ANDROS


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Prima puntata – Parole al vento dalla mia torre d’avorio By Andros

SCIORUM. Questo è il resoconto a puntate di quattro anni della mia vita, e della vita di uno spazio espositivo da me aperto a Milano. Benché semiserio, ci sono ben poche cose finte o esagerate, anzi, più spesso ne ho alleggerito la portata. Le prime puntate sono già state inserite in altri siti in passato, le ultime invece no.

Correva (poco) l’anno 2005, quando nacque lo Sciorùm: il mio laboratorio/spazio espositivo. Nel darlo alla luce, avevo in mente tante cose, diversi obiettivi e un discreto margine per l’improvvisazione.
Di cose in mente ora ne ho ancora di più, alcuni obiettivi li ho raggiunti, altri sono lontanissimi, con altri ancora ho fallito forse per sempre e di qualcuno ho capito che non mi interessava nulla; ma tra tante cose improvvisate, non avrei mai potuto immaginare che questo spazio potesse diventare per me un osservatorio sull’essere umano, ricco e preciso come pochi.
La mia torre d’avorio si è rivelata una preziosa fonte d’informazioni sulla razza alla quale, volente o no, appartengo.
In poco più di quattro anni nello Sciorùm si sono avvicendati pittori, scultori, performer, fotografi, italiani e stranieri, e poi scrittori e poeti, per non parlare dei visitatori delle inaugurazioni e quelli dei festivi e dei feriali, dei passanti e degli autoctoni…
Un impressionante campionario di fauna umana.
Che impagabile lezione di vita; ci avrei messo almeno venti anni a capire quello che ho capito in una ventina di mesi.
Il primissimo impatto l’ho avuto con i condomini: per i quattro mesi precedenti all’apertura, hanno creduto fossi un operaio extracomunitario, visto che la maggior parte dei lavori necessari per rendere decente quello spazio devastato li ho fatti con le mie manine. Mi guardavano come si guarderebbe un alieno, e mi parlavano come si parla ai bambini, convinti che non capissi il loro idioma: io mi sforzavo di parlare l’italiano nel modo più corretto possibile, ma niente!
La cosa più strana è che lo Sciorùm era nella periferia milanese, in una zona semidepressa che tira avanti a prozac, popolata da pensionati con un diavolo per catetere, ragazzetti col mito della violenza ed extracomunitari di ogni luogo e colore, quasi tutti accomunati dall’amore per l’alcol e il fancazzismo, se anche fossi stato extracomunitario, non avrei dovuto dare nell’occhio; il bello è che persino gli extracomunitari mi parlavano come si parla a un bambino, ero extracomunitario anche rispetto agli extracomunitari…
Quando i condomini entravano nel mio spazio ancora in stato di cantiere per ficcare il loro naso curioso nelle mie faccende manovali, si rivolgevano a me con un piglio degno dei migliori negrieri seicenteschi. Quando mi chiedevano “dov’è il padrone?”, a me veniva il dubbio di essere finito nel secolo sbagliato… poi capivo che il “padrone”, nella loro visione del mondo, ero io, cioè il proprietario di quelle mura zeppe di muffa e di quei pavimenti sconnessi.
Quando rispondevo “sono io”, sorpresa e imbarazzo si dipingevano sui loro volti, stemperate solo dal fatto che, nella loro testa, ero ancora e comunque uno straccione venuto da Vattelapesca, ai confini con Chissàdove.
Poi qualcuno spifferò notizie sul mio conto, probabilmente i vecchi proprietari dello spazio, che un tempo era stato un panificio; a quel punto, tutti erano a conoscenza dei miei natali partenopei.
Dopo aver determinato che, secondo la legge italiana, non potevo essere considerato extracomunitario, si sono alquanto rilassati: sempre meglio un napoletano che un extracomunitario, avranno pensato; tra i due mali, il minore.
Eh già, perché se oggi al nord ai terroni si affittano volentieri le case non è perché la mentalità sia cambiata, ma perché oggi combattono un altro nemico: l’extracomunitario.
Non è italiano, parla una lingua incomprensibile, ha strani colori, costumi diversi e inaccettabili credenze religiose: è la nemesi perfetta.
Tutti noi terroni dobbiamo molto agli extracomunitari: senza di loro, al nord ci avrebbero accettati solo con una pesante accetta. Ma non c’è da temere, di polentoni che odiano i terroni, o che semplicemente li fanno oggetti di pregiudizio, ce ne sono ancora, le vecchie tradizioni sono dure a morire.

To be continued…


Il salvagente bucato   Racconto pubblicato nel libro “Sabba di paralleli”, 2005

Il mare sembrava calmo, dopo la tempesta era tornato il sereno. Vedevo attorno a me tante teste galleggiare nell’acqua: persone aggrappate con disperazione al proprio salvagente, tutte desiderose, nonostante le condizioni, di sopravvivere il più a lungo possibile.
Anch’io avevo un salvagente, come tutti. Anzi, quasi tutti: qualcuno galleggiava senza alcun sostegno. C’era chi nuotava, chi cercava di attaccarsi al salvagente degli altri, chi addirittura tentava di sottrarre il salvagente a qualcuno e chi si lasciava annegare senza opporre resistenza all’oceano.
Ammiravo chi, incurante del pericolo, nuotava beato senza appiglio, si immergeva, girava intorno a noi ridendo dei nostri salvagente; si sfrenava fino a non aver più fiato, fino a scomparire tra i flutti. Quasi li invidiavo, avrei voluto fare come loro, ma non ne avevo il coraggio: volevo vivere!
I salvagente erano tutti diversi, stretti, larghi, più gonfi, meno gonfi, a forma di oca o di coccodrillo, rossi, neri, gialli, bianchi, verdi, blu… Ognuno guardava quelli degli altri con commiserazione, quasi con disprezzo; ognuno era convinto di avere il salvagente migliore, che lo avrebbe sostenuto più a lungo, fino alla salvezza.
«Non andranno da nessuna parte, con quegli affari.» pensava uno.
«Mi salverò solo io!» pensava un altro.

Nei soccorsi, al contrario degli altri, non avevo mai sperato.
Proprio mentre tentavo di decidere cosa fare della mia vita, mi accorsi che tutti quei salvagente, in apparenza così diversi, avevano una cosa in comune: erano bucati.
Dapprima ne vidi uno, poi un altro; preso da angoscia, cominciai a osservare con attenzione tutti quelli che mi capitassero a tiro: tutti, erano tutti bucati!
Con lentezza, ma inesorabilmente, stavano tutti affondando, senza neanche accorgersene.
Tentai di avvisarli. Urlavo, facevo segni, sprecavo energie nel tentativo di far aprire loro gli occhi, ma inutilmente: nessuno mi ascoltava. Quei pochi che lo facevano non mi credevano, oppure mi accusavano di volerli terrorizzare.
Continuavano a fare e dire le stesse cose, nonostante i miei avvertimenti.
Li scongiurai allora di guardare i salvagente degli altri, così forse mi avrebbero creduto. Tutto inutile: in pochi volevano guardare i salvagente altrui, distogliendosi dalle proprie cose e dai propri pensieri. Quei pochi disposti a farlo erano così certi da continuare a pensare di essere gli unici dotati di un salvagente sano. Risero, dicendo: «Bene, se loro affondano ci sarà più spazio per me!»
Ero disperato. D’un tratto, un pensiero mi squarciò la mente: mi stavo forse comportando come loro?
Non mi ero reso conto di non aver neanche controllato se il mio salvagente fosse intatto. Come gli altri, lo avevo dato per scontato. Che errore…
Ne ispezionai ogni millimetro, ogni piegolina, ogni curva, e infine la trovai. Eccola lì, proprio davanti ai miei occhi: una falla, tanto piccola quanto mortale, che rendeva quel salvagente del tutto inutile e che aveva già deciso la mia fine.

La scoperta mi fece inorridire, anche il mio salvagente era bucato, come quello di tutti gli altri. Era solo servito ad alimentare false speranze e inutili sforzi. Cosa potevo fare?
Ero stanco, troppo stanco e deluso per passare gli ultimi istanti di vita nuotando libero come un pesce. L’assurdità della situazione, l’ottusità dimostrata dagli altri, l’inutilità di tutto quell’essere e quello sperare, pesavano come una zavorra.
Decisi di lasciarmi andare, staccai le mani dal salvagente e, lentamente, scivolai nelle acque. Gli altri avevano per me solo sguardi divertiti o di compassione, non potevano capire. E come avrebbero potuto? Neanch’io ne ero in grado.
Ero ormai del tutto immerso e ancora sentivo i loro risolini; mi disprezzavano, per loro ero un pazzo, un vigliacco o solo un imbecille.
Mentre riempiendomi d’acqua scendevo sempre di più, sempre di più, sempre di più, guardavo in alto e pensavo: «La prossima volta, meglio un gommone.»


Storia sociale dell’arte – Arnold Hauser   Andros – Calypso Colori a olio su chromolux

Opera per oscuri motivi poco citata e considerata, per lo più relegata negli ambiti scolastici, che non le rendono pieno merito. Una cavalcata lungo la storia dell’arte e della letteratura da un punto di vista diverso dal solito. Spesso accusato a sproposito di aver composto una storia dell’arte priva di artisti, Hauser ha al contrario spostato per un volta i riflettori dalle opere, puntandoli proprio su di loro, sulle condizioni in cui vivevano e operavano, sui favori e i disagi, sulle responsabilità e le ricadute dei fatti che accadevano intorno a loro. Diversa dalla solita esaltazione di opere e mitizzazione degli autori, dalla colpevole dimenticanza di fatti e persone, o dalla storia della critica dell’arte. Scritta con rigore e in uno stile coinvolgente e per nulla criptico, molto lontano dai narcisistici arzigogoli di alcuni suoi esimi colleghi, non manca di spunti talvolta quasi poetici e di dense riflessioni. Testo importante per capire le dinamiche dell’arte all’interno del mondo in cui si esprime, e per rintracciare le radici e i motivi profondi di modi di fare arte e di essere artisti oggi superficialmente liquidati come perversioni del contemporaneo.
Prezioso inoltre per scoprire alcune similitudini tra stili, epoche e correnti separate da secoli, come per esempio quella tra manierismo e surrealismo, per apprendere come e perché la figura dell’artista “che fa la fame” sia figlia del ’600 olandese, e per molti altri motivi, non ultimo per comprendere che “la vita spirituale dell’artista è sempre e dovunque minacciata; né una società autoritaria, né una liberale sono per lui senza pericoli: se una gli concede minor libertà, l’altra gli garantisce minor sicurezza.”
Un concetto che apre a un’infinità di considerazioni, e che riassume efficacemente un ragionamento che prima o dopo ogni artista è portato a fare, la difficoltà della scelta che ne consegue e il precario equilibrio che domina la sua esistenza.

Andros


Bara 7: Un vero assassino procrea

Lo devo ammettere: il porta a porta, non lo sopportavo proprio più. Tutti i giorni nel traffico dell’omnipoli; i bus sempre più rari, bussare a tutte le porte di ogni palazzo alla ricerca di coppiette con fantasie procreative. Immergermi nell’universo gente, amorfa medusa fatta di chi vive lussi e di chi li paga, era per me fonte di frustrazione, e quando incappavo in sadomasochisti, anche di frustate.
Ero stanco di avere a che fare con puerpere stagionate, problemi erettivi, uteri a noleggio e tutte le ovaie del paniere.
Ma era l’unico lavoro che ero riuscito a trovare a Numatia, nonostante le lauree in Biologia Immorale e Chimica Distruttiva.
In compenso, avevo un buon contratto, di quelli rinnovabili di mese in mese, previo consenso del caporale: non potevo proprio lamentarmi, se pensavo che la maggior parte dei lavoratori aveva un contratto giornaliero, da rinnovare mattino per mattino.[...]
Iniziavo così la mia campale giornata per tirare a campale; avendo ancora stretto in mano la multa da pagare.

«Buongiorno signora: non vorrebbe dei bei figli per perpetuare la grandezza inarrivabile sua e di suo marito?»
«Ma cosa dice? Mio marito è morto una settimana fa!»
«Beeene signora: che fortuna! Lei è proprio nata con la placenta. Mi permetta di mostrarle l’elenco donatori della nostra banca dello sperma: abbiamo congelato i migliori geni delle quattro omnipoli. Così il figlio se lo fa da sola, in barba alla noiosa vita di coppia.»
«Cosa dice? Io amavo mio marito: un figlio lo vorrei solo da lui.»
«Mi spiace signora, non siamo attrezzati per un concepimento post-mortem; potremmo combinare un rendez-vous con la salma, ma non garantiamo sull’erezione, men che meno sull’eiaculazione. Su richiesta, effettuiamo sedute spiritiche; ma, detto tra noi, a parte qualche ectoplasma non ne è mai nato nulla…»
«Ma cosa sta dicendo? È pazzo!»
«Suo marito è pazzo? Non è un problema, tanto è morto: lo vede com’è fortunata? Non capisco perché lei si ostini a volere un figlio da un matto, per giunta de cuius; ma i gusti non si discutono.»
«Ma vada via, sciacallo, vada via!»

Mi avvicinai a un’altra porta, stavolta aperta. La voce della tv usciva dall’appartamento rimbombando il verbo nella tromba delle scale.

*Allora, ha solo dieci secondi per rispondere alla domanda finale e portarsi a casa il montepremi: chi è stato lo scopritore di Troia?*
*Boh! Forse Pippo Baudo? Le ha scoperte tutte lui!*
*Ahiahiahi, signora, ma cosa dice? Stiamo parlando di Schliemann, lo scopritore della celeberrima Troia: quella del cavallo!*
*Ah no, per carità: io queste perversioni zoofile non le voglio neanche sentire, mi fanno schifo!*
*Peccato signora, sarà per la prossima…*
*Questo programma è stato offerto da Vitabassa, i pantaloni che si adeguano alla qualità della vostra vita. Vitabassa: i pantaloni sempre alla bassezza della situazione!*

«Buongiorno signore, non vorrebbe donare alla sua signora un dolce maschietto o una robusta femminuccia?» dissi distogliendo l’uomo dallo zapping.
«E tu chi sei? Chi ti manda?»
«La provvidenza signore, per aiutarla nel compito più bello che l’uomo è chiamato a svolgere.»
«Amico, non ho bisogno del tuo aiuto per certe cose.»
«Sicuro? Guardi che con me può parlare, non si vergogni: come andiamo a erezione?»
«Ehi! Stai parlando con uno che quando gli è apparsa la Madonna ha cercato di trombarsela! Mi hanno pure arrestato per tentato stupro blasfemo: ce n’è voluta per far capire al giudice che mi riferivo alla famosa cantante pluriclonata…»
«Sarà… ma a giudicare dal pacchetto, lei mi sembra al minimo sindacale; fossi in lei ci farei un pensierino: abbiamo le migliori impalcature minchiali del mondo, reggono i più mollaccioni per le performance più durature.»
«Come ti permetti? Portami tua sorella e ti faccio vedere chi è il mollaccione!»
«Mi spiace: non forniamo materiale umano. Immagino che non le sarà facile, ma la donna se la dovrà trovare da solo; benché, nel nostro catalogo abbiamo un vasto assortimento di splendide bambole gonfiabili. Pensi che contengono meno silicone delle donne vere; però metterle incinta è un po’ dura, fossi in lei non ci spererei.»
«Ma senti questo! Se insisti metto incinta te!»
«Benissimo! Per farlo però avrà bisogno del nostro ultimissimo prodotto, Uomonatal: per gli uomini che non si arrendono alla natura.»
«Brutto stronzo! Ma cosa stai dicendo? Ho una reputazione da difendere, io!»
«Ah, le piacciono le missioni impossibili, eh? Comunque, peggio per lei; non riuscirà mai ad avere figli senza il mio aiuto. E si ricordi: siamo fatti solo per essere al mondo e mettere al mondo; l’intelligenza è un incidente di percorso. Ma non si preoccupi, è un incidente che a lei non è capitato…»

«Buongiorno signora, cosa ne direbbe di una rinfrescatina all’utero?»
«A dire il vero, me lo stanno rinfrescando proprio in questo momento» disse tenendo la porta accostata, mentre il membro del marito le viaggiava dentro.
«Sì, ma noi abbiamo i migliori farmaci per stimolare il suo apparato riproduttivo e quello del suo compagno. Roba ultrasicura: i nostri prodotti rientreranno nei limiti prescritti da leggi che vareranno a breve, studiate proprio per permetterci di venderli.»
«È il cielo che la manda! Forse sarà perché mio marito insiste a fecondarmi le tonsille, ma sono trent’anni che cerco invano di rimanere incinta: cosa posso fare?»
«Intanto, faccia riposare suo marito; tre decenni passati tra le sue cosce possono essere fatali per chiunque…»
«Sì, facciamolo anche riposare: è più pigro di un suo spermatozoo!»
«Ehi!» protestò il marito, che intanto continuava a rinfrescarla.
«Beh, potremmo provare con Spermenergy: fertilizzante per seme apatico. Oppure potreste affittare un utero, ne abbiamo di tutti i lussi e di tutte le metrature, con praticello antistante e ampia veduta su mutanga firmate; con possibilità di subaffitto della dépendance sul retro.»
«Nooo, abbiamo già chiesto, ma gli affitti sono ormai impossibili! Mettiamoci anche le spese condom-iniali poi… no, troppo costoso. Ne abbiamo anche cercato uno da comprare, ma i prezzi sono davvero troppo alti e nessuno ci concede un mutuo per il secondo utero; dovremmo venderci il primo, ma alle mie frattaglie ci tengo!»
«Eh, lo so, i prezzi nelle omnipoli sono ormai proibitivi… potreste provare con qualcosa più fuori mano: ad esempio, abbiamo una rustica extraterrona d’epoca che è un vero affare. Certo, l’utero è un po’ da ristrutturare: possiamo prendere un appuntamento con suo marito, così viene a toccare con mano, prova a entrare nei locali e vede se si trova a proprio agio.»
«Ma non ci pensi proprio! Mio marito sta bene nei locali che ha! E poi noi il figlio lo vogliamo all’antica: deve uscire da me. E che sia la volta buona per un orgasmo!»
«E allora non ci restano che i metodi tradizionali: che ne dite di Magic Ovulation, per gli ovuli più esigenti?»
«Già provato: non funziona.»
«Beh, potremmo provare con Push Egg: una spinta verso l’ovulo più ritroso!»
«Provato anche quello: nulla.»
«Super Procreation?»
«Niente.»
«Extreme Birth?»
«Idem.»
«Allora, non le resta che provare il nostro programma avanzato: Insemination of Mary. Per questo, non ci sarà neanche bisogno dell’apporto di suo marito. Un nostro incaricato verrà a darle la lieta novella di persona.»[...]

Andros

Brano tratto dal libro “Codice a bare”, 2009


Quarta puntata – Arrestate lo scultore! 

Questo è il resoconto a puntate di quattro anni della mia vita, e della vita di uno spazio espositivo da me aperto a Milano. Benché semiserio, ci sono ben poche cose finte o esagerate, anzi, più spesso ne ho alleggerito la portata. Le prime puntate sono già state inserite in altri siti in passato, le ultime invece no.

Era un continuo. Per circa un mese mi sono sentito dire di tutto: ho persino scoperto espressioni e parolacce del tutto nuove per me. Mi si è aperto un universo, anche se loro avrebbero preferito aprirmi la testa, a bastonate.
Una mattina, il solito capannello di astanti era fermo davanti alle vetrine, commentando quanto orrende fossero le mie sculture; passarono due poliziotti, di quelli che pattugliano sempre la stessa zona e conoscono tutti. Ci fu una piccola sommossa: “Avete visto?”, “che schifo, fate qualcosa”, “dovreste metterlo in galera!”. Dal soppalco, come sempre, sentivo ogni cosa; mi affacciai per vedere, c’era di tutto: giovani, adulti e vecchietti, uomini e donne. Probabilmente non erano mai stati tutti d’accordo su qualcosa; avevano aspettato il mio arrivo per compattarsi così bene.
Le persone diverse sono da sempre un ottimo collante per il popolo: se sono di potere tutti le adorano, altrimenti, tutti contro!
Avevo gli occhi ancora collosi di sonno, non ero abbastanza sveglio da preoccuparmi; cosa poteva mai succedere, dopotutto?
Tante furono le insistenze della gente che i due poliziotti si videro costretti a suonare il mio campanello.
Andai ad aprire, continuando a pensare “cosa mai può succedere?”; ma devo ammettere che un filo di preoccupazione iniziava ad affacciarsi.
Per fortuna, non ce n’era motivo.
I poliziotti erano due simpatici ragazzi dalla stretta di mano poderosa; mi dissero che in giro erano tutti preoccupati, che continuavano a chiamarli, a chiedere di intervenire: addirittura avevano paura che io fossi pericoloso.
Per un attimo mi chiesi se quella fosse davvero Milano, grande metropoli rotta a tutto, che ha visto e fatto di tutto, e non un paesino sperduto e arroccato sulle proprie superstizioni e su chissà quale montagna, dove le donne non possono aprir bocca e sono tutti “timorati di Dio.”
Cercai di rassicurarli, e giurai di non aver intenzione di fare a pezzi nessuno, almeno non in tempi brevi. Per fortuna, colsero la battuta e risero con me.
Si appassionarono ai miei lavori, mi fecero un mucchio di domande tecniche, così scoprii che uno di loro aveva l’hobby del modellismo; finimmo col parlare di resine e gli diedi un po’ di consigli. Ci lasciammo come vecchi amici.
Salutandomi, l’altro disse: “Adesso cerchiamo di calmarli un po’, diciamo a tutti che sei una persona a posto e vedrai che non ti daranno più fastidio.”
A me veramente non davano alcun fastidio; piuttosto, ero io quello che sembrava dare fastidio, e anche molto. In ogni modo, furono di parola, le critiche e gli insulti continuarono, ma da quel giorno smisero di augurarmi l’arresto, anche se qualcuno continuò ad auspicare la mia morte violenta.
Non si può avere tutto!

To be continued…

Andros


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Ricordo a tutti che in questo blog aggregator come del resto nella nostra Library del Daimon Club verranno inseriti gli autori che nel corso del tempo e quindi dei vari secoli della storia della letteratura, per un motivo o per l’altro, sono venuti in contatto con la nostra organizzazione e con Carl William Brown e hanno così deciso di non sprecare una buona opportunità per collaborare con noi e per far si che gli altri potessero in questo modo avere una possibilità in più per conoscere e apprezzare i loro scritti, le loro idee, le loro sensazioni o le loro critiche. Confermiamo inoltre che l’autore rimane assolutamente in possesso dei propri diritti, e che lo spazio che il Daimon Club gli mette a disposizione è assolutamente gratuito, inoltre l’autore potrà togliere i suoi scritti in qualsiasi momento, inviando semplicemente una lettera con le sue volontà al Club.

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Ovviamente daremo più spazio e pubblicità a tutti gli artisti che collaboreranno con noi, infatti uno dei nostri scopi princiaple è proprio quello di trovare alleati e complici per la diffusione delle nostre idee e per una vasta promozione dei nostri lasciti. Già, tramandare il nostro testamento affinché sempre più gente si interessi maggiormente alla nostra umanità e magari un po’ meno alla nostra stupida vanità. Così facendo si cercherà di creare un ponte, e non solo virtuale, tra tutti gli uomini di buona volontà di questo mondo, al di là delle ideologie, delle credenze religiose e dello stile di comunicazione. Il tutto con la speranza di poter contribuire nel nostro piccolo a fare qualcosa di buono per la nostra crescita culturale ed educativa e per la riduzione del nostro grande egoismo. Se volete dunque fare qualcosa per la nostra storia e per il nostro futuro, unitevi a noi e tramandate ai presenti e ai posteri lo spirito del Daimon Club e di tutti i suoi artefici.

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