoco
incrociato della signora presidente, si limiterà a riferire molto alla lontana che quella
Masserdotti era "una signora con dei capelli biondo-rossicci, un naso lungo", un
fatto certo, ma anche una metafora di Pinocchio, metafora del bugiardo.
Cè poi lavvocato Ciarlatano Bonomi, Ottaviano allanagrafe,
lavvocato più volubile del Foro. Lui ha ripescato il termine di
"guiderdone", neanche male, per una tangente extra pagata da una controparte
della Sorlini al solito Fornari, che le faceva da consulente (alla Sorlini, mica alla
controparte: lenormità che vi manda di nuovo in sballo mentale è stata poi
purificata, praticamente santificata, dalla sentenza).
Il vecchio Ciarly, circa 90 anni e li dimostra, allanagrafe oggidì 74 anni
esattamente, è uno che come testimone in Tribunale si regola a giorni alterni. I giorni
dispari ripete a memoria, una precisione teutonica, che insospettisce. I giorni pari sta
sul molle, una vaghezza e lungimiranza levantina, che concilia. Senzaltro
lavv. C. Bonomi, laureato in legge nella combriccola di quegli ampollosi barocchi
che arzigogolano sulle quisquiglie, rappresenta il barocco degenerato nella fase più
pedante roccocò. Physique du role da copertina in Rabelais.
In prima battuta esige addirittura che si metta agli Atti processuali una sua parcella
folle di 31.300.OOO lire per avere trotterellato e tramato nei giorni della comprasvendita
del palazzo, e si copre le spalle con un gran colpo da Azzeccarbugli, che sa di codicilli.
La parcella merita una scorsa perché lordine la trasmetta ai nipotini.
"Assistenza rogito", 15 milioni, due ore di presenza. "Esame di un
preliminare", 1 milione, quattro pagine da leggere. "Risoluzione promessa
vendita", 10 milioni, tre firme da apporre.
In un secondo tempo, centellina e modifica le sue prestazioni, diciamo così, da testimone
unilaterale. Il 2 giugno, giorno pari, in Tribunale si sta parlando della penale di 100
milioni pagata da mamma Beatrice al signor Bertoli, il primo acquirente, scavalcato dal
secondo acquirente, la società Perfin di Remigio Arpini. Ha la parola lavv. Luigi
Frattini, il difensore di Fornari.
Frattini - Lei ricorda se per caso il signor Arpini non si limitò a consegnare 1.500
milioni, ma diede anche altri 100 milioni perché la signora li desse al signor Bertoli a
pagamento della caparra?
Bonomi - No, lui pagò 1 miliardo e 500 milioni.
F. - Volevo saper questo, oltre a 1 miliardo e 5OO milioni, Lei ricorda se per caso Arpini
in quella occorrenza diede altri 100 milioni?
B. - Non lo ricordo.
Il 15 giugno, giorno dispari, ci ripensa lavvocato che, state attenti, teneva
lufficio in via Porcellaga 6, secondo piano, porta fronte alla porta della Perfin.
Ha la parola (dincoraggiamento) la Cicerchia dallocchio benedicente.
Pres. - Le difese?
B. - Però, scusate, vorrei dire qualcosa che credo di ricordare, però credo, sono sotto
giuramento, se posso dirlo lo dico e se no...
Pres. - Lo dica pure, sì.
B. - Io credo di ricordare che nella impostazione della promessa di vendita Arpini,
perché io la Perfin non la conosco, era incluso il pagamento della penale della doppia
caparra.
Pres. - Quindi Lei crede di ricordare.
B. - Credo di ricordare esattamente che...
Siccome il bisnonnino non ce la fa più e strafuglia, torniamo al rallenty. E interviene
dal primo banco la presidente, che lo soccorre rinfrescandogli la memoria. Le più
studiose a scuola sono sempre le suorine, che passa il convento.
Pres. - ...che nel preliminare intercorso tra la signora Sorlini e Arpini fosse incluso il
pagamento a carico del compratore Arpini della penale per la risoluzione del preliminare
Bertoli?
B. - Sì.
P.m. - Non ammetto un ripensamento, un ritorno su questa domanda specifica che è già
stata svolta...è stata una aggiunta spontanea del teste che ricorda qualcosa che
lultima volta non aveva affatto ricordato.
Il 17 giugno, giorno di sintesi, fanno staccare a Beatrice Sorlini un assegno di 10
milioni intestato a Ottaviano Bonomi, che lungo ogni udienza continuava a piagnucolare
poche parole di gran fair play contro mamma Beatrice affinchè Fornari si facesse buon
intenditore:
"Lei spariva. Forse perché mi doveva qualche soldino...ero io che dovevo chiedere a
Fabrizio Cassano dove fosse sua madre anche per farmi pagare"
Non ho la prova. La prova maledetta. Certo, non li ho sentiti nei loro conciliaboli
serafici, assai frequenti nei corridoi del Foro, dirsi nel loro contegno falso come Giuda
"Dovresti ricordarti meglio di quella volta" "Sì, però la signora mi deve
pagare la parcella". Ma, visto che Ottaviano il Ciarlatano si inventava i fatti come
la comare di un condominio, visto che si librava con un suo gusto granguignolesco della
calunnia, visto che nelle sue sgangherate performances logorroiche aveva limprimatur
della Corte, si deve dedurne che si sentiva protetto da impunità sicura anche nel
combinare il suo personale guiderdone. E questo è il teste-principe simbolo di quella
umanità varia, che ha circuito la signora. Vuoi metterlo a confronto con qualsiasi Maria
Maddalena, chiamata più volte mignotta, puttana senza fede e senza onore da costui ai
mercati generali del tempio di giustizia?
Guardati, figlio mio, diceva mia madre predicando, sia nella vita che nei luoghi di
giustizia, da chi ciarla per eccesso: non è uno che affabula, ma un calunniatore. E così
lavv. Bonomi racconta le sue favole sul palazzo, oggi invaso da inquilini, che se ne
stanno ben protetti al caldo come cuccioli, in attesa che lInternational Historic
Houses Association ponga tra i suoi itinerari la visita a questo raro immobile "di
indubbio valore storico e artistico":
"Quel palazzo era fatiscente, io sono andato una volta e mi sono beccato il
raffreddore per due mesi. Veniva giù il soffitto"
E della signora Sorlini, donna emotiva, fragile come poche, offre unimmagine,
durante latto di comprasvendita, che nessuno, proprio nessuno di ambedue le fazioni
in lotta, si è mai sognato di inventare:
"Era precisa, chiara, arriverei a dire arida, aveva la freddezza della donna che sa
quello che vuole".
Avvocato, ci dica, Lei che da legale in prima istanza vi ha concorso: larida signora
voleva freddamente anche quello scippo da 2,3 miliardi?
Di Fabrizio Cassano continuerà a ripetere, secondo un classico processo di proiezione
paranoidea per cui si attribuiscono agli altri le proprie visioni e concezioni del mondo
(e del denaro):
"Parlava solo di soldi, parlava solo di soldi"
Bonomi merita però di finire per sempre in Queriniana fosse solo per questultima
requisitoria terremotata anti Fabrizio in grammelot:
"...viene lì e mi dice che è stato in pretura e che gli hanno dato due ore di tempo
per pagare, allora telefono a Carmignani e gli dico che cosa succede, cera il
giudice Calamita e invece non era così e il giudice gli ha detto se voleva il termine di
grazia del 55 della legge 392 e lui ha detto no, no a mezzogiorno porto i soldi, e a
mezzogiorno non ha portato niente. Lui invece ha raccontato a Fornari che il giudice
laveva trattato così puramente e semplicemente perché era brutto o perché era
cattivo. Questi sono i suoi discorsi così Viene nel mio studio e mi dice se vendessimo in
via Frigerio comprerei loro in Brasile e lo venderei in India",
ove lunica cosa che si capisce è che Cassano non ha mai sganciato un soldo a uno
che fa discorsi prima così e poi cosà. Certo, a quelletà potrebbe vivere un
po più spiritualmente, invece di appestarsi su questo rapporto maniacale coi soldi,
su questo brutto vizio assurdo per un bisnonno.
Altre cose si apprendono in questo uso dei testimoni formato due pesi due misure. Che se
per qualche mese ti dimentichi di pagare laffitto o hai un piccolo debito, potresti
essere un teste inattendibile. Come a dire in un olocausto di massa: siamo tutti
inattendibili. Lo si apprende da questa edificante storiella da sagrestìa più che da
giurisdizione.
Bagnalasta riceve il compito di indagare su alcuni testimoni dallimputato Guido
Fornari. Tanto, paga sempre la signora. E giù parcella. Un milione versato in data 6
maggio '93 per saper che un testimone era in ritardo nel pagamento dellaffitto. In
tal senso il vostro cronista è uno dei pochi testimoni usciti indenni dai "faccia a
faccia" a senso unico condotti dagli avvocati di parte. Domanda: come mai durante
linterrogatorio non è emerso nulla della investigazione svolta da Bagnalasta sul
"Signor Rovetta Renato Giorgio", un po scavezzacollo,
"intellettualoide davanguardia...non disdegnando amicizie darte
stravaganti", ma comunque "sempre corretto, senza pendenze penali", tanto
da essere "meritevole di fido", grazie?
Il celebre investigatore dallocchio indagatorio e trinitario, piuttosto, appare in
"Brescia Novanta" come uno "che, come informa Bresciaoggi del 18 marzo '91,
si è preso otto mesi con la condizionale". Nessun pregiudizio, daccordo, non
facciamo come loro. Ma loro andavano a caccia di ogni minuzia e di ogni precedente, che si
ritrovano anche nelle migliori famiglie di avvocati e nelle peggiori agenzie di ricerca:
una sorta di gioco al massacro, la Cicerchia due pesi due misure consenziente. Come in
questo interrogatorio, che, dopo la lettura, vedremo con quale aggettivo giudicare. Spiace
ancora che a condurlo con unaltra caduta di stile, non certo degna di un presidente
dellordine, sia Frattini, avvocato eccellente, che prenderò, ammesso che mi quereli
Vittorini, ammesso che si riesca a combinare al termine del processo Rovetta/Fornari.
Frattini - E vero che Lei non ha pagato il canone di locazione della Sua abitazione
da oltre un anno?
Testimone - No.
F. - Non è vero?
T. - Non è assolutamente vero.
F. - Non è vero, e voglio dire, Lei lo ha pagato fino allultimo mese il canone di
locazione?
T. - No, assolutamente, non lho pagato gli ultimi tre mesi in quanto questo era un
accordo tra me e il padrone di casa.
F. - Lei ha debiti per caso in questo periodo?
Avv. Mola - Mi oppongo, Vostro Onore, non vedo cosa centri.
Pres. - Sono domande che valutano la credibilità in senso generale del teste.
F. - Volevo sapere se Lei ha dei debiti.
T. - Ci sto pensando. Ho un fido presso una banca.
F. - Scusi?
T. - Ho un fido presso una banca, sarà scoperto di un paio di milioni.
F. - E lunico debito che ha?
T. - Che io ricordi...poi non mi pare, forse devo avere un milione di debito con
unamica.
Chi è più avvilente: Frattini o laltra? O laltra assieme a Vittorini?
Leggiamo questo pezzo raro. Vittorini sta interrogando un testimone "contro".
"Io posso dirLe che Fabrizio Cassano nelle sue dichiarazioni a pagina 141 e a pagina
144 delle trascrizioni, dà conto che liniziativa e il ricorso per fare interdire la
madre era di gran tempo precedente lanno 1992: quindi glielo confermo io"
Solo che si tratta di un falso clamoroso, di un bluff per suggestionare, disorientare,
intimidire il testimone, un basso trucco che la Cicerchia avrebbe dovuto impedire e
stigmatizzare minacciosamente. E di unaltra segnalazione allordine degli
avvocati e ai suoi nipoti. Bastava dare unocchiata a quelle pagine e controllare che
si parla, sempre e più volte, della "prima metà del '92", e mai e poi mai
"di gran tempo precedente lanno 1992". Anche di questa pasta è fatto
lavv. Cacciaballe. Di sotterfugi inquisitori per piegare il testimone allautos
da fé. Come in questaltro caso che dimostra come Vittorini se ne sia fatta
unabitudine e una ragione di vita giudiziaria. Un testimone, il padre di Fabrizio,
aveva detto:
"Io non ho mai chiesto questa cifra ...la roba sua era sua...non ho nessun
diritto...a me non spettava niente"
E Vittorini, per suggestionare, disorientare, intimidire il figlio Fabrizio entrato in
aula dopo il padre, così glielo traduce:
Vittorini - Suo padre ha risposto sotto giuramento: "...io nondimeno avrei intascato
questa cifra, i miei soldi...e non mi sarei sentito moralmente indegno perché avevo
ragioni mie per potermeli mettere in tasca"
p.m. Remus - ...non mi sembra proprio che il padre si fosse espresso in questi termini.
Perciò da quellaula uscivi in stato di depressione perché la realtà confermava
quello che speravi fosse cultura lontana. Speravi che fosse una finzione, una pellicola
sui nefasti della Controriforma da guardare sdraiato in poltrona.
Come in una millimetrica simmetria classista, come in una riproduzione dei secoli di
Spagna, i savi sofisti giuristi delle classi alte, razza prescelta, se ne andavano a
sbirciare e ad origliare a fiato sospeso, a orecchio teso, nella vita intima degli umili,
razza subalterna, priva di difese sociali e culturali. E così, verrebbe da dire con le
stesse parole scritte da Martinazzoli in postilla al sacro testo di Manzoni "La
Storia della colonna infame", e così non si dà
"mai unattenzione, anche minima, alla circostanza che i grandi guasti stanno al
termine di infinite piccole negligenze, sciatterie, grettezze, diserzioni, avidità e
connivenze",
come moraleggia il raffinatissimo lettore manzoniano Mino Martinazzoli in commento al
processo della Colonna infame, in cui si è fatto scempio dei deboli, esattamente come nel
processo del palazzo di via Grazie.
Da lì uscivi come da uno scenario già letto sul Manzoni, gran giansenista e moralista,
che ebbe sempre i gesuiti in gran dispitto. Tutto sembrava predisposto verso una sola
conclusione insieme alle recite del caso. La mamma era consacrata alla rapina. Ricordate
come Gertrude verrà piegata al suo destino mascherando e massacrando la verità, salvando
tutte le forme, fingendo di assecondare la sua volontà secondo giustizia? Sia fatta la
volontà di Gertrude, sia fatta la volontà di Beatrice, ripetevano allora e ripetono oggi
gli eterni simulatori replicanti, pur sapendole costrette a docili esecutrici degli altrui
ordini.
"Parte non saccorgevano bene di tutti quei maneggi, parte non distinguevano
quanto vi fosse di cattivo, parte sastenevano dal farvi sopra esame, parte stavano
zitta per non fare scandali inutili". Undici udienze pari a decine di ore di
chiacchiere e di reverenze pompose, di formalismi fatui e di minuetti sincopati, e di
insulti cupi, per non vedere e dire mai, neanche in un accenno, ciò che aleggiava
perennemente ed era sotto il naso di chiunque come chiave di lettura della vicenda: che la
signora era scenograficamente, romanticamente ammaliata da quel tipo. Pruderie secentesca,
seriosità cimiteriale, silenzi obbligati da covo gesuita. Che si apre a bordello sui
segreti dalcova della colf di famiglia, secondo la nota, sconcia morale elitaria per
cui si parla in pubblico damore solo come sesso proletario danimali, e la
prurigine si addensa, il resto è scandalo, pena laccusa di lesa ipocrisia e il
levarsi corrucciato dei candidi sepolcri rifatti a nuovo negli ultimi tempi.
Deprimente. Pensare: bisogno daria pura. Vedere tra gli scranni passare sul banco
dei testimoni quei grandi inquinatori tronfi ad ampie falcate, di passo rapido, sicuro,
passo di danza sotto le chiome argentee, arie da giganti. Sentirli trattare con la
deferenza servile, che si deve alla gente di riguardo, sguardi corruschi. Pensare che in
quelle quattro mura si andavano rappresentando la lentezza e limmobilità di un
quadro di Velasquez, laffresco vivente del formalismo, della perfezione spagnolesca
nei più inutili dettagli.
Il formalismo, i gesti, le frasi dornamento, lenfasi latineggiante,
"larti e i raggiri" che riescono sempre a farsi beffe della giustizia. La
lentezza nello scambiare e controllare le carte quasi a non disturbarsi, ma controllare
sempre con jucio e per obbligo. Limmobilità inespressiva con cui assistevano alla
vivisezione dei testimoni di unaltra razza, di un altra classe, e dietro agli
immortali intoccabili e alle cerimonie "accompagnate da un leggero ossequio di
formalità" capivi che congiuravano soltanto "a tirare la poverina nel
laccio".
A dire il vero la poverina rispose allappello da sciagurata con una testimonianza
dettata dal "sentimento di una necessità fatale". Aveva perso la testa, non
poteva più farne a meno, e punto e basta.
Diceva (passato storico) Rovetta in "Brescia Novanta":
"Esistono in età tanto distanti, affinità elettive, o anche veri amori, che a me
personalmente non fan scandalo"
Diceva (passato storico) Manzoni ne "I promessi sposi":
"Così fatto è quel guazzabuglio del cuore umano"
E con Manzoni mettiamo letterariamente una pietra sopra a quellaria mefitica, che
sembrava tecnologicamente surriscaldata da un impianto idraulico ad intensa concentrazione
ipocrita. La fendevano i grandi inquinatori a ranghi serrati come nelle solennità bardate
dai reparti speciali, massime gli psichiatri, che sventolavano le loro banderuole, che
tirano sempre dove tirano i denari.
Saremo glaciali. Bando alle ironie e agli schiamazzi, quando si entra nel grandioso
sacrario della scienza. Ma in silenzio dovremo pur fare notare che tutti i loro Wais,
test, Q.I., M.M.S.E., Rorschach, sigle esoteriche, sigle fantasma, si sono sublimate nella
cultura truffaldina di uno scippo da 2,3 miliardi. Non lhanno impedito, anzi
lhanno favorito come uomini di paglia. Perizie di qui, perizie di là, perizie che
si fronteggiano con i loro cani da guardia, come a Bisanzio si rompevano in correnti e
sofismi pro e contro il sesso degli angeli.
Non sto sbeffeggiando la scienza. Sbeffeggio luso superstizioso, che ne fanno i
lestofanti in vesti culturali, mettendola religiosamente sul sacrale. Per cui al momento
del confronto-scontro tra gli eccelsi è tutto un rimpallarsi ad alta definizione
scientifica di francamente risibile sarà Lei, esimio collega, in un ping pong tra guru
distinti francamente risibile, in una diatriba interminabile durante la quale qualcuno
dovrà pur essere risibile oggettivamente.
Vediamo, ad esempio, quale uso fa della scienza il perito di parte Beatrice Sorlini,
sempre nel momento in cui è stata depredata di circa 1.900 milioni di un patrimonio di
cui non sa più niente:
"Il suo denaro sapeva bene quanto valeva, aveva la nozione del denaro, sapeva e aveva
fatto i suoi bravi calcoli, quindi la sua capacità critica era così forte e così valida
da potere controllare tutte le ansie e le depressioni di questo mondo: un personaggio
veramente...mi ha colpito, ha una grossa personalità...unefficienza intellettiva
ottima, sopra la norma"
Prendete nota. Ermentini Augusto, professore ordinario di clinica psichiatrica nella
Università di Brescia. Presumo, uno di quelli dalle chiome argentee. Uno che mette sul
proscenio della II sezione penale questo balletto soffice culturalmente.
Domanda - La signora Sorlini...avendo la libertà e la possibilità di svagarsi leggendo
un libro, ascoltando un disco, si può immaginare che vivesse in una situazione o in una
recuperata situazione di tranquillità?
Ermentini - Certo, la signora mi raccontava che è andata a vedere una mostra, perché è
una donna di fine cultura, e andando a vedere la mostra, si trovava benissimo.
Vedete? Danzava, guardava, godeva. Bastava poco, un quadro, un disco, per renderla una
Cenerentola nullatenente, ma felice.
E chi fa la domanda? Vittorini, naturalmente. Rieccolo Piergiorgio in onore del quale
abbiamo cominciato e finiremo questo capitolo. Essere vittorinologi contemporanei, essere
un suo esegeta davvero critico. E dovervi confessare che non penso affatto che fosse un
complice consapevole. Il confine tra patrocinio infedele e cretinismo è molto labile. Si
può condannare penalmente uno soltanto perché è un cretino? Non si può. Per questo, se
i Sorlini, come è auspicabile, lo denunceranno, Vittorini con ogni probabilità ne
uscirà assolto, anche se ha messo in azione tutti i mezzi, truce stupidità, furia
luddista, per distruggere i beni e gli affetti di una famiglia, ma in buona fede, povero
pirla.
Fossi in lui, preferirei farmi dare qualche mese con la condizionale, reo confesso in
questa truffa, piuttosto che sfidare lirrisione eterna. Perché in effetti è stato
lunico completamente incapace di intendere la vicenda. Probabilmente anche
lunico incapace di volere questo finale in dramma, che però è avvenuto malgrado
indossasse il cimiero. Senza saperlo, si è fatto dare la mancetta sotto veste di
paghetta. Un epilogo sensato, perfettamente rovesciato nel rapporto madre e figlio,
sarebbe che mamma Vittorini denunciasse il solito Fornari per circonvenzione del figliolo.
Dicono anche che è buono. Bravo guaglione, nonostante sia errante e lerrore. Buono
con i forti, reazionari e democratici purché forti, quelli che prediligono i cortigiani e
i codici donore da gruppo chiuso, più che le verità e gli amici veri. E, semmai,
è pragmatico, prima che buono. E lui provi a rievocare quando in Tribunale spadroneggiava
senza pietà contro tutte quelle incolpevoli anime in pena e in difesa
Da Scritti satirici (maggio 1995)
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