GIUSEPPE DE VINCENTI

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Giuseppe De Vincenti studia in Calabria fino alla laurea in lingue straniere e contemporaneamente si dedica alla pittura approfondendo le diverse tecniche, con particolare dedizione all’acquerello dove raggiunge numerosi riconoscimenti da parte della critica. Frequenti viaggi in Italia e all’estero, in particolare in Francia, lo avvicinano ai percorsi contemporanei della pittura e la familiarità con musei e gallerie d’arte gli fanno approfondire i grandi maestri di tutti i tempi.Nel 1980 si stabilisce a Brescia, sviluppando ad acquarello, pastello e olio la sua tematica di paesaggi mediterranei. Nei primi anni 90 partecipa con altri artisti alla creazione dello spazio "L'Aura", avventura che, pur essendo durata solo quattro anni, lo arricchisce molto sotto l'aspetto artistico e umano. La sua pittura in questi anni riceve molti riconoscimenti da parte della critica: nel 1994, al concorso nazionale di pittura di Suzzara (Mn), nel '96, al "concorso nazionale dell'acquerello" Fondazione Durini a Nova Milanese. Nel '98, ancora, uno dei suoi quadri a olio della serie "La vallata del Mucone" viene segnalato dalla giuria del Premio Arte Mondadori e pubblicato sulla rivista omonima.Anche se vive e lavora a Brescia, mantiene un costante rapporto con la sua terra d'origine alla quale torna ogni anno con lunghi soggiorni estivi. Sono questi i luoghi che danno vita alla sua pittura e ne sono punti di riferimento costanti.

Partecipa ad esposizioni personali e collettive dal 1979.

Del suo lavoro si sono occupati: Luciano Spiazzi, Milena Moneta, Giacinto Ferraro, Franco Buncuga, , Fausto Lorenzi, Mauro Corradini, Lucilla Perrini, Domenico Montalto, Anna Maria Di Palo, Pia Ferrari, Piero Cirino, Roberto Saporito, Nino Lo Castro, Dario Torchiaro.

PRINCIPALI ESPOSIZIONI

1983 Prix de peinture - Vitry sur Seine - Paris
1985 Biblioteca comunale - Ghedi (Bs)
Premio nazionale dell'acquerello - Nova Milanese (Mi)
1986 Atelier degli artisti - Brescia
1987 Premio di pittura "Moretto" - Brescia
1988 Atelier degli artisti - Brescia
Palazzo Falcone - Acri (Cs)
1990 Centro culturale "G.De Rada" - S.Demetrio Corone (Cs)
Galleria "Acheruntia" Acri
1991 Premio di pittura "Moretto" - Brescia
1992 Galleria "Prospettive grafiche" - Brescia
Galleria "AAB" - Brescia
1994 Galleria "L'AURA arte contemporanea" - Brescia
Chiesa del Carmine "Identità"- Brescia
XXXIV Premio nazionale di pittura - Suzzara (Mn)
1996 Chiesa S.Filippo e Giacomo "Diurna notte" - Brescia
XII Premio nazionale dell'acquerello Durini -
Nova Milanese (Mi)
1997 Galleria "Il Ripicchio" - Bologna
1998 Premio di pittura 'Donato Frisia' - Merate (Lc)
Premio ARTE Mondadori - Milano
Galleria Ikonos - Acri (Cs)
1999 Galleria dell'Officina - Brescia
2000 Palazzo Falcone-Sanseverino - Acri (Cs)
Galleria Ponterosso - Milano
Auditorium Bcc Agro Bresciano - Ghedi (Bs)
2002 Sala Santi Filippo e Giacomo - Brescia


L'Arte di Giuseppe De Vincenti di Mauro Corradini

Alla sua terza personale in città Giuseppe De Vincenti si presenta con un compatto nucleo di opere, che Franco Buncuga introduce in catalogo: Prospettive Grafiche, via Trieste, 21 b, fino al 14 maggio. Si tratta di una serie di paesaggi mediterranei, scritti nella luce notturna, attraverso cui l’artista viene delineando – spesso con le trasparenze dell’acquarello – paesaggi lontani, o vicoli di paesi arroccati sulla sommità di lievi pendii. Manca l’uomo, anche se esso "rimane, assente in figura, presente nella regolarità di un filare, nella delimitazione di un campo o di una coltivazione, nella scelta di un colore, di una forma geometrica sul pendio di una collina o di un prato".

De Vincenti definisce un mondo attonito, illuminato da una luna che non vediamo, sorpreso, come in attesa di un evento magico e irripetibile, di cui non scopriamo il significato; De Vincenti delinea i paesaggi che si distendono come colline che vaghino nel cielo azzurro, spesso attraversato dal segno

brillante di una stella cadente. A volte, dal paesaggio esterno, De Vincenti si accosta ai paesaggi urbani, ai piccoli paesi addormentati, che solo attraverso luci sparse denunciano una vitalità, apparentemente mancante. Tutto è immobile e sospeso: ed il lettore rimane avvolto dallo stupore con cui l’artista tende a fermare l’immagine del mondo. Per certe aperture "notturne", ci sembra, quello di De Vincenti, simile allo stupore di Ciaula quando scopre il biancore della luna; in altro versante, l’immobilità delle cose, la mancanza di aria, in senso proprio, sembra essere più decisiva metafora di una condizione umana, misurata non attraverso gli uomini, ma attraverso le cose e gli oggetti degli uomini. In questa prospettiva, la natura intatta e lontana, di cieli tersi e limpidissimi, assume il valore di una lontananza che non tocca agli uomini, il valore assoluto da cui ci siamo forse allontanati o a cui forse mai ci siamo accostati: un evento da osservare e cogliere nello splendore di una notte mediterranea.

Giuseppe De Vincenti a Prospettive Grafiche' - Bresciaoggi 1/5/1992 


Giuseppe De Vincenti e Ugo Donati in mostra nella sala di via Battaglie Le «tecniche» e i «segni» di due artisti bresciani

Due personali in parallelo sono leggibili nella sala comunale dell’ex-chiesa dedicata anticamente ai Santi Filippo e Giacomo (via Battaglie, 61: fino al 7 gennaio): si tratta dei paesaggi di Giuseppe De Vincenti e delle figure di Ugo Donati. I paesaggi di De Vincenti si muovono alla ricerca di un ordine, di una misura, ritrovata nella struttura della forma: sono paesaggi costruiti attraverso «spazi fatti sia di cose (alberi, acqua, cielo, nuvole, terra, edifici) sia di geometria ponderata», annota in catalogo Dario Torchiaro: «in essi la luce e l’ombra, il giorno e la notte si misurano». Il paesaggio di De Vincenti, realizzato nell’ultimo biennio, rinvia ancora all’origine mediterranea del pittore; costruito su quel confine tra terra / cielo /mare che del nostro Sud è carattere ambientale, appare scandito per blocchi cromatici, che scoprono l’equilibrio formale nelle cose naturali. L’opera del pittore è una trascrizione della mano - mente, prima ancora che della mano - occhio.

I paesaggi del pittore bresciano si configurano all’interno della tendenza poetica, che ha investito l’ultimo ventennio in ambito neo-figurativo: attingendo alla misura, anzichè all’espressione, l’icona assume vigore nell’intensità nel timbro, nei riverberi rigorosi, nella tensione equilibrata dei vuoti e dei pieni, piuttosto che cercare risposte emotive nei grumi e nei gesti della mano, nelle vibrazioni materiche delle cromie.

Le figure di Donati costituiscono una «lotta» interna all’immagine; come se Donati, in ogni segno, rinnegasse ed esaltasse l’operazione di pittura, attento a far sì che la figura femminile (questo è il suo soggetto unico) ad un tempo appaia come forma, nella tradizione della pittura, e come figura, attraversata dalle emozioni dell’artista.

Alla fine del viaggio sul corpo (o nel corpo?) che l’artista bresciano viene compiendo con metodo e misura da alcuni anni, la riflessione ritorna al segno; quel che appare è solo un segno. Nell’opera di Donati aggalla a volte il bisogno di essere, lasciarsi andare come pittore antico: avvertiamo la pittura, sentiamo il pennello che si immerge nel colore e cala sulla tela, con un’energia difforme: si evidenziano colature, sbavature. Emerge, in qualche caso, la donna, che è stata modella.

Il taglio della figura, dal collo a metà coscia, costituisce un indubbio «prelievo» dalla fotografia, che non dimentica il suo formato, costretto dalla tecnica, prima ancora che dal pensiero. Donati conosce la fotografia, e l’ha spesso utilizzata, nel suo viaggio concettuale, proprio nella seconda metà degli anni Novanta. Ancor oggi usa la fotografia, per riflettere sull’immagine, sul valore mimetico ed astratto a un tempo; riflettere sul segno, che la fotografia più ancora che la mano può occultare o rendere meno appariscente nell’interezza della forma esibita appare come fine del lavoro artistico.

A volte l’artista utilizza una scansione di sfondo che dialoghi con il segno; altre volte, lascia che il segno scivoli docilmente sul grigio neutro dello sfondo. In questi casi, è il segno a variare, mimando la forma o accelerando l’astrazione. Donati accosta i corpi, le figure divengono altro, alberi, forse foresta: spesso utilizza colori di contorno a rinforzo, così che anche il segno appaia più vero, naturalisticamente vero: e il lettore scopre la donna, ne insegue le forme. L’occhio indaga, diviene curioso.

In altre opere, al contrario, mimetizza il segno sul corpo stesso dello sfondo, e la forma diviene una scrittura assente, come una scritta verbale diafana, dilavata, cancellata dal tempo. Sono tutti procedimenti mentali, che l’artista utilizza per avvalorare il suo processo culturale ed espressivo; in una certa misura, il suo sostrato concettuale: il segno significa solo se stesso, è un viaggio della mente che accetta il limite.

Bresciaoggi 4/01/2003  Mauro Corradini  


MILENA MONETA

Paesaggi che si allungano e si restringono, quasi alla ricerca di una loro dimensione e di una collocazione spaziale per adagiarsi o stagliarsi in una definizione di esistenza. Paesaggi che riemergono da ancestrali memorie, percepiti nell’infanzia di generazioni, filtranti l’attualità con echi che vengono da lontano: precisi e indeterminati.

Paesaggi messi a fuoco in senso letterale, appoggiati a terre affaticate e assetate: terra verde, terra cupa, terra assolata, terra che trasuda da ogni quadro (che anche quando è di scena il mare è ancora suolo: piatto, solido, concreto, fermo), traumatizzata ora dallo scoppio della luce, ora dal calare delle tenebre.

L’albero, la casa emergono dallo sfondo, quasi a reclamare la propria presenza e diventano ad un tempo frammenti di vita e di solitudine. Si fanno avanti alla ricerca del primo piano, avanzano l’offerta di una corrispondenza che tuttavia non può avvenire e prelude invece ad un’altra, ancor più definitiva solitudine di chi si separa senza trovare altre unità. Richiamo troppo vicino o troppo lontano per essere inteso.

Il tempo e l’uomo sono estromessi dal quadro come elementi del trascorrere che turbano l’immobilità, l’attimo sospeso.

La presenza umana si è eclissata lasciando solo una traccia del suo passaggio. Il tempo sembra essersi addormentato nella pigra calura, in un riflesso dell’anima.

Ciò che è rappresentato si impone allora come realistico ed immaginario, spesso lieve, ben saldo e aleggiante in una astrazione senza tempo.

Tuttavia l’espressione di tale ipnotica fissità è affidata soprattutto all’acquerello: tecnica delicata e colori morbidi che quasi annullano i contorni, sfumano e sbiadiscono a preannunciare i sintomi della corruzione, del decomporsi.

Così il paesaggio più immobile ha già in sé il processo della sua distruzione, le crepe di un suo frantumarsi o del precipitare lungo una china.

Allo stesso modo le rette non spezzano la circolarità che traspira da ogni angolazione: circolarità della terra, della vita, del destino del moto inarrestabile, fermo solo nel ricordo primordiale.

Allora la cortina di avvolgente immobilità si dipana, l’eterno ritorna transeunte, la poetica levità tradisce il dramma e la latente trasfigurazione, la dolcezza di un attimo rimanda ad una violenza che non è solo quella della luce e del chiarore.

Terra sempre uguale e mutante, terra di luce e avida solo di freschezza: arancio e verde.


Presentazione al catalogo 'Sulle rive di una collina' 1989  


PIA FERRARI

La pittura di paesaggio contemporanea è un campo d'azione assolutamente concettuale e lontano dalla volontà narrativa che ha mosso questo 'genere' fino almeno alla metà del XX secolo ,esaurendone le pur enormi capacità di diffusione e fruibilità. L'ultimo paesaggismo, ed è davvero difficile definirlo tale perché pare di ridurlo a dimensioni che non sono le sue, si nutre di visioni e immagini che sono riflessi espressivi di situazioni mentali, discorso sulla percezione del luogo e del tempo. Il gioco pittorico con lo spazio infinito e la ripetizione seriale - di luci, di elementi architettonici, di geografie del lavoro umano - diviene individuazione delle grandi tessiture urbanistiche, naturali e celesti che l'uomo, o magici e sovrannaturali elementi per qualcuno, hanno creato sulla nostra terra.

I luoghi raffigurati, dunque, vanno intesi nel senso greco di topos, che significa anche posizione, spazio e funzione : con un chiaro riferimento a percorsi dello sguardo tesi a cogliere meccanismi universali e immagini che vanno conosciute, piuttosto che percepite.

Chi oggi dipinge paesaggi sembra riallacciarsi all'opera romantica di Friedrich e , attraverso il vedutismo inglese e americano dell'Ottocento, a Hopper: artisti che della natura hanno fuggito l'aspetto della narrazione particolare, per arrivare a nitidezze di spazi ed atmosfere che fanno quasi sentire il respiro del pittore mentre guarda luoghi dove gli eventi quotidiani ed umani risultano sospesi. De Vincenti, con atteggiamento analogo, come altri pittori contemporanei - Guccione e La Cognata, ad esempio che con lui condividono la passione per il paesaggio mediterraneo - guarda e dipinge luoghi intesi come parti di un tutto unitario , armonico e logico .

Gli acquarelli e soprattutto gli oli di De Vincenti - "Prima di sera" , ad esempio, con le case che sono quasi elementi matematici e metafisici ,ma anche assolutamente concreti come lo sono il mare e la terra , o la " Valle del Mucone" solcata dall'argento del 'fiume - fanno pensare a procedimenti logici del pensiero : in queste opere sembra codificata una grammatica essenziale e assoluta dello spazio e del tempo, visti attraverso un occhio che osserva, fisso, in contemplazione delle luci, delle forme dei colori.

Oltre, si intuisce anche una specie di melanconia, ma come fermata, bloccata da un procedere razionale che intravede , nei luoghi, architetture naturali .

I paesaggi, notturni e del giorno, sono in effetti una ricerca sulla struttura complessa della luce e delle ombre , a volte studiata con l'attenzione curiosa dell'occhio che si sofferma , attento e paziente a guardare le sezioni oblique, verticali e orizzontali che finestre e balconi e ringhiere "dimostrano" come teoremi , non inquietanti , ma assoluti. Sono le metafisiche immagini delle porte e delle finestre sul mare, fatte di materia ,luce ed acqua, viste dall' interno all'esterno e dunque da ciò che è dell'uomo alla natura, con continuità e lucidità.

Il recente "Piccolo omaggio a Hopper"dichiara inequivocabilmente, con l'aggiunta d'un cielo mediterraneo, questo ritmo lento ed ordinato proprio dei pomeriggi assolati e mediterranei.

Tutto appare in modo non inquietante. La "Notte d'estate" , come "La casa rosa tra le piante" o altre situazioni analoghe di paesaggi dipinti sullo Ionio ed in Sicilia fanno pensare a tempi lentissimi di contemplazione, come se aspettando il momento giusto il pittore riuscisse a fissare l'apparizione stupefacente di 'quel' muro e di 'quell'albero' che solo ad una certa ora si trasfigurano con i blu, i viola i rosa, propri di un momento solo e pulsante ,ma non surreale . Per fissare sulla tela queste apparizioni non resta che l'umiltà e lo stupore di campiture larghe e piatte ed essenziali, come se il racconto di troppi particolari fosse superfluo.

I "campi di grano" e le colline d'estate dipinti qualche anno fa nel sole accecante erano d'altra parte la premessa evidente a questo modo d'osservare che sembra cancellare il movimento .

L'attenzione meditata sulle cose ha portato anche a dipinti e pastelli dall'aspetto apparentemente iperrealistico, come le recenti vedute di Acri - "Palazzo Falcone " ad esempio -, dove la maggior precisione non diventa comunque descrizione dei luoghi, accecata com'è dal sole abbagliante ,o percorsa e a tratti da ombre che dimostrano alla fine l'interesse esclusivamente pittorico del fissare apparizioni ,anche architettoniche, come manifestazioni che prescindono dalle azioni dell'uomo.

Gli ultimi lavori di Giuseppe De Vincenti sono pastelli di piccolo formato, diversi e insieme eredi della pittura cui sopra si è accennato.

Di essi ciò che colpisce per prima è la precisione che , ingannevolmente, può parere fotografica ad una sguardo affrettato: quello che si nota subito dopo è la matericità, vellutata e affascinante, sulla quale ci si sofferma solcando in modo quasi tattile le superfici delle colline o dei campi rappresentati.

I luoghi sono i medesimi, l'entroterra mediterraneo, che l'autore ha sempre rappresentato, ma il suo vedere è ora in movimento, come uno scorrere mnemonico che ricalca percorsi fatti e occhiate lanciate correndo in auto o a piedi.

Rubando il titolo ad un recente romanzo verrebbe da chiamare questi pastelli 'fughe da fermo'. come viaggi troppe volte compiuti , riprodotti nell'immobilità che la fatica anche manuale, artigianale ,di questa produzione richiede.

La tecnica del pastello su carta con la quale questi paesaggi sono realizzati ottiene risultati assolutamente essenziali , pur nella minuziosità divisionista dell'esecuzione.

Le immagini di questi prati e alberi ,colorati con minuscoli trattini puntinati e tratteggiati , in contrasto con la limpidezza lineare del cielo, fanno venire in mente i disegni di Segantini ed i dipinti con le montagne e i laghi di Longoni, verso la fine dell' Ottocento , dove la materia pittorica frammentata e sminuzzata in una specie di pulviscolo rasentava l'astrazione e la pennellata impercettibile rincorreva le forme della luce e delle ombre.

Nei pastelli di De Vincenti il divisionismo è citazione e accenno per creare effetti atmosferici e di movimento che denotano comunque una contemporaneità che va in direzioni opposte rispetto al lirismo del XIX secolo : lo sguardo del pittore sembra aprirsi a scatti , a cenni nervosi , come quando, camminando ,alziamo improvvisamente il capo e cogliamo ombre e luci quasi come forme vere e corpose e insieme effimere e allucinate . La colorazione materica e minuta è stesa su luoghi che sono stati separati dai particolari ridondanti ,dai troppi segni della presenza dell'uomo, attraverso un' astrazione a priori che li rende assai diversi dai dipinti di qualche anno prima.

Nell'immagine velocemente fissata , possiamo addentrarci fermando lo sguardo più a lungo sulle foglie, sulle erbe e anche sul cielo: come con un obiettivo che indaga nell'infinitamente piccolo , possiamo cogliere particolari, se vogliamo.

Oppure, da una certa distanza , possiamo sentire atmosfere hopperiane, Maine e Vermont trasfigurati nella campagna italiana, con analoghi spiazzamenti d'atmosfera e vedute tagliate in orizzontale: situazioni di luce che rendono magici la quotidianità e i luoghi consueti.

Presentazione al catalogo, mostra Palazzo Falcone, Acri (Cs), agosto 2000

Pia Ferrari  

 

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