Prima puntata – Parole al
vento dalla mia torre d’avorio By Andros
SCIORUM. Questo è il resoconto a puntate di quattro anni della mia vita, e
della vita di uno spazio espositivo da me aperto a Milano. Benché semiserio,
ci sono ben poche cose finte o esagerate, anzi, più spesso ne ho alleggerito
la portata. Le prime puntate sono già state inserite in altri siti in
passato, le ultime invece no.
Correva (poco) l’anno 2005, quando nacque lo Sciorùm: il mio
laboratorio/spazio espositivo. Nel darlo alla luce, avevo in mente tante
cose, diversi obiettivi e un discreto margine per l’improvvisazione.
Di cose in mente ora ne ho ancora di più, alcuni obiettivi li ho raggiunti,
altri sono lontanissimi, con altri ancora ho fallito forse per sempre e di
qualcuno ho capito che non mi interessava nulla; ma tra tante cose
improvvisate, non avrei mai potuto immaginare che questo spazio potesse
diventare per me un osservatorio sull’essere umano, ricco e preciso come
pochi.
La mia torre d’avorio si è rivelata una preziosa fonte d’informazioni sulla
razza alla quale, volente o no, appartengo.
In poco più di quattro anni nello Sciorùm si sono avvicendati pittori,
scultori, performer, fotografi, italiani e stranieri, e poi scrittori e
poeti, per non parlare dei visitatori delle inaugurazioni e quelli dei
festivi e dei feriali, dei passanti e degli autoctoni…
Un impressionante campionario di fauna umana.
Che impagabile lezione di vita; ci avrei messo almeno venti anni a capire
quello che ho capito in una ventina di mesi.
Il primissimo impatto l’ho avuto con i condomini: per i quattro mesi
precedenti all’apertura, hanno creduto fossi un operaio extracomunitario,
visto che la maggior parte dei lavori necessari per rendere decente quello
spazio devastato li ho fatti con le mie manine. Mi guardavano come si
guarderebbe un alieno, e mi parlavano come si parla ai bambini, convinti che
non capissi il loro idioma: io mi sforzavo di parlare l’italiano nel modo
più corretto possibile, ma niente!
La cosa più strana è che lo Sciorùm era nella periferia milanese, in una
zona semidepressa che tira avanti a prozac, popolata da pensionati con un
diavolo per catetere, ragazzetti col mito della violenza ed extracomunitari
di ogni luogo e colore, quasi tutti accomunati dall’amore per l’alcol e il
fancazzismo, se anche fossi stato extracomunitario, non avrei dovuto dare
nell’occhio; il bello è che persino gli extracomunitari mi parlavano come si
parla a un bambino, ero extracomunitario anche rispetto agli
extracomunitari…
Quando i condomini entravano nel mio spazio ancora in stato di cantiere per
ficcare il loro naso curioso nelle mie faccende manovali, si rivolgevano a
me con un piglio degno dei migliori negrieri seicenteschi. Quando mi
chiedevano “dov’è il padrone?”, a me veniva il dubbio di essere finito nel
secolo sbagliato… poi capivo che il “padrone”, nella loro visione del mondo,
ero io, cioè il proprietario di quelle mura zeppe di muffa e di quei
pavimenti sconnessi.
Quando rispondevo “sono io”, sorpresa e imbarazzo si dipingevano sui loro
volti, stemperate solo dal fatto che, nella loro testa, ero ancora e
comunque uno straccione venuto da Vattelapesca, ai confini con Chissàdove.
Poi qualcuno spifferò notizie sul mio conto, probabilmente i vecchi
proprietari dello spazio, che un tempo era stato un panificio; a quel punto,
tutti erano a conoscenza dei miei natali partenopei.
Dopo aver determinato che, secondo la legge italiana, non potevo essere
considerato extracomunitario, si sono alquanto rilassati: sempre meglio un
napoletano che un extracomunitario, avranno pensato; tra i due mali, il
minore.
Eh già, perché se oggi al nord ai terroni si affittano volentieri le case
non è perché la mentalità sia cambiata, ma perché oggi combattono un altro
nemico: l’extracomunitario.
Non è italiano, parla una lingua incomprensibile, ha strani colori, costumi
diversi e inaccettabili credenze religiose: è la nemesi perfetta.
Tutti noi terroni dobbiamo molto agli extracomunitari: senza di loro, al
nord ci avrebbero accettati solo con una pesante accetta. Ma non c’è da
temere, di polentoni che odiano i terroni, o che semplicemente li fanno
oggetti di pregiudizio, ce ne sono ancora, le vecchie tradizioni sono dure a
morire.
To be continued…
Il salvagente bucato
Racconto pubblicato nel libro “Sabba di paralleli”, 2005
Il mare sembrava calmo, dopo la tempesta era tornato il sereno. Vedevo
attorno a me tante teste galleggiare nell’acqua: persone aggrappate con
disperazione al proprio salvagente, tutte desiderose, nonostante le
condizioni, di sopravvivere il più a lungo possibile.
Anch’io avevo un salvagente, come tutti. Anzi, quasi tutti: qualcuno
galleggiava senza alcun sostegno. C’era chi nuotava, chi cercava di
attaccarsi al salvagente degli altri, chi addirittura tentava di sottrarre
il salvagente a qualcuno e chi si lasciava annegare senza opporre resistenza
all’oceano.
Ammiravo chi, incurante del pericolo, nuotava beato senza appiglio, si
immergeva, girava intorno a noi ridendo dei nostri salvagente; si sfrenava
fino a non aver più fiato, fino a scomparire tra i flutti. Quasi li
invidiavo, avrei voluto fare come loro, ma non ne avevo il coraggio: volevo
vivere!
I salvagente erano tutti diversi, stretti, larghi, più gonfi, meno gonfi, a
forma di oca o di coccodrillo, rossi, neri, gialli, bianchi, verdi, blu…
Ognuno guardava quelli degli altri con commiserazione, quasi con disprezzo;
ognuno era convinto di avere il salvagente migliore, che lo avrebbe
sostenuto più a lungo, fino alla salvezza.
«Non andranno da nessuna parte, con quegli affari.» pensava uno.
«Mi salverò solo io!» pensava un altro.
Nei soccorsi, al contrario degli altri, non avevo mai sperato.
Proprio mentre tentavo di decidere cosa fare della mia vita, mi accorsi che
tutti quei salvagente, in apparenza così diversi, avevano una cosa in
comune: erano bucati.
Dapprima ne vidi uno, poi un altro; preso da angoscia, cominciai a osservare
con attenzione tutti quelli che mi capitassero a tiro: tutti, erano tutti
bucati!
Con lentezza, ma inesorabilmente, stavano tutti affondando, senza neanche
accorgersene.
Tentai di avvisarli. Urlavo, facevo segni, sprecavo energie nel tentativo di
far aprire loro gli occhi, ma inutilmente: nessuno mi ascoltava. Quei pochi
che lo facevano non mi credevano, oppure mi accusavano di volerli
terrorizzare.
Continuavano a fare e dire le stesse cose, nonostante i miei avvertimenti.
Li scongiurai allora di guardare i salvagente degli altri, così forse mi
avrebbero creduto. Tutto inutile: in pochi volevano guardare i salvagente
altrui, distogliendosi dalle proprie cose e dai propri pensieri. Quei pochi
disposti a farlo erano così certi da continuare a pensare di essere gli
unici dotati di un salvagente sano. Risero, dicendo: «Bene, se loro
affondano ci sarà più spazio per me!»
Ero disperato. D’un tratto, un pensiero mi squarciò la mente: mi stavo forse
comportando come loro?
Non mi ero reso conto di non aver neanche controllato se il mio salvagente
fosse intatto. Come gli altri, lo avevo dato per scontato. Che errore…
Ne ispezionai ogni millimetro, ogni piegolina, ogni curva, e infine la
trovai. Eccola lì, proprio davanti ai miei occhi: una falla, tanto piccola
quanto mortale, che rendeva quel salvagente del tutto inutile e che aveva
già deciso la mia fine.
La scoperta mi fece inorridire, anche il mio salvagente era bucato, come
quello di tutti gli altri. Era solo servito ad alimentare false speranze e
inutili sforzi. Cosa potevo fare?
Ero stanco, troppo stanco e deluso per passare gli ultimi istanti di vita
nuotando libero come un pesce. L’assurdità della situazione, l’ottusità
dimostrata dagli altri, l’inutilità di tutto quell’essere e quello sperare,
pesavano come una zavorra.
Decisi di lasciarmi andare, staccai le mani dal salvagente e, lentamente,
scivolai nelle acque. Gli altri avevano per me solo sguardi divertiti o di
compassione, non potevano capire. E come avrebbero potuto? Neanch’io ne ero
in grado.
Ero ormai del tutto immerso e ancora sentivo i loro risolini; mi
disprezzavano, per loro ero un pazzo, un vigliacco o solo un imbecille.
Mentre riempiendomi d’acqua scendevo sempre di più, sempre di più, sempre di
più, guardavo in alto e pensavo: «La prossima volta, meglio un gommone.»
Storia sociale dell’arte –
Arnold Hauser Andros – Calypso Colori a olio su chromolux
Opera per oscuri motivi poco citata e considerata, per lo più relegata negli
ambiti scolastici, che non le rendono pieno merito. Una cavalcata lungo la
storia dell’arte e della letteratura da un punto di vista diverso dal
solito. Spesso accusato a sproposito di aver composto una storia dell’arte
priva di artisti, Hauser ha al contrario spostato per un volta i riflettori
dalle opere, puntandoli proprio su di loro, sulle condizioni in cui vivevano
e operavano, sui favori e i disagi, sulle responsabilità e le ricadute dei
fatti che accadevano intorno a loro. Diversa dalla solita esaltazione di
opere e mitizzazione degli autori, dalla colpevole dimenticanza di fatti e
persone, o dalla storia della critica dell’arte. Scritta con rigore e in uno
stile coinvolgente e per nulla criptico, molto lontano dai narcisistici
arzigogoli di alcuni suoi esimi colleghi, non manca di spunti talvolta quasi
poetici e di dense riflessioni. Testo importante per capire le dinamiche
dell’arte all’interno del mondo in cui si esprime, e per rintracciare le
radici e i motivi profondi di modi di fare arte e di essere artisti oggi
superficialmente liquidati come perversioni del contemporaneo.
Prezioso inoltre per scoprire alcune similitudini tra stili, epoche e
correnti separate da secoli, come per esempio quella tra manierismo e
surrealismo, per apprendere come e perché la figura dell’artista “che fa la
fame” sia figlia del ’600 olandese, e per molti altri motivi, non ultimo per
comprendere che “la vita spirituale dell’artista è sempre e dovunque
minacciata; né una società autoritaria, né una liberale sono per lui senza
pericoli: se una gli concede minor libertà, l’altra gli garantisce minor
sicurezza.”
Un concetto che apre a un’infinità di considerazioni, e che riassume
efficacemente un ragionamento che prima o dopo ogni artista è portato a
fare, la difficoltà della scelta che ne consegue e il precario equilibrio
che domina la sua esistenza.
Andros
Bara 7: Un vero assassino
procrea
Lo devo ammettere: il porta a porta, non lo sopportavo proprio più. Tutti i
giorni nel traffico dell’omnipoli; i bus sempre più rari, bussare a tutte le
porte di ogni palazzo alla ricerca di coppiette con fantasie procreative.
Immergermi nell’universo gente, amorfa medusa fatta di chi vive lussi e di
chi li paga, era per me fonte di frustrazione, e quando incappavo in
sadomasochisti, anche di frustate.
Ero stanco di avere a che fare con puerpere stagionate, problemi erettivi,
uteri a noleggio e tutte le ovaie del paniere.
Ma era l’unico lavoro che ero riuscito a trovare a Numatia, nonostante le
lauree in Biologia Immorale e Chimica Distruttiva.
In compenso, avevo un buon contratto, di quelli rinnovabili di mese in mese,
previo consenso del caporale: non potevo proprio lamentarmi, se pensavo che
la maggior parte dei lavoratori aveva un contratto giornaliero, da rinnovare
mattino per mattino.[...]
Iniziavo così la mia campale giornata per tirare a campale; avendo ancora
stretto in mano la multa da pagare.
«Buongiorno signora: non vorrebbe dei bei figli per perpetuare la grandezza
inarrivabile sua e di suo marito?»
«Ma cosa dice? Mio marito è morto una settimana fa!»
«Beeene signora: che fortuna! Lei è proprio nata con la placenta. Mi
permetta di mostrarle l’elenco donatori della nostra banca dello sperma:
abbiamo congelato i migliori geni delle quattro omnipoli. Così il figlio se
lo fa da sola, in barba alla noiosa vita di coppia.»
«Cosa dice? Io amavo mio marito: un figlio lo vorrei solo da lui.»
«Mi spiace signora, non siamo attrezzati per un concepimento post-mortem;
potremmo combinare un rendez-vous con la salma, ma non garantiamo
sull’erezione, men che meno sull’eiaculazione. Su richiesta, effettuiamo
sedute spiritiche; ma, detto tra noi, a parte qualche ectoplasma non ne è
mai nato nulla…»
«Ma cosa sta dicendo? È pazzo!»
«Suo marito è pazzo? Non è un problema, tanto è morto: lo vede com’è
fortunata? Non capisco perché lei si ostini a volere un figlio da un matto,
per giunta de cuius; ma i gusti non si discutono.»
«Ma vada via, sciacallo, vada via!»
Mi avvicinai a un’altra porta, stavolta aperta. La voce della tv usciva
dall’appartamento rimbombando il verbo nella tromba delle scale.
*Allora, ha solo dieci secondi per rispondere alla domanda finale e portarsi
a casa il montepremi: chi è stato lo scopritore di Troia?*
*Boh! Forse Pippo Baudo? Le ha scoperte tutte lui!*
*Ahiahiahi, signora, ma cosa dice? Stiamo parlando di Schliemann, lo
scopritore della celeberrima Troia: quella del cavallo!*
*Ah no, per carità: io queste perversioni zoofile non le voglio neanche
sentire, mi fanno schifo!*
*Peccato signora, sarà per la prossima…*
*Questo programma è stato offerto da Vitabassa, i pantaloni che si adeguano
alla qualità della vostra vita. Vitabassa: i pantaloni sempre alla bassezza
della situazione!*
«Buongiorno signore, non vorrebbe donare alla sua signora un dolce
maschietto o una robusta femminuccia?» dissi distogliendo l’uomo dallo
zapping.
«E tu chi sei? Chi ti manda?»
«La provvidenza signore, per aiutarla nel compito più bello che l’uomo è
chiamato a svolgere.»
«Amico, non ho bisogno del tuo aiuto per certe cose.»
«Sicuro? Guardi che con me può parlare, non si vergogni: come andiamo a
erezione?»
«Ehi! Stai parlando con uno che quando gli è apparsa la Madonna ha cercato
di trombarsela! Mi hanno pure arrestato per tentato stupro blasfemo: ce n’è
voluta per far capire al giudice che mi riferivo alla famosa cantante
pluriclonata…»
«Sarà… ma a giudicare dal pacchetto, lei mi sembra al minimo sindacale;
fossi in lei ci farei un pensierino: abbiamo le migliori impalcature
minchiali del mondo, reggono i più mollaccioni per le performance più
durature.»
«Come ti permetti? Portami tua sorella e ti faccio vedere chi è il
mollaccione!»
«Mi spiace: non forniamo materiale umano. Immagino che non le sarà facile,
ma la donna se la dovrà trovare da solo; benché, nel nostro catalogo abbiamo
un vasto assortimento di splendide bambole gonfiabili. Pensi che contengono
meno silicone delle donne vere; però metterle incinta è un po’ dura, fossi
in lei non ci spererei.»
«Ma senti questo! Se insisti metto incinta te!»
«Benissimo! Per farlo però avrà bisogno del nostro ultimissimo prodotto,
Uomonatal: per gli uomini che non si arrendono alla natura.»
«Brutto stronzo! Ma cosa stai dicendo? Ho una reputazione da difendere, io!»
«Ah, le piacciono le missioni impossibili, eh? Comunque, peggio per lei; non
riuscirà mai ad avere figli senza il mio aiuto. E si ricordi: siamo fatti
solo per essere al mondo e mettere al mondo; l’intelligenza è un incidente
di percorso. Ma non si preoccupi, è un incidente che a lei non è capitato…»
«Buongiorno signora, cosa ne direbbe di una rinfrescatina all’utero?»
«A dire il vero, me lo stanno rinfrescando proprio in questo momento» disse
tenendo la porta accostata, mentre il membro del marito le viaggiava dentro.
«Sì, ma noi abbiamo i migliori farmaci per stimolare il suo apparato
riproduttivo e quello del suo compagno. Roba ultrasicura: i nostri prodotti
rientreranno nei limiti prescritti da leggi che vareranno a breve, studiate
proprio per permetterci di venderli.»
«È il cielo che la manda! Forse sarà perché mio marito insiste a fecondarmi
le tonsille, ma sono trent’anni che cerco invano di rimanere incinta: cosa
posso fare?»
«Intanto, faccia riposare suo marito; tre decenni passati tra le sue cosce
possono essere fatali per chiunque…»
«Sì, facciamolo anche riposare: è più pigro di un suo spermatozoo!»
«Ehi!» protestò il marito, che intanto continuava a rinfrescarla.
«Beh, potremmo provare con Spermenergy: fertilizzante per seme apatico.
Oppure potreste affittare un utero, ne abbiamo di tutti i lussi e di tutte
le metrature, con praticello antistante e ampia veduta su mutanga firmate;
con possibilità di subaffitto della dépendance sul retro.»
«Nooo, abbiamo già chiesto, ma gli affitti sono ormai impossibili!
Mettiamoci anche le spese condom-iniali poi… no, troppo costoso. Ne abbiamo
anche cercato uno da comprare, ma i prezzi sono davvero troppo alti e
nessuno ci concede un mutuo per il secondo utero; dovremmo venderci il
primo, ma alle mie frattaglie ci tengo!»
«Eh, lo so, i prezzi nelle omnipoli sono ormai proibitivi… potreste provare
con qualcosa più fuori mano: ad esempio, abbiamo una rustica extraterrona
d’epoca che è un vero affare. Certo, l’utero è un po’ da ristrutturare:
possiamo prendere un appuntamento con suo marito, così viene a toccare con
mano, prova a entrare nei locali e vede se si trova a proprio agio.»
«Ma non ci pensi proprio! Mio marito sta bene nei locali che ha! E poi noi
il figlio lo vogliamo all’antica: deve uscire da me. E che sia la volta
buona per un orgasmo!»
«E allora non ci restano che i metodi tradizionali: che ne dite di Magic
Ovulation, per gli ovuli più esigenti?»
«Già provato: non funziona.»
«Beh, potremmo provare con Push Egg: una spinta verso l’ovulo più ritroso!»
«Provato anche quello: nulla.»
«Super Procreation?»
«Niente.»
«Extreme Birth?»
«Idem.»
«Allora, non le resta che provare il nostro programma avanzato: Insemination
of Mary. Per questo, non ci sarà neanche bisogno dell’apporto di suo marito.
Un nostro incaricato verrà a darle la lieta novella di persona.»[...]
Andros
Brano tratto dal libro “Codice a bare”, 2009
Quarta puntata – Arrestate lo
scultore!
Questo è il resoconto a puntate di quattro anni della mia vita, e della vita
di uno spazio espositivo da me aperto a Milano. Benché semiserio, ci sono
ben poche cose finte o esagerate, anzi, più spesso ne ho alleggerito la
portata. Le prime puntate sono già state inserite in altri siti in passato,
le ultime invece no.
Era un continuo. Per circa un mese mi sono sentito dire di tutto: ho persino
scoperto espressioni e parolacce del tutto nuove per me. Mi si è aperto un
universo, anche se loro avrebbero preferito aprirmi la testa, a bastonate.
Una mattina, il solito capannello di astanti era fermo davanti alle vetrine,
commentando quanto orrende fossero le mie sculture; passarono due
poliziotti, di quelli che pattugliano sempre la stessa zona e conoscono
tutti. Ci fu una piccola sommossa: “Avete visto?”, “che schifo, fate
qualcosa”, “dovreste metterlo in galera!”. Dal soppalco, come sempre,
sentivo ogni cosa; mi affacciai per vedere, c’era di tutto: giovani, adulti
e vecchietti, uomini e donne. Probabilmente non erano mai stati tutti
d’accordo su qualcosa; avevano aspettato il mio arrivo per compattarsi così
bene.
Le persone diverse sono da sempre un ottimo collante per il popolo: se sono
di potere tutti le adorano, altrimenti, tutti contro!
Avevo gli occhi ancora collosi di sonno, non ero abbastanza sveglio da
preoccuparmi; cosa poteva mai succedere, dopotutto?
Tante furono le insistenze della gente che i due poliziotti si videro
costretti a suonare il mio campanello.
Andai ad aprire, continuando a pensare “cosa mai può succedere?”; ma devo
ammettere che un filo di preoccupazione iniziava ad affacciarsi.
Per fortuna, non ce n’era motivo.
I poliziotti erano due simpatici ragazzi dalla stretta di mano poderosa; mi
dissero che in giro erano tutti preoccupati, che continuavano a chiamarli, a
chiedere di intervenire: addirittura avevano paura che io fossi pericoloso.
Per un attimo mi chiesi se quella fosse davvero Milano, grande metropoli
rotta a tutto, che ha visto e fatto di tutto, e non un paesino sperduto e
arroccato sulle proprie superstizioni e su chissà quale montagna, dove le
donne non possono aprir bocca e sono tutti “timorati di Dio.”
Cercai di rassicurarli, e giurai di non aver intenzione di fare a pezzi
nessuno, almeno non in tempi brevi. Per fortuna, colsero la battuta e risero
con me.
Si appassionarono ai miei lavori, mi fecero un mucchio di domande tecniche,
così scoprii che uno di loro aveva l’hobby del modellismo; finimmo col
parlare di resine e gli diedi un po’ di consigli. Ci lasciammo come vecchi
amici.
Salutandomi, l’altro disse: “Adesso cerchiamo di calmarli un po’, diciamo a
tutti che sei una persona a posto e vedrai che non ti daranno più fastidio.”
A me veramente non davano alcun fastidio; piuttosto, ero io quello che
sembrava dare fastidio, e anche molto. In ogni modo, furono di parola, le
critiche e gli insulti continuarono, ma da quel giorno smisero di augurarmi
l’arresto, anche se qualcuno continuò ad auspicare la mia morte violenta.
Non si può avere tutto!
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Daimon Club
I remind everyone that this blog aggregator will
insert and take into strong consideration the authors that, for one reason
or another, have come into contact with our organization and with Carl
William Brown and have thus decided not to waste a good opportunity to work
with us and to make sure that others might in this way have a better chance
to understand and appreciate their writings, their ideas, their feelings or
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remain in possession of all his rights, and that the space that the Daimon
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his will to the Club.
Ricordo a tutti che in questo blog aggregator come del resto nella nostra
Library del Daimon Club verranno inseriti gli autori che nel corso del tempo
e quindi dei vari secoli della storia della letteratura, per un motivo o per
l’altro, sono venuti in contatto con la nostra organizzazione e con Carl
William Brown e hanno così deciso di non sprecare una buona opportunità per
collaborare con noi e per far si che gli altri potessero in questo modo
avere una possibilità in più per conoscere e apprezzare i loro scritti, le
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l’autore rimane assolutamente in possesso dei propri diritti, e che lo
spazio che il Daimon Club gli mette a disposizione è assolutamente gratuito,
inoltre l’autore potrà togliere i suoi scritti in qualsiasi momento,
inviando semplicemente una lettera con le sue volontà al Club.
Ribadisco inoltre che unirsi alla grande famiglia del Daimon Club significa
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propria arte, in quanto i nostri siti sono destinati ad avere col passare
del tempo sempre più visitatori, come dimostrano chiaramente le cifre
riportate nella pagina principale del Daimon Club. Inoltre molti degli
artefici del Club sono già conosciuti in quanto o sono dei personaggi
pubblici, o hanno già pubblicato dei testi sia in rete sia su carta, o sono
artisti grafici, o sono comunque dei professionisti nei loro settori e hanno
quindi una folta schiera di conoscenti.
Ovviamente daremo più spazio e pubblicità a tutti gli artisti che
collaboreranno con noi, infatti uno dei nostri scopi princiaple è proprio
quello di trovare alleati e complici per la diffusione delle nostre idee e
per una vasta promozione dei nostri lasciti. Già, tramandare il nostro
testamento affinché sempre più gente si interessi maggiormente alla nostra
umanità e magari un po’ meno alla nostra stupida vanità. Così facendo si
cercherà di creare un ponte, e non solo virtuale, tra tutti gli uomini di
buona volontà di questo mondo, al di là delle ideologie, delle credenze
religiose e dello stile di comunicazione. Il tutto con la speranza di poter
contribuire nel nostro piccolo a fare qualcosa di buono per la nostra
crescita culturale ed educativa e per la riduzione del nostro grande
egoismo. Se volete dunque fare qualcosa per la nostra storia e per il nostro
futuro, unitevi a noi e tramandate ai presenti e ai posteri lo spirito del
Daimon Club e di tutti i suoi artefici.
Oggigiorno reputo infatti che tutte le informazioni e tutte le opere
d’ingegno dovrebbero essere disponibili su internet; la cultura, l’arte e
l’educazione dovrebbero infatti essere a disposizione di tutti e tutti gli
artisti dovrebbero mettere le loro capacità al servizio dell’umanità,
affinché questa possa essere migliorata. Non un’arte al servizio del
business, ma un’arte al servizio del progresso dunque. Per tale ragione il
ruolo dei vari autori non dovrebbe essere solo quello di creare, ma dovrebbe
anche essere quello di divulgare le loro opere sensibilizzando la coscienza
comune. Questo è lo spirito del Daimon Club e dei blogs del nostro Fort
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vostre creazioni elaboriate con noi una strategia di divulgazione e di
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popolano l’universo delle arti, della musica e delle lettere. Ma per questo
discorso vi consiglio di visitare le pagine del Daimon Club inerenti
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