I PROFESSORI UNIVERSITARI E NON SOLO.
GENIO E STUPIDIT.....
Nell'articolo di Giorgio Celli (uno dei pochi professori universitari abbastanza
brillanti che l'Italia riesce ad esprimere) su Evaristo Galois, il Rimbuad della
Matematica, vediamo come spesso la saccente e stupida arroganza di molti accademici
non aiuti né il genio, né la ricerca, né l'equità. I professori universitari sono una
delle varie caste privilegiate che esistono nel nostro paese e come hanno sostenuto sia F.
Alberoni, sia altri scrittori non sono poi così meritevoli e degni dei posti che
occupano; per non parlare poi della corruzione che vi è in questi ambienti e delle
connivenze che esistono con il più nefasto potere politico, industriale e malavitoso. (Si
vedano a questo proposito gli altri articoli presenti nei forum del Daimon Club). Tuttavia
alcuni sono dei bravi insegnanti e degli abili ricercatori, ma solo alcuni, mentre la
maggior parte dei nostri docenti universitari non fa altro che sfruttare le menti più
brillanti dei vari studenti, non disdegnando al tempo stesso di occuparsi delle loro
varie, molteplici e lucrose attività extradidattiche, che nulla hanno a che fare con la
professione per la quale lo stato li paga, e alla quale dedicano pochissimo del loro
tempo, in media circa 350 ore all'anno.
Per questo all'interno delle nostre università troviamo un'allegra e spensierata
combricola di figure che si dividono in maniera del tutto vantaggiosa il duro lavoro della
ricerca e della docenza; abbiamo così i professori ordinari, i professori associati, i
ricercatori, i tecnici laureati, i professori a contratto e chi più ne ha più ne metta e
naturalmente molte volte accade che tutti questi mediocri personaggi cercano avidamente di
conservare i loro atavici privilegi, senza dare al tempo stesso troppa importanza o troppo
impegno a quello che dovrebbe invece essere il loro vero lavoro creativo, che del resto in
pochi possono controllare e senza considerare con la dovuta attenzione il lavoro degli
altri, molte volte più originale e brillante del loro. Per questo motivo assistiamo in
Italia alla "fuga dei cervelli" e sempre per questo motivo in Italia non abbiamo
grandi realtà di eccellenza nel settore universitario, il quale sfrutta la ricchezza del
settore industriale per restare a mala pena a galla, e ne approfitta della mediocrità del
settore editoriale per continuare indisturbatamente a divulgare stupidità, vanità, e
tanta banale incapacità.
Come già sosteneva Giulio Preti abbiamo poi una grande divisione tra le due culture ed
così che nella realtà quotidiana dei nostri atenei, per non parlare ovviamente delle
nostre scuole superiori, ci troviamo difronte ad una vera e pericolosa massa di ignoranti.
Ma a questo proposito sentiamo appunto il Preti cosa scriveva: " Certo tutti
conosciamo la stupida ignoranza scientifica di molti letterati - e dico
"stupida", perché quasi quasi se ne gloriano, ne fanno una civetteria, come se
l'asinaggine potesse mai essere un pregio. Ma qui è ancora più deplorevole l'ignoranza
scientifica... degli scienziati. La scienza moderna richiede, e quindi alleva, molti
"proletari della ricerca" o savants bétes (come li chiama A. Huxléy sulla scia
di V. Hugo): piccoli ricercatori senza cultura e senza luce, manovali della ricerca
scientifica in laboratorio, le cui micro-ricerche si compongono poi nei grandi quadri
scientifici che trascendono la loro intelligenza e la loro cultura. Molti di loro riescono
poi a salire in cattedra - ahimè: e, se pure possono educare qualcuno, educano soltanto
degli altri manovali, che quando verrà il loro turno saliranno in cattedra. Fuori del
loro "Istituto", smettono di pensare, e ricadono immediatamente al livello di
mentalità pre-logica delle loro mogli, madri e nonne. Per questo, proprio per mancanza di
intelligenza, cultura e fantasia, sono spesso degli ottusi conservatori..... ". In
effetti la realtà negli ultimi decenni non è cambiata e così ci troviamo a mantenere
una classe privilegiata di "ottusi conservatori" (Ribadisco il concetto) i quali
contribuiscono spesso al mantenimento dell'imbecillità sociale e al consolidamento
elettorale di una classe politica e imprenditoriale sempre più fessa ed ignorante che ci
conduce a grandi passi verso il baratro più oscuro.
La cosa malsana è che questo stato di cose riguarda purtroppo anche la nostra salute, che
non viene per niente tutelata dall'organizzazione viziosa delle nostre facoltà. Si dice
infatti che i medici sono troppi, ed è vero, ma solo perché il servizio sanitario
disegnato dagli intellettuali, e realizzato dalla politica, è una struttura oligarchica,
autoreferenziale, iperburocratica, iperconsumistica, accentrata nelle università e negli
ospedali. E così viviamo un'altro paradosso, infatti proprio grazie alla stupidità delle
nostre organizzazioni, nel paese che vanta più medici per numero di abitanti d'Europa,
per fare certi esami si deve aspettare talvolta anche un anno. Ma qui il discorso si
dilungherebbe troppo. Per fortuna non sono l'unico a considerare inadeguati i nostri
pensatori ed i nostri docenti, infatti Alberto Arbasino giudica gli intellettuali dei
"conformisti a 360 gradi" piuttosto che dei conservatori "illuminati",
Angelo Panebianco li considera conformisti e corporativi, mentre Guido Calogero li invita
a convincersi che "la cattedra non è per i profeti e nemmeno per i demagoghi".
Ma purtroppo siamo in Italia e questo è quello che ci passa il convento !!!!! Ah
dimenticavo, ammesso e non concesso che questi "manovali della cultura" siano
degli intellettuali, compito assai gravoso che dividono comicamente con l'altra grande
casta di intellettuali che abbiamo in Italia, vale a dire i "sicofanti del
potere", come li chiamava Russel, ovvero i nostri amati e divertenti giornalisti.
A questo punto però qualcuno si potrebbe chiedere almeno un paio di cose, e cioè come
mai il sottoscritto abbia il dente così avvelenato nei confronti dei docenti universitari
e secondo, come mai non ci sia alcun riferimento alla casta dei filosofi. Bene, cerchiamo
subito di sciogliere qualsiasi forma di ragionevole dubbio e passiamo a soddisfare le
richieste dei più curiosi. Alcuni anni fa scrissi una lettera ad un famoso accademico
della mia città, nonché stimato professore di filosofia di un'università del nord, in
cui gli chiedevo gentilmente di poter avere un breve colloquio durante il quale gli avrei
presentato brevemente la mia vasta opera di aforismi ed i miei progetti. La risposta non
si fece attendere troppo e con un certo stupore appresi che il gurù non aveva tempo e che
poi non sarebbe stato nemmeno in grado di esprimere un giudizio su questo tipo di
letteratura aforismatica; come a dire che per lui in pratica anche Wittgenstein o
Nietzsche non erano altro che dei perfetti autori ma, ahimè, incomprensibili per il suo
limitato genio. Nacque così la mia celebre e breve risposta che in sintesi suonava
praticamente così: "Se Dante nel duecento ha persino messo dei Papi all'inferno, nel
2000 Carl William Brown può agevolmente mettere dei filosofi nel cesso." E così
dopo aver dato delle eloquenti delucidazioni sui filosofi, passiamo quindi al successivo
ed enigmatico quesito del dente avvelenato. Il tutto risale in parte alla mia carriera di
studente universitario di varie facoltà umanistiche che mi ha lasciato moltissimi dubbi e
moltissime certezze sulla reale e presunta incapacità di tanti docenti ed in parte alla
mia esperienza di docente di scuola media superiore. Così per cercare di capirci qualcosa
di più circa un anno fa su Internet ho aperto un forum sulla Teoria della Letteratura con
l'intento di stimolare la collaborazione tra le due culture e la divulgazione di una
visione olistica della realtà, nonché di fare anche un po' di pubblicità alla mia vasta
produzione letteraria. Non privo di un certo entusiasmo ho dunque scritto a vari docenti
universitari, a vari scrittori e ad alcuni giornalisti. Il risultato non è stato molto
soddisfacente e comunque nessun docente mi ha risposto o ha inviato messaggi sul forum. A
questo punto la mia delusione è stata abbastanza evidente ed il mio disappunto si è
ulteriormente inasprito quando mi sono ricordato che un po' di anni prima nessun editore
aveva accettato di pubblicare i miei libri di aforismi, (In tutto più di 8.000 aforismi
originali) e si sa, anche le case editrici non sono del tutto esenti dal fascino ambiguo
del potere e dei professori universitari. Così è nata, un po' per scherzo e un po' per
serietà, la vicenda del dente avvelenato e di conseguenza i forum sulla Teoria della
letteratura e sulla stupidità si sono via via arricchiti di nuovi articoli e di nuove
informazioni.
In ogni caso l'ambiente universitario soffre anche di molti altri malanni. E vediamo
brevemente di quali. Nelle facoltà scientifiche si assiste da vent'anni ad un calo
inesorabile delle immatricolazioni, fatto dovuto evidentemente ad un'incapacità diffusa
del sistema educativo, politico e sociale. Di questo passo infatti se non facciamo
qualcosa, tra dieci anni diventeremo, ancora di più, utilizzatori di tecnologie
sviluppate da altri. Il problema è dovuto anche al fatto che nelle scuole elementari,
medie e e superiori non si da un giusto riconoscimento alle materie scientifiche, né
tanto meno una giusta retribuzione alla professionalità dei docenti, che abbandonati a
sé stessi, non investono nella ricerca, nell'aggiornamento, nell'ampliamento delle loro
capacità. Un'altro grave problema della nostra condizione di santi, poeti e navigatori è
che non solo la cultura scientifica non è diffusa tra la popolazione, ormai quasi
completamente rimbecillita dai mass media, ma non lo è neanche tra chi occupa posti di
potere e decide sulle sorti del nostro destino, sempre più nefasto ovviamente. La prova
concreta di questo stato di cose la possiamo trovare se analizziamo le immatricolazioni
all'università nell'anno accademico 2001-2002, che sono state 331.228 così suddivise:
37.178 Ingegneria; 16.097 Geo-biologia; 9.796 Chimica; 12.611 Scienze; 255.606 altre. La
composizione per iscritti ai corsi di laurea risulta così suddivisa: 12,1% ingegneria;
4,7% Architettura; 4,6% Medicina; 4,4% Geo-biologico; 3,4% Chimico-farmaceutico; 2,6%
scientifico; 2,5% agrario; 14,2 Economico-statistico; 9,3 Politico-sociale; 17,5
Giuridico; 10,5 Letterario; 5,5% Linguistico; 5,0% Insegnamento; 3,4% psicologico; 0,3%
Educazione fisica. Questa condizione si ripercuote anche sulla nostra vita sociale e sulla
nostra salute, infatti per esempio in Italia è molto scarsa la "caccia" alle
cause della malattia tumorale e vi è anche un impegno insufficiente alla prevenzione,
inoltre nella ricerca sul cancro siamo gli ultimi in Europa e lavoriamo solo su cure
scoperte all'estero. Così negli ultimi cinque anni in Italia si sono svolte 228 ricerche
cliniche in Oncologia, contro le 1474 del Regno Unito, le 508 della Francia e le 453 della
Germania. Leggermente meglio le ricerche cliniche sull'Aids che in Italia, sempre negli
ultimi 5 anni, sono state 35, contro le 135 del regno Unito, le 23 della Germania e le 36
della Francia. Certamente tutto questo è dovuto anche al fatto che in Italia gli
investimenti per la ricerca sono molto limitati e bisogna aggiungere che in questi ultimi
anni il sistema universitario è riuscito a non affondare solo grazie all'autonomia degli
atenei e così malgrado la perenne carenza di risorse molte facoltà hanno visto crescere
la loro competenza e la qualificazione del loro personale. In ogni caso c'è da
specificare che per coprire il gap con il resto d'Europa, cioè far salire gli
stanziamenti dallo 0,8 all'uno e due per cento del Pil servono 10 miliardi di euro, vale a
dire un miliardo all'anno per dieci anni. In pratica siamo il fanalino di coda
dell'Europa, dove solo la Grecia spende complessivamente meno di noi per la ricerca e la
didattica.
Bene, arrivati a questo punto dobbiamo anche precisare che forse un po' di colpa della non
florida situazione Italiana sarà anche da imputare al personale di ruolo delle
università che è di circa 108.000 persone, se consideriamo i docenti, i ricercatori e il
personale tecnico amministrativo, senza contare tutti i vari professori a contratto. Per
dovere di cronaca dobbiamo anche dire che gli stipendi al netto degli oneri dei professori
ordinari dell'Università Italiana sono di 45.725 euro per i neonominati, destinati a
diventare 91.095 euro dopo i trent'anni; per i professori associati sono invece di 34.610
euro per i neonominati, destinati a diventare 66.759 euro dopo i trent'anni; per i
ricercatori neonominati sono di 19.416 euro che diventano 49.660 dopo i trent'anni. Vi è
ancora da rilevare che dal 1994 al 2002 gli organici sono aumentati dell'11% mentre il
costo del personale è aumentato del 74%. Dunque dobbiamo ammettere che non siamo in
presenza di personale sottopagato, se pensiamo poi a tutte le altre fonti di reddito che
questi professionisti della cultura, della ricerca e dell'educazione si possono
procacciare. Evidentemente allora ne dobbiamo dedurre che il sistema non gode di ottima
salute e quindi dobbiamo anche ammettere che un po' di critica non fa poi così male,
soprattutto se è una critica che inviata al dialogo dialettico, persone che invece
pensano solo a divulgare i propri pensieri, i propri scritti, le proprie teorie, senza
ascoltare troppo i loro potenziali interlocutori. Ma terminiamo in bellezza e diamo a
cesare quello che è di Cesare infatti sempre rispetto al 1994 il numero dei laureati è
cresciuto del 60%, e poi, unico dato a favore dei docenti italiani, ricordiamo che il
rapporto tra docenti e studenti è di 1 a 32 in Italia, mentre in Inghilterra è di 1 a
17, in Francia è di 1 a 18, in Germania è di 1 a 11 e in Spagna è di 1 a 17. Ed infine,
come ciliegina sulla torta, lasciate che vi auguri "Buon Lavoro a Tutti", come
dice il nostro caro presidente, che tra le tante cose, purtroppo, a differenza di
Costanzo, non è un Professore Universitario. Indice Pagina
Indice ForumCarl
William Brown
Da Bouvard et Pécuchet di Gustave Flaubert
Les six millions de voix refroidirent Pécuchet à l'encontre du peuple ; -- et Bouvard et
lui étudièrent la question du suffrage universel.
Appartenant à tout le monde, il ne peut avoir d'intelligence. Un ambitieux le mènera
toujours, les autres obéiront comme un troupeau, les électeurs n'étant pas même
contraints de savoir lire ; -- c'est pourquoi, suivant Pécuchet, il y avait eu tant de
fraudes dans l'élection présidentielle.
- "Aucune", reprit Bouvard, "je crois plutôt à la sottise du peuple.
Pense à tous ceux qui achètent la Revalescière, la pommade Dupuytren, l'eau des
châtelaines, etc.! Ces nigauds forment la masse électorale, et nous subissons leur
volonté. Pourquoi ne peut-on se faire avec des lapins trois mille livres de rentes ?
C'est qu'une agglomération trop nombreuse est une cause de mort. - De même, par le fait
seul de la foule, les germes de bêtise qu'elle contient se développent et il en résulte
des effets incalculables."
- "Ton scepticisme m'épouvante !" dit Pécuchet.
EVARISTO GALOIS IL RIMBAUD DELLA MATEMATICA.
Da sempre, l'attenzione degli psicologi, e dei sociologi, è
stata rivolta ai minus / varianti, agli handicappati, ai disadattati « dal basso », a
quegli esseri umani, cioè, che risultano emarginati, o difficilmente integrabili
socialmente, in forza di un limite, motorio, o mentale, che ne fa, in qualche modo, degli
approssimati « per difetto » alle capacità medie degli uomini, al feticcio, così
sfumato e imprendibile, della normalità. Solo di recente, ad opera soprattutto dei
ricercatori americani, si è fatta strada, faticosamente, la consapevolezza che esiste
un'altra forma, opposta, di disadattamento, egualmente grave, una distonia « per eccesso
», che fa dell'uomo cosiddetto di genio, del bambino prodigio, degli esseri incapaci di
collocarsi nel mondo, consegnandoli ad una esistenza solitaria e spesso rovinosa. Con una
circolarità esemplare la tragedia del minus / variante si rispecchia sovente in quella
del plus / variante, e l'handicappato e il genio sono le facce di una stessa moneta che
non serve, a quanto sembra, per acquistare un certificato di piena cittadinanza tra gli
uomini.
« Il genio è una lunga pazienza », qualcuno ha scritto. Ma il bambino prodigio, questo
impaziente per definizione, questo prevaricatore delle norme e delle aspettative, mette in
crisi la verità sostanziale dell'aforisma; per lui, si direbbe, il talento non è
affatto, come si vuole solitamente suggerire, una forma privilegiata di apprendimento, è
l'espressione di un corto circuito tra mente e mondo, un fenomeno di impossessamento del
reale attraverso una transazione fulminea e totalizzante.
La teoria di un rapporto di reciproca, e stretta, causazione e adattamento tra società e
pensiero si disintegra sottilmente, costringedoci a chiamare in causa una « via
altra" alla conoscenza, che non procede per accumulo, ma per salti quantici, una
"comprensione per intuizione" di cui hanno parlato, da sempre i poeti, i
mistici, e talora gli stessi scienziati, per lo meno quelli epistemologicamente più
uavvertiti.
O i filosofi, quando affermano che, in certo modo, l'uomo capisce il mondo perché lo fa:
il cosmo è, in fondo, una immensa proiezione/ fantasma, una allucinazione, su scala
galattica, del nostro cervello. Gli esempi più strabilianti di « genialità precoce »
ce li offrono, e certo non a caso, i matematici. Perché gli algoritmi sono, nell'essenza,
creazioni mentali e si direbbe che la struttura dell'universo matematico risulti
espressione speculare di una necessità, di una logica implicita nei meccanismi funzionali
del cervello. La matematica è pensiero nel suo punto di massima congruenza e astrazione;
un punto dove la ragione, partita per il mondo, ritorna, figliol prodigo della conoscenza,
a se stessa.
Come spiegare, se non rifacendosi a questa segreta consonanza, a questo echeggiamento
pitagorico, tra i numeri e la mente, il fatto che Gauss sapesse far di calcolo ancor prima
di parlare e che, a due anni, potesse correggere il padre che aveva sbagliato a
conteggiare il salario dei suoi operai? A dieci anni, lo stesso Gauss, strabiliò il
maestro risolvendo, in maniera a un tempo geniale ed economica, il problema di scrivere i
numeri da 1 a 100 e di sommarli. Gauss inventò questa scorciatoia:
100 + 1 = 101
99 + 2 = 101
98 + 3 = 101
per cui moltiplicando 50 X 101 ottenne 5.050, il risultato desiderato.
A 19 anni, questo ragazzo figlio di un padre ignorante e un poco brutale, che gli
contestava la vocazione, era considerato universalmente uno dei più grandi matematici
viventi. Esemplare, per il nostro discorso, è il caso di Evaristo Galois, esemplare non
solo per la precoce manifestazione del suo genio, ma anche per la sua vita breve,
tormentata e piena di contraddizioni che fanno di lui un autentico « Rimbad della
matematica ».
Jean-Arthur Rimbaud, come si sa, è stato uno dei massimi archetipi e fondatori della
poesia moderna. Ragazzo prodigio, scrisse, in un vero e proprio delirio creativo, i suoi
lucidi, fosforici poemi tra i 15 e i 20 anni, per mettere in atto, al culmine di questa
sua prodigiosa avventura intellettuale, una sorta di « suicidio differito ». Smise,
infatti, di occuparsi di letteratura, si imbarcò per l'Africa, e diventò, come lui
stesso ha scritto, uno dei tanti « feroci viaggiatori dei paesi caldi ». Malato, mentre
le sue opere erano lette ed esaltate da tutta Parigi, morì, non ancora quarantenne, in un
tetro ospedale, disperato e sconosciuto, paradigma di quel « disadattamento per eccesso
», di cui abbiamo parlato all'inizio. Galois scoprì la matematica a 16 anni leggendo,
per caso, un libro di testo, quello di Legendre. Come Rimbaud, Galois non ebbe maestri.
La poesia e la matematica si scoprono e si vivono, non sì imparano. Tutto quello che vale
la pena di apprendere, purtroppo, ed è la disperazione della didattica, non lo si può
insegnare. Dal momento in cui Evaristo trova se stesso, e il suo vero mondo, la sua vita
è segnata. Il più grande matematico di tutti i tempi, come lo definisce Infeld, nel suo
romanzo / biografia, così appassionato e tendenzioso, viene bocciato per due volte agli
esami di matematica che era necessario superare per essere ammessi al Politecnico. Ouesti
scacchi sono un sintomo delle difficoltà dell'« handicappato da genio ». Galois, che
percorre, solitaria meteora, i cieli estremi della speculazione matematica, si sente
offeso dalle banali domande dell'esaminatore, e rifiuta, nella coscienza dei suoi segreti
poteri, di prestarsi al gioco, risibile, di quella prova, troppo ingiuriosamente al «
disotto » delle sue capacità. Ma il calvario del disadattato per eccesso è solo agli
esordi. Per ben tre volte, Galois invia il resoconto delle sue scoperte matematiche
all'Accademia, ma, cecità e stolidità di chi si ritiene ormai un padrone della sapienza,
il responso ufficiale è, come nelle regole, deludente. Chauchy, criminalmente, smarrisce
e forse cestina due manoscritti dell'oscuro e perentorio studente, Poisson ne esamina un
terzo, e crede di scoprirvi un errore, mentre, al contrario, la storia farà giustizia, è
lui, il maturo matematico applicato, e non l'introverso postulante, a prendere una
grossolana cantonata! Al contrario di Rimbaud, che partecipò, forse, alla Comune di
Parigi, ma sicuramente con scarso entusiasmo, Galois fu uno scienziato ansioso di
intervenire nelle vicende del proprio tempo, fu un uomo, come si direbbe oggi,
politicamente impegnato. Repubblicano, nemico dei preti, nel crogiuolo rovente degli anni
attorno al 1830, che videro la ascesa e la caduta delle ultime, esangui,
monarchie francesi, prima dell'avvento di « Napoleone il Piccolo », partecipò, studente
sessantottardo ante-litteram, alle agitazioni sociali che travagliavano la nazione e venne
arrestato e processato due volte, la prima per istigazione al regicidio, per, come si
direbbe oggi, apologia di reato, la seconda per detenzione d'armi. A 2l anni non ancora
compiuti, questo giovane asceta consacrato alla rivoluzione e agli algoritmi, così
ansioso di migliorare il mondo, ma cosi poco esperto dei suoi labirinti e delle sue
trappole, venne coinvolto in una « storia di donne ». Un amore, un rivale, un duello: si
compie, così, il suo destino.
Forse, come suppone Infeld, è tutta una trama della polizia per liquidare lo studente
contestatore e libertario. Una faccenda da « servizio segreto ». Ci imbattiamo, qui, in
una
delle più brucianti, e sconsolanti, contraddizioni del genio. Evaristo Galois, questo
atleta del pensiero, che anticipa i decenni, che vive progettando l'avvenire, è
miserevolmente
schiavo, come l'ultimo dei bellimbusti, delle convenzioni del suo tempo. Non può
sottrarsi al dovere di accettare una sfida a duello. Uomo del futuro, muore in nome degli
ideali del passato. La notte prima di recarsi al luogo del suo suicidio - Galois era
completamente, o quasi, inesperto di armi, mentre il suo rivale era noto come un tiratore
formidabile - egli decide di scrivere il proprio testamento scientifico. Ha una notte per
guadagnarsi l'immortalità, per continuare a vivere in quel domani, che lo presente,
finirà per capirlo. Scrive, per esteso quanto gli è possibile, le sue intuizioni
matematiche.
Questa lotta, di Galois contro il tempo, che gli sfugge, e contro l'oblio, per dare un
senso alla sua vita in articulo mortis, è una delle imprese più epiche, e patetiche, che
ci siano mai state raccontate. All'alba, la fatica di Sisifo è compiuta. Le sue
disposizioni testamentarie chiamano in causa tutti noi: ci ha lasciato in eredità la
teoria dei gruppi, universo incantato in cui si smarriranno, affascinati, i matematici del
Novecento e delle cognizioni così avanzate sugli integrali ellittici, che, come scrive
Colerus, « solo Riemann e Weirstrass riusciranno a interpretare ».
Handicappato da genio, prigioniero dell'etica esausta dì una società che non l'aveva
amato, e che non amava, Galois si incamminò verso quel luogo che era, per lui,
l'equivalente, come fuga da se stesso, dell'Africa arroventata dal sole di Rimbaud.
Un colpo di pistola gli risolse per sempre l'equazione algebrica di grado infinito della
vita. Indice
Pagina Indice Forum
AFORISMI
SULLA E CONTRO LA STUPIDITA' di Carl William Brown
La stupidità è un nemico del bene più pericoloso che la malvagità. Contro
il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la
forza; il male porta sempre con sé il germe dell'autodissoluzione, mentre lascia
perlomeno un senso di malessere nell'uomo.
Ma contro la stupidità siamo disarmati. Qui non c'è nulla da fare, né con proteste né
con la forza; le ragioni non contano nulla; ai fatti che contraddicono il proprio
pregiudizio basta non credere (in casi come questi lo stupido diventa perfino un essere
critico), e se i fatti sono ineliminabili, basta semplicemente metterli da parte come
episodi isolati privi di significato. In questo, lo stupido, a differenza del malvagio, è
completamente in pace con sé stesso; anzi, diventa perfino pericoloso nella misura in
cui, appena provocato, passa all'attacco.
Perciò va usata maggior prudenza verso lo stupido che verso il malvagio. Non tenteremo
mai più di convincere lo stupido con argomenti motivati; è assurdo e pericoloso.
Dietrich Bonhoeffer
Lo sostiene James Watson lo scienziato che assieme a Francis Crick mezzo secolo fa scoprì
il Dna. La stupidità è una malattia da curare con leugenetica. La stupidità è
una malattia e va curata. Non è causata né da bassi livelli di istruzione, né
dall'assenza di stimoli nell'infanzia: si nasconde nel profilo genetico dell'uomo. Si può
e si deve sconfiggerla rimuovendo il gene responsabile. Ad auspicare l'uso dell'ingegneria
genetica per la creazione di una razza umana dove tutti sono intelligenti è niente meno
che James Watson, l'uomo che assieme al collega di Cambridge Francis Crick 50 anni fa
scoprì il Dna...
I siriani immaginarono che l'uomo e la donna , creati nel quarto cielo, si azzardarono a
mangiare una focaccia, invece dell'ambrosia, che era il loro cibo naturale. L'ambrosia si
esalava attraverso i pori; mentre, dopo aver mangiato la focaccia, bisognava andare al
cesso. L'uomo e la donna pregarono un angelo d'insegnar loro dove si trovasse detto luogo.
Vedete, disse l'angelo, quel piccolissimo pianeta laggiù, a circa sessanta milioni di
leghe da qui? E' il gabinetto dell'universo; andateci subito. essi ci andarono, e ci
restaronoi. E da allora il nostro mondo è quel che è.
Voltaire
ASSIOMA
E' ciò che non ha bisogno di essere dimostrato perché troppo evidente. L'imbecillità
dei nove decimi degli uomini viventi non ha bisogno di essere dimostrata , dunque è un
assioma. da questo assioma si possono trarre parecchi corollari:
1) Che le idee degli uomini d'oggi sono imbecilli e per conseguenza da risputarsi; 2) Che
le azioni dei suddetti uomini sono inficiate d'imbecillità e per conseguenza contrarie
alla giustizia, alla verità, alla carità; 3) Che i figli di questi imbecilli, essendo
allevati e istruiti da padri imbecilli, diventeranno sempre più raffinatamente imbecilli;
4) Infine che i pochi intelligenti rimasti, essendo un'infima minoranza sono, secondo le
leggi della democrazia, nel torto, dunque sospetti, per conseguenza colpevoli e in quanto
sospetti e colpevoli degni della pena capitale.
Giovanni Papini D. Giuliotti
Dizionario dell'Omo Salvatico 1923
"Il cabacello senza cervello anteriore, vede, mangia e nuota come uno normale,
l'unico particolare aberrante nel comportamento è che non gliene importa niente se esce
dal branco e nessuno dei compagni lo segue. Gli manca quindi l'esitante riguardo del pesce
normale che, anche se desidera nuotare con tutta l'intensità in una determinata
direzione, già dopo i primi movimenti si volta verso i compagni e si lascia influenzare
dal fatto che alcuni lo seguano e quanti. Di tutto questo al compagno senza il cervello
anteriore non gliene importa assolutamente niente; quando vedeva qualcosa da mangiare o se
per qualsiasi altra ragione voleva andare da qualche parte, nuotava via con decisione, ed
ecco, l'intero branco lo seguiva. L'animale senza testa era diventato appunto, per via del
suo difetto, il capo indiscutibile."
Konrad Lorenz
La cosa più infernale di queste infernali imprese è che ciascuno di questi capi di
assassini fa benedire le proprie bandiere e invoca solennemente iddio prima di andare a
sterminare il suo prossimo.
Voltaire
Se si scorre la storia del mondo si vedono punite le debolezze, fortunati invece i grandi
criminali: e l'universo non è che una vasta scena di brigantaggio abbandonata alla
fortuna.
Voltaire
"Ci vogliono notai," diceva, "e preti, testimoni, contratti e
dispense." L'ingenuo gli rispose con la riflessione che i selvaggi hanno sempre
fatto: " Siete dunque gente parecchio disonesta se vi ci vogliono tante
precauzioni."
Voltaire
"Sezioniamo mosche", disse lo scienziato, "misuriamo meridiani, accumuliamo
cifre; e siamo d'accordo su due o tre argomenti che comprendiamo, ma discutiamo su due o
tre mila che non comprendiamo per nulla".
Voltaire
Tutti furono dalla sua parte, non perchè era sulla strada giusta, non perchè era
ragionevole, non perchè era amabile, ma perchè era il primo visir.
Voltaire
Il brav'uomo aveva qualcuno di quei libretti di critica, di quei fogli periodici in cui
uomini incapaci di produrre alcunché denigrano le produzioni altrui..."Mi
sembrano," diceva, "come quei mosconi che vanno a deporre le uova nel sedere dei
più bei cavalli: questo non impedisce ai cavalli di correre."
Voltaire
Che cosa deve un cane a un cane, e un cavallo a un cavallo? Niente, nessun animale dipende
dal suo simile....La miseria connessa alla nostra specie subordina un uomo a un altro
uomo; la vera sciagura non è l'ineguaglianza, è la dipendenza.
Voltaire
La carestia, la peste e la guerra sono i tre più famosi ingredienti di questo basso
mondo...Ma la guerra, che riunisce tutti questi doni, ci viene dall'inventiva di tre o
quattrocento persone sparse sulla superficie del globo sotto il nome di principi o di
governanti.
Voltaire
La nostra miserabile specie è fatta in modo tale che quelli che camminano sulle vie
battute gettano sempre pietre contro quelli che insegnano vie nuove.
Voltaire
Gli sciocchi ammirano ogni parola d'un autore famoso, io leggo per me solo, e mi piace
soltanto quello che fa per me.
Voltaire
Un milione di assassini irregimentati scorre l'Europa da un capo all'altro, praticando con
disciplina l'omicidio e il brigantaggio per campar la vita, questo essendo il più
onorevole mestiere che ci sia.
Voltaire
Si paga caro l'acquisto della potenza; la potenza instupidisce.
F.W. Nietzsche
In ogni luogo i deboli odiano i potenti dinanzi ai quali strisciano, e i potenti li
trattano come un gregge buono da lana e da carne.
Voltaire
L'oca è l'animale ritenuto simbolo della stupidità, a causa delle sciocchezze che gli
uomini hanno scritto con le sue penne. (Anonimo)
La musica è la miglior consolazione, già per il fatto che non mette in circolazione
altre parole. (E. Canetti)
Il potere di un'organizzazione sociale umana è tanto più forte, quanto maggiore è la
quantità di intelligenza che riesce a distruggere.
Pino Aprile
Non c'è nulla di così umiliante come vedere gli sciocchi riuscire nelle imprese in cui
noi siamo falliti.
Gustave Flaubert
Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio.
William Shakespeare
Uno sciocco trova sempre uno più sciocco che lo ammira.
Nicolas Boileau
Ci sono scemenze ben presentate come ci sono scemi ben vestiti.
Nicolas de Chamfort
Il mio direttore, quando andavo a proporgli un'idea che mi pareva brillante, mi ammoniva:
"Regola numero uno: ricorrere alle cose intelligenti, solo dopo aver esplorato le
infinite possibilità dell'ovvio". E quando decisi di prenderlo sul serio, capii che
aveva ragione.
Pino Aprile
Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu possa dirlo.
Voltaire
Feyerabend diceva che è lo scherzo, il divertimento, l'illusione a renderci liberi, non
la "verità"; anche perchè forse la "verità" non esiste, escludendo
ovviamente quella della stupidità.
Carl William Brown
La stampa si rasserenerà per forza: il nulla bisogna farlo, facendolo. La stupidità è
tutto ciò che c'è. Basta con l'ammicco: evviva la divina stupidità che è vicina alla
grazia.
Carmelo Bene
Si paga caro l'acquisto della potenza; la potenza instupidisce.
F.W. Nietzsche
La sicurezza del potere si fonda sull' insicurezza dei cittadini.
L. Sciascia
Il mondo purtroppo e' in mano agli stolti.
Talmud, testo ebraico.
Anche l'individuo piu' debole si consola con l'illusoria idea di essere, comunque, sempre
superiore a qulchedun'altro, e questo per il genere umano e' un grosso guaio.
Carl William Brown
L'essere umano sarebbe felice se tutto l'ingegno che gli uomini pongono nel riparare le
loro idiozie, lo impiegassero nel non farle.
G.B. Shaw
Niente è più difficile da vedere con i propri occhi di quello che si ha sotto il naso.
J.W. Goethe
Pensare di vincere attraverso la sconfitta, ecco il masochismo della specie umana, ecco
l'apoteosi della religione, ecco il trionfo della stupidità.
Carl William Brown
Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità non abbia saputo servirsi, essa
è pronta e versatile e può indossare tutti i vestiti della verità. la verità invece ha
un abito solo e una sola strada, ed è sempre in svantaggio.
R. Musil
Ogni minuto nascono più imbecilli che gente capace e si sa, il tempo fugge
inesorabilmente e non s'arresta un'ora e le passate cure e le future......
Carl William Brown
C'è una bella differenza fra la battuta umoristica e la stupidità, ma i nostri comici di
regime non la notano.
Carl William Brown
Il tiro peggiore che la fortuna possa giocare ad un uomo di spirito è metterlo alle
dipendenze di uno sciocco.
Giovanni Giacomo Casanova
Per perdere la testa, bisogna averne una!
Albert Einstein
Ci sono due specie di sciocchi: quelli che non dubitano di niente e quelli che dubitano di
tutto.
Charles-Joseph Ligne
Nelle persone di capacità limitate la modestia è semplice onestà, ma in chi possiede un
grande talento è ipocrisia.
Arthur Schopenhauer
E' difficile acchiappare un gatto nero in una stanza buia soprattutto quando non c'è.
Proverbio Cinese
Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il
contrario è del tutto impossibile.
Woody Allen
I ricchi fanno la beneficenza e la beneficenza fa i ricchi.
Carl William Brown
Quando alcune modelle non si lamenteranno più per il fatto di non riuscire a spendere i
soldi che prendono, forse la società diventerà più onesta.
Carl William Brown
Il Paradiso è sempre più pieno di Santi e la terra è sempre più piena di Pirla.
Carl William Brown
Alcuni grandi di grande hanno solo la presunzione.
Carl William Brown
La madre degli ignoranti è sempre in cinta e per di più non abortisce mai.
Carl William Brown
Se gli Atei non hanno il diritto di distruggere le illusioni, i religiosi non hanno il
diritto di crearle.
Carl William Brown
Forse le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki non sono state sufficienti....
Carl William Brown
Nel cammino dell'umanità, la maturità è pura e semplice vanità.
Carl William Brown
Una volta i medici non avevano bisogno di usare una grafia incomprensibile, la gente
infatti non sapeva leggere, poi....
Carl William Brown
La passione fa sovente un pazzo dell'uomo più abile e rende spesso abili i più sciocchi.
François de la Rochefoucauld
Le gerarchie si comportano in modo stupido, non perché siano tutti cretini coloro che ne
fanno parte, ma perché non possono, per questioni di funzionalità, agire diversamente.
In una burocrazia non è possibile "mettersi a fare gli intelligenti". Tutti i
sistemi gerarchici funzionano tendenzialmente allo stesso modo; i loro comportamenti
collettivi sono dettati da semplici regole generali. La più importante è questa: le
norme e le consuetudini vanno rispettate. Esiste un modo, e uno solo, di fare le cose; e a
quello bisogna attenersi.
Pino Aprile
Chiunque può sbagliare; ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore.
Cicerone
Secolo dopo secolo molte cose cambiano, ma la stupidità resta sempre uguale.
Carl William Brown
La letteratura rosa si nutre di se stessa e la trivialità è il suo escremento.
Carl William Brown
L'ignoranza con gli anni che ha dovrebbe essere moribonda e invece è sempre più arzilla,
questi miracoli !
Carl William Brown
I ricchi fanno l'egoismo e l'egoismo fa i ricchi, entrambi fanno la stupidità.
Carl William Brown
Il problema di certa gente è che pensa troppo e per di più pensa male.
Carl William Brown
Il regno dei cieli sarà vostro ! ma quando ? Gli ultimi saranno i primi ! ma quando ? Dio
vi ricompenserà ! ma quando ?
Dopo la fine del tempo ! No, dicevo, ma quando, quando la smettete di dire stupidaggini !
Carl William Brown
La mia massima aspirazione è quella di occuparmi degli handicappati ! Beh, allora avrai
molto da fare.
Carl William Brown
La Rochefoucault diceva che un uomo di spirito si troverebbe molto a disagio senza la
compagnia degli sciocchi. Se dunque vi trovate a disagio significa che non siete un uomo
di spirito, perché gli sciocchi sono ovunque.
Carl William Brown
La letteratura si nutre di se stessa, per questo talvolta capita che alcuni scrittori
fanno indigestione e vomitano un mare di scemenze.
Carl William Brown
Dagli storici, tutte le epoche sono chiamate di transizione. Bella forza !
Carl William Brown
Ritengo che l'intero globo sia sotto il dominio malefico dell'ignoranza, scrivo con il
preciso scopo di combatterla.
Carl William Brown
Un uomo intelligente si troverebbe spesso in imbarazzo senza la compagnia di qualche
sciocco.
François de La Rochefoucauld
Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un
delinquente.
Bertolt Brecht
"Non c'è pensiero importante che la stupidità non sappia utilizzare. La stupidità
è mobile in tutte le direzioni, e può indossare tutte le vesti della verità. La
verità, invece, ha una sola veste e una sola via, ed è sempre in svantaggio"
Robert Musil
Agli stupidi non capita mai di pensare che il merito e la buona sorte sono strettamente
correlati.
Johann Wolfgang von Goethe
Rispondere a stupide domande è più facile che correggere stupidi errori.
Anonimo
L'avarizia in età avanzata è insensata: cosa c'è di più assurdo che accumulare
provviste per il viaggio quando siamo prossimi alla meta?
Cicerone
Ci sono molti tipi di battute, almeno quanti sono i tipi di imbecilli.
Carl William Brown
Se i burocrati non ammettono l'ignoranza della legge, io non ammetto l'ignoranza dei
burocrati.
Carl William Brown
Dubitate dell'autorità dei leaders carismatici, quasi sempre infatti conduce allo
sfacelo.
Carl William Brown
Chi afferma che i ricchi che si dedicano alla politica ruberanno di meno proprio perché
già benestanti è come se affermasse che i drogati consumeranno meno stupefacenti proprio
perché già drogati.
Carl William Brown
Decise di non sposarsi e di non avere figli perché non voleva contribuire alla banale
riproduzione della specie. Alcuni dissero che non era una sua libera scelta, ma che vi era
stato costretto, al che rispose : " Per fortuna ".
Carl William Brown
La gente legge sempre meno e questo è l'evidente segnale che ha capito che per prenderlo
nel culo non serve essere colti.
Carl William Brown
Più che subordinato acriticamente alla produzione per la produzione l'uomo è subordinato
all'imbecillità per l'imbecillità, il che equivale forse all'arte per l'arte.
Carl William Brown
Così come i beni costituiscono la domanda di altri beni, l'ignoranza costituisce la
domanda, ovvero lo sviluppo, di altra ignoranza.
Carl William Brown
Benché il mondo non sia stato creato da scienziati, ingegneri, avvocati o burocrati vari,
da questi sarà certamente distrutto.
Carl William Brown
I consumatori ricercano la massima soddisfazione, i produttori il massimo profitto e i
lavoratori devono lottare contro il massimo sfruttamento.
Carl William Brown
L'adulazione è il cibo degli sciocchi; tuttavia, di tanto in tanto, gli uomini d'ingegno
condiscendono ad assaggiarne un po'.
Jonathan Swift
La vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepito e di furore ma senza
significato alcuno.
William Shakespeare
Si vive in un'epoca in cui solo gli ottusi sono presi sul serio, e io vivo nel terrore di
non essere frainteso.
Oscar Wilde
Si può essere saggio solo alla condizione di vivere in un mondo di stolti.
Arthur Schopenhauer
Unidea innaffiata dal sangue dei martiri non è detto che sia meno stupida di
unaltra. Gesualdo Bufalino
Meglio tacere e passare per idiota che parlare e dissipare ogni dubbio.
Abraham Lincoln
L'uomo ha raccolto tutta la saggezza dei suoi predecessori, e guardate quanto è stupido.
Elias Canetti
I saggi non hanno bisogno di suggerimenti. Gli sciocchi, non ne tengono conto.
Benjamin Franklin
Molte discipline sociali sono intrinsecamente viziate proprio perché partono dal
presupposto che l'uomo sia un essere razionale.
Carl William Brown
Gli altri ci sono fondamentalmente ostili e noi li odiamo, ma anche noi siamo gli altri
per gli altri.
Carl William Brown
Sin da quando il popolo ha conquistato il diritto di voto i burocrati si sono impegnati
per rendere i sistemi di governo sempre più stupidi e caotici e purtroppo ci sono
riusciti.
Carl William Brown
La libera concorrenza dovrebbe far abbassare i prezzi, ma evidentemente nel nostro sistema
televisivo questa teoria è stata ampiamente smentita visto che negli ultimi anni i
compensi degli imbecilli di turno hanno raggiunto cifre da capogiro.
Carl William Brown
Ricardo fu il primo che abituò la Camera all'analisi economica ed io spero di essere il
primo che l'abituerà all'analisi della stupidità. Spes ultima Dea.
Carl William Brown
Il re è senz'altro meno stupido di quelli che lo considerano un re.
L'impresa che continua a investire contro la morte alla ricerca del profitto è destinata
a fallire.
Carl William Brown
La televisione se da una parte aiuta senz'altro gli studiosi dell'ignoranza e della
stupidità, dall'altra contribuisce anche alla loro estinzione.
Carl William Brown
Quando avrete abbattuto l'ultimo albero, quando avrete pescato l'ultimo pesce, quando
avrete inquinato l'ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.
Proverbio Indiano
Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti
fanno banda contro di lui.
Jonathan Swift
Più l'uomo è stupido e meglio capisce il suo cavallo.
Anton Cechov
Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora
dei dubbi.
Albert Einstein
Quando Dio ha fatto l'uomo e la donna, non li ha brevettati. Così da allora qualsiasi
imbecille può fare altrettanto.
George Bernard Shaw
Cavolo: ortaggio familiare ai nostri orti e alle nostre cucine, grosso e saggio
all'incirca quanto la testa di un uomo.
Ambrose Bierce
L'ignoranza è temporanea, la stupidità è per sempre.
Anonimo
Dovetti scegliere tra morte e stupidità. Sopravvissi.
Gesualdo Bufalino
Oggi il cretino è pieno di idee.
Ennio Flaiano
Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono
pieni di dubbi.
Bertrand Russell
Così maldestro mi aggiro tra gli uomini che rischio di apparire sospetto.
Gesualdo Bufalino
La differenza tra un genio e uno stupido è che il genio ha dei limiti.
Carl William Brown
In politica la stupidità non è un handicap.
Napoleone I
Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che
non lo sa e la inventa.
Albert Einstein
La stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia.
Ennio Flaiano
Non sono stupido, solo mentalmente libero.
Anonimo
L'imbecille cade sulla schiena e si sbuccia il naso.
Proverbio Yiddish
Erano in tre e si doveva eseguire un lavoro; il più forte decise che avrebbe diretto le
varie fasi dell'esecuzione, il più furbo disse che avrebbe controllato il buon esito
dell'operazione e al più debole non rimase altro che iniziare.
Carl William Brown
Certi fenomeni non si possono spiegare se non facendo riferimento alla metafisica,
all'irrazionale, al caso, alla stupidità.
Carl William Brown
La memoria storica è fondamentale per l'uomo, serve a ricordargli che il suo cammino nel
tempo è pieno di fesserie.
Carl William Brown
Non esistono uomini di destra, di sinistra o di centro, ma esistono invece uomini stupidi
ed egoisti e veri filantropi i primi sono ovviamente la maggioranza.
Carl William Brown
La stupidità è senz'altro un virus molto contagioso e altamente infettivo, ma ahimè non
è mortale, anzi!
Carl William Brown
Studiare la stupidità significa studiare il passato, il presente ed il futuro; la
stupidità infatti non ha età, purtroppo è eterna.
Carl William Brown
L'amore è la saggezza dello sciocco e la follia del saggio.
Samuel Johnson
Al mondo non ci sono che due modi per fare carriera: o grazie alla propria ingegnosità o
grazie all'imbecillità altrui.
Jean de La Bruyère
C'è un'ignoranza da analfabeti e un'ignoranza da dottori.
Michel Eyquem de Montaigne
La somma dell'intelligenza sulla Terra è costante; la popolazione è in aumento.
Anonimo
Se hai il padre povero, sei sfortunato. Se hai il suocero povero, sei scemo.
Anonimo Indice Pagina Indice Forum
VIVERE PER RINCRETINIRE
di Pino Aprile
Presentazione di Sergio Zavoli al libro di
Pino Aprile Elogio dell'imbecille.
La persona scontenta, incattivita, aggressiva la si può placare con un po' di attenzione,
di tolleranza, di simpatia; ma provate a rabbonire l'imbecille, a trarlo dalle sue ferme,
persino inflessibili convinzioni, a insinuargli, mica tanto, un dubbio: solo in apparenza
spaesato, prenderà tempo per ricominciare a tessere, si fa per dire, il suo ragionamento
nell'ostinata idea che a non capire siate voi, pervicacemente protesi a scaricare su di
lui la vostra stessa imbecillità.
Lo avete mai visto all'opera? Quando non si sa - ed è questo il momento, secondo me, più
gravido di pericoli - che cosa stia pensando? "Non pensa niente!", si consolano
gli ingenui. Ma non è proprio ciò che più va temuto? L'idea, intendo dire, che un
pensiero già debole possa come svignarsela, bighellonare chissà dove, perdere il filo -
seppure un'inezia - di se stesso. Da un pensiero così ridotto quali danni dovremo
aspettarci quando il titolare lo richiamerà, diciamo, per rimetterlo in moto?
Sto riflettendo: forse il bietolone andrebbe accudito e persino coccolato, forse dovremmo
addirittura consentirgli di mettersi la testa sotto i piedi, se proprio intendesse
dimostrarci di poterne fare a meno. Credo che non lo si debba contrastare, insomma, se si
vogliono sfuggire conseguenze ancora più inquietanti; anche se nel frattempo, che so,
mette al mondo dei figli, li fa crescere, spiega loro la vita, decide di che cosa e come
parlare, magari della libertà, dell'amore, della morte, ma anche della malinconia o della
gioia, della paura o del sogno. O quando fissa il modo di pensare e di giudicare: da Bossi
a Dio, dall'infinito all'ora di pranzo, dalla gara spaziale alla partita a bocce; oppure
va a votare, e istruisce la moglie, i parenti, gli amici, in attesa di farlo anche con i
figli.
Per la statistica egli rappresenta la maggioranza, ma non è vero: interpreta l'umanità.
La quale, l'abbiamo appena appreso da alcuni scienziati americani, non nasce intelligente.
O, meglio, il tasso di intelligenza di una persona sarebbe ereditato solo per un terzo,
tutto il resto si acquisisce. Come? Confrontandosi con la vita; perché si cresce, in
fondo, grazie ai problemi che siamo costretti a risolvere. Primo fra tutti quello
dell'intelligenza o, se preferite, dell'imbecillità. Non è, badate, una cattiva notizia;
l'idea che Michelangelo possa avere avuto, in tenera età, la testa di Esposito Gennaro, o
di Brambilla Ambrogio, produce grandi consolazioni e alimenta enormi speranze. Ma
soprattutto induce a doverose prudenze: il primo imbecille che incontri, infatti, un
giorno potrebbe affrescare il Giudizio Universale della Cappella Sistina o scolpire la
Pietà. Se tutto questo fosse vero, se cioè la scienza riuscisse a provarci che
l'imbecillaggine ha abitato in ciascuno di noi fino a quando non l'abbiamo più o meno
sgominata mettendole contro, pian piano, l'intelligenza, dovremmo accettare per buona una
ipotesi di fronte alla quale, già adesso, nessuno si ritrae: tutti, a veder bene, siamo
migliori della nostra fama. E forse, proprio per questo, un po' più uguali: Fino ad
accogliere, nella media, anche l'ignaro protagonista del libro.
Sergio Zavoli
"La nostra specie" sostiene lo scrittore tedesco Ernst Jonger, "soffre di
ipertrofia delle funzioni intellettive, ha perduto ogni armonia con le forze
naturali." La stupidità ristabilisce l'equilibrio. Ecco allora che il numero degli
esseri umani aumenta, mentre la massa cerebrale degli individui resta stabile, o
addirittura diminuisce (c'è qualcosa di serio nella legge di Murphy che dice:
"L'intelligenza è una costante, la popolazione in aumento"). In questa tendenza
al ribasso è ancora riconoscibile la Prima legge, attraverso il suo corollario. Meglio
scemi che morti. Se, quindi, la nostra specie tende alla stupidità, il giudizio
sull'imbecille va rivisto: piuttosto che tardo, è un anticipatore; non capisce niente, ma
è già pronto per il futuro. Il genio che comprende tutto, invece, non si è,
paradossalmente, accorto che la sua stessa intelligenza è un vecchio arnese, ormai
sorpassato. E pericoloso.
Pino Aprile
Vivere per rincretinire
" Per avvalorare la sua tesi, lei ricorda un momento drammatico nella storia della
nostra evoluzione. Non me ne sfugge l'importanza. Ma non ritengo che sia sufficiente a
provare quel che lei dice, il fatto che la selezione naturale, in una fase del percorso
evolutivo dell'homo sapiens, abbia avuto come risultato una riduzione della capacità
cerebrale; se questo non fosse avvenuto, l'essere umano sarebbe stato condannato
all'estinzione! La mortalità infantile altissima avrebbe ridotto paurosamente, e forse
addirittura compromesso in modo definitivo, le possibilità di sopravvivenza dei nostri
progenítori.
Su questo posso essere d'accordo con lei. Ma non per le sue stesse ragioni. Al contrario,
dal punto di vista della selezione naturale (e della continuità della specie) la
riduzione sensibile della capacità cerebrale è stata un vantaggio. Una scelta vincente.
Ma anche per lo sviluppo delle nostre doti intellettuali è stata utile. Perché alla
indubbia (e notevole, sia in percentuale sia in termini assoluti) contrazione
quantitativa, si è accompagnato un costante incremento qualitativo. Anzi, la progressione
stessa di questa crescita è andata aumentando. E lo sviluppo dell'intelligenza umana ci
ha condotto alle impressionanti innovazioni tecnologiche degli ultimi due secoli (un
periodo estremamente breve, nei tempi dilatati dell'evoluzione). Le nostre doti
intellettuali sono lievitate, nonostante l'immutato peso del cervello.
È certamente vero che la differenza tra l'essere umano e le scimmie antropoidi si misura
prima di tutto in termini di volume cerebrale; perché questo è il solo parametro davvero
oggettivo. Ma non è l'unico; ve ne sono altri basati su approfonditi studi del
comportamento, delle capacità mentali e del loro uso; e tutti confermano la distanza che
ci separa dalle specie biologicamente a noi prossime.
E non si tratta solo di biologia, natura; nella sostanza, l'abisso tra noi e le scimmie
antropoidi, come il gorilla e lo scimpanzé, è culturale. Ancora una volta, il punto non
è la quantità di cervello, ma il modo in cui lo si adopera.
Rimane, nella sua apparente banalità, un punto indiscutibile: l'uomo è tale, perché è
dotato di intelligenza. E l'intelligenza umana è del tutto particolare. Nessun animale ha
le nostre facoltà.
Gli argomenti del professore erano sensati. È vero che non si può ridurre la differenza
tra l'essere umano e le scimmie antropoidi a un problema di cubatura cranica; resta
comunque il fatto che questo parametro è più importante di quanto solitamente si sia
disposti a riconoscere. E che la selezione naturale, riducendo drasticamente la nostra
capacità cerebrale, ci abbia salvati dall'estinzione, è esattamente quanto sostenevo.
Ma il professore, nella sua replica, non aveva discusso il punto centrale del mio
ragionamento. La salvezza della nostra specie, fino all'uomo di Neanderthal, si era
identificata con l'aumento delle capacità intellettuali; in seguito aveva invertito
bruscamente la tendenza. Il volume cerebrale aveva smesso di crescere e, anzi, si era
ridotto di molto. Concesso che l'intelligenza non coincida con la capacità cranica,
questa ne è pur sempre, e inconfutabilmente, l'indicatore più importante, l'unico
oggettivo, da cui dovremmo partire. Solo cosi potremo scoprire i meccanismi attraverso i
quali il nostro genio viene potato.
Per rincretinirci, salvarci e impedire che ci estinguessimo, lo spirito di conservazione,
tramite la selezione naturale, ha infatti disseminato, sul cammino della nostra specie,
valvole riduttrici dell'intelligenza. Esse governano la corsa al ribasso della nostra
capacità cerebrale.
Valvola numero 1, o del massimo.
È la più gravida di conseguenze, quella rivelatasi determinante nel corso del nostro
lungo processo evolutivo; ha stabilizzato, contraendola, la quantità massima di materia
grigia che può essere ospitata nel nostro cranio. Questa valvola si identifica, in
sostanza, con la strettoia pelvica (se fosse più ampia, si disarticolerebbe l'anca e le
donne non potrebbero più camminare); un nascituro dal cranio troppo sviluppato non
riuscirà a passare attraverso l'apertura pelvica materna, se non mettendo a repentaglio
le sue possibilità di sopravvivenza e la vita stessa della madre. Si impedisce, in questo
modo, che l'ampliamento del nostro cervello prosegua senza limiti, rivelandosi distruttivo
(come nel caso dell'uomo di Neanderthal).
La nostra capacità cranica è pertanto ferma, ormai da decine di migliaia di anni, a una
media di 1.350 centimetri cubici, più o meno. E anche se l'intelligenza non si misura a
grammi, quello quantitativo rimane il criterio in base al quale abbiamo costruito le scale
dell'evoluzione, con in cima le specie più dotate di cervello. Allo stesso modo,
abbiamo tracciato la linea di demarcazione tra noi e le grandi scimmie. Sotto una certa
capacità cranica non si è più uomini, ma scimpanzé, gorilla; si è Cita e non più
Tarzan. E dobbiamo ammettere che noi siamo molto più vicini a quel limite, di quanto non
lo fosse l'uomo di Neanderthal. Proprio perché a lui il riduttore, la valvola del
massimo, mancava; e ne morì. La nostra salvezza è dipesa, con tutta probabilità, dalla
conquista di quel limite. L'incapacità di dire "basta", di porsi un freno, è
tipica dell'infanzia. In tal senso, noi rappresentiamo la "maturità" della
specie.
Valvola numero 2, o del minimo.
Tende a rimpicciolire sempre di più la dote relativa di cervello posseduta al momento
della nascita. I nostri progenitori, come oggi le scimmie antropoidi, venivano alla luce
con una quantità di materia grigia pari circa alla metà dello sviluppo massimo da
adulti. Negli uomini moderni invece il cervello del neonato è, in proporzione, circa un
quarto di quello dell'adulto. Questa drastica riduzione dovette verificarsi attorno alla
fine del periodo neanderthaliano, sostiene il professor Collins. La ragione è evidente: i
nascituri con la testa più piccola permettevano un parto meno traumatico, avevano
maggiori possibilità di sopravvivenza e non ponevano in pericolo la vita della madre;
avevano, insomma, più chances di farcela.
Da un certo punto di vista, questo significa che l'uomo moderno, rispetto ai suoi
progenitori, ha uno sviluppo cerebrale maggiore, dalla nascita all'età adulta. Che il suo
cervello, in proporzione, cresce di più; che il bambino, per diventare un esemplare
maturo della sua specie, deve subire più cambiamenti rispetto al piccolo scimpanzé, al
piccolo gorilla e agli ominídi pre-neanderthaliani.
Ma moltissime malattie, o semplici disgrazie, possono bloccare, del tutto o in parte, la
crescita del cervello nel neonato e nell'infante; un piccolo di Neanderthal in un caso del
genere avrebbe comunque conservato, da adulto, più materia grigia di un bambino di oggi.
Ma un nascituro con la testa più piccola ha maggiori possibilità di sopravvivenza; e per
garantire il futuro della specie conta solo questo. Da qui derivano due potenti conferme
della Prima legge: l) l'evoluzione preferisce un cretino vivo a un genio morto; 2) per
darci vita, chiede in cambio cervello.
Valvola numero 3, o sommatoria del massimo e del minimo
La combinazione delle prime due valvole produce un effetto che va addirittura al di là
della loro semplice somma, racchiudendo in un percorso obbligato il destino della nostra
specie. L'evoluzione dei nostri progenitori, nella corsa all'intelligenza, aveva
conquistato una dotazione cerebrale ragguardevole per i soggetti adulti, metà della quale
era già disponibile alla nascita. In questo modo, era assicurata subito una buona
quantità
minima di materia grigia, mentre quella massima sembrava destinata solo a crescere. La
regola (se una vogliamo trarne) era: "Il minimo non può diminuire; il massimo può
aumentare".
Ma l'uomo di Neanderthal scoprì, a sue spese, che esisteva un limite non superabile,
oltre al quale l'intelligenza (la capacità cerebrale) non era più d'aiuto e, anzi,
diventava un fattore decisamente negativo. A quel punto del nostro cammino evolutivo, si
definì la valvola del massimo. Quella del minimo perfezionò il processo, con la
progressiva
riduzione del volume cranico alla nascita. Oggi, per la combinazione di queste due
valvole, la regola che guida la nostra evoluzione risulta essere stata capovolta; la nuova
è: "Il minimo può diminuire; il massimo non può aumentare". Giusto il
contrario di prima.
È evidente come ciò tenda a spingere verso il basso il nostro sviluppo cerebrale.
Altri potenti fattori fisiologici capaci di ridimensionare le nostre facoltà mentali
divengono particolarmente attivi soprattutto negli ultimi decenni della vita umana. E
hanno, ormai, tale rilevanza da aver acquisito un peso notevole anche nelle statistiche
sociali, per via dell'innalzarsi della vita media e dell'aspettativa di vita, specie nei
paesi più ricchi.
Il primo di questi riduttori (primo, se non altro, in ordine cronologico) è l'insulto
ipossico, a causa del quale, il fatto stesso di nascere comporta una potatura del
cervello. La prima cosa che facciamo, nel venire alla luce, è rincretinire (qualcuno
direbbe: "Chi ben comincia..."). L'insulto ipossico non è altro che una
temporanea mancanza d'aria: dal momento in cui il cordone ombelicale viene reciso a quello
in cui emette il primo vagito, il neonato non riceve più ossigeno tramite la madre e non
è ancora in grado di procurarsene da solo, con il proprio apparato respiratorio. Tra gli
altri effetti, questo brevissimo, ma fatale, intervallo asfittico provoca lo sterminio di
una certa quantità di cellule neuronali: non meno di 200 o 300 milioni. La cifra non è,
in percentuale, molto alta su un totale di parecchi miliardi; ma si tratta pur sempre di
un trauma che raccorcia le capacità intellettive del neonato. Nel caso di parti
difficoltosi, la temporanea mancanza d'aria può durare troppo, sino a compromettere senza
rimedio il cervello del bimbo, che resta demente. Otto handicappati su dieci sono tali
proprio per le conseguenze dell'insulto ipossico. Soltanto la nostra dote cerebrale viene
tosata alla nascita. Nessun altro organo subisce amputazioni. E la nostra prima
esperienza: non abbiamo ancora cominciato a gonfiare i polmoni, che già ci viene svuotata
un po' la testa.
I tessuti che formano il cervello sono i più deperibili di tutto il corpo. Si sviluppano
molto rapidamente nei primi cinque anni di vita; poi continuano a crescere, ma a un ritmo
sempre più lento, fino ai vent'anni. Una volta raggiunti i livelli massimi, inizia il
deperimento, prima quasi impercettibile (dai vent'anni in poi muoiono da 50 a 100 mila
cellule cerebrali al giorno: circa 2 mila-4 mila all'ora); poi sempre più veloce,
inarrestabile, verso la demenza senile. Non tantissimi millenni fa, la durata media della
vita era compresa fra i venti e i trent'anni, ed è aumentata molto lentamente. All'età a
cui oggi ci si scopre "giovanilisti", nell'antichità classica (e tuttora nelle
società arcaiche) si era considerati vegliardi, circondati da un alone di rispetto, di
sacralità. Il vaneggiamento del demente senile era venerato come un oracolo: "Un dio
lo possiede", mormoravano compunti gli antichi del vecchietto (appena oltre gli
"anta"), ormai rimbambito. La demenza senile non era un morbo, ma un trofeo di
cui gloriarsi; riuscire a invecchiare, tanto da finire rincitrulliti, voleva dire sfidare
il destino, approssimarsi agli dei, e i nomi di chi ne era capace venivano conservati come
una speranza per tutta l'umanità.
Oggi, invece, nei paesi più industrializzati l'aspettativa di vita si aggira attorno agli
ottant'anni (e tende ad aumentare); l'età media si alza sempre di più e i dementi senili
si contano a decine di milioni. Sono soprattutto i paesi ricchi i più interessati al
fenomeno, perché i bassi indici di natalità e la pronunciata longevità concentrano una
percentuale rilevante della popolazione nelle fasce di età (sopra i 70-75 anni), in cui
la stupidità indotta dall'invecchiamento non è più un rischio, ma una certezza
statistica. La proporzione fra reddito pro-capite, aspettativa di vita e decadimento
cerebrale è così stretta, che il tasso di demenza senile di un paese potrebbe essere
derivato dai dati sulla ricchezza media.
In questo modo, la longevità, che sembrerebbe una meta ambita, una buona
"scelta" dell'evoluzione, si rivela un'arma per diminuire l'intelligenza: una
valvola genio-riducente.
La stessa funzione viene esercitata dalla vera peste del nostro tempo, che non è l'AIDS,
ma il morbo di Alzheimer, un male che intacca e distrugge le cellule cerebrali. Le
infermità sono fra gli strumenti principali di cui la selezione naturale dispone, per
determinare il processo evolutivo e indirizzare il cammino delle specie animali (e
vegetali). L'esempio più eclatante è quello delle epidemie: quando una popolazione è in
eccesso rispetto all'ambiente, tanto da rischiare di non avere più un futuro, interviene
spesso una forma epidemica, per sfoltire sensibilmente il numero degli individui e dare,
così, un avvenire ai sopravvissuti e alla loro progenie.
La funzione dell'Alzheimer è quella di contenere il potere intellettuale complessivo
della specie umana, provocando il rimbambimento di un numero crescente di individui.
Colpisce i neuroni e non a caso, ma in particolare quelli dove si localizzano la memoria,
le funzioni del linguaggio e del pensiero astratto. Cioè, proprio le attività che più
ci caratterizzano come uomini, distinguendoci dagli altri animali. Con il morbo di
Alzheímer, la natura pota l'intelligenza umana e ne mortifica la specificità, il suo
essere tanta e unica. Questo male venne individuato nel secolo scorso, quando sia l'età
media che l'aspettativa di vita alla nascita erano ancora tanto basse, perfino nei paesi
più avanzati, da farne poco più di una curiosità medica. Oggi, appena un secolo dopo,
il morbo di Alzheímer è responsabile di un caso di demenza senile su due; ne sono
vittime il 3-4 per cento degli anziani dai 60 ai 74 anni, il 20 per cento di quelli fino
agli 84, e addirittura il 47 per cento di quelli con oltre 85 anni. Il che vuol dire che
almeno un vegliardo su due è rimbambito dall'Alzheimer. E, ancora una volta, si conferma
la regola secondo cui, persino a livello di singoli individui e non di specie, più vita
comporta un prezzo: meno cervello.
Chi evita queste malattie, rischia di rincitrullire per altre cause: per problemi
neurologici di diversa natura, per la conseguenza di piccoli infarti, di traumi, del morbo
di Parkinson e di numerose condizioni patologiche tipiche dell'età senile. Già alla fine
degli anni Settanta, da un convegno a Stresa, cui parteciparono tutti i migliori geriatri
del mondo, venne questo allarme: "La società di domani sarà ad alto rischio
demenziale". Quel domani è oggi.
Tanti anziani meravigliosi onorano il genere umano con l'acume delle loro menti e la
grandezza del loro cuore; ma è indubbio che, dopo una certa età, rimbecillirsi è molto
più facile. E sono proprio queste fasce d'età, oggi, a far registrare la più forte
crescita percentuale. Con l'eccezione dei paesi dove il problema della fame e le
condizioni igienico-sanitarie sono più drammatiche, il numero degli anziani aumenta con
tassi di incremento sempre maggiori. Nei paesi più ricchi questo è ormai un problema
sociale. Si dice, così, che "il mondo invecchia". "E diventa più
stupido", bisogna aggiungere.
Solo negli Stati Uniti, vi sono quasi quattro milioni di persone affette dal morbo di
Alzheimer. E come se non bastasse, l'età in cui la malattia si manifesta tende ad
abbassarsi.
Ritengo ce ne sia abbastanza per poter riassumere quanto fin qui detto, in un enunciato,
la Seconda legge sulla fine dell'intelligenza: L'uomo moderno vive per rincretinire.
Tratto dal libro Elogio dell'Imbecille di Pino Aprile - EDIZIONI PIEMME 1997 Indice Pagina
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PERCHE' IL CAPO E'
UN IMBECILLE di Pino Aprile
" Le sue considerazioni sono interessanti; cercherò di esaminarle una per una, in
modo da poter dedicare loro la dovuta attenzione.
Non voglio soffermarmi a lungo sulla immorale idea di violentare la natura in quanto
questa ha di più sacro e meraviglioso: il processo di generazione. Io sono profondamente
convinto che taluni procedimenti naturali non siano altro che la concretizzazione di una
legge
morale, di un principio etico tanto alto, che forse ci sfugge nella sua interezza.
Siamo ora arrivati a quello che fu il punto centrale della sua conversazione col caro
Konrad Lorenz, secondo quanto lui stesso mi raccontò. Lo straordinario sviluppo
dell'intelligenza umana avrebbe avuto, come conseguenza estrema, quella di deprimere se
stessa, di rendersi superflua. Questo era il senso di tutto il discorso, che non
riassumerò, dato che è ormai sufficientemente chiaro, tanto a me quanto a lei.
Ma insisto: tutto ciò mi sembra quantomeno discutibile. È senza dubbio vero che le
conquiste dell'intelligenza umana, messe a disposizione di tutti dalla vita sociale e
dalla cultura elaborata nel tempo dalla comunità, danno già la soluzione di molti
problemi, concreti
o astratti. Ma le difficoltà, gli interrogativi non costituiscono un insieme finito; al
contrario, non si esauriscono mai, sono un universo senza limite. Affrontato e risolto un
quesito, se ne presenterà un altro, e così via.
In sostanza, all'intelligenza umana non mancheranno mai occasioni di esercitarsi, perché
si troverà sempre di fronte a nuove sfide, ad altre domande. Di più, gli enigmi già
superati saranno lo stimolo a cercarne altri.
Sono convinto che l'intima nostra natura stia nella sua razionalità; in parole povere,
l'essere umano è tale, perché si serve in continuazione, in tutta la sua vita,
della propria intelligenza. Molto semplicemente, non può farne a meno; è la sua essenza.
Per questo io sono persuaso che il nostro genio non finirà; nel momento in cui non fosse
più la nostra caratteristica fondamentale, cesseremmo di essere quello che siamo e
torneremmo a essere delle bestie.
Lei ha appena sfiorato una questione vitale: il problema dell'anima. Generalizzando un
poco, è evidente che in tutti i sistemi di pensiero, in ogni religione, in tutte le
filosofie, domina una concezione dualistica dell'uomo. L'essere umano sarebbe composto di
una parte materiale e di una spirituale. Quella materiale è la sede degli impulsi che
più ci avvicinano agi animali (o agli altri animali, come direbbe, giustamente, lei); la
parte spirituale governa le attività che sono caratteristiche, se non esclusive,
dell'essere umano, come la riflessione. Questa duplicità è stata vista come il confronto
tra l'anima e il corpo, o tra parti diverse dell'anima.
Non mi sembra che costituisca una buona prova di quanto da lei sostenuto; e, anzi,
dimostra che l'uomo è sempre stato consapevole di essere un animale molto particolare, e
di avere qualcosa di unico: appunto, l'intelligenza.
Certo, non posso che convenire con lei almeno su un punto: nel mondo c'è un numero di
imbecilli che non cessa di sorprendermi. Questa situazione è resa ancor più interessante
dal fatto che molti, tra questi, occupano posizioni di prestigio e di notevole potere, per
cui esercitano una grande influenza sulla vita dei loro simili. Anch'io ho cercato di
spiegarmi non solo perché ci siano tanti stupidi, ma perché riescano a fare delle
eccellenti carriere.
La risposta, a mio parere, sta nella debolezza umana, e nell'uso insufficiente
dell'intelligenza. Riprenderò l'esempio da lei avanzato. Il successo di un uomo politico
imbecille si spiega col fatto che, in un modo o nell'altro, ha saputo lusingare i lati
deboli dei potenti e delle masse. E che, proprio per la sua stupidità, viene ritenuto non
pericoloso e più adatto a ricoprire incarichi che una persona di genio gestirebbe con ben
altra autorità. Non c'è bisogno di invocare la fine dell'intelligenza!"
Il vero problema, nel mio dialogo epistolare con il professore, era che, come molte
persone di grande talento e profondità, mi sembrava stentasse a rendersi davvero conto
delle proporzioni immani assunte dall'imbecillità umana.
Non che la negasse, o che volesse a tutti i costi sottostimarla; uomo esperto del mondo,
si rendeva perfettamente conto di come il pianeta fosse popolato da idioti.
Ma continuava a voler spiegare la stupidità e i suoi effetti come un incidente di
percorso, magari macroscopico, ma pur sempre, solo un intoppo lungo il felice cammino
dell'intelligenza.
Questa logica, in sostanza, rifiuta di affrontare il cuore del problema; e così faceva
anche il professore, che alle mie considerazioni sulle cause strutturali, rispondeva
cercando di spiegare i meccanismi grazie ai quali l'imbecillità riesce a propagarsi. Per
di più, il professore era così onesto, che non potevo accusarlo dell'errore comune a
tanti saggi che, secondo quanto ne dice Robert Musil nel suo Discorso sulla stupidità,
"evitano di studiarla, nel timore di essere confusi con l'argomento".
In effetti, se nessuno, almeno credo, aveva mai analizzato davvero il problema
dell'imbecillità, chiedendosi da dove questa derivi, molti si sono dedicati allo studio
dei meccanismi che ne assicurano la diffusione, facendo sì che gli stupidi riescano a
influenzare profondamente la vita di tutto il genere umano (compresi gli intelligenti).
Uno dei più noti moltiplicatori di imbecillità è il cosiddetto principio di Peter (da
colui che a suo tempo lo individuò, Lawrence Peter), che recita: "In qualsiasi
gerarchia, ognuno tende a essere promosso, finché non raggiunge il suo livello di
incompetenza; pertanto, ogni incarico è destinato a finire nelle mani di un
incapace".
Si tratti di strutture aziendali, culturali, politiche, religiose o altro, la regola non
cambia.
Il principio di Peter opera secondo un meccanismo logico abbastanza semplice. Chi entra in
un sistema gerarchico e svolge bene il proprio lavoro, di solito "fa carriera":
sale sul gradino superiore nella scala. Se anche in quella posizione si dimostra
efficiente, è ragionevole pensare che sarà ancora promosso. E così via. A questo modo,
occupa livelli sempre più elevati, di maggiore responsabilità; ma le complicazioni
crescono di pari passo e aumentano la qualità e la quantità dell'impegno e delle doti
richieste. Fino a quando il nostro uomo ottiene un incarico con un grado di difficoltà
superiore alle sue capacità.
A quel punto, si rivela inefficiente, e la sua carriera si arresta. Attenzione: non verrà
degradato, retrocesso a una posizione adeguata alle sue doti. Continuerà a occupare il
posto che ha fatto emergere la sua natura di incapace e per il quale si è dimostrato
inadatto.
Questo principio ebbe un grande successo. Ma ha un difetto: è fondato sul presupposto
della razionalità. Voglio dire: parte dall'idea che, in una gerarchia, i comportamenti
umani, almeno fino a un certo punto, siano ispirati a criteri ragionevoli. È in base a un
principio intelligente (secondo Peter) che viene promosso il migliore, anche se verrà il
momento in cui si rivelerà un imbecille. Ma fino ad allora, il meccanismo obbedisce a
regole logiche. Non sei scemo, operi bene, e vai avanti; quando ti scopri incapace, la tua
corsa finisce.
Ma le cose non stanno così. Gli sforzi per spiegare il diffondersi dell'imbecillità non
riescono a cogliere il vero interrogativo, che è questo: come mai, nonostante il dilagare
della stupidità il mondo va a gonfie vele? Se le organizzazioni umane si reggessero
davvero sull'operato dei migliori, ma fossero regolate dal principio di Peter (quindi
dominate, sia pure a causa di un sistema perverso, dagli incompetenti) tutto dovrebbe
andare a rotoli. Al contrario, il mondo funziona, non siamo alla catastrofe, né con tutta
probabilità ci arriveremo prossimamente.
Allora: come è possibile che la società continui il suo cammino nonostante l'aumento
della stupidità? C'è una sola risposta possibile: l'intelligenza non è (più)
necessaria per far marciare il mondo: l'imbecillità sa farlo altrettanto bene. E persino
meglio.
Questo è esattamente quanto cercavo di chiarire al professore. Il cretino non solo non ha
una funzione negativa, ma anzi ha assunto un ruolo salvifico: la sopravvivenza della
nostra specie di pende ormai dall'imbecillità, come un tempo dal l'intelligenza.
Le persone di genio si rifiutano di concepire e di accettare questa verità. Per loro è
semplicemente impossibile pensare che l'essere umano debba diventare stupido per poter
avere un futuro. Vedono l'essenza della nostra specie nelle sue doti intellettuali; e
anche quando si rendono finalmente conto delle proporzioni assunte dall'imbecillità, si
ostinano a considerarla un fatto deleterio e accidentale.
L'errore è dare, sulla stupidità, un giudizio etico o estetico. Essa va considerava
"tecnicamente", alla pari dell'intelligenza, come uno degli strumenti di cui
l'evoluzione può disporre. Se l'imbecillità avesse un valore negativo per la nostra
specie, i casi sarebbero due: o ci saremmo estinti da un pezzo, o non ci sarebbero più
cretini. Una caratteristica nociva così diffusa, infatti, porta alla sicura estinzione,
oppure viene corretta dalla natura. La specie umana, al contrario, è lungi dallo
scomparire e la stupidità continua a espandersi. Non c'è altra conclusione che questa:
l'imbecillità è necessaria alla sopravvivenza della nostra specie, per quanto possa dar
fastidio agli intelligenti rimasti.
Le nostre comunità sono strutturate in base a principi gerarchici: più o meno vistosi,
più o meno brutali, comunque presenti. E le burocrazie tendono a diffondere stupidità
(lo abbiamo sempre sospettato; ora sappiamo perché; fra poco vedremo come). Se davvero
l'imbecillità avesse una funzione distruttiva, le società umane sarebbero al collasso:
invece godono ottima salute e si moltiplicano.
Evidentemente, è proprio la stupidità che sostiene le strutture sociali e ne garantisce
il futuro. Le burocrazie, dunque, contrariamente a quanto male si pensa di loro, hanno una
funzione positiva, non malgrado, ma proprio perché accrescono il numero e il potere dei
cretini.
La gerarchia è lo strumento che l'evoluzione ha inventato per raggruppare i sapiens
sapiens e costringerli alla demenza. Se la guerra, espressione dell'aggressività umana,
raduna i migliori della specie per sterminarli, il sistema burocratico, espressione del
nostro istinto sociale, mette assieme i cervelli e li spegne: è la continuazione della
lotta all'intelligenza, condotta con altri mezzi.
Lavoro in un gruppo editoriale. Anni fa, cominciarono a verificarsi dei furti nelle
redazioni dei periodici di proprietà dell'azienda. I derubati non la presero bene, e si
lamentarono dell'insicurezza della nostra sede: un palazzotto d'epoca nel centro di Roma.
Il sindacato ritenne utile far osservare che, in uffici in cui i ladri entravano
impunemente, anche altri avrebbero potuto presentarsi senza invito. Ed eravamo nella
stagione più calda
del terrorismo.
L'editore fece finta di non sentire. Ma la protesta, per abitudine, continuò ad apparire
nei comunicati sindacali, soprattutto quando scarseggiavano altre possibili lamentele.
Anni dopo, quando la minaccia del terrorismo era ormai solo un ricordo, fu annunciato,
"per
motivi di sicurezza", il trasferimento delle redazioni in ambienti più sicuri. La
nuova sede si trovava in una delle zone più malfamate di Roma, infestata da ladri,
barboni, spacciatori di droga, prostitute e loro irascibili protettori.
Non si era trovato niente di meglio, ci dissero.
Ma ci venne garantito che i nostri uffici sarebbero stati una vera fortezza: porte
blindate ad apertura elettronica, telecamere da ispezione in ogni locale (sperammo che
almeno i bagni fossero esclusi), vigilantes in portineria.
Per poter penetrare nel maniero era necessaria una tesserina magnetica, con la nostra
foto. A chi la dimenticava, veniva impedito l'ingresso. Questo generò una serie di liti e
proteste che portarono a un correttivo. Chi si fosse trovato sprovvisto della tesserina
magnetica doveva depositare un documento in portineria e gli sarebbe stato dato un
lasciapassare, previa identificazione da parte della guardia giurata.
Che ci conosceva tutti benissimo; ma la prassi doveva essere quella. Con un problema. Di
solito, i documenti vengono custoditi insieme alle carte di credito e alle tesserine
magnetiche, nel portafogli o nell'agendina. Così, a molti capitava ancora di non riuscire
a entrare in ufficio.
L'accesso era stato reso difficile, e in certi casi impossibile, a noi, che eravamo le
persone da proteggere. Le cose andarono diversamente con gli ospiti indesiderati. In pochi
giorni, una collega fu aggredita da uno scippatore, un fotoreporter derubato della costosa
attrezzatura, il mio ufficio venne svaligiato, la cassaforte aperta. L'allarme non
funzionò.
Nel frattempo, un barbone elesse a propria residenza la tettoia all'ingresso del palazzo;
poco male, se non fosse stato per l'angolo accanto al portone, destinato a servizi
igienici. Ma la circostanza sembrava non dare fastidio ai drogati che ci si rifugiavano,
per contrattare o iniettarsi la dose.
Qualcuno si decise, dopo lunghe discussioni, a inviare una lettera aperta all'azienda,
suggerendo una proposta che cercava di conciliare libertà e prudenza: le guardie
all'ingresso avrebbero lasciato entrare i dipendenti (anche sprovvisti di tesserina di
riconoscimento) e agli estranei avrebbero dovuto chiedere chi erano e cosa volevano.
L'idea apparve sospetta. I top manager disposero discrete indagini sull'agitatore, per
arrivare a stabilire che era uno che "dava fastidio". L'incauto venne avvisato
che si metteva in cattiva luce.
Alla fine egli, vile o saggio, decise di ignorare le stupidaggini che gli accadevano
attorno. Lo fece sapere in giro, e si prese atto con soddisfazione che aveva messo la
testa a posto.
Mesi dopo, l'allora grande capo della nostra azienda annunciò di aver risolto
definitivamente il problema. Le guardie armate avrebbero concesso ai dipendenti di entrare
anche senza documenti; gli estranei sarebbero stati ammessi solo previa identificazione.
L'azienda in cui lavoro non è peggiore di altre: né quel dirigente un cretino, anzi era
stimato uno dei più abili. E allora?
Questo episodio mi sembra un ottimo esempio di come funziona la società umana, con le sue
strutture gerarchiche. Tutti possono riferire di esperienze che hanno visto trionfare
l'imbecillità, persino dove e quando si trattava di questioni molto serie.
Il mio direttore, quando andavo a proporgli un'idea che mi pareva brillante, mi ammoniva:
"Regola numero uno: ricorrere alle cose intelligenti, solo dopo aver esplorato le
infinite possibilità dell'ovvio". E quando decisi di prenderlo sul serio, capii che
aveva ragione.
Perché i comportamenti dei sistemi gerarchici sono così immancabilmente stupidi? È mai
possibile che tutti gli imbecilli si siano concentrati nei ruoli di responsabilità? E che
tutti gli intelligenti, nessuno escluso, ne siano stati eliminati? In realtà, nei posti
chiave delle gerarchie non ci sono più stupidi che in qualsiasi altro gruppo umano; il
tasso di imbecillità è lo stesso tra i manager, i politici, e i parrucchieri.
Le gerarchie si comportano in modo stupido, non perché siano tutti cretini coloro che ne
fanno parte, ma perché non possono, per questioni di funzionalità, agire diversamente.
In una burocrazia non è possibile "mettersi a fare gli intelligenti". Tutti i
sistemi gerarchici funzionano tendenzialmente allo stesso modo; i loro comportamenti col
lettivi sono dettati da semplici regole generali. La più importante è questa: le norme e
le consuetudini vanno rispettate. Esiste un modo, e uno solo, di fare le cose; e a quello
bisogna attenersi.
Al contrario, la mente umana è portata al dubbio, alla critica, all'innovazione. Chi è
abituato a mettere a frutto le proprie doti intellettuali si chiederà sempre cosa sta
facendo, perché lo fa, e se non ci sia un altro modo (magari migliore) di farlo.
La struttura gerarchica della società prevede, invece, che in ogni determinato caso, ci
si comporti secondo la regola prefissata. Qualcuno, dotato di mente sveglia e curiosa,
potrebbe cominciare a obiettare: "Perché?". "Non c'è un sistema meno
sciocco di fare la tal cosa...?" (sì, di solito c'è). "Possibile che nessuno
si sia reso conto che..." (possibilissimo. E anche quando se ne rende conto, se è
furbo, sta zitto).
Ma le ragioni della gerarchia sono profonde. E le sue norme più sono stupide, più vanno
considerate indiscutíbili. (Le regole intelligenti si difendono da sole).
La ragione principale è questa: se tutti cominciassero a sollevare dubbi, a mettere in
discussio ne i comportamenti e le soluzioni date, l'attività della struttura ne
resterebbe paralizzata. Nelle gerarchie conta chi fa qualcosa, non chi cerca il modo
migliore di farla.
L'intelligenza, per le società umane, è sabbia negli ingranaggi; rischia di farne
inceppare i meccanismi. Il genio è sovversivo non soltanto perché, invece di applicare
la norma, la discute; ma perché, così facendo, blocca il cammino regolare dell'intero
sistema burocratico. L'intelligenza, mentre valuta con spirito critico il funzionamento
delle strutture sociali, di fatto lo rallenta o lo interrompe. L'acume, o semplicemente il
buon senso, portano confusione. Se il sistema reagisce, riaffermando la supremazia della
propria imbecillità, fa bene: si difende, come un organismo qualsiasi contro un agente
esterno che ne metta in pericolo la sicurezza, l'esistenza.
Ecco perché la stupidità è necessaria: è la vera linfa vitale della società umana. È
la regola, il motore che la fa marciare.
È tempo di trarre una prima conclusione e commentare l'errore più grosso commesso da
Peter, nel concepire il suo famoso principio. Peter vede le gerarchie come strumenti che
mirano a cumulare intelligenza e che, per errore, portano a un aumento della stupidità.
Se questo è vero (e, anche senza la felice sintesi di Peter, era già intuitivamente noto
a tutti), perché non si cambia sistema?
Una contraddizione da cui non si esce, senza improponibili contorcimenti. Ma che non
esiste più se cambiamo l'assunto. Così: il compito delle gerarchie è aumentare il tasso
di imbecillità. E dal momento che ci riescono benissimo, non c'è alcuna ragione di
modificarle. E si capisce, ora, perché si viene promossi: non per le prove di
intelligenza che si forniscono, ma per la garanzia che si dà, di agire in modo stupido,
nel posto assegnato.
La struttura sociale, dunque, impone ai singoli individui di conformarsi a comportamenti
prestabiliti. In questo modo, attraverso un potente condizionamento sociale, si ha una
massiccia opera livellatrice verso il basso. Lo spirito critico e l'esercizio in genere
delle doti intellettuali vengono depressi, o addirittura spenti.
ll genio, costretto nelle maglie delle strutture gerarchiche, viene reso inoffensivo.
L'unica cosa non stupida che può fare l'intelligenza, in questo caso, è adattarsi alla
stupidità: osservare le regole, accettare la condotta imposta dalla struttura. In
definitiva, si chiede poco: solo di attenersi alle soluzioni già stabilite. E se, per
agire così, non è necessario essere geniali, non è nemmeno indispensabile essere
imbecilli. Un intelligente può benissimo farlo. Mentre un cretino non può decidere, se
cambia idea, di comportarsi da genio.
Molte persone intelligenti, una volta compresa l'irrimediabile stupidità delle strutture
sociali in cui sono inserite, commettono un errore: cercano di porvi rimedio. Si rovinano
così la vita, nel tentativo di rendere le società umane meno sceme.
Altri, invece (e sono loro i veri geni), capiscono che un tale progetto è destinato a
fallire, perché nasce da un grave equivoco: il desiderio che diventino meno stupidi degli
organismi che funzionano soltanto se stupidi.
Non è difficile individuare e distinguere questi due tipi umani. l primi sono animati da
uno spirito di crociata, che li spinge a impegnarsi nel vano sforzo di cambiare in meglio
la società. Gli altri invece hanno capito che questa lotta, prima che perdente, è
inutile, perché sbagliata. E si adeguano all'imbecillità delle strutture in cui operano.
Non per questo rinunciano alla loro intelligenza. Talvolta la coltivano nel tempo libero,
e quelli che vengono etichettati come innocui passatempi sono, in realtà, le cose in cui
spendono il loro ingegno, che li appassionano davvero, che danno senso alla loro vita.
Altre volte, riescono a utilizzare l'intelligenza anche all'interno delle strutture
sociali. Sono quelli che cambiano veramente le cose; ottengono risultati che sfuggono
spesso agli aspiranti riformatori, con tutto il loro spirito di crociata. Ma questo ramo
del discorso ci porterebbe troppo lontano e, dopo un lungo giro, esattamente al punto da
cui siamo partiti.
Le strutture sociali possono anche tollerare una limitata dose di intelligenza, di spirito
critico, di innovazione. Ma la norma generale, i comportamenti cui tutti sono obbligati a
rifarsi, devono restare stupidi, cioè stupidi, cioè stupidi. Se così non fosse, molti
di quelli chiamati a compiere una determinata funzione verrebbero meno al proprio compito,
perché lo troverebbero troppo difficile. Se la regola fosse l'improvvisazione, lo sprazzo
di genialità, pochi sarebbero in grado di fare la cosa giusta al momento opportuno. E la
gerarchia crollerebbe. Tratto dal libro Elogio dell'Imbecille di Pino Aprile -
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