Il PORTINAIO
Ecco, sono pronto. In giacca e cravatta, la mia uniforme insomma. Sono le
nove meno un quarto. Di solito cominciano ad arrivare verso quest'ora ed io
devo essere sorridente con tutti. Fa parte del mio lavoro. Un sorriso grande
così. Il fioraio di fronte vende fiori, io regalo sorrisi, disponibilità e
in cambio ho il mio rendiconto mensile. Arrivano. Buongiorno, dottore.
Buongiorno...
Buongiorno, signorina. Buongiorno!
Salve!
Ciao.
Ah, ah. Grazie, grazie...
Buongiorno, ragioniere...
Dottoressa, buongiorno.
Ah, professore. Buongiorno, professore. Le casse di vino le ho portate su in
studio ieri pomeriggio, mentre Lei non c'era. Le ho sistemate nella Sua
stanza... Niente, niente, solo un pelo sulla giacca, professore. Mia moglie?
Lavora. Fa la parrucchiera a due isolati da qui. Da donna, sì. Eh sì, si
lavora tanto... Mia figlia? Studia ancora, professore. Sì, sì... riferisco,
professore, riferisco. L'ascensore è arrivato. Anche a Lei... Buon lavoro,
professore. Buongiorno, professore... Tiè, brutto sporcaccione. E' un grande
avvocato il professore - se ne avessi bisogno un giorno, lui sarebbe il mio
avvocato -, ma da un po' di anni è successo qualcosa nella sua mente. Il
modo come guarda le ragazze... non parlo della sua segretaria, sua amante
ufficiale. Sbava dietro a tutte. Figuriamoci, anche dietro la donna delle
pulizie! E in ascensore, poi?! Fa anche dell'altro in ascensore. Tipo...
Posso dirlo? No, è meglio di no. E va bene, lo dico! Scrive: "cazzo - figa,
eterna rivalità". Io una volta ho cancellato le parolacce... e ho lasciato
il resto perché mi piaceva. E' sceso lui mezz'ora dopo... Sono andato subito
in ascensore e ... cosa vedo scritto? "Eterna rivalità" e sotto "cazzo -
figa". Ma va là, va là, mente distorta. Ti spacco la faccia, ti spacco.
Oh, buongiorno, dottoressa. La manifestazione? Tutto bloccato? Questi
pacifisti poi... Ma dico io: perché gli danno il permesso di fare le
manifestazioni in centro? Per carità, non sono contro io, ma il disagio che
recano ai cittadini, il traffico che va in tilt! T'immagini l'ambulanza che
non arriva in pronto-soccorso perché bloccata dal traffico e il paziente che
muore? Dico io, ma andate a San Siro a fare le vostre manifestazioni, se ci
tenete tanto. Buona giornata anche a Lei, dottoressa. Buongiorno!
Ragioniere, dove va ragioniere? E' tutto bloccato fuori... Alla
manifestazione? Vorrei andare anch'io, ma non posso. Lo sa anche Lei che
sono legato. A molti eventi di questa città purtroppo io non posso
partecipare. Manifestare per la pace... non c'è cosa più nobile. Solo
persone come Lei, ragioniere lo possono fare... Le fa onore. Buona
manifestazione, ragioniere. Buona manifestazione!
Questa è una palazzina a cinque piani, tutti studi professionali, tranne le
due famiglie dell'ultimo piano. Io faccio le pulizie nella maggior parte
degli studi. No, non io. Mica posso fare io tutte quelle pulizie? Ho cinque
extracomunitari che lavorano per me: filippini e sudamericani. Io tengo i
rapporti, tesso le relazioni, molto importanti per me. E sono scattante,
sportivo quando porto la posta, quando parcheggio le loro macchine, quando
corro ad avvertirli del vigile che gli sta multando la macchina. Uguale per
tutti gli impiegati, anche le semplici segretarie, come questa qui, per
esempio, che è tornata indietro perché fuori piove.
Hai bisogno dell'ombrello, vero? Certo che ce l'ho. Si chiama Pietro, fa' il
servizio e torna indietro... ha, ha. Ma sì, sì, vai tranquilla, ne ho un
altro. Succede a tutti di dimenticare... ha, ha, ha. E' proprio stupida
questa ragazza. Quando piove dimentica l'ombrello a casa, quando c'è bel
tempo se lo porta dietro in ufficio. Proprio scema la ragazza!
Chi è che ha sporcato l'atrio? Ma porca miseria! Se lo becco gli taglio le
dita, gli taglio. Perché io sono buono e caro, ma quando me le fanno girare
divento una belva, divento. Signora! E' tornata allora? Così presto? Cos'è
questo cane? Mastino, vero? Ma com'è bello, com'è carino. Ma no, signora, a
me piacciono i cani. Sembra un agnellino. Tutto nero, si nota subito. Come
si chiama? Benito? Ma che musone che hai, Benito. Ah, è di suo figlio,
quello che vive a Vicenza. Non sapevo avesse un figlio a Vicenza, signora.
Adolfo. E come sta Adolfo, signora? Non andavano d'accordo ultimamente? L'ha
morso?! Non ci posso credere, così dolce, Benito. Ah, non è stato lui? Ah, è
Adolfo che ha.... Quanto mi dispiace, signora! Benito! Oh no, Benito!!! Non
si preoccupi, signora, vuole soltanto giocare. Benito! Ahi, mamma mia,
Benito! Signora, aiuto, signora. Ahi. Signora, non si preoccupi, signora,
non è niente, niente di grave, signora. Dio mio! Sono scampato per miracolo,
Dio buono. Ma come si fa a chiamare un mastino Benito, cazzarola. Beh, nella
disgrazia sono fortunato. Eh già, se fosse stato un pastore serbo di nome
Milosevic mi avrebbe sbranato tutto. Sono veramente fortunato.
La giornata di lavoro è finita. I miei extracomunitari mi hanno appena
consegnato le chiavi degli uffici. Mia figlia guarda la TV nell'altra
stanza. Io e mia moglie abbiamo mangiato insieme. Anche stasera se l'è presa
con me, perché sono ottuso e non sorrido mai. Vai a capire le donne. Le
donne sono strane a volte... Io che non sorrido mai? Proprio io?
Buonasera, signori. Buonasera.
Testo tratto dal Libro Racconti della Terra
Dimenticata di Çlirim Muça Alba Libri
Editore
SENZA VIA D'USCITA
"Tu puoi dire quello ragione" lo interruppe Luli.
Stavano parlando di donne e di matrimonio.
"Sempre al sesso vanno i loro pensieri. Tu pensi che nel tradimento d'amore
le donne non hanno nessuna colpa?" l'altro mentre parlava si arrabbiava.
"Con calma, aspetta, ti racconto quel che mi è successo" disse Luli.
"Non dirmi che è colpa di quei mentecatti e cornuti dei loro mariti?! "
Erano tra amici d'infanzia, si conoscevano bene tra loro, sapevano che Bomi
prendeva fuoco come un filo d'erba d'estate in ogni discussione che
facevano.
"Sentite... " Luli cominciò il suo racconto. "Avevo appena finito il
militare, era stata dura trovare lavoro. Avevo mobilitato tutti: amici,
familiari. Alla fine trovai un posto nella fabbrica di mattoni. Fu ancora
più duro il lavoro. Non conoscevo nessuno là. Mi sentivo come un estraneo.
Forse perché c'erano più donne che uomini in quella fabbrica. Mi capitava di
andare al lavoro o tornare con mia cugina e la sua amica Valbona. Voi
conoscete la mia relazione con lei... Questo che sto per dire... non so...
ma io me lo sono tenuto sempre per me.
Stavamo tornando dal lavoro, era un pomeriggio di primavera. Sì, mi ricordo
bene l'azzurro del cielo, quel giorno. Non so cosa le stavo raccontando, era
una delle poche volte che parlavo soltanto io. Per un momento Valbona girò
la testa e i nostri sguardi s'incrociarono. Vidi come tremò, una luce
muoversi nelle sue pupille... "Ha belli anche gli occhi" dissi tra me e me.
Dopo il mio racconto inciampò: era stata la prima volta che la guardavo a
quel modo. Quando ci congedammo da lei, mia cugina mi disse: "Sai cosa dice
Valbona di te? Mi piace perché è dolce". "Ah sìT' dissi io scocciato. Non
avrei mai pensato che quella parola detta da una donna mi avrebbe provocato
tale reazione. Passarono un po' di giorni. Anch'io mi stupii della facilità
con la quale si aggiustò tutto. La prima volta la incontrai a casa di mia
cugina. Rimanemmo insieme soltanto un'ora. Avevamo una gran voglia e
parlarono i nostri corpi. Poi mi venne una paura che mi diceva "Basta
adesso, hai finito, vattene." E non ci scambiammo una parola. Un'altra volta
rimanemmo di più. Mia cugina ci aveva chiusi a chiave ed era andata al
mercato, facendo tardi. "Raccontami qualcosa della tua vita" le chiesi. "La
mia vita non ha niente d'interessante." Mi rispose.
"Dimmi come fu che ti sposasti con lui, tu così bella... " Quando vidi una
nuvola di tristezza sul suo viso, mi pentii di averglielo chiesto. "Stupido
che sei!" mi dissi. "Perché ricordarle il marito proprio adesso?" Per un po'
cadde il silenzio e i rumori della strada cominciarono a farci visita.
"Bene! " disse Valbona, "la mia storia comincia forse al secondo anno di
liceo. Quell'anno conobbi il mio primo ragazzo. Lavorava come tecnico delle
sonde in una stazione di ricerca del gas metano alla periferia della città.
Ero una ragazzetta allora e avevo perso la testa. Lui mancava spesso per il
suo lavoro, giorni, anche settimane... e io che lo aspettavo, gelosa, con il
cuore che mi traboccava d'amore. Cominciai anche ad andare male a scuola. Il
nostro amore durò ancora un anno dopo che ebbi finito il liceo. Lui si
trasferì con lavoro è casa a Tirana, lasciandomi. Come diceva mia zia di
lui, "mi aveva usata e gettata via, macchiandomi di vergogna per tutta la
vita". Io allora stavo in casa, non riuscivo a trovare lavoro, ero disperata
e delusa dall'amore e dalla vita, ma il peggio non era ancora arrivato.
La preoccupazione più grande dei miei familiari era di trovarmi un marito.
In ogni famiglia c'è qualcuno che mette zizzania, noi avevamo la zia.
All'inizio lei voleva combinare un matrimonio con un meccanico che viveva in
un paese vicino. I suoi avevano saputo della mia storia e non accettarono.
"A te bisogna trovare un marito un po' scemo e di qualche zona sperduta"
diceva mia zia e, rivolta ai miei genitori, rimproverandoli: "Questo succede
quando dai a tua figlia ogni giorno i soldi per il pullman per andare a
studiare nella scuola migliore della città. Se non vuoi che tua figlia
amoreggi con il primo che le capita, devi farla smettere alle medie e
prepararla subito per il matrimonio". La ricerca di un marito per me
continuò per tutto l'anno.
Quando mi presentarono a casa mio marito dissi a mia madre che era basso e
brutto e vecchio per me. Mia zia, che si trovava vicino in quel momento e mi
senti sparò: "I fighetti ti stanno cercando, non lo vedi? Chiudi il becco,
piuttosto. Hai macchiato la tua famiglia e te stessa e vorresti scegliere
adesso?!". Odiavo quella zia, ma mio padre era una marionetta nelle sue
mani, Mi aveva anche picchiata, istigato da lei.
Una volta sposati, mio marito cominciò a picchiarmi la seconda settimana
dopo il nostro matrimonio. "Chissà con quanti sei andata, tu! " e pum, mi
colpiva. Un anno dopo nacque il primo figlio. Lui era felice che il figlio
gli assomigliasse, ma continuava a picchiarmi. Una volta me lo disse il
perché: "Se vuoi che la donna non muova la coda, le botte le fanno calmare i
sensi". Era geloso e me le dava per niente, tipo: "Così bella tu e non
cercheresti di tradirmi?". Quando vide un signore che mi salutò per strada
mi picchiò selvaggiamente: "Non per niente ti ha salutata, quello lì. E' il
dongiovanni del paese lui. E poi, se la cagna non alza la coda, il cane non
le va dietro! Lo so, lo so che non dipende da te se gli altri ti salutano,
ma hai visto me con la coda dell'occhio e non gli hai risposto".
Allora pensai di scappare da casa, prendere il figlio e separarmi per sempre
da lui, ma dove sarei potuta andare? Dai miei? Là mi aspettava un padre
fanatico, una madre dispiaciuta e amabile, che però non contava niente, e
poi quella zia... No, no, là nessuno mi avrebbe dato ragione. Allora tutti
gli uomini mi sembravano
uguali, selvaggi. Poi il bambino... avevo i piedi legati da lui".
Luli si fermò per un momento, come se stesse per pesare quello che doveva
dire.
"Chi ha da accendere?" disse Bomi, che aveva tirato fuori una sigaretta.
"Sono scadenti" disse l'altro amico, 'forse non basta un fiammifero per
accendere! "
Bomi accese la sigaretta e aspirò forte. "Come andò a finire?" chiese a Luli.
"Nacque una bambina, ma lui continuava con le sue pazzie. Voleva che tutti i
figli gli assomigliassero... " Io le chiesi: "Perché hai
detto a mia cugina che sono dolce". Lei sorrise. "Non esattamente, come
dire... tu eri da poco entrato in fabbrica, stavi tutto solo, parlavi poco e
ignoravi le ragazze, mentre loro parlavano molto di te. Ti guardavo un
giorno che c'era un vento forte che ti buttava i capelli sulla fronte, tu
con la mano cercavi di rimetterli a posto e la tua fronte, il tuo viso in
quel momento mi sembrarono così dolci. Feci il paragone con mio marito... e
da quel momento cominciai ad
amarti."
Quando andai al corso del sindacato a Tirana, se lei avesse conosciuto i
miei pensieri, a prescindere dall'espressione del mio volto, "Anche lui è
come gli altri" avrebbe pensato. Adesso che ero riuscito ad iscrivermi a
quel corso pensavo: "Posso costruirmi il mio futuro con più sicurezza, ma mi
devo dimenticare certe cose e certe altre nasconderle. La mia relazione con
Valbona per esempio, se vengono a saperlo al Comitato sindacale, non solo mi
cacciano dal corso, ma mi mandano ai lavori forzati!". Allora Valbona era
d'ostacolo alla mia possibile carriera. Mi giustificavo pensando che quella
relazione era solo carnale. Che stupido che ero diventato! Una piccola
scintilla e sognavo il successo. Mi comportavo con prudenza. Ma a cosa mi
portò la prudenza? Allora la pensavo diversamente. Da Tirana tornavo nei
fine settimana e trovavamo sempre un momento per vederci. A volte lei non
poteva. Un giorno incontrai il segretario del Comitato sindacale che mi
disse: "Salve Luli, come va? Mi hanno informato che al corso sei molto
bravo, ma te non ti vedo bene... " mentre parlava sorrideva sotto i baffi.
"Troveremo un altro momento per parlare noi due. Adesso vado che mi
aspettano ad un'assemblea."
Stavo andando all'appuntamento con Valbona. Rinunciai. La paura serpeggiava
dentro di me. La paura di essere scoperto. "Non per niente lui mi ha detto
Non ti vedo bene" pensavo. "Lui se ne frega della mia salute, ma ci tiene
molto all'immagine morale. Se lo viene a scoprire, addio futuro. Le
relazioni possono essere consentite ai pezzi grossi, non a me." Quel fine
settimana non la incontrai. Rimasi a Tirana per tutto il mese. Avevo deciso
di interrompere con lei. Bastava che io non mi facessi vivo. Ecco, tutto
qui. Era comportarsi da vigliacco, sì, ma così non avrei dovuto dare
spiegazioni.
Alla fine mi decisi di andare al paese, ma rimasi tappato in casa tutto il
tempo. La domenica pomeriggio ero pronto a ripartire, quando venne mia
cugina, cogliendomi alla sprovvista. Non ero tranquillo. Decisi di non
parlare di Valbona. Quando stava per uscire da casa mia, mi disse: "Mi ha
mandato qui Valbona. "Se non gli interesso, non dirgli niente" mi ha
raccomandato." Cominciarono i rimorsi. Il cuore mi batteva forte, al ritmo
del suo nome. Nonostante tutto, lei continuava ad amarmi. Misi da parte la
valigia e uscii, deciso ad incontrarla per un'ultima volta. La cercai al
mercato e intorno alla sua casa, ma non la vidi. Deluso tornai a casa,
ricordando la nostra storia. Lei si era data a me con tanto amore e mi aveva
fatto felice e io? Mi stavo dimostrando un vile. Presi l'ultimo treno e
partii. Il corso finì e io ritornai al paese. Non erano passati molti
giorni, quando la vidi in strada. Veniva da casa sua. La guardai, lei si
voltò dall'altra parte e passò senza dire niente. Tremai. Il cuore mi
batteva forte e sentii un groppo alla gola. Io l'avevo amata.
L'amavo ancora. Sentivo un dolore trafiggermi l'anima. Sul suo sopracciglio
destro avevo intravisto sotto il foulard un cerotto. Quell'idiota l'aveva
picchiata ancora! Per tutto il giorno non riuscii a togliermelo dalla mente.
Mi dispiaceva per Valbona, ma il nostro amore era senza via d'uscita. In
qualunque modo fossero andate le cose, sarebbe finita un giorno!
Non so, ma forse allora ho pensato seriamente all'amore e al matrimonio e
quando penso a Valbona, mi duole, come per una persona cara che non rivedrò
mai più."
Testo tratto dal Libro Racconti della Terra
Dimenticata di Çlirim Muça Alba Libri
Editore
Da oltre il mare... il Grido. Dai
paesaggi dell'Albania a quelli universali dell'anima, dall'angoscia
esistenziale di stile muchiano alla ricomposizione interiore, alla ricerca
della serenità con i mezzi formali della poesia e l'inesinguibile senso di
appartenenza alla comunità di coloro che vogliono lottare perché l'utopia,
non più tale, sappia mutare il mondo. L'itinerario di Çlirim Muça è stato
ricco e tortuoso, dal suo villaggio oltreadriatico alle strade di Milano,
dalla clandestinità sociale alla ricerca dell'espressione letteraria più
pura e cristallina.
Alberto Figliolia Poesie tratte dal libro Da Oltre il Mare di
Çlirim Muça Alba Libri Editore
Il CLANDESTINO
Si leggeva la paura nei suoi occhi.
Come una gazzella nella savana,
era assalito dal suo destino.
Salì su un camion pieno
di carne macellata,
la carne viva,
da clandestino.
In mano a gente senza scrupoli
e scrupolose burocrazie, il viaggio.
Il suo destino lo precedeva,
effimero e incerto,
come una nuvola di passaggio.
Çlirim Muça
I NAUFRAGHI
Il volto bruciato dal sole hanno
i naufraghi,
gli occhi incavati.
Vanno incontro al destino nella traversata.
Il loro "SOS" è un grido nel vuoto,
rivolto a un cielo spietato.
Fra una preghiera e l'altra
la falce della morte fa il suo lavoro.
Chi si salva si sente rinato
nella stessa valle di lacrime.
Çlirim Muça
LE LUCI DELLA CITTA'
STRANIERA
Le luci delle vetrine,
le luci delle strade,
le luci dei semafori,
le luci delle macchine,
ai quattro orizzonti luci!
Mi abbaglieranno queste luci!
Perché io sono diventato delicato e sensibile,
perché io adesso ho spento ogni luce.
Le luci della nostalgia,
le luci dell'amore,
le luci dei ricordi,
buio, buio nel cuore.
Ancora un po' e sarò accecato
dalle luci della città straniera.
Çlirim Muça
ILLEGALITA'
Mi fa tremare
la sirena della macchina della polizia.
Il mio passato?
Una miseria.
Mi sentivo sicuro come un tronco.
Il mio presente?
Foglie d'autunno
davanti al fischio del vento.
Il mio futuro?
Oh, come mi fa tremare
la sirena della macchina della polizia.
Çlirim Muça
IL RINNOVO DEL PERMESSO
Il freddo ci pungeva senza pietà.
Stavamo in piedi come cavalli,
aspettando il nostro turno.
L'unica inafferrabile bellezza,
l'infiammarsi dell'Aurora,
l'amore incondizionato del Sole.
Mentre la città dormiva,
noi, gli esclusi, la raccoglievamo nel cuore,
spostando il peso da un piede all'altro,
i sogni da una parte, i problemi dall'altra.
La stanchezza vinceva su tutto.
Il nostro dignitoso silenzio era umano,
il trattamento a noi riservato, bestiale.
Si aprì una porta, si distribuirono i numeri:
"Voialtri tornate domani!"
Si dimentica tutto nella vita,
ma quell'infiammarsi dell'Aurora,
non si dimenticherà facilmente.
Çlirim Muça
LA TUA MANCANZA
Poche cose bastano
per essere felice, amore.
Un tuo sorriso,
un tuo sguardo,
un tuo saluto
con un leggero cenno della testa.
Senza ricordare poi
i tuoi baci,
che cancellano il passato.
Il passato!
Quante volte lo ricordo.
Non posso trattenere le lacrime
nei miei occhi
vuoti
senza te.
Çlirim Muça
LA MIA INFANZIA
Come un treno d'altra epoca
è passata la mia infanzia,
avvolta nei vapori del tempo.
Da me partono i binari
che si perdono nel verde degli anni.
Con un fazzoletto di ricordi
sventolo i miei addii.
Dove vai carico d'innocenza,
o treno d'amore con due luci fatue?
Ci rincontreremo
all'ultima stazione,
di nuovo insieme in un ultimo viaggio,
verso l'eterno.
Çlirim Muça
NEANCHE UN'ESISTENZA
La mia anima è come una città
costruita sulle rovine,
i muri antichi e i nuovi palazzi
convivono.
Non sono passate orde di barbari,
soltanto brucianti passioni.
Non sono trascorsi millenni,
neanche un'esistenza
e ho fatto e disfatto
come s'addice all'uomo
Çlirim Muça
L'ULTIMA LUCE
Come nei pomeriggi d'autunno,
con i raggi del sole fra le foglie dorate,
mi siederò in giardino
ad ascoltare il silenzio,
a godere il tramonto,
l'ultima luce della sera,
prima dell'alzarsi del freddo vento,
che mi trapasserà il cuore ingiallito,
come una foglia che cade.
Çlirim Muça
LE TARME DEL TEMPO
Sentire lo scricchiolio
mentre regna indisturbata la notte,
sogni e incubi scacciano il sonno,
come un coniglio bianco
nel buio più nero.
Al cantar degli uccelli,
all'infiammarsi del cielo,
quando i raggi del sole
irrompono sui tetti,
scopri:
le tarme del tempo
hanno consumato le travi del pensiero.
La mano tremula si riempie di polvere
e pensi alla cattiva qualità
della materia
per scoprire, poi,
che sono intaccate
anche le travi portanti.
Rimediare vorresti
e infili un nuovo pensiero,
ma il sole è passato dall'altra parte del cielo
e t'incammini nella quiete del paesaggio,
dove la luce muore all'imbrunire.
Çlirim Muça
SOLO CON LA MIA POESIA
Scrivo per arrivare ai cuori della gente
e finisco per trovarmi solo.
Né più amici per dividere la gioia,
né più amore cui dedicare i versi.
Mi sento una barca in tempesta,
più cerco di raggiungere la riva,
più le onde mi portano lontano.
È questo il mio destino?
Cerco d'abbracciare l'umanità
e mi trovo solo con il mio desiderio.
Se non scrivo soffro,
più soffro e più scrivo.
La mia poesia è un concentrato di dolore,
che mi fa chinare verso la terra
ogni giorno di più.
Si scioglierà per sempre
con me nella polvere.
Çlirim Muça
|