Democrazia imperiale
Limpero è in marcia.
Democrazia è il suo nuovo, astuto grido di battaglia. La ricetta è semplice:
far bollire, aggiungere petrolio, poi bombardare. Lappello di Arundhati Roy alla
società civile americana
Il 3 luglio 1988 lincrociatore lanciamissili Vincennes, di stanza nel Golfo Persico,
abbatté per errore un aereo di linea iraniano uccidendo 290 passeggeri civili. Quando gli
chiesero di commentare lincidente, George Bush primo, che allepoca era
impegnato nella campagna elettorale per la presidenza, dichiarò con sagacia: Non
chiederò scusa a nome degli Stati Uniti. Non mi importa come sono andati i fatti.
Non mi importa come sono andati i fatti. Una massima perfetta per il nuovo impero
americano. Forse si può aggiungere una piccola variazione sul tema: i fatti possono
andare come vogliamo noi.
Negli Stati Uniti il sostegno dellopinione pubblica alla guerra contro lIraq
si è basato su un cumulo di bugie e sotterfugi, coordinati dal governo e fedelmente
amplificate dai media delle multinazionali. Oltre ai legami inventati fra Iraq e al Qaeda,
cè stato lallarme preconfezionato sulle armi di distruzione di massa
irachene. George Bush il piccolo è arrivato al punto di dire che sarebbe stato
suicida per gli Usa non attaccare lIraq.
Era un allarme con uno scopo preciso. George W. Bush riproponeva una vecchia dottrina
sotto una veste nuova: la dottrina del colpo preventivo, vale a dire gli Stati Uniti
possono fare tutto quello che vogliono, e ormai questo è ufficiale.
La guerra contro lIraq è stata combattuta e vinta e non sono state trovate armi di
distruzione di massa. Neanche la più piccola. Forse ce le dovranno mettere per scoprirle.
E anche in questo caso, i più critici di noi vorranno sapere perché Saddam Hussein non
le ha usate quando il suo paese è stato invaso. Cè chi chiede: cosa cambia se
lIraq non aveva armi chimiche e nucleari? Cosa cambia se non ci sono collegamenti
con al Qaeda? Cosa cambia se Osama bin Laden odia sia Saddam Hussein sia gli Stati Uniti?
Bush il piccolo ha detto che Saddam Hussein era un dittatore omicida. Perciò
questo è il ragionamento lIraq aveva bisogno di un cambiamento
di regime.
Poco importa se quarantanni fa la Cia, quando era presidente John F. Kennedy,
contribuì a organizzare un cambiamento di regime a Baghdad. Nel 1963, con un colpo di
stato, in Iraq arrivò al potere il partito Baath. Usando elenchi forniti dalla Cia,
il nuovo regime Baath eliminò sistematicamente centinaia di medici, insegnanti,
avvocati e personaggi politici noti per essere di sinistra.
Nel 1979, dopo una lotta interna al partito, Saddam Hussein diventò presidente
dellIraq. Nellaprile del 1980, mentre Saddam stava massacrando gli sciiti, il
consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski dichiarò:
Non cè una sostanziale incompatibilità tra gli interessi degli Stati Uniti e
dellIraq. Washington e Londra appoggiarono Saddam Hussein sia apertamente sia
in segreto. Lo finanziarono, lo equipaggiarono, lo armarono e gli fornirono materiali che
potevano essere usati per scopi civili ma anche per produrre armi di distruzione di massa.
Sostennero la guerra di otto anni contro lIran e il massacro del popolo curdo con il
gas ad Halabja nel 1988. Crimini che quattordici anni dopo sono stati usati come ragioni
per giustificare linvasione dellIraq.
Tecnica efficace
Il punto è: se Saddam Hussein era tanto malvagio da meritare il tentativo di assassinio
più complicato e annunciato della storia, allora sicuramente chi lo ha sostenuto dovrebbe
almeno essere processato per crimini di guerra. Perché nellinfame mazzo di carte
degli uomini e delle donne ricercate non figurano le facce dei funzionari di governo
statunitensi e britannici? Perché quando è in gioco limpero, i fatti non contano.
Sì, ma tutto questo fa parte del passato, ci dicono. Saddam Hussein è un mostro che deve
essere fermato. E solo gli gli Stati Uniti possono fermarlo. È una tattica efficace: si
usa lurgenza morale del presente per oscurare i peccati diabolici del passato e i
terribili piani per il futuro. Indonesia, Panama, Nicaragua, Iraq, Afghanistan
lelenco si allunga sempre di più. Anche ora ci sono regimi brutali che sono
finanziati Egitto, Arabia Saudita, Pakistan, repubbliche dellAsia centrale.
Limpero è in marcia, e Democrazia è il suo nuovo, astuto grido di guerra.
Democrazia, consegnata a domicilio dalle bombe a grappolo. La morte è un prezzo modesto
da pagare per assaggiare questo nuovo prodotto: democrazia imperiale precotta (far
bollire, aggiungere petrolio, poi bombardare).
In questi ultimi mesi, mentre il mondo restava a guardare, linvasione e
loccupazione americana dellIraq sono state trasmesse in diretta tv. Una
civiltà di settemila anni è scivolata nellanarchia. Prima che la guerra
cominciasse, lufficio per la ricostruzione e lassistenza umanitaria (Orha) ha
inviato al Pentagono un elenco di sedici importantissimi siti da proteggere. Il museo
nazionale era al secondo posto. Eppure il museo non è stato semplicemente saccheggiato,
è stato profanato. Era il custode di un antico retaggio culturale. LIraq come lo
conosciamo oggi faceva parte della Mesopotamia. La civiltà che fiorì sulle sponde del
Tigri e dellEufrate produsse la prima scrittura, il primo calendario, la prima
biblioteca, la prima città del mondo e, proprio così, la prima democrazia. Il re di
Babilonia, Hammurabi, fu il primo a codificare le leggi che regolavano la vita sociale dei
cittadini. Era un codice in cui le donne abbandonate, le prostitute, gli schiavi e persino
gli animali avevano dei diritti. Il codice di Hammurabi segna non solo la nascita della
legalità, ma la prima intuizione del concetto di giustizia sociale. Il governo
statunitense non avrebbe potuto scegliere una terra meno adatta per inscenare la sua
guerra illegale ed esibire il suo grottesco disprezzo per la giustizia.
Lultimo edificio nellelenco dellOhra dei sedici siti da proteggere era
il ministero del petrolio. È stato lunico che ha ricevuto protezione. Forse
lesercito occupante pensava che nei paesi musulmani gli elenchi si leggessero al
contrario? La sicurezza del popolo iracheno non era affare loro. La sicurezza
delleredità culturale irachena o di quel che restava della sua infrastruttura non
era affare loro. Ma la sicurezza dei giacimenti petroliferi iracheni sì. Certo che lo
era. I giacimenti di petrolio sono stati messi al sicuro quasi prima che
cominciasse linvasione.
Tenuta fantasiosa
Il 2 maggio Bush il Piccolo ha aperto la sua campagna elettorale per il 2004 sperando di
essere finalmente eletto presidente degli Stati Uniti. Con quello che probabilmente è
stato il volo più breve della storia, un jet militare è atterrato su una portaerei, la
Abraham Lincoln, attraccata vicinissima alla costa. Tanto vicina che stando
allAssociated Press i funzionari dellamministrazione hanno ammesso di aver
posizionato questa nave enorme in modo da fornire la migliore angolazione televisiva
al discorso del presidente Bush, con lo sfondo del mare invece della costa di San
Diego.
Il presidente Bush, che non ha fatto il servizio militare, è emerso sul ponte con una
tenuta fantasiosa giubbotto militare, stivali da combattimento, occhialoni da
pilota, casco. Salutando i soldati che lo acclamavano, ha ufficialmente proclamato la
vittoria sullIraq. È stato attento a dire che si trattava soltanto di una
vittoria in una guerra al terrorismo
che continua ancora.
Era importante evitare un esplicito annuncio di vittoria, perché in base alla convenzione
di Ginevra un esercito vittorioso deve rispettare gli obblighi giuridici di una forza
occupante, una responsabilità di cui lamministrazione Bush non vuole farsi carico.
E poi, quando le elezioni del 2004 saranno più vicine, per convincere gli elettori
esitanti potrebbe essere necessaria unaltra vittoria nella guerra al
terrorismo. La Siria è stata messa allingrasso in attesa di essere uccisa. La
distinzione fra campagna elettorale e guerra, fra democrazia e oligarchia sembra
scomparire rapidamente.
Un eufemismo
Secondo un sondaggio dellistituto internazionale di ricerche Gallup, il consenso a
una guerra condotta unilateralmente dagli Stati Uniti e dai suoi alleati non
ha superato l11 per cento in nessun paese europeo. Ma i governi di Gran Bretagna,
Italia, Spagna, Ungheria e di altri paesi dellEuropa orientale sono stati elogiati
per aver ignorato lopinione della maggioranza dei loro cittadini e per aver
sostenuto linvasione illegale. Come si chiama questo? Nuova democrazia? Come il
nuovo Labour della Gran Bretagna?
La democrazia, la vacca sacra del mondo moderno, è in crisi. Ed è una crisi profonda. In
suo nome vengono commessi oltraggi di ogni genere. È diventata poco più di una parola
senza valore, un guscio svuotato di contenuto e significato. Può essere tutto quello che
volete. La democrazia è la puttana del mondo moderno, disposta a vestirsi, a spogliarsi,
disposta a soddisfare tantissimi gusti, disponibile a farsi usare e abusare.
Le democrazie moderne esistono da abbastanza tempo perché i capitalisti neoliberali
abbiano imparato come rovesciarle. Hanno perfezionato la tecnica di infiltrarsi negli
organi democratici la magistratura indipendente, la stampa
libera, il parlamento e piegarli ai loro scopi. Il progetto di
globalizzazione delle multinazionali ha infranto le regole del sistema. Libere elezioni,
una stampa libera e una magistratura indipendente significano ben poco dopo che il libero
mercato le ha ridotte a merci in vendita al miglior offerente.
La democrazia è diventata leufemismo usato dallimpero per parlare del
neocapitalismo liberale. La macchina della democrazia è stata efficacemente manomessa.
Politici, baroni dei media, giudici, lobby aziendali e funzionari di governo si
sovrappongono e si intrecciano in una complessa rete sotterranea che minaccia la struttura
di controlli ed equilibri fra la costituzione, i tribunali, il parlamento,
lamministrazione e i mezzi di informazione indipendenti, che costituiscono la base
di una democrazia parlamentare. In molti casi lintreccio non né complesso né
sottile.
Il capo del governo italiano Silvio Berlusconi, per esempio, ha una quota di controllo in
importanti quotidiani, riviste, canali televisivi e case editrici. Negli Stati Uniti,
Clear Channel Worldwide Incorporated è il più grande proprietario di emittenti radio del
paese e controlla più di 1.200 canali. Il suo direttore generale ha versato centinaia di
migliaia di dollari per la campagna elettorale di Bush. Ha organizzato comizi patriottici
in favore della guerra in tutto il paese e poi ha spedito i suoi inviati a seguirli come
se fossero notizie da prima pagina. Lera della creazione del consenso ha lasciato il
passo allera della creazione delle notizie.
Presto le redazioni rinunceranno alla finzione e cominceranno ad assumere direttori di
teatro al posto dei giornalisti. Lo show business americano diventa sempre più violento e
bellicoso e le guerre americane diventano sempre più simili allo show business, e sono
già in corso alcuni incroci interessanti. Il progettista che ha costruito in Qatar il set
da 250mila dollari usato dal generale Tommy Franks per allestire la sala stampa
delloperazione shock and awe ha costruito anche i set per la Disney, la Metro
Goldwyn Meyer e lo show televisivo della Abc Good Morning America. È unironia
crudele che gli Stati Uniti il paese che vanta i difensori più appassionati della
libertà di parola e (fino a qualche tempo fa) la legislazione più complessa per
difenderla abbiano ristretto così tanto lo spazio in cui tale libertà può
esprimersi. In modo strano e complesso, le discussioni e il furore che accompagnano la
difesa della libertà di parola in America mascherano la rapida scomparsa di questa
libertà.
Limpero dei media americano è controllato da una minuscola cricca di persone. Il
presidente della commissione federale per le comunicazioni Michael Powell, figlio del
segretario di stato Colin Powell, ha proposto unulteriore deregolamentazione del
settore che porterà a una concentrazione ancora maggiore.
E così eccola la più grande democrazia del mondo, guidata da un uomo che non è
stato eletto legittimamente. La corte suprema gli ha donato il suo incarico. Che prezzo ha
pagato il popolo americano per questa presidenza illegittima?
Nei tre anni di mandato di George Bush il piccolo leconomia americana ha perso più
di due milioni di posti di lavoro. Spese militari stravaganti, la privatizzazione dei
servizi sociali e le riduzioni fiscali per i più ricchi hanno provocato la crisi
finanziaria del sistema educativo degli Stati Uniti. Secondo unindagine del
consiglio nazionale sulle legislature statali, gli stati americani nel 2002 hanno tagliato
49 miliardi di dollari nei servizi pubblici sanità, assistenza sociale, sussidi e
istruzione. E questanno prevedono di tagliare altri 25,7 miliardi di dollari. Il
totale è di 75 miliardi di dollari. La prima richiesta di bilancio di Bush per finanziare
la guerra in Iraq è stata di 80 miliardi di dollari.
E allora chi paga per la guerra? I poveri dellAmerica. I suoi studenti, i suoi
disoccupati, le sue ragazze madri, i pazienti dei suoi ospedali e della sua assistenza a
domicilio, i suoi insegnanti e gli operatori sanitari. E chi sta veramente combattendo la
guerra? Ancora una volta, i poveri dellAmerica.
I soldati che si arroventano sotto il sole del deserto iracheno non sono i figli dei
ricchi. Solo uno fra tutti i membri della camera dei rappresentanti e del senato ha un
figlio che combatte in Iraq. Lesercito di volontari degli Stati Uniti in
realtà dipende dallarruolamento di bianchi poveri, neri, latinoamericani e asiatici
che cercano un modo per guadagnarsi da vivere e farsi unistruzione. Le statistiche
federali rivelano che gli afroamericani sono il 21 per cento del totale delle forze armate
e il 29 per cento dellesercito americano. Rappresentano solo il 12 per cento della
popolazione. È paradossale la percentuale sproporzionata di afroamericani
nellesercito e nelle prigioni. Forse dovremmo giudicarla in modo diverso e
considerarla un esempio di integrazione particolarmente efficace.
Questanno sarebbe stato il settantaquattresimo compleanno di Martin Luther King, e
il presidente Bush ha denunciato il programma di affirmative action a favore dei neri e
dei latinoamericani nelluniversità del Michigan. Lo ha accusato di essere un
elemento di divisione e lo ha definito ingiusto e
incostituzionale. Il tentativo riuscito di escludere i neri dalle liste di
voto nello stato della Florida in modo che George W. Bush fosse eletto ovviamente non era
né ingiusto né incostituzionale. Immagino che le leggi per lintegrazione a favore
dei ragazzi bianchi di Yale siano sempre giuste e costituzionali.
I vantaggi della guerra
E così sappiamo chi paga per la guerra. Sappiamo chi la combatte. Ma chi ne beneficerà?
Chi punta ai contratti per la ricostruzione, che secondo alcuni calcoli valgono fino a
cento miliardi di dollari? Potrebbero essere i poveri, i disoccupati e i malati
dellAmerica? Potrebbero essere le ragazze madri americane? Oppure le minoranze nere
e latinoamericane? Loperazione Iraqi freedom, ci assicura George W. Bush, serve a
restituire il petrolio dellIraq al popolo iracheno. Cioè a restituire il petrolio
dellIraq al popolo iracheno attraverso le grandi multinazionali. Come Bechtel,
Chevron, Halliburton.
Ancora una volta, cè un legame stretto fra le leadership delle aziende, dei
militari e del governo. La promiscuità, limpollinazione incrociata è scandalosa.
Pensate: lufficio per la politica della difesa è un gruppo di nomina governativa
che fornisce consulenze al Pentagono. Il Center for public integrity di Washington ha
scoperto che nove dei 30 membri di questo ufficio sono legati a società che fra il 2001 e
il 2002 si sono aggiudicate contratti per la difesa del valore di 76 miliardi di dollari.
Uno di loro, Jack Sheehan, un generale dei marines in pensione, è vicepresidente della
Bechtel, il gigante internazionale delle costruzioni. Riley Bechtel, presidente della
società, è membro del consiglio per le esportazioni del presidente. Lex segretario
di stato George Shultz, anche lui membro del consiglio damministrazione del gruppo
Bechtel, è presidente della commissione consultiva del comitato per la liberazione
dellIraq. Quando il New York Times gli ha chiesto se era preoccupato per la
possibilità di un conflitto di interessi, ha detto: Non mi risulta che la Bechtel
ne ricaverebbe vantaggi particolari. Ma se cè del lavoro da fare, la Bechtel è il
tipo di società che potrebbe farlo. Secondo il Center for responsive policy, la
Bechtel ha finanziato la campagna elettorale repubblicana con centinaia di migliaia di
dollari.
Sorveglianza automatizzata
A corollario di questo sotterfugio cè la legislazione antiterroristica americana.
Il Patriot Act approvato nellottobre 2001 è diventato il modello per analoghe leggi
antiterrorismo adottate in tutto il mondo. È stato approvato dalla camera con 337 voti
contro 79. Il New York Times ha scritto che molti deputati non hanno potuto
discutere veramente e persino leggere il progetto di legge.
Il Patriot Act apre unera di sorveglianza automatizzata e sistematica. Cancella le
distinzioni fra discorsi e attività criminali consentendo di giudicare gli atti di
disobbedienza civile come altrettante violazioni della legge. Centinaia di persone vengono
trattenute per un periodo di tempo indefinito in quanto combattenti illegali
(in India sono migliaia. In Israele attualmente sono detenuti cinquemila palestinesi). I
non-cittadini, ovviamente, non hanno nessun diritto. Si possono semplicemente far
sparire, come i cileni ai tempi di un vecchio alleato di Washington, il
generale Pinochet. Più di mille persone, in molti casi musulmani o di origini
mediorientali, sono state arrestate, alcune non hanno neppure avuto diritto a un avvocato.
Oltre a pagare i reali costi economici della guerra, il popolo americano sta pagando per
queste guerre di liberazione con le sue stesse libertà. Per gli americani
comuni, il prezzo della nuova democrazia in altri paesi è la morte della vera
democrazia in patria.
Nel frattempo lIraq viene preparato alla liberazione (ma forse
intendevano liberalizzazione?). Il Wall Street Journal ha scritto che
lamministrazione Bush ha elaborato vasti progetti per ricostruire
leconomia irachena sul modello degli Stati Uniti. La costituzione
dellIraq è in rifacimento. Le sue leggi commerciali, fiscali e le leggi sulla
proprietà intellettuale vengono riscritte per trasformare il paese in uneconomia
capitalistica di stampo americano.
Ora che gli atti di proprietà vengono formalizzati, lIraq è pronto per la nuova
democrazia.
Dunque, come si chiedeva Lenin: che fare? Potremmo anche accettare il fatto che non
esistono forze militari convenzionali in grado di sfidare con successo la macchina da
guerra americana. Gli attentati terroristici non fanno altro che offrire al governo
statunitense lopportunità che sta ansiosamente aspettando per stringere
ulteriormente la sua morsa. A pochi giorni da un attacco potete scommettere che verrebbe
approvato un secondo Patriot Act. Opporsi allaggressione militare statunitense
dicendo che farà aumentare le possibilità di attentati terroristici è del tutto
inutile. Chi abbia letto i documenti sulla necessità di una guerra allIraq scritti
nel 1998 dal gruppo ultraconservatore del Progetto per il nuovo secolo americano può
confermarlo. Il fatto che Washington abbia messo a tacere il rapporto della commissione
del congresso sull11settembre, secondo cui erano state ignorate le segnalazioni dei
servizi segreti su possibili attentati, conferma anche che, malgrado tutto, i terroristi e
il regime di Bush potrebbero benissimo lavorare insieme. Entrambi ritengono che i popoli
siano responsabili per le azioni dei loro governi. Entrambi credono nella dottrina della
colpa collettiva e del castigo collettivo. Con le loro azioni si aiutano a vicenda.
Il governo degli Stati Uniti ha già dimostrato in termini inequivocabili la portata e la
misura della sua capacità di aggressione paranoica. Nella psicologia umana,
laggressione paranoica di solito è un indice di insicurezza nervosa. Si potrebbe
sostenere lo stesso anche per la psicologia delle nazioni. LImpero è paranoico
perché ha un ventre molle.
Il suo territorio può essere difeso da pattuglie di frontiera e armi nucleari, ma la sua
economia è ramificata in tutto il globo; e suoi avamposti economici sono esposti e
vulnerabili.
La nostra strategia deve essere quella di isolare le parti funzionanti dellimpero e
disattivarle una a una.
Unaltra sfida urgente è quella di denunciare i mezzi di informazione delle grandi
multinazionali che sono realmente il bollettino padronale. Dobbiamo creare un universo di
informazione alternativa.
La battaglia per riprendersi la democrazia sarà difficile. Le nostre libertà non ci sono
state concesse da nessun governo. Gliele abbiamo strappate noi. E quando ci rinunciamo, la
battaglia per riconquistarle si chiama rivoluzione. È una battaglia che deve investire
continenti e paesi. Non deve avere confini nazionali ma, se vuole avere successo, deve
cominciare qui, in America. Lunica istituzione più potente del governo statunitense
è la società civile americana. Se vi unirete alla battaglia, non a centinaia di migliaia
ma a milioni, sarete accolti con gioia dal resto del mondo. E vedrete quanto è bello
essere gentili invece che brutali, sicuri invece che spaventati. Trattati con amicizia
invece che isolati. Amati invece che odiati.
Detesto essere in disaccordo con il vostro presidente. Il vostro è sicuramente un grande
paese. Ma voi potreste essere un grande popolo. La storia vi sta offrendo
unoccasione. Coglietela.
Traduzione di Gigi Cavallo da Internazionale n° 491 del 5 giugno 2003 www.internazionale.it
L'Impero e il Vuoto Conversazione con David
Barsamian
Parlami della situazione nella valle del
Narmada. A quanto pare, nonostante gli sforzi e i sacrifici eroici dell'NBA e lo strenuo
impegno dei suoi membri e sostenitori; le dighe vanno avanti. È effettivamente questo che
sta succedendo?
Per il momento la costruzione della diga di Maheshwar è stata sospesa, ma i lavori
continuano a quella del Sardar Sarovar. In quest'ultimo caso il movimento contro le dighe
si è trovato di fronte a un muro, nel vero senso della parola. Viene da domandarsi: se la
lotta non violenta non ottiene alcun risultato, a quali mezzi bisogna ricorrere?
Se non si rispetta un dissenso ragionato e non violento, allora vuol dire che si rispetta
la violenza. Si rispetta il terrorismo. Perché non basta infilare questo sacchetto di
plastica sul mondo e intimargli di non respirare. Da
un capo all'altro dell'India rivoltosi e militanti si sono impadroniti di grandi aree di
territorio e impediscono al governo di accedervi. Non sta accadendo solo in Kashmir, ma
ovunque. In Andhra Pradesh, in certe zone del Bihar, nel Madhya Pradesh e in quasi tutto
il Nord-est, che non si considera parte della nazione.
Secondo te c'è la possibilità che l'NBA allarghi il proprio campo d'azione e si
trasformi in un movimento di resistenza nazionale? Potrebbe diventare un modello cui
ispirarsi per la gente dell'India?
Gli abitanti delle città sono convinti che il movimento abbia perduto. In un certo senso
hanno ragione, perché la costruzione della diga del Sardar Sarovar non si è fermata. Ma
basta recarsi nella valle per vedere le grandi vittorie dell'NBA: vittorie culturali, che
restituiscono potere alla gente. Adesso chi vive laggiù sa di avere dei
diritti. Nella valle del Narmada la polizia non si può più permettere di trattare gli
adivasi, e in particolare le loro
donne, come fa altrove. Queste sono grandi vittorie, vittorie importanti. Il settore
dell'NBA impegnato a lottare contro la diga di Maheshwar è composto dagli attivisti più
giovani della valle. I loro interventi vanno ben al di là dei confini della vallata, e
mirano a combattere la privatizzazione dell'energia nell'intero stato del Madhya Pradesh.
Costituiscono la testa di ponte del movimento antiprivatizzazione.
A tuo parere c'è qualche speranza di arrivare a una risoluzione del conflitto tra India e
Pakistan per il controllo del Kasbmir? Il primo ministro indiano ha affermato: « Il
Kasbmir è nostro. Quelli» - presumibilmente i pachistani o i kasbmiri - « non l'avranno
mai. La decisione è presa »,16 I kasbmiri sono morti a decine di migliaia. La regione è
governata da un regime militare. Le garanzie costituzionali sono sospese. Tu conosci
meglio di me i crimini contro i diritti umani perpetrati laggiù.
Il Kashmir è l'asso nella manica che tanto il governo dell'India quanto quello del
Pakistan tirano fuori nei momenti di crisi. Nessuno dei due paesi vuole risolvere il
conflitto. Per i politici il Kashmir non è un problema, ma una soluzione. Non bisogna
commettere l'errore di credere che India e Pakistan vadano in cerca di un accordo senza
riuscire a trovarlo. Nemmeno ci provano, perché altrimenti non se ne verrebbero fuori con
affermazioni inverosimili come la frase che mi hai appena citato, una dichiarazione
davvero assurda.
Dopo gli esperimenti nucleari condotti da India e Pakistan, la questione del Kashmir ha
acquisíto una certa risonanza internazionale. Potrebbe essere un bene, sempre che gli
Stati Uniti non intervengano in veste di superpotenza unilaterale e si assumano il compito
di imporre una « soluzione ». Prima dei test non si sarebbe parlato di violazione dei
diritti umani in Kashmir. Allora esistevano solo guerriglieri uccisi nel corso di scontri
a fuoco con l'esercito, terroristi pachistani e così via. Almeno questo è cambiato.
Adesso, in seguito alle elezioni, con la sconfitta di Farooq Abdullah e la nomina di Mufti
Muhammad Sayeed, mi sembra che il rifiuto di riconoscere quanto sta davvero accadendo in
Kashmir sia divenuto un po' meno ferreo." Sento la gente chiedere notizie della
situazione. Sento dire più spesso che forse bisognerebbe ascoltare l'opinione dei
kashmiri, anziché considerare il problema come una questione di pertinenza dell'India e
del Pakistan.
Il primo passo verso una reale soluzione sarebbe aprire le frontiere tra India e Pakistan,
permettere agli abitanti di andare e venire. Se si considera il mondo un villaggio
globale, il dissidio tra India e Pakístan è come una faida tra le persone più indigenti
del quartiere più povero: una disputa tra dalit e adivasi. E nel frattempo gli zamindar
costruiscono oleodotti e vendono armi a entrambe le fazioni.
Tu vieni dall'India del Sud-ovest, dal Kerala, e ora vivi nel Nord. Lingua, musica, cibo:
si respira un'atmosfera completamente diversa nelle due zone del paese. Si direbbe anche
che le tensioni religiose siano assai meno acute nel Sud rispetto al Nord. O mi sbaglio?
Oggi la più alta concentrazione di cellule dell'RSS si trova proprio in Kerala. Ma fino a
questo momento, quello che hai affermato è assolutamente vero. Il BJP non è riuscito a
conquistarsi nessuno spazio elettorale sulla scena politica, anche se si sta dando molto
da fare. Quest'anno, quando sono andata in Kerala per presentarmi in tribunale, ho
assistito per la prima volta a una marcia dell'RSS, un lungo corteo di uomini in pantaloni
corti color cachi. Sono rimasta sbigottita nel vederli avanzare nell'oscurità. Una
visione raggelante.
Parlami della situazione della stampa.
La differenza tra i giornali indiani e quelli pubblicati in America, in Inghilterra o in
Europa consiste nel numero di articoli dedicati alla politica e agli uomini politici.
Quasi troppi, in India. I politici ci tengono occupati con i loro intrallazzi, e alla fine
qualsiasi evento, si tratti di un massacro di casta in Bihar, di un episodio di violenza
religiosa in Gujarat o del problema degli sfollati delle dighe, si trasforma in un
chiassoso dibattito per decidere se il capo di quel governo debba dimettersi o no. La
questione in se stessa non viene mai approfondita. Gli assassini restano impuniti.
Basta un minimo di preparazione su un certo argomento, basta conoscere un po' i dati e le
cifre per rendersi conto di quanto siano sempre scandalosamente inesatte le notizie
riportate sui giornali. È davvero triste la mancanza di disciplina, nel senso di
precisione, di rigore. Il fatto incoraggiante è la presenza di tutta una tradizione di
piccole riviste, quotidiani locali, opuscoli: una rete anarchica di pubblicazioni
indipendenti che rende difficile tenere sotto controllo la stampa. Le grandi testate
nazionali in inglese non raggiungono le masse dell'India. Hanno un'importanza molto minore
di quella che si attribuiscono. Ma se ci fosse una guerra contro il Pakistan o un altro
nemico esterno, i giornali si unirebbero tutti allo stesso coro di scíovinismo e
nazionalismo, esattamente come accade negli Stati Uniti. Non c'è alcuna differenza.
Il leader del BJP, L.K. Advani, è uno dei membri più influenti del governo. Si è
dichiarato in disaccordo con Amartya Sen, il vincitore del premio Nobel per l'economia,
sull'interpretazione dell'economia indiana.
Secondo Advani per l'India è molto più importante comprare armi che investire
nell'istruzione.
I settori chiave per promuovere lo sviluppo non sono l'istruzione e la sanità, ma la
difesa.
Advani fa parte dello zoccolo duro del governo centrale, anche se oggi sono stata felice
di leggere sulle prime pagine dei giornali che il Vishwa Hindu Parishad l'ha accusato di
essere un falso laico. « Falso laico » è un'espressione coniata da Advani per liquidare
chiunque non militi tra i fascisti che vogliono lo scontro tra le comunità, e trovo
stupendo il fatto che il suo neologismo si rítorca contro di lui.
I componenti del Sangh Parivar - la « famiglia » di organizzazioni culturali e di
partiti induisti di destra, il gruppo dell'Hindutva - battibeccano l'uno con l'altro in
pubblico per far credere che sono ai ferri corti. E una volta concluse le scaramucce,
Vajpayee fa contenti i moderati, Advani tiene buoni gli irriducibili, il VHP e il Bajrang
Dal danno il contentino alle frange dei fanatici. Tutti li credono molto diversi tra loro,
ma le divergenze
sono ben lungi dall'essere serie. È come un circo itinerante con la testa di un'idra. È
come un film hindí. Non manca niente: sesso, violenza, pathos, umorismo, commedia,
tragedia. Un buon investimento per il prezzo del biglietto. Si torna a casa soddisfatti.
« L'India è diventata la governante elettronica del mondo. » (N. d. T.)
«India Today» è un settimanale che può contare su una diffusione piuttosto ampia.
Ultimamente ha pubblicato una cover story intitolata India Is Now the Electronic
Housekeeper of the World.*20 La General Electric, l'American Express, la Citibank, la
AT&T e altre grandi aziende americane stanno spostando in India le cosiddette «
attività di supporto ». Questo fenomeno viene definito il settore dell'economia indiana
a più rapida crescita, e la sua forza lavoro è costituita per la maggior parte da
giovani donne. Molte di loro lavorano nei call center e rispondono alle telefonate dei
clienti americani. Potrebbe esserci una di loro all'altro capo del filo quando chiedo
informazioni sul saldo della mia carta di credito o quando la Avis mi propone una vacanza
«tutto compreso» a San Diego. Queste ragazze prendono in prestito nomi e modi di fare
americani, dicono spiritosaggini con l'accento degli Stati Uniti. Secondo i fautori della
globalizzazione economica è un'ottima cosa. In condizioni normali quelle giovani donne
non avrebbero trovato lavoro, mentre adesso hanno l'opportunità di guadagnarsi un po' di
soldi. Trovi qualcosa di sbagliato in questo ragionamento?
L'industria dei call center si fonda sulla menzogna e sul razzismo. Chi telefona viene
indotto a credere che sta parlando con un'americana di pelle bianca seduta da qualche
parte negli Stati Uniti. Le impiegate si sentono dire che non sono abbastanza qualificate
per il mercato, che i clienti americani protesterebbero se scoprissero di essere assistiti
da un'indiana. Perciò le ragazze indiane sono costrette ad assumere una falsa identità,
a fingersi statunitensi, a imparare l'accento « giusto ». Tutto ciò può portare alla
psicosi.
Un modo di considerare la situazione è quello di chi afferma: « Almeno hanno un impiego
». Si potrebbe dire la stessa cosa per la prostituzione, il lavoro minoríle o qualsiasi
genere di attività: « Almeno ricevono una paga per quello che fanno ». Questo significa
presupporre che un impiego umiliante sia la sola alternativa alla disoccupazione. Ma si
tratta davvero dell'unica scelta? Ecco la domanda che ci dobbiamo porre.
Si parla tanto di integrazione economica a livello mondiale, ma bisogna considerare almeno
un argomento a sfavore di tale integrazione. Cos'è infatti la globalizzazione
neoliberista? Non è un ínterscambio reciproco tra tutti i paesi del mondo. Non è la
connessione tra l'India e la Thailandia, l'India e la Corea, l'India e la Turchia. È
l'America a costituire il perno di questo immenso sistema di comunicazione economico e
culturale. Ecco il punto cruciale. Dobbiamo essere tutti collegati attraverso l'America e
in una certa misura attraverso l'Europa.
Quando il potere al centro dell'economia globale stabilisce che devi diventare X o Y, se
fai parte del sistema sei costretto ad adeguarti. Non hai più la possibilità di agire in
modo indipendente, di mantenerti non allineato in un modo o nell'altro, sul piano
politico, culturale o economico. Se l'America entra in crisi, trascina con sé tutti gli
altri. Se un domani gli Stati Uniti dovessero decidere di riprendersi i call center che
hanno aperto in India, l'intera attività che ne deriva, con il suo giro d'affari da
miliardi di dollari, crollerebbe da un giorno all'altro. È essenziale che ciascun paese
sviluppi un certo grado di autosufficienza economica. Anche solo dal punto di vista
teorico, non è bene rimanere sempre abbracciati o tenere in continuazione le mani l'uno
intorno alla gola dell'altro, in tutti i sensi possibili.
Oggi si parla molto di terrorismo. In effetti questo argomento è diventato quasi
un'ossessione per l 'media americani. Eppure la definizione che ne danno è alquanto
restrittiva.
Sì. Ignora completamente il terrorismo economico scatenato dal neoliberismo, una forma di
terrorismo che distrugge la vita a milioni di persone, privandole del cibo, dell'acqua,
dell'elettricità. Negando loro la possibilità di curarsi. La possibilità di andare a
scuola. Il terrorismo segue la stessa logica delle teorie sul libero mercato. Il
terrorismo è la privatízzazione della guerra. E i terroristi non sono altro che
sostenitori del liberismo in ambito bellico: persone convinte che le guerre non debbano
rimanere appannaggio esclusivo dello stato, ma possano essere intraprese anche dai privati
cittadini.
Se si confronta la logica degli atti terroristici con quella delle guerre di ritorsione
contro il terrorismo si scopre che non c'è alcuna differenza. Sia i terroristi sia i
governi fanno pagare ai comuni cittadini le conseguenze delle azioni compiute dai
rispettivi governanti. Osama bin Laden fa scontare alla gente comune la condotta politica
degli Stati Uniti, che questo accada in Arabia Saudita, in Palestina o in Afghanistan. Il
governo degli Stati Uniti aggredisce gli iracheni per punire il comportamento di Saddam
Hussein. Gli abitanti dell'Afghanistan pagano per i crimini dei talebani. È sempre la
stessa logica.
Osama bin Laden e George Bush sono entrambi terroristi. Entrambi operano attraverso
organizzazioni internazionalí che diffondono il terrore e distruggono la vita delle
persone. Bush si serve del Pentagono, del WTO, del Fondo monetario internazionale e della
Banca mondiale. Bin Laden ricorre ad Al Qaeda. L'unica differenza è che Bin Laden non
l'ha eletto nessuno. Bush è stato scelto tramite una procedura elettorale (per modo di
dire), e perciò i cittadini americani sono più responsabili delle sue azioni di quanto
non lo siano gli iracheni della condotta di Saddam Hussein o gli afghani di quella dei
talebani. Eppure iracheni e afghani sono morti a centinaia di migliaia, uccisi dalle
sanzioni economiche o dai missili Cruise, e c'è chi ci vuole far credere che quegli
eccidi siano la conseguenza di « guerre combattute in nome della giustizia ». Ammesso
che possano esistere conflitti di questo genere, chi decide da che parte sta la giustizia?
Sarà il dio di quale popolo a stabilirlo?
Negli Stati Uniti vive solo il tre o il quattro per cento della popolazione mondiale,
eppure questa minoranza consuma circa un terzo delle risorse naturali della terra: per
mantenere una simile disparità, un tale squilibrio, bisogna ricor
rere alla violenza.
La risposta degli Stati Uniti alla spirale di disuguaglianza che affligge il mondo non è
la ricerca di una maggiore equità, il tentativo di adottare un sistema più egualitario,
ma l'enunciazione della dottrina del « dominio a tutto campo ». Il governo americano si
ripropone di sedare le rivolte dallo spazio." Siamo di fronte a uno stato terrorista,
impegnato nella messa a punto di un piano che legittima il terrorismo sponsorizzato dallo
stato.
Ti sembra che in Occidente continui a persistere l'immagine romantica dell'India, vista
come un paese di suonato
ri di sitar, seguaci dello yoga e personaggi immersi in meditazione e persi in un universo
siderale? Sono ancora
molto vivi e diffusi questi luoghi comuni?
Tutti i luoghi comuni si basano su un granello di verità, ma in questi ultimi tempi sono
nati nuovi cliché. Penso che i pochi anni in cui il BJP è rimasto al potere abbiano
aggiunto più di un risvolto negativo all'ímmagine internazionale dell'India. Quello che
è successo - il pogrom contro la comunità musulmana - fa ormai parte del quadro generale
del paese, un paese complesso, difficile da capire, pieno di anacronismi e di
contraddizioni e così
via. Il popolo indiano è al centro di buona parte del dibattito intellettuale sulla
direzione che il mondo si avvia a prendere. Credo che l'anarchia della società civile in
India costituisca un esempio importante per il resto del
mondo odierno, anche se il paese si trova con le spalle al muro e deve subire le angherie
e le prepotenze del WTO e del Fondo monetario internazionale, oltre a quelle dei nostri
politici corrotti.
Un mese fa sono andata in Italia per assistere a una rassegna cinematografica: sono stati
proiettati documentari sul Narmada e su altre questioni concernenti i diritti umani. Era
presente la stampa italiana al completo. I giornalisti si aspettavano che parlassi delle
condizioni spaventose del mio paese. L'ho fatto. Ma poi ho aggiunto: «Comunque, non siamo
ancora così malridotti da avere un primo ministro che possiede sei canali televisivi, tre
quotidiani, tutte le case editrici, varie librerie e grandi magazzini. E se mi mettono in
prigione, per lo meno ne sono ben consapevole. So che il mio corpo viene fisicamente
rinchiuso in una cella. Non sono stata indottrinata al punto da illudermi di essere libera
quando non lo sono ».
In India stiamo lottando per mantenere il nostro lato selvaggio, gli ambiti non
addomesticati dalla civiltà che ancora ci rimangono. In Occidente tutto ciò è sparito
da un pezzo. Chiunque passi per strada non è altro che un codice a barre ambulante. Si
può risalire alla provenienza dei vestiti, al loro prezzo, allo stilista delle calzature,
ai singoli negozi dove è stato acquistato ciascun capo di abbigliamento. Ogni cosa è
civilizzata, etichettata, valutata, numerata e sistemata al suo posto. In India invece il
lato selvaggio continua a esistere: le profondità incontaminate della mente non
indottrinata, piena di segreti non rivelati e di fantasie senza freni. E una realtà
minacciata, ma lottiamo per conservarla. Non abbiamo bisogno di reinventarla. C'è già.
È parte di noi. Non ci sono cartelli che indicano la strada da seguire. C'è uno spazio
che i cartografi non hanno ancora rilevato, che non è ancora stato conquistato,
etichettato e marchiato. Penso sia importante. Ed è importante che in India ci rendiamo
conto di averlo, e lo apprezziamo nella giusta misura.
Ascoltandoti parlare e vedendo la tua espressione, che mi piacerebbe poter mostrare anche
ai lettori; è facile capire quanto ci tieni a questo paese. Sei legata all'India da un
affetto profondo.
Non sono una patriota. Non sono il tipo che se ne va in giro a dire « Amo l'India »
pensando a una bandiera al vento. L'India è il posto dove vivo. Ci sono abituata. Quando
la gente parla di riappropriarsi dei beni comuni, io continuo a dire: « No, dobbiamo
riappropriarci del nostro lato selvaggio ». Riappropriarci non è la parola giusta:
dobbiamo appropriarcene, tenercelo stretto. Per questo non riesco a immaginare di poter
vivere lontano dall'India. Sono una scrittrice, ed è qui che vado in cerca di avventure.
Ogni giorno c'è qualcosa che mi coglie di sorpresa.
Non so se riesco a spiegarmi. Qui esiste uno spazio per l'imponderabile, cioè per la vita
come dovrebbe essere. Non che l'imponderabile sia sempre meraviglioso: la maggior parte
delle volte non lo è affatto. Nella maggior parte dei casi è violento e terribile.
Persino nell'ambito del mio lavoro, della mia vita personale, vengo aggredita con
brutalità, qui. Mi ingiuriano. Mi insultano. Ma questo fa parte della vita. Gli argomenti
sui quali scrivo suscitano queste grandi passioni. Ecco perché dico sempre: « Cos'è il
dissenso senza qualche bella parolaccia? »zz Bisogna saper reagire a queste cose. Quando
ci prendono a male parole dobbiamo limitarci a sorridere, consapevoli di aver toccato un
punto sensibile.
Il fatto è che per salvare la democrazia è necessario
ribellarsi, porre domande, far sentire la propria voce. Solo così si possono conservare
le proprie libertà. Anche quando si è sconfitti. Anche se 1'NBA perderà la sua
battaglia contro la diga del Sardar Sarovar, avrà mostrato cosa significa trasferire
forzatamente la popolazione, avrà messo in risalto le conseguenze della costruzione di
una grande diga. Avrà fatto domande. Non se ne sarà andato in silenzio. È questo
l'importante. È fondamentale non giudicare il movimento soltanto in termini di vittorie e
sconfitte.
Se lo si considera da un altro punto di vista, ci si rende conto di quanti risultati siamo
riusciti a ottenere. Abbíamo messo talmente sotto pressione i nostri avversari da
costringerli a uscire allo scoperto. A mostrarsi in tutta la loro nuda brutalità. A
togliersi maschere e travestimenti, e a rivelare la natura incivile, disumana e violenta
che li caratterizza. Questa è una vittoria. Non nei termini di chi si impone e di chi
viene sconfitto, perché io starò sempre dalla parte dei perdenti, per partito preso.
Sono fatta così. Non posso comportarmi in modo diverso, perché mi trovo al di qua della
linea di demarcazione tra vincitori e vinti. Non starò mai dall'altra parte.
Sono molti i giornalisti che ti hanno intervistata, inviati della BBC, della Deutsche
Welle. Cosa hai trovato di interessante nei tuoi colloqui con loro? Devi esserti sentita
porre spesso le stesse domande, come per esempio: « Quando scriverà un altro romanzo?
Sono il tipo di persona che si sente stimolata intellettualmente dal contatto con il
pubblico. Mi succede durante le interviste o le conferenze. Mi piace parlare con la gente
che non conosco. Mi piace parlare con i miei lettori. È un po' come pensare ad alta voce.
E non sono solo i giornalisti a fare sempre le stesse domande. Nella vita, a prescindere
dal fatto di essere un personaggio famoso o uno sconosciuto, sono molte le situazioni che
si ripetono, e non è poi così terribile. Se in ogni nostro interlocutore vediamo un
altro essere umano, non possiamo annoiarci durante la conversazione. È solo quando non
siamo interessati all'altro e ci concentriamo esclusivamente su noi stessi che ci invade
la noia. In quel caso ci mettiamo a parlare nello stile di chi rilascia un comunicato
stampa, e questo è davvero orribile.
Non sono necessariamente una di quelle scrittrici che si rintanano da qualche parte per
riemergere soltanto in un secondo tempo. L'ho fatto mentre scrivevo il mio romanzo. Quando
mi dedico alla narrativa non parlo. Si tratta di un'attività molto privata. Ma in ambito
politico, penso ad alta voce. Mi piace confrontare il mio modo di ragionare con quello di
un'altra persona, e mi piace riflettere insieme agli altri. Non solo con i giornalisti o
gli intervistatorí con i quali lavoro. È un processo stimolante.
Un grande personaggio della storia americana, l'abolizionista afroamericano Frederick
Douglass, disse una volta che « il potere non concede nulla senza una precisa richíesta.
Non l'ha mai fatto e non lo farà mai ».
In India si sente dire molto spesso (e non solo dai politici, anche dalla gente comune):
« Oh, guarda, qui da noi si sta molto meglio che in Afghanistan, o in Nepal, o in
Pakistan ». Stando a questi discorsi, il motivo sembra essere che il nostro governo è
meno violento degli altri. Ma io credo dipenda dal fatto che gli indiani sono più
anarchici: le cose stanno così perché siamo un popolo ribelle, un elettorato indocile.
Per questo non è facile immaginare l'India sotto un regime militare. È impensabile per
la società indiana mostrare la stessa deferenza dei pachistani nei confronti
dell'esercito. Anche se alcuni movimenti di resistenza, come la protesta nella valle del
Narmada, non hanno successo nel loro scopo ultimo di bloccare una determinata diga o un
certo progetto di « sviluppo », riescono comunque a diffondere uno spirito battagliero
tra gli oppressi: « Non potete farci questo. E se insisterete, ci ribelleremo ».
Un sacco di gente se l'è presa molto con me quando ho criticato la Corte suprema e mi
sono rifiutata di chíe
dere scusa. Ma è necessario affrontare certe questioni pubbliche. Appena si comincia a
cedere terreno, ci si trova su una china pericolosa.
Se oggi metti l'orecchio a terra in questa parte del mondo cosa senti?
Sento parlare di comunalismo. Sento discorsi sull'identítà religiosa, l'identità
etnica, l'identità tribale. Mentre siamo costretti a mandar giù la globalizzazione
economica, la gente viene frazionata in gruppi tribali e religiosi. Il mondo stesso è
sempre più frazionato. Nazionalismo, armamenti nucleari, comunalismo, fascismo, sono
questi i fenomeni emergenti.
Le tensioni tra la maggioranza indù e la nutrita minoranza musulmana sono sempre
esistite. Ma è ebiaro che tu percepisci un incremento di questa ostilità latente.
Ci fu un terribile periodo di spargimenti di sangue, massacri e caos già ai tempi della
Spartizione tra India e Pakistan. Vennero uccise quasi un milione di persone. Il Partito
del Congresso ha sempre tenuto vive le ferite inferte dagli eventi di allora, allo scopo
di imbrigliare questo odio e di usarlo per i suoi giochi elettorali. La democrazia
elettorale così come viene applicata nel nostro paese sembra implicare necessariamente
una serie di divisioni all'interno dell'elettorato. Ma quello che una volta il Congresso
faceva di nascosto, nottetempo, oggi il TP e il suo Sangh Parivar lo fanno in pieno
giorno, alla luce del sole. Lo fanno con orgoglio, sbandierandolo come la propria linea
politica. Adesso che sono arrivati al potere, al governo, sono penetrati in ogni organo
dello stato. Si tratti di riscrivere i libri di scuola o di piazzare i loro uomini nella
burocrazia, nella polizia, nell'esercito. Certo, ai tempi in cui al potere c'era il
Congresso, erano gli uomini di quel partito a occupare le stesse posizioni. Ma almeno non
si trattava di faziosi dichiarati, di aperti sostenitori dello scontro tra comunità. I
politici del Congresso sfruttavano i dissidi sottobanco, furtiva
mente.
Nel passato, gli storici, i politici e i burocrati non avrebbero definito l'India una
nazione indù in termini
così espliciti. Adesso invece nessuno si fa scrupolo di lasciarsi andare a
un'affermazione del genere. L'RSS ha
centinaia di sezioni in tutto il paese. Dispone di fondi, di mezzi e risorse per
indottrinare i giovani. Una volta che
questo veleno è stato inoculato, è assai difficile eliminarlo dall'organismo. Perciò
oggi la situazione è questa: che
il BJP vinca le prossime elezioni o no, il programma del partito è già in corso. L'India
è stata militarizzata, divisa
in fazioni, dotata di armi nucleari. Il Congresso non può farci niente. Non è stato in
grado di opporsi in alcuna
forma, né morale né politica.
Supponiamo che tu decida di scrivere su un certo argomento che ti interessa. Innanzitutto
come fai la tua scelta, e poi come procedi nella ricerca?
Non bisognerebbe mai farmi queste domande sul metodo, perché non ho un metodo! Non è che
io scelga a sangue freddo l'uno o l'altro argomento a fini accademici o di carriera. Nel
caso degli esperimenti nucleari, rni trovavo negli Stati Uniti quando vennero messi in
atto, La mia prima reazione fu di rabbia, di fronte all'ipocrisia americana, all'idea che
« i neri non sono in grado di gestire la bomba». Poi tornai qui, e trovai un feroce
sciovinismo. Perciò scrissi Un mondo senza immaginazione. Se si affronta il problema
delle armi atomiche dal punto di vista della sicurezza nazionale, qualsiasi paese
può giustificare la necessità di possederle. Io penso sia fondamentale evitare di
partecipare al dibattito nei loro-:
termini, nei termini che vorrebbero stabilire l'esercito, i politici e i burocrati.
Perché ogni nazione può giustificare pragmaticamente il bisogno di armi nucleari
appellandosi ai principi della Realpolitik.
Quella del fiume Narmada era una questione che in realtà volevo approfondire già da
anni. Nel febbraio del 19991a Corte suprema revocò la sospensione dei lavori alla diga
del Sardar Sarovar. A molte persone come me, che non partecipavano al movimento ma
credevano che questa battaglia sarebbe stata vinta, fu improvvisamente chiaro che si
trattava di un colpo fatale. Cominciai a documentarmi. Andai nella valle, incontrai gli
attivisti, é mi convinsi che il movimento aveva bisogno di raccontare la propria storia
in una forma accessibile ai lettori comuni. Ci volevano le capacità di un romanziere. È
un argomento complesso, e il più delle volte il sistema conta sul fatto che la gente non
capisce. Decisi di scrivere una storia in grado di sventare questa tattica, di
controbattere i loro assunti, di rispondere ai fatti e alle cifre su cui si basavano, di
rimetterli in discussione in un discorso comprensibile per la gente comune.
Una cosa tira l'altra. Leggendo tutti i miei saggi politici, si vede che ciascuno si
aggancia al successivo. Visitando la valle del Narmada ci si rende conto che la lotta
contro la diga del Sardar Sarovar, una diga di stato, è diversa da quella contro la diga
di Maheshwar, frutto del primo progetto privato di questo genere in India. Allora viene
spontaneo interrogarsi sulla privatizzazione delle infrastrutture, e questo porta ad
affrontare il problema e le conseguenze della privatizzazione nel suo complesso. E così
sono arrivata a scrivere La politica dell'enelZa.
E interessante osservare il modo in cui il sistema affronta il dissenso. Ti mostra il vero
volto dell'establishment, perché ti permette di vedere chi esce allo scoperto per
accettare la sfida. E molto spesso a farsi avanti è
un personaggio inaspettato. Non proviene dalle file dei nostri avversari dichiarati,
quelli che occupano posizioni diametralmente opposte alle nostre. Fa invece parte di un
gruppo di codardi che si autodefiniscono critici « equilibrati ». Persone incapaci di
affrontare i veri problemi, perché sono antidemocratiche per istinto. Non c'è niente che
condannino più appassionatamente della passione. Ma io insisto sul diritto
all'emotività, ai sentimenti, alla passionalità. Se i trasferimenti e gli espropri
forzati, i massacri e le ingiustizie su larga scala come quelle che si verificano in India
non suscitano la nostra rabbia, cos'altro potrà mai suscitarla?
Il tentativo di liquidare coloro che affrontano le grandi questioni pubbliche tacciandoli
di eccessiva emotività è solo una tattica per evitare di prendere posizione nel
dibattito. Perché dovremmo aver paura di arrabbiarci? Perché dovremmo temere i nostri
sentimenti, se sono basati sui fatti? Lo schema che oppone la ragionevolezza alla passione
è assurdo, perché spesso un atteggiamento passionale è il risultato di un processo
razíonale. La passione non è sempre irragionevole. L'ira
scaturisce dalla ragione. Non si tratta di due ambiti, completamente separati. Penso sia
fondamentale battersi per questo. In difesa del diritto ai sentimenti, alle emozioni, alla
passione. Mi accusano spesso del crimine di provare sentimenti. Ma io non mi spaccio per
un'accademica « neutrale ». Sono una scrittrice. Ho il mio punto di vista. Provo
sentimenti per i temi sui quali scrivo, e intendo esprimerli.
Questo mi ricorda un famoso distico in urdu di Mobam-; med Iqbal: «L'amore balzò senza
esitare nel fuoco 4'
Nimrod./ E intanto la ragione se ne stava sul tetto a cot,
templare la scena ».24 Esprime la stessa giustapposizioti tra intelletto e sentimenti.
Io penso che sia vero il contrario. Penso che in me la passione nasca dall'intelletto.
Gran parte del mio modo di amare deriva dal mio modo di pensare. Il pensiero produce
grandi amori. Non accetto questo confine artificioso tra la mente e il cuore. Non sono due
realtà così nettamente distinte come vorrebbero farci credere la letteratura e la
poesia. È la loro fusione a produrre artisti e scrittori. Io credo nel diritto di
arrendersi alla bellezza dei sentimenti, e credo anche nel rigore dell'intelletto. Non
credo nella passione irrazionale. Ma sono convinta che non esista nulla di meraviglioso
quanto un'ardente passione intellettuale.
Ti è mai capitato di avere un blocco creativo quando scriva; di trovare davvero difficile
esprimerti? Hai messo a punto qualche tecnica per superare l'impasse? Fai esercizio
fisico, esci per una passeggiata intorno all'isolato o mangi un'arancia?
No, non mi è mai successo. Non ancora. Non considero la scrittura una professione, un
mestiere. Se non riesco a scrivere, non scrivo. Faccio altre cose. È importante rendersi
conto del fatto che non siamo insostituibili. Non è così significativo quello che
facciamo o quello che non facciamo. Se siamo in grado di dedicarci a una certa attività,
benissimo, altrimenti non c'è problema.
Spesso mi dico: « Non farlo. Non scrivere ». Perché non voglio entrare in un'arena dove
so che mi consumerò l'anima. Non voglio attaccare Narendra Modi 'o parlare degli scontri
nel Gujarat. Ma è molto difficile starsene zitti. Ho un martello nella testa che batte e
batte. I miei saggi mi vengono strappati con la forza. Sono scritti nei momenti in cui non
voglio scrivere. Perciò quando la gente mi dice: « Sei molto coraggiosa » o «Non hai
proprio paura di niente » mi sento un po' in imbarazzo. Perché non si tratta di coraggio
né di dominare la paura. È una cosa che devo fare. Spesso vorrei guardare da un'altra
parte, vorrei evitare di capire. Ma non ci riesco, perché la storia grida dentro di me e
chiede di essere raccontata e in un certo senso io sono solo l'intermediaria che si siede
a tavolino e le dà forma.
Cosa consiglieresti alla gente per aiutarla a uscire dagli schemi, a pensare in termini
non convenzionali?
Non sono affatto brava a dare consigli!
Tu come fai a evitare gli stereotipi? Come hai sviluppato questa capacità, perché si
tratta di una dote acquisita. Non è necessariamente innata, come l'olfatto.
Me lo domando anch'io. Non sono cresciuta in una famiglia tradizionale e ho trascorso
l'infanzia lontano dalle città. Da bambina andavo in giro dappertutto e passavo ore e ore
a pescare da sola nel fiume. Il più grande dono della mia infanzia è stata la mancanza
di indottrinamenti. Perciò non mi si può definire una persona notevole perché ho
imparato a pensare al di fuori degli schemi. Il fatto è che non mi è mai stato imposto
uno schema. Non ho frequentato una scuola vera e propria
fino all'età di dieci anni. Sono cresciuta in un'incantevo le assenza di schemi.
Da un certo punto di vista il nostro ambiente era molto cosmopolita, e da un altro
profondamente provinciale e rurale. Una bizzarra combinazione di fattori.
Ho sempre avuto problemi di fronte alle domande più normali, tipo: « Di dove sei, come
ti chiami, qual è la tua lingua madre, cosa fa tuo padre? » Non sapevo rispondere
perché non conoscevo mio padre, e non mi era facile spiegare le situazioni complicate
della mia infanzia.
Ma se qualcuno mi poneva domande del tutto inconsuete riuscivo a trovare una risposta,
perché potevo pensarci. Erano le realtà normali a costituire un argomento difficile per
me.
Col passare degli anni hai avuto l'opportunità di conoscere tuo padre?
L'ho incontrato. Sì. Almeno so che faccia ha.
Sono stato all'università di Delhi qualche giorno fa, e uno studente mi ha domandato:
«Lei che farebbe con un settore pubblico inefficiente, in perdita, appesantito da una
burocrazia elefantiaca? » Cosa c'è di sbagliato nella privatizzazione in un caso del
genere?
Soprattutto in India, ma nel Terzo Mondo in generale, veniamo indotti a credere che ci sia
un'unica alternativa: la scelta tra la corruzione del settore pubblico e l'efficienza
delle imprese private. Se le opzioni disponibili fossero davvero queste, chiunque direbbe:
«Meglio un'azienda privata efficiente». In realtà, molte delle aziende pubbliche in via
di privatizzazione erano in attivo. Per esempio la Bharat Heavy Electricals, che fabbrica
turbine e apparecchiature elettriche pesanti, era uno dei principali produttori a livello
mondiale. Appena il governo decise di privatizzarla, una decina d'anni fa, lasciò andare
tutto in malora, e poi commentò: « Guardate, non è in condizioni terribili? » La
contrapposizione tra un settore privato sano ed efficiente e delle imprese governative
corrotte e fallimentari è solo propaganda. Certo, è vero che il settore dell'energia
gestito dallo stato si è dimostrato corrotto e inefficiente all'inverosimile. Gli sprechi
nella diffusione e nella distribuzione erano spaventosi. Ma cos'ha fatto il governo per
rimediare? Ha firmato il contratto con la Enron. E qual è la situazione di oggi? Il
governo paga la Enron per non produrre energia elettrica perché è troppo cara.
Perciò la Enron, nonostante negli Stati Uniti sia screditata e in bancarotta, continua a
risucchiare denaro dall'economia indiana?
È in corso un'importante vertenza giudiziaria, però è cosi, è questo lo stato delle
cose.
Bill Gates, il proprietario della Microsoft, uno dei plenipotenziari del sistema economico
mondiale, è venuto a Delhi la settimana scorsa per fare acquisti. Ha incontrato i più
autorevoli funzionari del governo egli amministratori delegati più influenti. Tu hai
visto in televisione un programma molto interessante per capire come Gates viene
considerato dagli indiani.
Stavo guardando un canale di musica, stamattina: non MTV, un altro canale musicale. Sullo
schermo è comparsa la scritta: « Cosa vuole veramente Bill Gates? Poi sono state mandate
in onda le interviste a una ventina di giovani studenti. Hanno tutti detto che Gates è
venuto in India per aprire il mercato a Windows e sta cercando di farsi pubblicità
offrendo donazioni per i malati di AIDS. Nessuno si faceva illusioni sul vero scopo della
visita.
Trovi incoraggiante il fatto che la gente possieda questa consapevolezza?
Tre o quattro mesi fa ho partecipato a un seminario sul settore energetico, e ho pensato
tra me: « Cosa ci faccio qui? Come posso starmene qui seduta a un seminario sulla
privatizzazione dell'energia? » Se quattro anni fa mi avessero detto che avrei preso
parte a dei convegni sull'energía elettrica mi sarei messa a ridere. Ma è stato
confortante vedere con quale intelligenza viene portato avanti il lavoro qui in India.
C'è un'ottima capacità di analisi e di critica. Le prime critiche al Power Purchase
Agreement, l'accordo per l'acquisto di energia, con la Enron vennero mosse da una piccola
ONG di Pune, la Prayas. Tutto ciò che i suoi esperti affermarono allora si è
puntualmente verificato. Questa è una grande qualità dell'Indía. La sua notevolissima
capacità di analisi intellettuale, una dote che apprezzo e ammiro molto.
In quale misura pensi che gli inglesi si siano aspirati al principio del divide et impera
nella loro strategia per mantenere il controllo sull'India, un paese così vasto? L'impero
britannico amministrava il territorio indiano con un numero di militari e burocrati assai
ridotto.
Gli inglesi hanno senz'altro fatto ricorso a tattiche basate sul principio del divide et
impera, ma la sopravvivenza dell'impero britannico era dovuta soprattutto alla sua
alleanza con le classi dominanti del paese. È la stessa tecnica adottata oggi dall'impero
per affermare il suo regime neoliberista.
Hai letto gli scritti di Martin Luther King? Il suo pensiero fu influenzato anche da
Gandhi. Negli Stati Uniti è famoso soprattutto per al discorso lo ho un sogno,
pronunciato durante la Marcia di Washington del 1963, ma solo pochi americani conoscono
quello tenuto nella Riverside Church di New York nel 1967. Martin Luther King diventò
semprepiù radicale con il passare degli anni; a New York disse: «La vera compassione non
consiste solo nel gettare una monetina a un mendicante. Ci porta a capire che se un
sistema produce mendicanti deve essere cambiato.
E questo il terribile dilemma di chi vive in India, non ti pare? In ogni momento di ogni
giorno ci troviamo di fronte alle brutali disuguaglianze della società di cui facciamo
parte. Non possiamo dimenticarle, neppure per un istante. Godersi i piaceri quotidiani
della vita - gli abiti che ci mettiamo addosso, le attività divertenti cui ci dedichiamo,
la musica, il fatto di avere un tetto sulla testa, il pasto della sera - comporta la
consapevolezza che altri non godono degli stessi privilegi.
Ci hanno insegnato che la pace è il contrario della
guerra. Ma è davvero così? In India la pace è una battaglia quotidiana per il cibo, un
riparo e un po' di dignità.
Martin Luther King, nella Lettera dal carcere di Birmingham, ha scritto che la pace non
comporta soltanto « l'assenza di tensioni», ma « la presenza di giustizia ».
O per lo meno il tentativo di raggiungerla, lo sforzo di avvicinarsi a una certa visione
di egualitarismo. A mio parere è proprio questo il difetto fondamentale insito nell'etica
del capitalismo neoliberísta. 1 fatto che giustifica il diritto ad arraffare. Il diritto
ad andare avanti appioppando un colpo in testa al proprio vicino. Il diritto ad accumulare
capitale e profitti a spese di qualcun altro. In questo modo si distruggono i legami
basati sulla sollecitudine e la solidarietà per il prossimo. Il mondo dispone di un
capitale limitato, e chi se ne appropria lo sottrae a qualcun altro. Così non va bene.
Un altro personaggio influente che ha visitato da poco la città di Delhi è Paul O'Neill,
il segretario di stato al Teso-' ro degli Stati Uniti. Ha parlato il 22 novembre davanti a
un pubblico di dirigenti d'azienda e ha assunto posizioni molto critiche nei confronti
dell'India, un paese, ha detto, dove « la corruzione e le tangenti sono così diffuse da
scoraggiare e allontanare gli uomini d'affari e gli investitori onesti ».
Se scoraggia e allontana investitori quali la Enron e 1.4 Bechtel, non può essere che un
bene.
È interessante il fatto che O'Neill abbia criticato la corruzione presente in India,
quando gli Stati Uniti hanno appena attraversato la più straordinaria « ondata di reati
societari» della loro storia, stando alla definizione che ne ha dato «Business Week».z1
Un'ondata che non ha coinvolto solo la Enron, ma anche la WorldCom, la Xerox, la Tyco, la
Arthur Andersen: moltissime imprese si sono rese colpevoli di illeciti in borsa e altre
manovre poco pulite.
E quando mai le proprie mancanze hanno impedito all'America di criticare gli altri paesi?
È un atteggiamento tipico degli Stati Uniti.
Howard Zinn, il grande storico americano, sostiene che dopo l'età del bronzo e l'età del
ferro, oggi viviamo nell'età dell'ironia.
Il termine ironia è troppo blando per i crimini commessi dall'impero americano.
Nel tuo saggio Settembre alle porte assumi posizioni molto critiche sulla politica
statunitense a sostegno di Israele e delle sue azioni repressive nei confronti dei
palestinesi: Saprai senz'altro che si tratta di un argomento scottante per gli americani.
È alquanto difficile criticare Israele senza essere subito etichettati in termini assai
poco lusinghieri: Perché hai deciso di affrontare la questione?
Stavo parlando dell' 11 settembre e mi è sembrato giusto ricordare al pubblico che nello
stesso giorno del 1922 l'Inghilterra imperiale ottenne il mandato sulla Palestina, in
seguito alla dichiarazione di Balfour. Ottant'anni dopo, i palestinesi continuano a
trovarsi in stato di assedio. Com'è possibile venire negli Stati Uniti e non menzionare
l'occupazione illegale del territorio palestinese da parte di Israele? Il governo degli
Stati Uniti finanzia tale occupazione e la appoggia sul piano politico e morale. È un
crimine.
Le comunità degli espatriati sono famose per le loro opinioni incendiarie. Molti degli
indù più estremisti, irragionevoli e pronti a ingiuriare gli avversari vivono negli
Stati Uniti. Le lettere al direttore piene di affermazioni quali « Bisogna far ricorso
alle armi nucleari e distruggere il Pakistan » provengono quasi tutte da persone che
vivono a Champaign-Urbana o in qualche altra cittadina dell'America. Non sono mai stata in
Israele, ma mi hanno detto che laggiù i media rispecchiano uno spettro di opinioni più
ampio di quanto avviene negli Stati Uniti.
Cosa pensi del rapporto appena pubblicato sulla comunità degli espatriati indiani negli
Stati Uniti? A quanto pare alcuni settori di tale comunità mandano in India parecchi
soldi destinati a finanziare le organizzazioni fondamentaliste indù.
I risultati del rapporto sembrano piuttosto credibili. È importante che qualcuno si
assuma il compito di questo
tenace lavoro di indagine. È davvero una buona cosa. Certi gruppi fondamentalisti si
fanno passare per organízzazioni assistenziali, ma la loro carità consiste soltanto
nell'indottrinare i tribali all'induismo. In India nessu
no si preoccuperebbe mai di controllare.
Qual è la tua interpretazione delle elezioni presidenzialí del 2000 negli Stati Uniti,
soprattutto alla luce della tendenza degli americani a mostrarsi assai critici rispetto al
processo elettorale di altri paesi?
Devo dire che non le ho seguite da vicino: per chi non vive in America non sembra fare
molta differenza se vince Bush, Clinton o Gore. Personalmente ritengo che se l'attacco
dell' 11 settembre fosse stato sferrato quando era al potere Clinton, in un certo senso le
cose sarebbero andate anche peggio per il resto del mondo, perché Clinton dà
l'impressione di essere meno stupido di Bush. Bush è malvagio, ma anche ridicolo. È un
bersaglio facile. Cliinton invece è molto più intelligente e calcolatore. È più uomo
di spettacolo. Non credo ci sia un gran che da scegliere.
A proposito degli Stati Uniti e della loro politica hai usato al termine «prepotenza ».
Io penso che per certi americani sia difficile attribuire al propraó paese una politica
di prepotenza, data la scarsità di informazioni disponibili su quanto avviene fuori dai
confini della nazione.
Chi vive nelle zone e nei paesi più poveri deve dar fondo a tutta la sua compassione per
tenere a freno la rabbia nei confronti dei comuni cittadini americani. Questo è senza
dubbio ciò che capita a me. Ogni volta che scrivo qualcosa, la rabbia affiora, e io la
ricaccío indietro dicendomi: « Loro non lo sanno. Quella gente non sa cosa viene
perpetrato in suo nome ». Eppure continuo a domandarmi se non sia così perché è più
comodo non sapere. Devo ricordare a me stessa quanto sia intenso il lavaggio del cervello
cui sono sottoposti. Ma penso che se gli americani sapessero quali azioni vengono commesse
in loro nome ne sarebbero mortificati. Il problema è come farglielo sapere.
Ben Bagdikian e altri hanno dedicato molte pagine al funzionamento dei grandi media negli
Stati Unita, e per estensione nel resto del mondo, data la loro immensa portata. 3z Credi
che chi lavora in questo settore si a consapevole della realtà dei fatti, sia al corrente
di quello che succede e rimanga in silenzio? O nemmeno i giornalisti ne sanno niente?
Sono sicura che chi occupa posizioni di responsabilità è ben consapevole di ciò che
succede. Gli altri lavorano su argomenti specifici, vengono incaricati di occuparsi di una
certa notizia e lo fanno. Perciò non penso che siano tutti a conoscenza del segreto
fondamentale e che lo tengano nascosto. I giornalisti vivono nell'illusione di essere
autonomi. Ma senza dubbio chi prende le decisioni sa bene come vanno le cose.
Quali sono gli spazi per l 'dissidenti nel contesto indiano? Hanno modo di far sentire la
propria voce attraverso i circuiti televisivi?
Non abbiamo alcuna possibilità di arrivare in televisione. Neanche per trasmettere un
documentario come quello di Sanjay Kak sul Narmada. Non ce lo sogniamo neppure di
utilizzare il piccolo schermo.
Perché no? Perché non si può creare un canale o una rete?
Perché no? Senza il benestare della censura non si può nemmeno organizzare la proiezione
privata di un documentario. Quando Anand Patwardhan girò il suo film sul nucleare,
l'ufficio della censura gli intimò: « Non devono comparire uomini politici nella
pellicola ». Niente uomini politici nella pellicola! Cosa si intendeva con questo? Che
nel film non ci dovevano essere uomini politici che facessero discorsi politici!" È
davvero kafkiano. D'altro canto non si può tenere tutto sotto controllo. È troppo
complicato.
In un paese come gli Stati Uniti, dove libri quali 11 settembre di Chomsky stanno
raggiungendo cerchi, sempre più vaste di lettori, la gente non si è ancora stufata di
rimanere all'oscuro di quello che succede e di ciò che viene compiuto in suo nome? 14 Se
continuano a censurare i fatti in questo modo vergognoso, i grandi media rischiano di
essere trattati alla stregua di un'inutile incrostazione. Rischiano di diventare del tutto
irrilevanti, di perdere ogni credibilità. Perché negli ultimi tempi è della propria
incolumità che si preoccupa la gente.
La politica seguita dal governo americano è pericolosa per i cittadini degli Stati Uniti.
L'America potrà anche bombardare o comprare quello che vuole, ma non riuscirà a
controllare la rabbia che si sta accumulando nel mondo. È semplicemente impossibile. E la
rabbia troverà la maniera di manifestarsi, in un modo o nell'altro. Condannare la
violenza non basta. Come si può condannare la violenza quando interi settori della
propria economia si fondano sul commercio degli armamenti, sulla fabbricazione delle bombe
e sulla produzione di massa di armi chimiche e biologiche? Quando il cuore della propria
cultura venera la violenza? Su quali basi si può biasimare il terrorismo senza cambiare
atteggiamento nei confronti della violenza?
A parte pochissime eccezioni, gli attacchi dell'11 settembre sono stati interpretati
semplicemente come atti commessi da persone che odiano l'America. Tenendoli separati da
qualsiasi contesto politico. Questo ha creato molta confusione.
Ha avuto successo, la strategia di isolare dalla storia gli avvenimenti dell'll settembre,
l'insistenza sull'interpretazione del terrorismo come frutto di un impulso malvagio fuori
da ogni contesto. Appena qualcuno si sforza di contestualizzare i fatti, viene subito
accusato di scusare o giustificare i terroristi. È come dire a uno scienziato
impegnato nella ricerca di un farmaco contro la malaria che è in combutta con le zanzare
anofele. Cercare di capire un fenomeno non significa volerlo giustificare. Il problema è
questo: se voi americani potete giustificare tutte le guerre che avete combattuto, tutti
gli assassinii che avete commesso, tutti i sistemi ecologici che avete distrutto, in tal
caso Osama bin Laden può senz'altro ricorrere alla stessa logica per legittimare 1' l 1
settembre. Non si può dare un contesto politico a un certo tipo di terrorismo e negarlo a
un altro.
Perciò, se dovessi rivolgerti all'americano medio, cosa diresti per cercare di fargli
capire i motivi dell'animosità verso gli Stati Uniti, il perché di questa rabbia nei
confronti del suo paese?
Mi trovavo in America nel settembre del 2002, come sai. Ero molto riluttante all'idea di
andarci. Pensavo non avesse senso affrontare certi temi, perché credo che non serva a
niente « dire la verità ai potenti ». Ritengo sia impossibile indurre un certo tipo di
potere a deviare dalla propria linea di condotta: si comporterebbe in maniera diversa solo
se gli facesse comodo. È inutile tentare. Ma il mio editore, Anthony Arnove, mi persuase
a recarmi negli Stati Uniti, e sono davvero felice che l'abbia fatto, perché è stato
bellissimo scoprire tutta l'umanità e l'apertura mentale delle persone che ho conosciuto
laggiù. La gente cercava davvero di capire cosa stesse succedendo nel mondo. Quel viaggio
ha significato molto per me.
Ho avuto un'esperienza diametralmente opposta a quella che mi aspettavo. I passanti mi
fermavano per la strada e mi dicevano: « Grazie per aver detto le cose che ha detto » e
« Noi non possiamo affrontare certi argomenti perché abbiamo troppa paura, ma grazie ».
È stato meraviglioso. Mi sono convinta che se vengono spesi tanti soldi e impiegate tante
energie per manipolare mezzi di comunicazione è perché il sistema ha paura dell'opinione
pubblica. Gli esponenti dell'establishment sanno bene che la gente comune non è spietata,
fredda e calcolatrice come chi è al potere.
La gente comune ha una coscienza. La gente comune non opera sempre e necessariamente ai
fini del proprio egoistico interesse. Se la bolla dovesse scoppiare, e i comuni cittadini
venissero a scoprire tutti gli orrendi crimini perpetrati in loro nome, credo che le cose
si metterebbero male per il sistema americano. E credo anche che questo processo sia già
iniziato. Credo che i segreti di famiglia degli Stati Uniti stiano venendo a galla e che
presto saranno in bella vista sul pavimento della Green Room. Lo penso veramente. Certo, i
grandi media censurano tutto, ma alcuni degli articoli più rabbiosi, roventi e indignati
che si possono leggere su internet sono firmati da americani. Un film come Bowling a
Columbine è stato proiettato dovunque, e riesce a collegare i puntini del rompicapo in
modo da renderlo comprensibile alla gente. È importante. Penso che il sistema abbia
cominciato a sgretolarsi. Penso che la macchina della propaganda si sfascerà presto.
E il ruolo degli intellettuali nel meccanismo della propaganda? Negli Stati Uniti si
presuppone che gli intellettuali si mantengano su posizioni neutre. Si ritiene che debbano
andare in cerca dei fatti per poi esporli, senza schierarsi né da una parte né
dall'altra. Vengono incoraggiati a servirsi di un gergo criptico. Per esempio non ci sono
più idee, ma solo « concetti ». Nessuno parla; tutti « dibattono ». Noi lo chiamiamo
« porno», un'abbreviazione di postmodernismo. Succede anche in India?
Abbiamo fenomeni simili anche in India. Senza dubbio. Spesso vanno ricollegati alla
tattica squallida di chi tenta di crearsi una sfera di competenze specifiche, in modo da
rendersi unico, per illudere gli altri che il mondo non può fare a meno di lui. Una
piccola specializzazione da trascinarsi nella tana, per custodirla gelosamente dalla
curiosità non autorizzata dei passanti. Io mi sforzo di andare nella direzione opposta:
cerco di non complicare mai le cose semplici, e di non semplificare mai quelle complicate.
Ma ritengo sia di vitale importanza riuscire a comunicare alla gente ciò che sta
accadendo nel mondo. C'è un intero settore che lavora sodo per impedire ai comuni
cittadini di comprendere quanto sono costretti a subire.
Chomsky definisce questi specialisti « i nuovi mandarini».
Gli esperti defraudano la gente del potere di decidere. Il linguaggio dei tribunali è
diventato incomprensibile per la gente comune. Ci sono eserciti di avvocati e di giudici
impegnati a deliberare su questioni vitali, ma nessuno capisce i loro discorsi, nessuno
riesce a decifrare le procedure, nessuno si rende conto di cosa stia succedendo.
Ho notato che nel film DAM/AGE a volte non era facile seguire il senso di certe
dichiarazioni della Corte suprema.
« Non è tollerabile che la fonte della giustizia venga inquinata da malvagi dileggi e
scurrili dissacrazioni » [ridel. Com'era l'altra frase? «La contumace violazione... »
Non me la ricordo più. Una volta la sapevo a memoria.
Secondo te la competenza degli specialisti può avere un ruolo?
Ritengo di sì, ma è importante che ci sia uno spazio dove venga condivisa, comunicata
agli altri. Non dico ch
debba essere eliminata. Anche scavare un fossato e sistemare un cavo è un tipo di
competenza specifica. E lo stesso vale per le tecniche di coltivazione degli agricoltori.
Il problema è questo: quali generi di competenze vengono privilegiati nella nostra
società? Io non credo che un amministratore delegato sia così prezioso per la comunità
da dover essere pagato dieci milioni di dollari l'anno mentre contadini e operai fanno la
fame.
Questo sistema di valutazione ha raggiunto squilibri
tali da consentire a un numero limitato di persone di appropriarsi della gran parte delle
ricchezze, condannando a vivere in una povertà inimmaginabile tre quarti degli abitanti
della terra solo perché il loro lavoro è giudicato privo di importanza. Cosa
succederebbe se nelle città gli spazzini si mettessero in sciopero o se il sistema
fognarío smettesse di funzionare? Gli amministratori delegati non sarebbero in grado di
gestire la propria merda.
Macaulay, uno dei funzionari del Raj ottocentesco, dichiarò in tono perentorio che « un
solo scaffale di una buona biblioteca europea vale quanto l'intera letteratura indigena
dell'India e dell'Arabia ».35 Negli ultimi anni è uscito un gran numero di opere
prodotte non solo da scrittori indiani come te, ma anche da autori di origine indiana che
vivono in altre parti del mondo, come V.S. Naipaul. Perché questo fenomeno si sta
verificando proprio adesso?
In effetti non è poi quel gran numero di opere. Quando uscì il mio romanzo, ricordo che
il « New Yorker » pubblicò un ritratto fotografico collettivo degli autori indiani che
scrivono in inglese?' Eravamo forse in dieci o quindici. Per portarci fuori a pranzo la
redazione aveva noleggiato un enorme pullman che era praticamente vuoto. Tutti parlano di
questa ondata di letteratura indiana, ma i personaggi noti si possono contare sulle dita
delle mani. Ho l'impressione che si tratti di un fenomeno gonfiato al di là delle sue
reali dimensioni.
Una specie di moda?
Ci sono scrittori impegnati nel loro lavoro, ma non si può parlare di una rinascita
letteraria o roba del genere.
Se per gli occidentali si tratta di una moda, sono affari loro. La cosa non mi riguarda.
Qualcuno potrebbe dire che scrivere in inglese significa automaticamente optare per un
pubblico di yuppie, perché soprattutto in India l'inglese è la lingua dei privilegiati.
È vero. Ma d'altro canto in India qualsiasi lingua è parlata in un ambito molto
limitato. Chi scrive in malayalam si rivolge solo ai lettori del Kerala. Chi sceglie
1'hindi, a quelli di pochi stati settentrionali. Perciò nel mio paese quella della lingua
è una questione molto complicata. È interessante notare che Il dio delle piccole cose è
stato pubblicato in quaranta lingue. Dunque sì, in un certo senso la lingua è
importante, ma non intendendo lingua nel senso di inglese, tedesco, francese o hindi. È
qualcosa di più complesso, che riguarda piuttosto la lingua in quanto forma di
comunicazione. I miei scritti politici sono stati pubblicati in moltissime lingue indiane.
La traduzione in hindi del Dio delle piccole cose è quasi pronta. Così adesso il libro
non è più disponibile soltanto per gli yuppie. E comunque non so
no solo i giovani rampanti a parlare l'inglese in India. Lo parlano più indiani in India
che inglesi in Inghilterra.
Un enorme numero di persone.
Una delle soddisfazioni che mi derivano dall'aver scritto Il dio delle piccole cose è il
fatto di poter contare su un buon numero di lettori che di solito non leggono romanzi in
inglese. Mi capita di essere avvicinata da un viceispettore della polizia di Muzaffarnagar
o da una persona venuta da questo o quel villaggio e di sentirmi dire: « Ho letto il suo
libro con l'aiuto di un dizionario. E l'ho capito ». Mi piace l'idea di questo pubblico
così differenziato: da John Updike al poliziotto di Muzaffarnagar.
I tuoi articoli e i tuoi saggi appaiono sulla rivista « The Nation », e tu ora collabori
con la South End Press. Hai pubblicato due libri presso questa casa editrice, Power
Politics e War Talk. Le tue opere hanno suscitato molte reazioni fuori dall'India? Ricevi
molte lettere?
Ne ricevo moltissime, ma trovo difficile gestire la quantità di messaggi e di richieste
che mi arrivano. Per farlo dovrei crearmi un'organizzazione, prendermi un ufficio e delle
segretarie, e altri che si occupino della posta e della contabilità. Non fa per me. Non
ci riuscirei. Perciò opto per l'inefficienza, cioè rinuncio ad affrontare il problema.
Ovviamente ho un agente letterario in America e un altro in Inghilterra. Mi aiutano. Ma
nell'ambito personale non ho alcun collaboratore. Non è facile, ma questa è la mia
scelta: continuerò a essere una persona che riceve un sacco di posta e non è in grado di
gestirla.
Himansbu Tbakker è un personaggio che riscuote la tua ammirazione. Il suo nome è citato
nell'introduzione a The Cost of Living.3' Mi è capitato di incontrarlo e mi ha detto:
«Sa una cosa? È davvero un fatto notevole. Sono le donne ad assumere il ruolo di leader
nel nostro paese. Sono loro a portare avanti i movimenti che lottano per la giustizia
sociale ». Secondo te perché è così?
Non lo so, però è verissimo. Il retaggio lasciato all'India dalla conquista della
libertà è un profondo rispetto per .
la non violenza. Si può discutere dei pro e dei contro della lotta non violenta rispetto
a quella che ammette il ricorso alla violenza, ma a mio parere non ci sono dubbi sul fatto
che la seconda nuoce alle donne in maniera profonda e complessa, sia sul piano fisico che
su quello psicologico. Detto questo, la società indiana rimane tuttora assai poco
rispettosa nei confronti del mondo femminile. Il numero di violenze, ingiustizie e
umiliazioni inflitte ogni giorno alle donne indiane rasenta l'incredibile.
Ma tutto ciò accade in un contesto di misoginia istituzionalizzata che ha profonde radici
culturali. Tanto per fare un esempio, un paio di giorni fa sul « Times of India » è
stata pubblicata la notizia di una crisi in Haryana provocata dal numero insufficiente di
ragazze in età da marito. E perché scarseggiano le ragazze in età da marito? Per via
degli aborti praticati su larga scala quando il nascituro è una femmina. Ora le famiglie
sono costrette a comprare le spose per i loro rampolli maschi al di fuori dei confini
dello stato e al di fuori della comunità. C'è un'osservazione interessante sul « Times
»: « I giovani, disperati, sono disposti a prendere in moglie donne di qualsiasi casta
». Ecco un'altra delle tante contraddizioni incredibili del paese.
Questa è l'India. Ormai neppure battiamo ciglio se qualcuno ci fa notare una
contraddizione. Ma il fatto interessante è che gran parte delle donne impegnate nei
movimenti di resistenza, gran parte delle attiviste, si impegnano anche nella ricerca di
nuove definizioni del termine « moderno ». Da una parte lottano strenuamente contro le
tradizioni delle rispettive comunità, e dall'altra si battono contro il tipo di
modernità che si vedono im
porre dall'economia globale. Stanno decidendo cosa conservare della tradizione e cosa
accettare della modernità. È un esercizio di funambolismo. Molto faticoso, ma
stimolante.
Un altro problema con cui molto probabilmente bisogna fare i conti vivendo qui è quello
del colore della pelle, l'importanza di avere la carnagione chiara. Ho letto un articolo
su Kareena Kapoor, una nuova stellina di Bollywood (che tra l'altro sta per inaugurare una
filiale di Pizza Hut a Gurgaon), dove alla ragazza veniva attribuito un incarnato «color
crema ». Una definizione molto lusinghiera.
Sono proprio contenta che tu abbia sollevato la questione, perché la maggior parte degli
stranieri non si accorge nemmeno della differenza tra gli indiani di pelle chiara e quelli
di carnagione scura. Ma certi atteggiamenti mi fanno impazzire di rabbia qui in India.
L'India è una delle società moderne più razziste del mondo. C'è da rimanere sbalorditi
di fronte a quello che la gente riesce a dire parlando del colore della pelle.
Qualche anno fa ci fu un programma televisivo su questo tema. Facevano parte del pubblico
un sudanese, un albíno e una donna del Punjab che gestiva un'agenzia matrimoniale. Non ho
mai visto niente di più assurdo. Il sudanese parlò di quanto fosse terribile per lui
vivere qui, e disse che le ragazze attraversavano la strada per allontanarsi quando lo
vedevano. Raccontò che sugli autobus gli tiravano i capelli e lo chiamavano hubshi, una
parola il cui significato equivale press'a poco a « negro ». Poi intervenne l'albino: «
Non so se mi considererebbero di pelle scura o chiara ». Dopo di che domandò alla donna
dell'agenzia matrimoniale se poteva procurargli una moglie. Lei lo guardò e gli rispose:
« Posso trovarle una vittima della poliomielite ».
L'intera scena si svolse senza la benché minima traccia di ironia. Alla fine il
presentatore del talk show concluse: « A quanto pare attribuiamo tutti molta importanza
al colore della pelle. Ma perché poi passiamo tanto tempo a pensare alla confezione?
Anche i neri sono belli dentro ».
Sui giornali reclamizzano creme chiamate Afghan Snow o Fair and Lovely. Per non parlare di
tutte le attrici di Bollywood! Il novanta per cento delle donne indiane ha la pelle scura.
Ma secondo Bollywood, chi non ha la pelle chiara non è bella. La crescente fama
internazionale dei film di Bollywood mi preoccupa. Propongono quasi sempre valori
terribili, valori degradanti.
Le fasce più povere della popolazione, i dalit e gli adivasi, hanno per lo più la pelle
scura. E chiaro che questo tipo di discriminazione funziona come un vero e proprio sistema
di apartheid.
Parliamo di un'altra star di Bollywood, un'attrice che appartiene a un'altra generazione,
Nargis. Criticò duramente Satyajit Ray, il grande regista indiano, perché nei suoi film
mostrava solo povertà. E quando le domandarono: « Cosa le piacerebbe vedere nel cinema
indiano? » rispose Le dighe »
« State mostrando l'India nella luce sbagliata. » Ecco là protesta più comune della
piccola borghesia. « Perché non parlate di McDonald's e di Pizza King? » Devi sapere
che,qui la gente ha imparato a non vederla più, la miseria. E come se tutti avessero dei
filtri, delle lenti a contatto speciali in grado di toglierla dalla vista. Gli indiani
non capiscono perché « gli stranieri » se ne preoccupin
tanto. Si sentono quasi offesi dal loro atteggiamento.
Mi incuriosisce questo meccanismo di censura. L'ho notato anch'io, e l'ho riscontrato in
me stesso quando mi trovd,!
qui. Come si fa a distogliere lo sguardo da chi è spaventosamente povero e indigente?
È una tecnica di sopravvivenza. Come si potrebbe sopravvivere altrimenti? Bisogna trovare
il modo di andare avanti con la propria vita. E così si ignora la presenza della
povertà.
Arundhati Roy L'Impero e il vuoto
Conversazioni con David Barsamian Guanda Editore 2004
Un altro toccante e profondo articolo della Roy
lo potete leggere nel nostro forum sulla stupidità con un interssante aforisma
introduttivo di Carl William Brown.
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